22 - LA PORTA CHIUSA (2)

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La promessa mattutina di pioggia non era stata mantenuta; l'aumento di umidità, sì. Il sole aveva vinto, come succedeva da quasi un mese ormai, e il caldo era soffocante. Roberto aveva deciso di partire subito dopo pranzo. «Prima vado, prima torno.» aveva detto. Andrea gli aveva rivolto un frettoloso ciao, scappando su in camera. Roberto l'aveva seguito con lo sguardo, sentendo un macigno premergli il cuore, immaginando i pensieri che in quel momento turbinavano nella mente del suo ragazzo. Camilla l'aveva seguito, dopo averlo, un po' inaspettatamente, abbracciato stretto. «Devi tornare, per lui.» gli aveva sussurrato. Roberto le aveva fatto l'occhiolino, prima di vederla sparire su per le scale.

«Ti auguro di trovare tua mamma.» le aveva rivolto Dalila, nella sua solita compostezza, allungando la mano. Lui l'aveva stretta volentieri, sotto lo sguardo di Giancarlo.

«Ehy! Non sta mica partendo per il fronte!» aveva riso, dandogli una forte pacca sulla spalla. «Tra qualche ora sarai di nuovo qui con noi, vero?» Roberto aveva annuito notando un leggero tremore nella voce del vecchio che, sebbene provasse a ostentare un tono spavaldo, faticava a nascondere la sua preoccupazione. Almeno ai suoi occhi.

«Certo, certo! Vado e torno.»

Davanti alla macchina lo aspettava Veronica, in piedi, nel suo splendore. A Roberto pareva quasi di vederla cambiata, ogni volta che i suoi occhi si posavano su di lei. In effetti, per quanto avesse sempre sentito un particolare legame verso quella bambina, fin dalla prima volta che l'aveva vista, non ricordava di aver mai notato la sua bellezza, come la notava ora. Sembrava mutare davanti a lui, come un fiore che stesse velocemente sbocciando, in barba alle leggi della Natura. Era solo suggestione? Sicuramente. Ma se quella mattina le era parsa bellissima, adesso lo era ancora di più.

«Ci vediamo stasera...» gli aveva detto, aggrappandosi al collo e abbracciandolo stretto, lasciandolo per un attimo senza fiato. «Se riesci a salvare tua moglie, ti prego, prova anche con il mio papà!» gli sussurrò, staccandosi e fissandolo.

Roberto sentì di nuovo uno strano calore avvolgerlo, diverso dal caldo che procurava l'umidità presente nell'aria, lo stesso calore che aveva provato il giorno prima, quando aveva toccato la ragazzina, sulla strada. Era ovvio che c'era qualcosa che li accumunava dentro di loro, e su questo cominciava a non aver più alcun dubbio. «Senz'altro!» le aveva risposto. «Ciao.» Ed era partito.

Era ancora scosso mentre percorreva il tratto che portava sulla strada principale del Botteghino di Zocca, ma dovette concentrarsi in fretta e dimenticare sentimentalismi e preoccupazioni. A breve sarebbe passato non lontanissimo dalla bolla dove viveva, insieme a tanti altri, anche il piccolo Giò. Si chiese se fosse ancora nei pensieri di Camilla o se, la presenza di Andrea, gliel'avesse già fatto dimenticare. Voleva sperare che la ragazza che in quel momento occupava il cuore di suo figlio (o forse qualcos'altro) non fosse così volubile. Le strade erano del tutto deserte, esattamente come il giorno prima; parevano prive di vita, strade abbandonate da anni che portavano in città fantasma. Erano passate meno di ventiquattro ore dall'attacco di quel "coso volante", ma sembrava già di vivere su un pianeta diverso, rendendo ancora più evidente come al mondo, la presenza umana fosse totalmente ingombrante. Quasi a conferma dei suoi pensieri, scorse un branco di caprioli intento a brucare in mezzo agli alberi, a pochi metri dalla strada. Pensò che, probabilmente, non era loro abitudine avvicinarsi così tanto; infatti, sentendo arrivare l'auto, alzarono di scatto il muso e scapparono via. Sbucò sulla strada principale e si diresse a sinistra, stringendo forte il volante, cercando di essere pronto a qualsiasi colpo di sorpresa potesse palesarsi improvvisamente davanti a lui. Superò il piccolo distributore di benzina del paese e subito un pensiero lo folgorò. "Cazzo, le taniche!" pensò. Avevano deciso di riempirne alcune di carburante finché c'era corrente e le pompe, in teoria, funzionavano. Ma sia lui, sia Giancarlo, se ne erano totalmente dimenticati. Ebbe l'impulso di fermarsi e tornare indietro, ma la smania di raggiungere sua mamma aveva la precedenza su tutto. Rallentò un poco in prossimità del parcheggio in cui si era consumato il dramma del piccolo Giò; più all'interno c'era il parco, ombreggiato dagli alberi, in cui il bimbo era stato preso e in lontananza, nascosta tra i rami, la bolla. Appena più avanti, lasciati gli alberi alle spalle era molto più visibile; sarebbe stato saggio schiacciare sull'acceleratore e allontanarsi da lì il più in fretta possibile, ma d'istinto Roberto rallentò ulteriormente, quasi incurante che l'uomo viola lo vedesse. "Spera di non presumere troppo, Edicola!" pensò. Ma quello che gli parve di vedere lo indusse addirittura a fermarsi. Cosa succedeva laggiù? Senza quasi rendersene conto scese dall'auto, l'aggirò passando davanti al cofano e s'incamminò di una decina di passi sull'erba. "Ma che cazzo fai?" tuonò una voce dentro di lui. Avrebbe giurato fosse quella di suo figlio, ma alcune inflessioni la facevano somigliare più a quella di Giancarlo. Si fermò, cercando di mettere a fuoco quello che vedeva, sapendo di non correre pericoli. Come lo sapesse, però, era un mistero! La sentinella era dentro la bolla, nell'identica posizione delle sue vittime, a bocca aperta, ingoiando un filo rosso che usciva da una grossa palla simile a un gomitolo, sospesa in aria, che si dipanava nello stesso identico istante in cui veniva formata dagli altri fili che uscivano dalle bocche dei disgraziati. Roberto poteva vedere il piccolo Giò, coi suoi piedini nudi, in quella terrificante e innaturale posizione, ancora più dolorosa se associata al ricordo del bambino che correva, ridendo, inseguito da Veronica. Roberto sentiva il cuore tremargli e ricordò improvvisamente le parole di quell'Ismel, echeggianti nella sua testa, ovattate e minacciose allo stesso tempo. "Voi avete una cosa che mi appartiene! E LA RIVOGLIO INDIETRO!" Gli sembrava assurdo averle sentite solamente il giorno prima! Si avvicinò di qualche altro passo sperando di notare qualcosa che gli cancellasse, o almeno lo facesse dubitare di quello che stava vedendo. Aveva perfettamente capito cosa stava succedendo! Quello stronzo viola stava recuperando ciò che il suo padrone voleva: la loro anima, la loro vita. "Mamma! Lina!" pensò subito. Si girò e corse alla macchina, mise in moto e partì. Per tutto il tempo la sentinella non si era mossa, né aveva dato segno d'averlo notato.

Percorse a ritroso la strada del giorno prima, superando la bolla nel parco della chiesa, in località Farneto. La scena era la stessa vista al Botteghino. Stavolta non si fermò, né rallentò, smanioso di arrivare il prima possibile al palazzo dove abitava la madre. Alla rotonda della Pulce proseguì diritto, dirigendosi verso San Lazzaro di Savena. Cominciò ad attraversare i primi insediamenti di villette e condomìni che circondavano il centro del paese, situati in quella che poteva chiamarsi periferia, ma non era null'altro di più che la campagna; ogni bolla che vedeva, in lontananza o vicino alla strada, presentava lo stesso, triste e inquietante spettacolo.

Il palazzo di sua mamma era in una zona più urbana, proprio a ridosso del centro vero e proprio, dove sorgevano alti e vecchi edifici con portici alla base che ospitavano vari negozi. Dirigendosi verso un luogo decisamente più popolato, Roberto si aspettava, o per meglio dire, desiderava con tutto il cuore incontrare qualcuno che fosse riuscito a scampare alla sentinella. Ma tutto continuava a essere desolatamente deserto, sia le strade, sia i parchi, sia le stesse case. Le uniche persone che vedeva, purtroppo in grandissimo numero, erano all'interno delle bolle, immobili, a farsi succhiare via, contro la loro volontà, la propria esistenza. Ce n'era una, enorme, nel grande parcheggio della scuola media che sorgeva di fronte all'imbocco del cortile e del parcheggio che facevano da tappeto al palazzo di sua mamma. Roberto si chiese se lei fosse in quella bolla, mentre parcheggiava l'auto, cercando di tenere più viva possibile la speranza di ritrovarla sana e salva. Scese, estraendo il mazzo di chiavi che si era portato dietro, in cui c'erano anche quelle dell'appartamento. Il portone d'ingresso era spalancato e uno dei vetri era tutto crepato, cosa che accelerò ulteriormente i battiti del suo cuore. Ebbe la tentazione di suonare il campanello, ma non la ritenne una buona idea, per cui entrò diretto nell'androne. D'abitudine si diresse all'ascensore ma ricordò, d'improvviso, le preoccupazioni di Giancarlo su un'imminente interruzione dell'elettricità e non voleva rischiare di ritrovarsi bloccato dentro a una scatoletta, senza cellulari funzionanti, ma soprattutto senza nessuno che sarebbe venuto a tirarlo fuori. Sua mamma abitava al settimo piano, così, preparandosi all'inevitabile fiatone, cominciò a salire le scale.

La porta dell'appartamento della signora Gina era chiusa.

Mai prima di allora e mai più dopo, Roberto provò un terrore simile a quello insinuatosi in lui, che lo avvolgeva dalla testa ai piedi mentre infilava la chiave nella toppa. Poteva trovare sua mamma un po' spaventata, ma salva, nascosta magari sotto il letto; o poteva trovare la casa vuota, rimanendo con quella penosa incertezza, pesante da portarsi dietro, ma alleggerita dallo stesso filo di speranza a cui era aggrappato ora; oppure, semplicemente, poteva scoprire di non avere più una mamma. Quella porta, chiusa davanti a lui, poteva separarlo dalla più agghiacciante delle scoperte. Osservava ogni cosa intorno a lui, le venature del legno, la plastica sbiadita che proteggeva il nome del campanello, la vernice un po' scrostata sul muro, chiedendosi con che occhi avrebbe riguardato tutto quanto, magari appena due minuti dopo, se avesse scoperto il cadavere di sua mamma steso nell'appartamento.

Si bloccò, tremante, deglutendo l'aria pesante che gli aleggiava intorno, perché la poca saliva rimastagli in bocca, si era del tutto seccata. Quale destino poteva permettere a un uomo, a un figlio, di affrontare una simile prova? Con quale forza avrebbe aperto quella porta, sapendo quale terribile verità poteva celarsi didietro? Era solo una soglia; solamente pochi centimetri, ma, in realtà, era il passo più lungo e affliggente che avesse mai sopportato in tutta la sua vita. Pensò quasi di desistere, e andarsene, scegliendo la sicura incertezza alla dolorosa certezza.

"Smettila, stupido!" si disse, dandosi una botta in testa. "Non puoi fare il coglione proprio adesso!"

Fece un profondo respiro, girò la chiave nella toppa, e aprì.

Appena spalancata la porta lo accolse una luce accecante, tanto intensa che dovette per un attimo chiudere gli occhi, proteggendoli con la mano, accompagnata dal silenzio più assordante che avesse mai sentito. A poco a poco riuscì ad abituare le pupille, scoprendo un enorme buco nella parete della sala, ricoperta dai resti del muro e della finestra disintegrata. Il tavolo era stato sbalzato contro alla credenza sul muro opposto, infrangendo le vetrinette e gran parte del contenuto: bicchieri, calici e piatti per ospiti che sua mamma non invitava mai. «Mamma!» chiamò, controllando il piccolo cucinotto, vuoto. Aveva già scartato l'ipotesi di ritrovarla salva. Si diresse in camera, controllando subito sotto al letto, suggestionato dalle sue fantasie, poi diede un'occhiata al bagno. Sua mamma non era in casa; se era stata presa, sicuramente era dentro alla bolla. Doveva scendere e andare a controllare. La cupola era molto estesa, forse la più grande che avesse visto fino a quel momento, e occupava tutto il suolo che faceva da parcheggio alla scuola, probabilmente sgombrato dalle auto che sostavano lì. Come, Roberto non lo sapeva e, forse, nemmeno voleva saperlo. Era abbastanza sicuro che la sentinella, impegnata nell'estrazione, fosse momentaneamente inoffensiva, o almeno così gli era parso; ma non sapeva se sarebbe riuscito ad avvicinarsi fisicamente e, anche se ce l'avesse fatta, scorgere sua mamma sarebbe stato parecchio complicato, vista la folla che era stata ammucchiata; a meno che non stazionasse vicino al bordo. Cosa avrebbe fatto se non l'avesse vista? Avrebbe cercato in altre bolle? Sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Sarebbe rimasto con l'atroce dubbio sulle sorti di sua mamma. Sicuramente era meglio che saperla morta, ma l'idea che fosse sola, magari ferita, sofferente, chissà dove, lo faceva stare male. E quei pensieri lo tormentavano già dal giorno prima! Completamente immerso nelle sue elucubrazioni, uscì dall'appartamento e meccanicamente si diresse verso l'ascensore; pigiò il pulsante e attese, meditando su come poteva avvicinarsi alla bolla senza correre rischi. Le porte si aprirono, entrò e schiacciò il tasto 0. L'ascensore scese verso il basso, segnalando i piani tramite numeri rossi che si illuminavano su un display. Roberto lo fissava, senza realmente vederlo. Fu quando arrivò al piano terra e le porte si riaprirono che si ridestò da quello strano torpore e si rese conto di dov'era entrato. «Ma cosa sto facendo? Cosa sto facendo?» sbraitò, uscendo in fretta. Pensò subito alle promesse che aveva fatto a suo figlio, alle assicurazioni sull'attenzione che avrebbe messo in tutto, per poi rischiare di rimanere bloccato stupidamente in un ascensore. «Devi stare più sveglio, cazzo!» si impose, mentre si dirigeva verso il parcheggio della scuola.

La bolla risplendeva sotto i raggi del sole, riflettendo l'arancione all'interno e conferendo a tutti i visi che riusciva a scorgere, un innaturale colorito, reso ancor più inquietante dall'espressione vacua che avevano sul volto. Roberto attraversò la strada, fermandosi sul marciapiede per studiare la situazione, a una ventina di metri dalla parete della bolla. Decise, come prima mossa, di camminarci intorno per l'intero perimetro, tenendosi sempre a debita distanza, scrutando i volti adiacenti al bordo. Impiegò dieci minuti, senza riuscire a scorgere la madre e senza tuttavia rimanerne particolarmente sorpreso. "E adesso?" pensò. L'unico modo per osservare bene i visi delle persone era entrare all'interno e aggirarsi tra quelle statue di cera. «Mi giuri che torni?» La voce di suo figlio risuonava nella sua testa, impietosa, e cozzava con le immagini di sua mamma che leggeva una favola a un bambino ammalato a letto. Si sedette sul ciglio prendendosi la testa tra le mani, indeciso su cosa fare, come mai lo era stato in vita sua. Nelle ultime ventiquattro ore (scarse) si era già preso una lista infinita di rischi, cosa non da lui, abituato a ponderare e analizzare ogni aspetto di quello che doveva intraprendere, prima di agire. E il più delle volte non agiva affatto, grazie al sottile velo di panico che si era adagiato sul suo cuore dopo l'esperienza avuta con il rapinatore nel bar. «Quel Roberto non c'è più!» disse, alzandosi e asciugandosi gli occhi, appena inumiditi. Si trovava lì per cercare di salvare sua mamma e per sapere se potesse provarci anche con Lina, e adesso aveva il modo di scoprire se fosse possibile. «Scusami, Andy!"

S'incamminò deciso verso la bolla, ma subito notò che succedeva qualcosa. La superficie cominciò a brillare sempre più intensamente man mano si avvicinava. S'arrestò e fece qualche passo indietro; il colore tornava gradualmente come prima. Un sorriso ironico si disegnò sulle sue labbra: sembrava che la bolla lo sentisse o lo percepisse, come se sapesse che lui era lì, ennesima dimostrazione sul fatto che dentro di lui c'era qualcosa che c'entrasse con tutta quella merda. "Ma come posso avere connessioni con questa roba aliena, per Dio?". Si arrestò di nuovo e riprese a camminare in avanti e di nuovo la cupola si illuminò, ma non solo: la superficie tremolava leggermente, come fosse uno specchio d'acqua increspato da un vento leggero. Cercò con lo sguardo la sentinella e la scorse alla sua sinistra, nell'angolo in cui la parete curvava verso la scuola. Lo stava fissando! Il filo rosso che usciva dall'enorme gomitolo che sovrastava tutti s'insinuava nella sua bocca, spalancata e immobile. Ma la testa era girata verso di lui, gli occhi non più vuoti, ma vivi. Roberto di nuovo si fermò, col cuore in gola. Ormai era a meno di dieci metri, forse cinque dalla bolla. L'uomo viola non si muoveva, continuando a ingerire quello che stava sottraendo a quella povera gente; Roberto pensò che poteva anche avere già dentro di sé l'essenza di sua mamma (e un'altra sentinella, non lontana da lì, della sua Lina), o qualsiasi cosa fosse quello che stava rubando e, solo per un attimo, l'ansia, le preoccupazioni, l'angoscia, il terrore, si fusero tutte insieme in un concentrato di rabbia, vero e proprio furore e dovette sforzarsi per bloccare l'impulso di scagliarsi contro di lui e prenderlo a pugni. Per un minuto si fissarono, poi Roberto distolse lo sguardo. La luce che emanava il tetto della cupola era intensissima e sembrava produrre un sottile suono, acuto. Si chiese se fosse veramente udibile o se fosse soltanto nelle sue orecchie, come un acufene indotto. Fece un altro passo, ma mentre l'espressione dell'uomo non mutò di una virgola, il bagliore aumentò, così come quel suono perforante. La superficie ora vibrava intensamente, come scossa non più da un refolo d'aria, ma da un vento impetuoso, di quelli che annunciano l'arrivo di un imminente e burrascoso temporale. «Vaffanculo!» disse. «Ormai sono in ballo. Balliamo!» Si avvicinò di un altro passo e tutta la luce che ricopriva la bolla si addensò in cima, formando, solo per un secondo, una piccola e infuocata sfera che subito si disfece, ricacciando vertiginosamente il bagliore sulle pareti curve, accompagnata da un cupo e sordo rimbombo. L'onda d'urto investì Roberto, sbalzandolo all'indietro di qualche metro e facendolo cadere sull'asfalto. Riuscì a girarsi in tempo e a proteggere la caduta con i palmi, che si graffiarono leggermente.

«Fanculo! Fanculo! FANCULOOOO!» Roberto sbatteva ripetutamente le mani sul volante mentre guidava, in lacrime, verso Ozzano e verso casa sua, ignorando il leggero bruciore sui graffi procurati.

Rialzatosi in fretta dopo la caduta, era corso alla macchina ed era partito sgommando, tanto terrorizzato dallo sguardo della sentinella e da un suo improvviso attacco, quanto disperato per non essere stato in grado di trovare sua mamma. D'istinto aveva preso la direzione di Ozzano. Le lacrime erano sgorgate quasi subito, incagliandosi, dopo la breve discesa sulle guance, nella barba ingrigita. Voleva conoscere la sorte di sua madre, ma aveva fallito. «Non la rivedrò mai più...» mormorò. Poi, improvvisamente, inchiodò, fermando la macchina con un forte stridore di freni. Chinò la testa e le lacrime divennero singhiozzi. Scoppiò a piangere, un pianto incontrollato. Era per sua mamma sicuramente, ma c'era altro. Percepiva in sé un confluire di dolore, preoccupazione, rassegnazione, frustrazione, e stava male. «Perdonami, mamma!» disse, mentre nella sua mente scorrevano le immagini dei momenti vissuti con lei da bambino, felice e inconsapevole come solo i bambini possono essere. Alzò appena la testa, fissando la strada di campagna davanti a lui e Lina prese il posto della madre nei suoi pensieri. Il dolore, già acuto, divenne insopportabile e l'impotenza di fronte a quella situazione piombò su di lui. «Che ci faccio qui?» si chiese. «Hai già visto che non puoi fare un cazzo. Cosa serve tornare là?» Pensò a Veronica che gli aveva chiesto di provare a salvare anche il suo papà. «Mi spiace piccola. Sono stato inutile.»

Ripartì, prendendo la direzione opposta a Ozzano, appena giunto all'incrocio. Guardò l'ora nel cruscotto: le 14.23. "Faccio tappa al Centronova e poi di corsa dal mio ragazzo." Se non era in grado di salvare sua mamma e sua moglie, almeno avrebbe protetto suo figlio. Le strade continuavano a essere miseramente vuote, sia quelle che correvano fuori dai paesi, attraversando le campagne, sia quelle che attraversavano i paesi. "Possibile che nessuno, oltre a noi, si sia salvato?" "Perché tu ti ritieni salvo?" La voce che echeggiava nella sua mente era la sua, ma pareva una versione più sicura, senza patemi, senza dubbi." Quelli sfuggiti alla caccia se ne stanno ben nascosti, che credi? Non sono imbecilli come te che te ne vai a zonzo allegramente!" Voleva rispondere che non si sentiva poi così allegro, ma avrebbe solo risposto a sé stesso. Il piccolo orologio sotto il contachilometri segnava le 14.36 quando giunse a una rotonda, nei pressi dell'entrata per la tangenziale. La prima uscita portava verso Villanova e il centro commerciale a cui era diretto. Mentre iniziava a rallentare per voltare a destra, uno dei suoi desideri fu improvvisamente esaudito, e una SAAB nera con a bordo delle persone, uscì dalla rotonda, imboccando la strada dalla quale lui proveniva.

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