23 - LA SCP (2)

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«Come si chiamava?» chiese Giancarlo.

«Come si chiamava, chi?» Alberto si girò e lo fissò.

«Il tizio che è morto tra le tue braccia. Sinceramente non pensavo più alla storia del guaritore da un bel po', ma ricordo la popolarità che raggiungevano questi miracolati. Per non parlare di Nicolas. Poi, una volta morto, si è sgonfiato tutto come un palloncino. Dopo sei mesi, non ne parlava più nessuno! Solo per curiosità, come si chiamava? Magari è un nome che mi torna in mente.»

«Non lo so! Non me l'ha mai voluto dire.»

Andrea e Camilla si misero a ridere. «Era tuo amico e non ti ha voluto dire il nome?» Roberto lo fissava con un'espressione un po' dubbiosa.

«Lo so, sembra strano, ma c'è una spiegazione correlata a un'altra storia che adesso non ho tempo, né voglia di raccontare.» Giancarlo sbuffò, con la faccia perplessa. «È una cosa personale...» aggiunse Alberto.

Dalila lo stava fissando, senza far trasparire nessuna emozione. Poi si rivolse alla sua figlioccia. «È grazie a questo potere che hai fermato Bito?» Lei alzò le spalle.

«Fermato chi?» Alberto si era riseduto.

«Un tizio che ieri ci ha dato un passaggio. Doveva portarci qui, così aveva promesso, invece ci ha portato nella sua lurida bettola dove torturava e ammazzava ragazze innocenti.» L'espressione che Alberto lesse negli occhi della donna mentre pronunciava le ultime due parole, occhi piantati su di lui, lo terrorizzò. «Stava per stuprarmi e lei lo ha fermato, semplicemente toccandolo e bruciandogli la pelle!»

«E poi lo ha scaraventato contro al muro!» concluse Giancarlo.

Veronica alzò lo sguardo su di lui. Sembrava aver cambiato idea sulla sua storia. «Ero arrabbiata! Furiosa!» disse poi. «Ho sentito qualcosa che mi montava dentro e lo vedevo scorrere sotto la pelle delle mani. Era l'energia?»

«Beh, probabile!» Alberto aveva la gola secca e la voce gli era uscita roca e gracchiante. Fissava Veronica ma non poteva evitare alle sue pupille di andare su Dalila, anche se solo per piccolissimi e impercettibili istanti. Gli occhi di lei erano costantemente e inesorabilmente fermi nei suoi. "Si è innamorata di me, forse..." pensava, cercando di ignorare l'altro pensiero, quello più credibile. "Lei lo sa!"

«Scusatemi.» intervenne Laura. «Io sono un po' confusa.»

«Gliela faccio semplice signora.» disse con tono dolce Giancarlo.

«Oh, diamoci del tu, dai!»

Lui arrossì e la cosa fece sorridere Roberto. «Certamente.» Si schiarì la voce. «Il tizio che ha distrutto Bologna viene dallo spazio ed è qui per riprendersi l'energia che, a quanto pare, fa andare avanti il nostro pianeta.»

«Sì, questo l'ho capito. È il resto che faccio fatica. Non ho afferrato bene cosa sono gli scrigni?»

«Sono persone che contengono il potere che forse può sconfiggerlo, portato qui dalla... sorella? Era la sorella giusto? Che era molto più potente di lui.» s'inserì Andrea.

«Esatto! Per quasi cento anni è stato tramandato, di persona in persona. Finché questa persona non è stata Nicolas, il famoso guaritore, che però, senza saperlo, trasferiva un pezzetto dell'energia ogni volta che operava il suo miracolo.» continuò Alberto, ripresosi dai suoi pensieri, ma con un velo d'inquietudine che lo avvolgeva.

«E tu devi trovare tutti i guariti per rimettere insieme il potere!» concluse Camilla.

«Bene! Vedo che avete capito tutto, e anche velocemente. Non ci speravo!»

«Anche quelli prima di Nicolas avevano il potere di guarire?» chiese Laura.

«No. Secondo Franco l'energia si è palesata a causa dell'arrivo del servo. Evidentemente, anche se il potere del servo era molto minore di quello lasciatoci dalla donna, la sua sola presenza sulla terra ha scatenato alcune delle potenzialità dell'altra. In questo caso, riuscire a guarire qualsiasi malattia. Chissà, forse ha inciso anche chi era in quel momento lo scrigno; forse quel Nicolas aveva già qualche predisposizione di suo.»

«Questa è la volontà di Dio! Non la vedete? Ha dato a quel ragazzo il potere di salvarci!» esclamò Laura.

Tutti si guardarono imbarazzati.

«Laura, te l'ho già detto!» senza rendersene conto, aveva cominciato a darle del tu. «La religione non c'entra qui, per favore! È già tutto abbastanza complicato...»

«Come? Non è tutto chiaro?» chiese Giancarlo, con un tono sarcastico.

«Lo so, la storia è parecchio confusa. Molte cose sono solo ipotesi, per questo mi sono limitato a dirvi più approfonditamente solo le parti essenziali. E cioè che ci servono i nove scrigni, prima possibile.»

Laura lo guardava torva, ma ancora una volta, rimase in silenzio.

«Ismel è Dio! Almeno secondo quanto ha detto nel messaggio.» La frase di Veronica, buttata nel mezzo all'improvviso, ebbe lo stesso effetto di un cerino acceso gettato su un covone di paglia secca.

Laura alzò la testa e piantò su Veronica gli occhi, semichiusi e grondanti disprezzo. «Dio è uno e uno solo, cara. Ed è buono! Non avrebbe mai fatto quelle cose!»

La ragazzina sbuffò, con arroganza. «Secondo la Bibbia ha fatto anche di peggio! Egitto, primogeniti... solo per citarne una...»

«Ma come ti permetti, ragazzina? Tu non sai...»

«So che è morta mia mamma! E io e mio papà pregavamo tutte le sere mentre era in ospedale, ma è morta lo stesso!» Le lacrime, puntuali, erano comparse nei suoi occhi.

«Cosa c'entra questo? Nostro Signore non può interferire...»

«Ah! Dite sempre la stessa cosa! Non può interferire... il libero arbitrio... Bella scusa!»

Laura respirava molto rumorosamente, sentendo l'ira salire velocemente dal basso ventre fino alla bocca. «Non lo dico io! Lo dice la Sacra Bibbia! Però...»

«Però un cazzo!» era intervenuta Dalila. «Avete rotto con sta religione! Non ho mai capito e mai capirò per quale motivo dovete sempre voler imporre i vostri pensieri, le vostre teorie, anche a chi vi dice che non gliene frega nulla!» Lo sguardo di Dalila era talmente stravolto che Laura la fissava, incapace di formulare anche solo un pensiero per difendersi. «Se credi tanto al tuo Dio,» stava continuando, «pregatelo da sola e non rompere il cazzo a noi! E noi non lo romperemo a te!»

«Per favore...» Dopo due secondi di assoluto silenzio calato sulla sala, due secondi che a tutti parvero due ore, Alberto intervenne. Laura era a testa bassa, visibilmente umiliata; Veronica, quasi commossa per l'aiuto ricevuto, provava però un po' di pena per la signora. Alberto continuò. «Non abbiamo tempo per discutere su cose che adesso non servono a nulla!»

«Credo tu abbia ragione.» disse Roberto. «E dobbiamo rimanere uniti, non litigare tra di noi.»

«Certo!» aggiunse Giancarlo.

«Scusate...» Laura sembrava essersi calmata e abbassò lo sguardo, come se provasse vergogna per lo spettacolo appena esibito. Nemmeno una volta alzò lo sguardo su Dalila che, come se non fosse successo nulla, accarezzava i capelli di Veronica.

«Però una precisazione voglio farla.» Alberto si era appena raccomandato di non perdere tempo sulle questioni meno importanti per la loro causa, ma sentiva di dover puntualizzare questo aspetto; la sorella aveva detto che la superbia poteva essere la sconfitta di Ismel e lui nel messaggio aveva indubbiamente peccato di superbia. Era giusto che tutti lo notassero. «Forse, Veronica, non hai ascoltato bene la storia che ho raccontato. Il nostro mondo non è stato creato da Ismel, ma dall'energia rossa, bandita e costretta a vagare per lo spazio... Se prendiamo per vera la storia raccontata dalla donna, ovviamente. Lui è qui solo per rubare ciò che non gli appartiene. Nulla di più!»

Andrea si schiarì la voce. «Ho notato però, senza voler aggiungere nessuna ulteriore polemica, che il racconto di questa donna, confermato in qualche maniera dalle cose accadute in questi giorni, dimostra che le teorie scientifiche, in merito alla creazione del mondo, sono esatte. Voglio dire... l'esplosione che ci ha raccontato Alberto e che ha generato questa entità sovrannaturale... insomma, assomiglia molto al Big Bang. Mi sbaglio?»

Camilla annuiva, mentre il viso di Laura, che pareva essere sbiadito un po' per la vergogna, riacquistò all'improvviso un colorito acceso, mentre alzava lo sguardo sul ragazzo con occhi che sembravano pronti a riprendere la tenzone.

Giancarlo lo notò e prontamente intervenne. «Va bene, va bene! Ma non usciamo dal seminato. Rimaniamo concentrati su quello che ci serve sapere adesso. Quindi, Alberto, tu e la ragazzina siete tra quei nove. Sono curioso... Cosa intendi fare per riunire la "Compagnia dell'anello"?»

Alberto ridacchiò alla battuta e si girò verso Roberto. «Incredibilmente ne ho già trovato uno e forse...» Estrasse la lista dalla tasca. «Roberto, se ho capito bene stamattina sei andato a cercare tua mamma, vero?» Lui annuì, accigliato. «Quindi la Vertani possiamo escluderla.» disse tra sé e sé. «Hai mai avuto contatti con Emanuele Gualandi o Beatrix Johnson?» chiese, al colmo dell'eccitazione.

Andrea sussultò. «Papà...» ma il padre lo zittì con un gesto della mano. Giancarlo lo fissò, Roberto ricambiò lo sguardo. «È una cosa di cui non amo parlare.» mormorò, a bassa voce.

«Quindi conosci uno di questi due nomi?» incalzò Alberto, incurante delle titubanze dell'uomo. «Sei anche tu uno scrigno?»

Roberto si alzò e si mise a fissare fuori dalla finestra.

«Roby, devi...»

«Lo so, Giancarlo. Lo so.»

Si voltò e vide che tutti lo fissavano. Incrociò lo sguardo di suo figlio che annuiva con la testa. «Ho faticato a riprendermi dopo quel giorno, perché è stato un vero shock per me, e quando hai nominato Nicolas, prima, ho rivisto subito gli stessi fantasmi che mi hanno tormentato per mesi. Se tutto quello che dici è vero, e non vedo come non potrebbe esserlo... sì, dovrei essere uno di questi scrigni, il che spiegherebbe anche le scosse, le avventure con le sentinelle e tutto il resto. Gualandi era uno dei nove guariti, ma, come diceva prima Giancarlo, la storia del guaritore era stata come dimenticata, una volta morto Nicolas...»

«È stato il Vaticano.» lo interruppe Alberto, zittendo Laura che aveva alzato subito la testa. «Per favore, non ricominciamo con le polemiche. È la verità! Hanno insabbiato tutto. Ce l'ha confermato l'unico scrigno che siamo riusciti a contattare. L'hanno minacciato, comprando il suo silenzio.»

Roberto lo fissò un attimo. «Che bello! Comunque... quella mattina di inizio estate Gualandi entrò nel bar di fronte alla mia edicola, mentre facevo colazione. Era il 2007. Estrasse una pistola e minacciò la barista. Sparò a un signore che l'aveva insultato e io lo attaccai, buttandolo a terra. Partì un colpo, e nella colluttazione lui morì. Mi ricordo bene la sensazione di calore che mi invase, i suoi occhi arancioni... Ricordo tutto e adesso, purtroppo, capisco anche. Non potete immaginare i sensi di colpa che mi hanno tormentato, sebbene tutti mi chiamassero "eroe".»

«Perché lo sei stato, veramente!» disse Giancarlo.

«Lo credo anch'io.» aggiunse Alberto. «Molto coraggioso.»

«Però quando tutti smettono di stringerti la mano, di farti i complimenti e rimani da solo, vi assicuro che il pensiero d'aver ucciso un uomo è molto più potente di quello d'essere un eroe.» «Già! Come per i funerali.» intervenne Dalila, con lo sguardo perso sul tavolo. «Tutti amici, tutti affranti. Ti abbracciano, ti baciano, ti stringono... "Se hai bisogno, io ci sono!" Frasi di circostanza! Così possono tutti tornare a casa con l'animo in pace. Dopo però, rimani sola col tuo dolore e nessuno si fa più sentire.»

Nessuno parlò dopo quest'esternazione improvvisa; pareva che la donna avesse buttato fuori un amarissimo rospo che risiedeva in lei da tanto tempo. Ma come nemmeno avesse parlato, aveva ripreso la sua solita espressione. Accarezzava di nuovo i capelli di Veronica, da cui sembrava trarre linfa vitale. La ragazzina la stringeva, con tutto l'amore possibile. Roberto si risedette, scosso; Camilla, al suo fianco, gli pose una mano sul braccio.

«Grazie, Roberto.» Alberto interruppe l'imbarazzo. Era raggiante, nonostante il clima non favorisse questo stato d'animo. Ma l'aver trovato due scrigni in meno di dieci minuti, stando semplicemente seduto a un tavolo, non lo faceva stare nella pelle. «Capisco il tuo turbamento, tu non sai quanto, ma scusami se in questo momento sorrido. Non riesco a crederci. Due scrigni trovati in un colpo solo. La ritenevo una missione impossibile, ma adesso sono un po' più ottimista.»

«Beato te!» ridacchiò Giancarlo.

«Non ci hai ancora detto in che modo queste nove persone possono sconfiggere Ismel.» intervenne Dalila, con la sua solita imperturbabilità. «Chiamiamolo pure col nome che ci ha comunicato.»

«Hai ragione! Non so chi e come sono i sei che restano da trovare, ma qui abbiamo un uomo di mezza età, un altro che si avvicina a esserlo (scusa Alberto, non so esattamente quanti anni tu abbia!) e una ragazzina. Immaginarmeli contro quel bestione di robot...» aggiunse Giancarlo. Andrea aveva sgranato gli occhi.

«Calma, calma. Per il momento dobbiamo solo riunire il gruppo, poi penseremo come fare.» L'umore che si percepiva e i discorsi che venivano fatti, suggerivano ad Alberto di tacere riguardo all'arma costruita da Franco. Almeno per il momento.

«Prima non hai detto che sapevi come sconfiggerlo?» lo incalzò Dalila.

«Sì! L'ha detto! Vogliamo sapere!» intervenne Andrea.

«Mi riferivo agli scrigni e al loro potere. So che Franco ha pensato a qualcosa per sprigionarlo, ma, al momento non so dirvi di più, sul serio!» Era parzialmente vero e per adesso se lo dovevano fare bastare. Gli sguardi che aveva addosso non erano del tutto convinti, ma Alberto scelse di ignorarli.

«Veronica non farà nulla che possa metterla in pericolo, voglio essere chiara. Anche se serve a salvare il mondo!» disse Dalila, con uno sguardo che ammetteva poche repliche.

«Nemmeno mio padre!» disse Andrea.

«Andy, per favore...»

«No, papà! Non ho intenzione di perdere anche te.»

Alberto sentiva la situazione sfuggirgli di mano, e, solo per un attimo, gli parve di comprendere cosa intendesse Franco con quello strano discorso che gli aveva fatto. Ma fu solo un lampo. «Sentite, non dovete preoccuparvene adesso. Capisco che vi ho buttato addosso una marea di informazioni. Basta così per oggi; riposiamoci, rilassiamoci e godiamoci la grigliata. Cerchiamo di passare una serata normale, per quello che è possibile.»

«Giusto!» sbraitò Giancarlo, sbattendo il pugno sul tavolo. «Lavatevi pure. Io comincio ad accendere il fuoco per le braci. Stasera mangerete la carne più buona della vostra vita!»

«Veronica, Camilla. Venite a colorare un po'?» chiese timidamente Marta, affacciata sulla porta.


Avevano apparecchiato un tavolo di legno sul prato, nel retro del casolare, e si erano seduti a mangiare verso le 8.30, col sole che stava scendendo e l'umidità che allentava la morsa. Si era unito a loro anche Flavio, rimasto per tutto il tempo della loro discussione, seduto da solo nell'erba, lo sguardo fisso e vuoto sulle colline intorno. Sembrava essersi un po' ripreso, o perlomeno era quello che mostrava il suo viso.

Avevano posato i primi due vassoi di carne, ma prima che tutti ci si avventassero, Giancarlo aveva preteso di fare un brindisi. «A tutte le persone intrappolate a cui vogliamo bene, ma anche per tutti gli altri. E a noi che, per adesso, ce l'abbiamo fatta!» aveva detto, alzando il bicchiere di carta che aveva riempito di vino.

«E, permettetemi, anche ad Alberto che, a mio avviso, ci ha portato un po' di speranza!» aveva aggiunto Roberto. Erano rimasti un attimo tutti in silenzio, poi Giancarlo aveva sorriso. «Certo! Ad Alberto!» Quasi tutti avevano risposto e bevuto, tranne Dalila. Alberto aveva notato che era rimasta a testa bassa e ogni tanto gli lanciava degli sguardi ambigui.

«E ora, buona SCP a tutti!» aveva concluso Giancarlo. Si era seduto e si era riempito il piatto con una costolina, un pezzo di salsiccia e due fettine di pancetta.

Un'ora dopo erano tutti sazi, alcuni anche un po' brilli. Giancarlo, il più allegro di tutti, aveva recuperato una chitarra che teneva nella stalla e si era messo a suonare e cantare, sorprendendo un po' tutti. Roberto mai avrebbe pensato di sentire cantare un uomo così burbero. Doveva ammettere che non finiva mai di stupirlo. In un attimo l'atmosfera si era fatta ancora più di festa, e tutti si erano uniti al coro. Alberto continuava a sentirsi addosso gli sguardi di Dalila, ma, per la prima volta, la vide sorridere, seppur appena. Giancarlo intonò il ritornello della "Canzone del sole" e l'allegria spazzò via tutte le preoccupazioni e le angosce che avevano nell'animo, almeno per un po'. Non appena le corde della chitarra cominciarono a vibrare il ritmo irresistibile di "Sarà perché ti amo", Roberto trascinò Camilla a ballare. Andrea rideva felice, battendo le mani, quando anche lui fu letteralmente sollevato da Veronica, mettendosi a saltare sull'erba. Alberto non poté non notare il rossore che colorò le guance del ragazzo e, nonostante avesse capito che era fidanzato con Camilla, non lo biasimò; quella ragazzina era di una bellezza tale da lasciare senza fiato. Fiato che si troncò all'improvviso anche a lui quando Laura le porse la mano. «Abbiamo un modo diverso di vedere le cose, però... Ti va di ballare, scrigno?» gli chiese, sorridendo. Sembrava incredibile che si fossero conosciuti solo quella mattina ed era la prima volta che gli regalava un vero sorriso. Senza attendere la risposta la signora lo trascinò accanto agli altri, scatenandosi al ritmo della canzone. Alberto non era molto aggraziato nei movimenti e tutti risero di gusto nel vederlo. La canzone si concluse e scattò l'applauso generale. Marta rideva, felice, battendo le manine grassocce e anche Dalila, seppur sempre nella sua compostezza, si era lasciata un po' andare. Giancarlo attaccò "Il gatto e la volpe" e tutti continuarono a ballare, spensierati. In quel momento nessuno pensava a Ismel, alle macerie di Bologna, alle bolle, alle sentinelle. Sembrava che tutti si fossero scordati dei loro cari, intrappolati là sotto, mentre venivano svuotati della loro essenza. C'erano solo loro, il loro gruppo, la felicità del momento che raggiunse l'apice quando tutti insieme innalzarono al cielo le note di "Generale". Le voci, perlopiù stonate, salivano su, oltre il tetto del casolare, fino alle stelle e sembravano gridare "Noi siamo vivi! Feriti, umiliati, ma vivi!". Fu in quel momento che Alberto sentì il calore dentro di lui, intenso come non mai, avvampare. Sembrava gli parlasse, sembrava dirgli "Sono qua! Usami come vuoi!". Si sentiva nel posto giusto, con le persone giuste, ed era felice come mai era stato, nemmeno quando stava con la sua Francesca. Il pensiero della sua ragazza, però, bastò a spegnere quella sensazione e capì, in quel preciso istante, o credette di capire, il significato delle parole di Franco. Sentì gli occhi diventare umidi e guardò Veronica e Roberto, chiedendosi se anche loro avevano appena provato la sua stessa sensazione.

La canzone finì e tutti applaudirono, felici. Camilla prese Andrea per mano e lo trascinò via. Giancarlo, ridendo, appoggiò la chitarra al tavolo e si versò un po' di vino nel bicchiere. «Sei bravo a suonare.» Veronica si era seduta accanto. Lui la guardò un po' stupito e vuotò il bicchiere, mentre lei osservava i due ragazzi allontanarsi.

«Da giovane suonavo in un gruppo. Niente di serio, ma ci divertivamo un sacco. Abbiamo fatto delle serate in qualche balera. Altri tempi!»

«Come vi chiamavate?»

«Eh? Ahh, "Lavori in corso". In effetti eravamo un cantiere per come suonavamo! Eravamo "in costruzione".» Ridacchiò e anche la ragazzina abbozzò un sorriso. «Ma ci sentivamo dei grandi, invincibili! È il bello di essere giovani. Sei sempre convinto di spaccare il mondo, di poter fare tutto quello che ti pare. Poi, invecchiando, ti accorgi che non è così.» La guardò. Sembrava quasi risplendere di luce nell'oscurità della sera, tanto era bella. «Ooh, ma tu non ascoltare le lagne di questo vecchio brontolone!» aggiunse in fretta. «Se ti impegni e ci credi, puoi realizzare i tuoi sogni. Magari non tutti, ma una parte sì.»

«Sperando di avere un futuro per realizzarli!» Veronica sorrise, amaramente.

«Mi dispiace per aver messo in dubbio la tua storia, ieri. So che hai detto la verità. È che è talmente assurda questa situazione che, a volte, mi viene più facile negarla, piuttosto che ammetterla.»

«E a me dispiace di averti urlato contro.» le rispose lei, alzandosi e abbracciandolo. Giancarlo rimase un attimo stupito e un po' imbarazzato. Poi la cinse, ricambiando il gesto.

«Giochi a nascondino, Vero?» La piccola Marta era comparsa dietro di loro.

Veronica si sciolse dall'abbraccio e sorrise alla bambina. «Certo.»

«Solo dieci minuti. Poi te ne vai a dormire, signorina.» disse Laura. Posò la mano su quella di Veronica e le sorrise. Non disse nulla, ma la ragazzina capì che le stava chiedendo scusa, alla sua maniera. Ricambiò il sorriso e le scoccò un bacio sulla guancia; poi prese per mano Marta, allontanandosi. Laura, col cuore alleggerito, si unì a Giancarlo che aveva cominciato a sparecchiare.

Roberto si sedette vicino ad Alberto. «Bella serata! Ne avevamo bisogno!» disse.

«Già. Siamo un bel gruppo.» Si riempirono i bicchieri con un po' di vino e bevvero, in silenzio. «Devo andarmene.» disse, poi. «Devo trovare gli altri scrigni. Avere trovato te e Veronica, così, quasi senza fare niente mi ha fatto capire che forse abbiamo buone possibilità. Quando sono partito non ero molto speranzoso. Anche se so che sarà durissima lo stesso.»

Roberto lo fissò. «Sai dove si trovano?»

«Quasi tutti! Due sono sposati e vivono qua vicino, e lo stesso un altro. Uno però vive all'Isola d'Elba, il tizio delle minacce che vi dicevo prima. Ma non so proprio come arrivarci. Dando per scontato, ovviamente, che nessuno si sia spostato.»

«O che non siano sotto a una bolla.»

«Speriamo di no, ma credo che se l'abbiamo scampata noi, sia lo stesso per loro.»

«E gli ultimi due?»

«Una è morta!»

A Roberto, che stava bevendo, andò di traverso il vino. «Cazzo!»

«Esatto! Ma abitava a San Lazzaro. Dobbiamo scoprire chi era con lei quando è spirata. Quella più problematica di tutti è l'americana, e se vive ancora là... sono cazzi!»

«Americana?»

«Beatrix Johnson! Al momento, un fantasma.»

Roberto si riempì nuovamente il bicchiere e lo stesso fece con quello di Alberto che lo svuotò in un sorso e si girò verso di lui. «Vorrei venissi con me, Roby. Mi daresti un'enorme mano.»

Roberto restò in silenzio per un po', poi sospirò. «Sapevo già dall'inizio che me l'avresti chiesto, e so che non posso dirti di no. Il difficile sarà dirlo a mio figlio.» Lo guardò per un attimo. «Se decido di venire però, pretendo una cosa da te Alberto. Diciamo che è una specie di condizione...»

«Sentiamo...»

«Mi devi raccontare tutta la tua storia, senza bugie. È evidente che hai omesso delle cose.»

Alberto annuì stancamente. Stava fissando Dalila, rimasta seduta, da sola, al tavolo sgomberato da Giancarlo e Laura. Anche lei lo fissava e aveva riacquistato il suo sguardo accigliato. «Sì! Ti dirò tutto. Dobbiamo fidarci l'uno dell'altro.» rispose infine a Roberto. Poi, d'un tratto, si alzò in piedi. «Dov'è Flavio? Non lo vedo da un pezzo!»


Giancarlo e Laura avevano messo tutti i rifiuti in un sacco nero e si erano avviati verso l'interno della casa, per andare a lavare le posate e i vassoi, le uniche cose non di carta usate durante la cena. La sera era ormai calata del tutto e si era reso necessario accendere alcune candele, anche se la luna forniva comunque abbastanza luce per riuscire perlomeno a guardarsi in faccia.

«Quindi sei stato un capo d'azienda?» chiese lei.

«Dirigevo, ma non ero il capo. Le decisioni importanti però le prendevo quasi sempre io. E, modestamente, ho preso sempre quelle giuste.»

«E la tua famiglia? Sono in una bolla?»

«Mia moglie è morta anni fa. I miei ragazzi sono andati a vivere in Germania, ma non eravamo in grandi rapporti. Sinceramente non so che fine abbiano fatto. Si sono interrotte le comunicazioni ieri, prima che pensassi di provare a chiamarli.»

«Che tristezza!» Gli occhi verdi di lei rilucevano nell'oscurità, mentre lo fissavano.

«È la vita! Tu invece? Ho sentito prima che hai perso qualcuno.»

Lei distolse lo sguardo. «Le mie figlie e i miei nipoti. Mi hanno portato via tutti.»

«Mi dispiace. Dove vi siete incontrati con Alberto?»

Lei tornò a guardarlo. Pensava al momento in cui stava per gettarsi nel lago, e, ancora peggio, stava per trascinarci anche Marta. Provava profonda vergogna e un sottile senso d'angoscia nel pensare a quello che sarebbe successo, se non fosse arrivato Alberto. «Al mio paese, su in Trentino. Siamo state fortunate a incontrarlo. Eravamo sole. Sembra una brava persona, un po' misteriosa, ma in gamba.»

«Concordo! Che lavoro facevi, se posso chiedere?»

«Capo infermiera. All'ospedale di Agordo. Se ti vien mal di pancia, vista tutta la ciccia che ti sei mangiato, potrei aiutarti.» Giancarlo sorrise. «Sei credente?» aggiunse lei.

«Mia moglie lo era e io ogni tanto l'accompagnavo in chiesa. Non so se posso definirmi proprio un credente. Ho sempre pensato che qualcosa ci debba essere, per forza, ma ho tanti dubbi.»

«Dio c'è! Te l'assicuro. Ci parlo tutti i giorni e lui mi risponde.»

Lui la guardò sorridendo. «Vorrei avere la tua fede, sul serio. Ma, soprattutto da ieri, faccio fatica.»

Entrarono in casa e si diressero verso il piccolo cucinotto. Giancarlo recuperò un paio di mozziconi di cera rimasti e li accese. «Ci serviranno altre candele.» disse. Misero tutto nel secchiaio. Giancarlo aprì il rubinetto ma ne uscì solo un sottilissimo filo d'acqua. «Mi toccherà lavarmi con la tanica, dopo!» sentenziò, rassegnato.

Lei sorrise e gli accarezzò una mano. «Devo andare un secondo al bagno. Fai tu qui?»

«Certo, vai pure.» rispose, un po' imbarazzato. Lei gli sorrise e prese uno dei mozziconi, avviandosi.

Giancarlo aveva appena messo il primo vassoio sotto l'esile filo d'acqua, quando sentì Laura urlare. Corse da lei, mentre da fuori sentiva le voci di Alberto e Roberto chiedere cosa fosse successo. La donna era sulla soglia con le mani sul viso, si girò di scatto e sprofondò nella sua pancia, tremante. «Cosa c'è?» chiese, mentre, preoccupato, entrava nel bagno.

Quello che vide gli fermò quasi il cuore. Flavio era sdraiato a terra, in un lago di sangue, illuminato dalla spettrale e fioca luce di una candela appoggiata sulla piccola mensola del lavandino. Aveva profondi tagli sulle braccia, fatti con una lametta da barba usa e getta abbandonata vicino alla sua mano. L'espressione era vuota, la bocca spalancata, gli occhi spenti, esattamente come li aveva avuti per tutta la giornata, quando, sicuramente, aveva già deciso di tagliarsi le vene.

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