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Buoni Sentimenti.

Da piccolo io ero il tipo di bambino con il quale
mia madre mi diceva di non giocare mai.
Leopold Fechtner

Blake

Il vento batte forte sulle finestre della mia camera, il suono incessante della pioggia mi attraversa la mente. Mi alzo da letto lentamente ed apro la tendina, facendo entrare la fioca luce della giornata. I lampioni non sono ancora spenti e riflettono sulla strada deserta, un mormorio continuo si capta dalla cucina. Sistemo velocemente alcuni fogli sulla scrivania, mi dirigo in cucina per iniziare a preparare la mia colazione.
«Buongiorno» saluta la mia coinquilina, fissa inerme il soffitto.

Avrà sicuramente fatto serata insieme a quella ragazzina insolente.
Il suo sguardo mi fa sentire a disagio, con me stesso e con le persone che mi sono intorno. Mi fissa come se volesse spogliare la mia anima, come se riuscisse a leggere tutto quello che la mia mente elabora. Mi scruta con i suoi occhioni e mi attira. Non riesco a far emergere il vero me, non riesco mai ad esprimere realmente tutto ciò che provo. La mancanza di persone, mi ha portato ad essere definito strano. La riservatezza che mi caratterizza ha deteriorato le mie relazioni sociali, anche la mia famiglia diffida di me.
Nessuno ha mai trovato quello che si aspettava in me.
Nessuno ha mai creduto nelle mie capacità, nessuno mi ha teso una mano nel momento del bisogno.
Arriva un periodo in cui pensi di essere a tuo agio nella vita che svolgi, che alzarti alle sette del mattino per frequentare l'università e che tornare a casa per dormire sia la vita che ti piace. Arriva il momento di cambiare, di fare le valigie e scappare dalla ripetitiva routine di tutti i giorni. È arrivato il momento di vivere un giorno per volta, come se fosse l'ultimo.
«Fame?» chiedo con gentilezza, mostro il mio miglior sorriso.
Daisy è una ragazza sensibile, fragile e raramente riesce a far uscire fuori il suo lato ribelle. Mi ha ospitato in casa come se fossi uno di famiglia. Mi ha dato la stessa fiducia, non potrei mai deluderla.
«Si, ti prego» supplica e sussurra qualcosa di incomprensibile.
«Cucina qualcosa in più, ci sono anche Starr e Nives» dice, dopo aver visto solamente due uova nelle mie mani. Ricevo l'ordine di guardare verso il divano, quasi non soffoco con la mia stessa saliva.
Le ragazze dormono nel salotto con una coperta leggera sulle gambe e due indumenti che le fanno sembrare più nude che vestite. La prima tiene il braccio sugli occhi e le gambe leggermente divaricate, la seconda è rannicchiata in un angolo del divano, le ginocchia toccano quasi la fronte.
«Poverina...ieri era così ubriaca da non riuscire a salire le scale, non voglio immaginare quando aprirà gli occhi» borbotta la rossa, tiene gli occhi socchiusi e la testa fra le mani.
«Si ritroverà nella tua stessa situazione» ribatto.
Cerco di appoggiare le uova e il latte sul ripiano apposito, vengo scosso da una richiesta particolare della rossa.
«Potresti portare Nivs nel mio letto? Starebbe molto più comoda lì, io devo andare a lavoro»

Nivs...Nivs...

Questo nomignolo risuona nelle orecchie come musica dolce, qualcosa di impronunciabile per uno come me. Per uno che ha vissuto nella freddezza fin dalla tenera età, per uno che la parola amore non l'ha mai provata.
Per me che i sentimenti li ho spenti anni fa.
Annuisco, mi dirigo verso il divano per prenderla. Cerco di togliere prima le scarpe per non farle male e poi scosto la coperta dalle gambe lunghe e lisce. Il vestito si alza sull'addome andando troppo oltre il possibile, cerco di non guardare troppo. Le sistemo il pezzo di stoffa e l'afferro saldamente poggiandomela sul petto, i capelli profumano di qualche frutto esotico, le ciglia sono ancora più lunghe grazie a qualche cosmetico adatto. Le labbra a forma di cuore, schiuse e rosse per i residui del rossetto. Il pensiero di sfiorarle trapassa la mente, lo scaccio via quando un mugolio mi distrae.
Le mie mani sono invase da un formicolio strano.
Il cuore mi batte voracemente contro la gabbia toracica, il respiro mi manca ogni volta che si agita tra le possenti braccia.
Riesco ad aprire la porta con un calcio, la faccio battere contro la libreria stracolma di libri. Un blasfema lascia le mie labbra, lei non sembra curarsi di nulla continuando a dormire. Scosto con fatica le coperte e la lascio sul letto, coprendola per bene. Mi concedo qualche secondo per fotografare la figura, le lascio un bacio fra i capelli.
Quando ho visto per la prima volta una sua intervista in TV non potevo credere che una ragazzina di ventiquattro anni avesse avuto così tanto. Incuriosito dal successo, ho comprato il suo libro.
Nel romanzo non c'è solamente scritta la storia d'amore fra personaggi, ma anche la sua di vita privata.
Elettra rappresenta a pieno la sua adolescenza, il suo sentirsi costantemente in gabbia come una tigre privata della propria libertà.
Hunter rappresenta la vita lontano da Denver, lontana dai suoi genitori.
Immaginavo una ragazza con una sdegnosa presunzione e con fare altezzoso, invece è del tutto diversa da come appare. Non si è montata la testa, resta sempre con i piedi piantati a terra.
Questo le fa onore: essere se stessa.


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