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Sotto la pioggia.

Blake

Saluto con un cenno gli ultimi invitati rimasti, chiudo velocemente la porta d'ingresso. Mi beo del silenzio che circonda le pareti di casa, raccatto le ultime bottiglie di birra lasciate sul tavolino posto al centro del salone. Afferro uno spazzolone e raccolgo tutti i residui della festa. Sono giorni che il mio cellulare vibra per i numerosi messaggi di auguri.
Non amo il natale e nemmeno festeggiarlo. Preferisco chiudermi, tappo le urla e la felicità degli altri fuori dalla mente.
Mia madre è troppo presa dal suo nuovo lavoro per occuparsi della famiglia e Scarlett non smette nemmeno un secondo di studiare per un futuro migliore.
Sono sicuro che tornare a Londra mi farebbe solo ricordare momenti scomodi, non posso permettermi di ripetere gli stessi errori.
Osservo l'ora sul pendolo che segna le dodici e quarantacinque del mattino.
«Sono esausta questo lavoro mi uccide...» la voce di Daisy riecheggia nell'androne e il ticchettio delle chiavi nella serratura mi fa capire che sia appena rientrata da lavoro.
Il cellulare è sospeso fra la spalla e l'orecchio sinistro, nelle mani tiene l'ombrello colorato e alcune buste ripiene di cibo. Non mi presta attenzione, troppo occupata a sostenere una conversazione con il mittente.
«La pioggia mi ha accompagnata per tutto il tragitto, hai ragione forse dovrei comprarmi un'auto tutta mia» si lamenta per qualche minuto, ripone meccanicamente tutti gli oggetti acquistati in ogni scaffale.
«Se vuoi chiedo a Blake di venirti a prendere, non penso sia un problema per lui»
Scatto in posizione eretta.
Non ho notizie da qualche settimana e sapere che non è al sicuro, mi fa sentire irrequieto con me stesso. Nessuna è mai riuscita a tirare fuori il mio lato sensibile.
«Piove troppo ma Blake è super disponibile!» Daisy fa segno con la testa di afferrare il capotto e le chiavi della macchina.
«Sta arrivando tranquilla!» rassicura, emette parole a caso.
Mi dirigo in camera e brancolo nel buio alla ricerca delle chiavi, quando le trovo ritorno della mia coinquilina. Raccoglie bicchieri di plastica residui dalla notte insonne.
«Questa è una casa non un pub smettetela di invitare persone a caso!» sbraita nella mia direzione, conosce benissimo i due artefici.
«È bloccata al Roies da sola, fai attenzione e non guidare come un matto» dice quando sono ormai già fuori dalla porta, solo con un ombrello. Un fulmine squarcia il cielo, seguito a ruota da goccioline d'acqua, impregnano gli abiti che indosso. Apro velocemente la portiera della macchina ed accendo l'aria calda, che rende gradevole l'intero abitacolo.
Odio la pioggia, ma amo l'inverno.
Sono due fenomeni così simili ma così maledettamente differenti.
Sfreccio sulle strada bagnata superando di gran lunga i limiti di velocità, schiocco un'occhiata alla palestra in cui mi alleno tutti i giorni ed è aperta nonostante il mal tempo. Ho iniziato a giocare a basket dopo aver acquisito la laurea in lettere. Volevo diventare un poeta, ma i miei sogni sono cambiati nel momento in cui una palla da basket è rotolata ai miei piedi. Non sono un giocatore professionista, ma un giorno spero di poter entrare a far parte di qualche squadra degli NB.
Vorrei guadagnare qualche soldo in più per aiutare la mia famiglia.
Accosto la macchina davanti al posto e la vedo.
È appoggiata alla colonna, sorride insieme ad una ragazza asiatica. Tiene fra le mani un PC ed un quadernetto che distinguerei fra mille.
Suono il clacson per richiamarla, una strana luce si accende nei suoi occhi.
Saluta l'amica con un veloce gesto della mano e corre verso di me, nel frattempo ho già aperto la portiera per farla entrare.
«Sei arrivato velocemente» si accomoda sul sedile anteriore. Scosta una ciocca bagnata dal viso bianco, limpido e senza nemmeno un filo di trucco.
Una Dea.
Degna di questo nomignolo.
Nussun dettaglio di lei è stato lasciato al caso.
I lunghi ricci pendono sulle spalle, le labbra carnose sono leggermente rosse per il venticello, gli occhi verdi sembrano gocce di rugiada per quanto luccicano alla luce. Non voglio credere che un fiore così bello non sia mai stato colto da nessuno, non posso crederci.
Mi concedo pochi minuti per osservarla per bene, non si accorge del mio sguardo, troppo impegnata a controllare che le pagine della sua vita siano intatte.
Nives è un concentrato di ingenuità e purezza.
È leale, candida e schietta.
Ha un'anima incontaminata, non conosce cattiveria, non conosce corruzione. «Diciamo che avrei potuto metterci molto di più, volevi restare per caso sotto la pioggia ancora per qualche ora?» chiedo con un sorriso dipinto sulle labbra.
Ci pensa qualche minuto, scoppia in una fragorosa risata.
«Hai ragione, scusami...»
Una goccia attraversa la fronte, percorre silenziosamente il suo naso fino ad arrivare alle labbra, dove sfortunatamente la scesa finisce.
Agisco d'impulso allungando il pollice verso di lei, raccolgo l'acqua con un gesto veloce del dito mentre suoi occhi mi inchiodano al sedile. Mille domande si celano attraverso di essi, ma sono sicuro di non poter rispondere.
Non mi è mai capitato. Questo formicolio perenne che sento quando sono con lei non l'ho mai provato con nessuna, l'ansia di vederla non mi ha mai attanagliato così tanto le viscere. Arrossisce al contatto improvviso. Sono sicuro che vorrebbe qualcos'altro da me, qualcosa che io non posso darle. Non sono degno di lei e della sua bellezza. Non sono degno della purezza, non posso sporcarla con il nero delle mie ombre.
Le renderei facile l'ascesa agli inferi.
«Ti accompagno a casa?» le chiedo distogliendo per primo lo sguardo.
«Si, per favore» risponde in modo indifferente, posso capire il suo stato di inquietudine in questo momento.
Mi dirigo verso casa sua, il solo rumore della pioggia che si infrange sui vetri ed il silenzio che mozza i nostri respiri.

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