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Come si aggiusta un cuore rotto?

Nives

Mi sono chiesta spesso quale sarebbe stata la mia reazione dopo aver fatto l'amore. Mi conosco bene, due erano le possibilità: scappare senza lasciare traccia oppure restare e subire le conseguenze. Ieri non ho scelto nessuna delle due, io e Blake eravamo consapevoli ciò che stava accadendo tra di noi. Serro entrambi gli occhi quando un raggio di sole si posa sul viso. Le sue gambe sono aggrovigliate alle mie, le braccia stringono i fianchi e le dita ruvide sono appoggiate sull'addome scoperto. Mi tiene stretta a sé come se ne valessi la sua vita. Gli accarezzo delicatamente i capelli sentendolo sospirare pesantemente.
É sveglio, cavolo.
Mi sdraio su un fianco dandogli la completa visuale delle spalle nude, si avvicina. Chiudo le palpebre. Mi sfiora il fianco, traccia con delicatezza le parole incise su di esso.
Per aspera ad astra.
Sino alle stelle superando le difficoltà.
«Mi piace molto» tuona roco, risuona nell'intera stanza.
«Sono felice l'ho fatto molto tempo fa» mi giustifico in qualche modo, noto il colore sbiadito sulla parte finale della frase. Preleva con un gesto famelico il cuscino al di sotto della testa ,sposta il viso con le mani per appoggiarlo sul suo petto. Gli fisso le mani per ammirare la loro virilità. La prima cosa che ho notato di Blake al locale quella sera non sono stati i tatuaggi, ma gli anelli. Ho pensato sin da subito quanto fosse difficile compiere gesti quotidiani con tutti quegli oggettini di metallo attaccati alle dita. Ho capito poi, fanno parte di lui, del suo corpo. Non se ne separa mai, nemmeno quando dorme.
«Vedo che ti piacciono» sghignazza, mentre io sono colta in flagrante.
«Moltissimo, in qualche modo rappresentano te» resto sorpresa nel vedere un altro tatuaggio sul bicipite.
Prove them wrong.
Non ci sono parole, non c'è una spiegazione.
«Mi hanno sempre additato per essere il figlio di un detenuto, crescere in un quartiere benestante ed avere un padre in prigione, non mi ha agevolato l'infanzia. Prova loro che si sbagliano per ricordarmi che io non sono come lui»
«Non lo sei» gli stampo un bacio a fior di labbra, mentre continuo l' ispezione sui disegni che gli ornano la pelle.
Every wall is a door incisa sulle clavicole.
Ogni muro è una porta.
«To each his own pain» sussurro con discrezione, torno con la mente al pomeriggio in cui Blake mi ha parlato per la prima volta di suo padre.
«Ad ognuno il suo dolore, l'ho tatuata sull'avambraccio all'età di sedici anni. Volevo leggerla tutti i giorni per ricordarmi che nel mondo non ero l'unico a soffrire, che c'era gente che stava soffrendo più di me. Ricordo quando ti ho trovata sul pavimento piangente e ti ho sussurrato la stessa frase, non è stato un caso se ti ho seguito fino in camera. Riconosco una persona che soffre» sento questo momento estremamente intimo.
Contemplo ogni dettaglio: dai capelli spettinati sparsi sul cuscino, ai rombi disegnati sulle caviglie. Ogni concetto, ogni spiegazione uscita dalla sua bocca sembra diventare legge. Il modo in cui esterna ciò che pensa lo rende sicuro di sé. La sua mente è un caos, ma si è adattato e ha trovato un'armonia interiore. Gli mostro la rosa sul polso sinistro, avvicina le dita con lentezza per non farmi male. Punta le iridi nelle mie, chiede il perché di quel fiore.
«Tutti affermano con certezza che la rosa simboleggi l'amore eterno ed è per questo che forse come fiore è un po' sottovalutato .A me l'amore ha sempre fatto paura. Il solo pensiero di dover affidare la mia felicità nelle mani di un'altra persona mi intimoriva a tal punto da non volermi legare in nessun modo. La rosa rappresenta me, senza spine perché è così che mi sento: fragile, delicata. Senza scudi, priva di ogni involucro»
Blake ha il volto rivolto nella mia direzione, ma non mi guarda. È perso nel vuoto, la mente è in un'altra dimensione, il corpo steso sul letto della sua camera.
«Pensi che io possa coglierti senza rovinare i tuoi petali?» si alza, poggia i piedi sul parquet scuro.
Barcollo mentre lui si allontana.
S
i muove avanti e indietro per la stanza con le mani nei capelli, pronuncia ripetutamente le stesse parole come una melodia struggente.
Seguo i gesti e cerco di gestire la situazione, prendo le mani nelle mie ma mi schiaffeggia. Rifiuta il mio aiuto. Fingo che questo gesto non mi abbia ferito e continuo ad insistere.
«Tu non sei come vuoi far credere agli altri, hai un'anima buona Blake. Ricordi quella volta in cui mi hai portato da Drew per celarmi la verità? Nessuno l'avrebbe fatto al tuo posto, avrebbero lasciato che il tempo si fosse occupato di noi. Smettila di dimostrare qualcosa di diverso, smettila di mostrare un qualcuno che non ti appartiene affatto» mi spingo verso di lui per cercare un contatto fisico, ma si allontana per l'ennesima volta.
«Io sono il male per te, sei ingenua Nives non meriti di stare con me. Entrambi ci abbiamo provato e sono stato benissimo con te, ma è arrivato il momento di tornare nella realtà. Non ho bisogno di vivere nelle favole, devi andartene lontano da me se vuoi vivere davvero»
Crack.
Mille pezzetti del mio cuore si infrangono sul pavimento, resto immobile nel silenzio più assoluto mentre spalanca la porta. Non mi guarda, ma dovrebbe. Dovrebbe guardarmi mentre mi rivesto come se fossi stata solamente una ragazza di passaggio.
«Io ho bisogno di te, anche se tu non ne hai. Con te ho scoperto una Nives che non conoscevo, ti ho mostrato la parte più profonda di me e tu hai deciso di restare nonostante tutto. Pensavo mi amassi, pensavo tu potessi essere davvero l'unico per me. Sono stata una stupida, mi sono illusa che tu potessi davvero aprirmi le porte del tuo cuore».
Mi tengo stretta l'unico frammento di speranza rimasta per noi, lui non reagisce nemmeno quando gli divulgo tutto ciò che penso. È disarmato non ha più nulla da ribattere per difendersi.
È finita.
«C'è una parte dentro di me dove tengo tutto spento, non sarai tu a riaccenderla. Mi sono protetto e lo farò fino a quando ne avrò la possibilità, adesso vattene per favore voglio restare solo»
Uno schiaffo mi arriva dritto sul viso, risulta così inespressivo da entrarmi nelle ossa come un'arma a doppio taglio.
Non me lo faccio ripetere due volte, afferro i miei indumenti sparsi per la stanza e li infilo velocemente. Sto per uscire ma qualcosa mi blocca. Saranno le lacrime che mi solcano le guance, sarà il rancore che emerge, ma non riesco a fermarmi dal spuntare veleno.
«Dici di essere diverso da tuo padre ma non lo sei affatto. Rovini tutte le cose belle che tocchi al tuo passaggio, sei uguale a lui.
Siete fatti della stessa pasta» sussurro.
Non lo penso.
Non penso nemmeno una delle parole che ho appena pronunciato.
Lui ha il mio cuore, la mia mente e la mia anima senza meritare nulla di tutto ciò.
Giungo nel salotto, mi asciugo le lacrime con la mano libera. Mi dirigo verso la porta principale, vari schiamazzi dalla cucina mi fanno capire che ci sono tutti. La prima ad accorgersi di me è Daisy, lascia cadere la tazza sul ripiano per correre ad abbracciarmi.
«Perché piangi? Cosa è successo?» chiede.
Non ho voce per rispondere, scuoto solamente il capo in segno di negazione.
Drew attraversa il corridoio con le braccia lungo i fianchi ed i pugni stretti, urla verso la porta della sua camera. Cerco gli occhi dei presenti attorno a me, pronuncio ciò che stavo pensando da un paio di giorni.

«Torno a Chicago»

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