36

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

In prigione.

Blake

Mi sono sempre sentito solo e diverso da bambino. Me stavo sempre serio e accigliato: passavo pochissimo tempo insieme ai miei compagni,preferivo la solitudine. Mi piaceva fissarli con i miei occhi di ghiaccio, seri. Non ricordo un solo istante in cui mi sono sentito bambino, nei miei ricordi mi rivedo sempre selvatico e senza un sorriso. Costretto a lavorare di notte e a studiare di mattina, quindici anni per sentirne quaranta sulle spalle. Spengo il motore dell'auto sotto lo sguardo preoccupato della mia ragazza. Non so bene come sia riuscita a convincermi, ma sono qui. Tra meno di venti minuti vedrò mio padre, dopo cinque anni. La fila è lunga, le gambe tremano sono tentato di correre via. Sono ancora in tempo per fuggire, ma Nives mi incita di scendere dall'auto con una carezza leggera. Non lo sto facendo davvero.
È solo un sogno.
«Per favore Blake, le cose potrebbero sistemarsi dopo il vostro incontro. Hai visto il sorriso di Scarlett dopo che le ho riferito la tua decisione?»
Certo, l'ho visto.
Mi ha mostrato un sorriso che non vedevo da anni, mi ha abbracciato così forte da sentire le ossa spezzarsi sotto la sua presa. L'orgoglio negli occhi di mia madre mi ha fatto sentire una persona migliore, ho visto delle goccioline cadere lente ai lati delle sue guance. Ha sussurrato un grazie così impercettibile, che se non fossi stato ad un centimetro dalle sue labbra, nemmeno l'avrei sentito. So benissimo di non star seguendo ciò che il cervello mi ha sempre imposto, ma infondo so che il mio cuore ha sempre cercato un motivo valido per venire da lui. Non sto concedendo una possibilità solamente all'uomo che mi ha concepito, ma anche a tutta la mia famiglia. Il bambino dentro di me continua ad urlare, ha paura. Io ho paura. Timore di affrontare l'unica persona capace di rendermi instabile, l'unica persona che ha procurato delle cicatrici indelebili. Mi ha strappato l'infanzia, ho visto i miei giocattoli sparire man mano che ritornavo da lavoro sempre più sfinito. Cresciuto, vuoto. Ho sempre provato un vuoto incolmabile prima dell'arrivo di Nives, non provavo nulla. Fissavo le persone ma non le guardavo sul serio, non coglievo nessun particolare in loro. Immaginavo lui, sempre. Ogni azione mi faceva ripensare a ciò che avremmo potuto fare insieme, invece, non avevamo mai avuto la possibilità. Una chiamata, una lettera, una promessa. Nulla da parte sua, sembrava essersi completamente dimenticato di avere una moglie nei primi anni in cui è stato rinchiuso.
Dimenticato di avere una famiglia.
Ricordo solamente che fuori pioveva, quando ci chiamò per la prima volta. Tre anni dopo il suo arresto. Mia madre gli chiese più volte perché non voleva che noi andassimo a trovarlo, lui non rispose mai alle sue domande. Le ignorava, chiedeva di Scarlett ma non di me. Ho capito in quel momento che qualunque fossero state le sue richieste dopo quella chiamata, io non avrei partecipato a nessuna iniziativa. Dopo essa ho capito quali fossero le sue priorità, io non ero tra quelle. Sono cresciuto da solo, ho imparato dai libri tutto ciò che c'era da sapere sui ragazzi e sulle loro prime volte. Non potevo mica chiedere a mia madre come procurarmi piacere da solo. Sono andato a trovarlo solamente alcuni mesi dopo, poi al compimento dei miei ventidue anni. Volevo che mi guardasse in faccia e mi dicesse che in realtà non voleva più vedermi, che non mi aveva mai voluto bene. Non ero andata come speravo. Il suo processo era stato rinviato in quel giorno, avevo solo ricevuto una sedia vuota e una guardia a darmi la notizia.
«Forse dovresti scendere sul serio dalla macchina» le parole di Nives bloccano il mio monologo interiore, costringo i miei occhi a spostarsi sull'edificio grigio davanti a noi. Scendo dall'auto un po' riluttante, afferro la giacca dai sedili posteriori e chiudo con uno scatto lo sportello. Lei mi aspetta, nonostante sia già a qualche metro di distanza da me. La strada è sempre la stessa, non c'è nessuna pianta che possa far pensare che ci sia un po' di vita in questo posto. Ci incamminiamo entrambi verso la fila di persone,aspettano il loro turno da ore. Intravedo alcuni bambini dormire sul grembo delle proprie madri, altri piangono in silenzio e per un momento mi rivedo in uno di loro. Io non piangevo mai,lasciavo quel compito agli altri. Restavo a guardare tutti con aria indifferente, molte volte venivo scambiato per un bulletto arrogante. Non mi lasciavo trascinare giù dalle emozioni, avevo imparato a gestirle bene. Avevo solo quindici anni, conoscevo benissimo la parola sacrificio. Ho sacrificato la mia vita per mia madre, per Scarlett. Avrebbe dovuto farlo lui ed invece è toccato a me fare la sua parte, prendere le redini. Percepisco una presa leggera intorno alle mie dita, Nives ha appena afferrato il mio mignolo nella sua mano. È un gesto che compie spesso quando è agitata, fra i due quello più in ansia dovrei essere io. Sono solamente adirato con me stesso per essermi fatto coinvolgere in questo.
«Tranquilla okay? Possiamo ancora tornare indietro, dimenticare questa situazione di merda e viverci la nostra vita come se mio padre non esistesse» cerco un metodo alternativo per depistarla, in risposta mi fulmina. Mi abbasso di poco per lasciarle un bacio sulla fronte, amo il modo in cui risulta tremendamente tenera solamente con un mio berretto a coprirle il capo.
«Ti amo»
«Sarò sempre al tuo fianco» continua. Stringo forte i suoi fianchi con le mani, il suo respiro si spezza quando le rubo furtivamente un bacio. Non è il luogo, né il momento ma non posso resistere troppo a lungo senza assaporare le sue labbra.
«Non vorrei interrompere nulla ma è il vostro turno» una ragazza richiama la nostra attenzione, ci stacchiamo entrambi con l'imbarazzo sulle guance. Nives si scusa cordialmente, mentre io faccio cenno con la testa di entrare. Ci ispezionano come fossimo animali da esperimento, strattonano con irruenza il braccio della ragazza al mio fianco. Brutti figli di puttana! Le comparirà sicuramente un livido, ne sono sicuro.
«Tutto bene?» chiedo, mi rivolge un sorriso con tanto di fossette.
«Bene, sono molto educati qui eh?» dice ironica, cerca qualcosa nel cappotto. Una piccola automobile gialla viene estratta da esso, me la porge tremante.
«Tua madre mi ha detto di portarla con me, l'hai usata da bambino la prima volta che ti ha trascinato qui»
È la stessa.
Riconosco il piccolo graffio sul lato sinistro, fatto con il cacciavite di Joe.
«Ti calmava da bambino, spero funzioni ancora» con una dolcezza infinita mi prende le guance, baciandole.
«Adesso ci sei tu a calmarmi però» tengo le sue mani nelle mie.
«Quelli del primo turno?» la guardia carceraria fissa tutti con disprezzo, quante volte ho visto quell'espressione sul viso dei miei vicini di casa. Ci avviciniamo, lo stomaco mi si contorce quando rivedo la stessa stanza di tanti anni fa. Lo stesso tavolo, lo stesso pannello a dividerci. Percepisco Nives sospirare pesantemente al mio fianco, non è abituata a tutto questo. Non so perché ho deciso di portarla con me, avrei potuto lasciarla a casa. Sono sicuro però, che se fossi venuto da solo non sarei riuscito ad arrivare fin qui, mi sarei rifugiato in un locale fino ad ubriacarmi e stare male. La piccola porta di ferro viene aperta, gli altri parenti dei detenuti sono tutti seduti. Tranne me. Vorrei evadere subito, la piccola manina di Nives mi fa cenno di sedermi e lo faccio senza obbiettare. Sono già stanco, lo stress mi sta mangiando vivo. I reclusi entrano tutti con il sorriso sulle labbra, alcuni cercano un contatto fisico attraverso il pannello di plexiglass, altri afferrano subito il telefono per comunicare. I pianti strozzati delle mogli, i loro singhiozzi soffocati mi fanno rimpiangere di essere ritornato in tutta questa merda.
Entrano tutti in fila indiana, l'ultimo è lui.
Mi somiglia così tanto che fa male vederlo: gli occhi chiari, i capelli scuri e la stessa fisionomia. Le spalle grandi, le braccia muscolose, le mani grandi. Guarda sorpreso nella mia direzione, sono sicuro aspettasse la mamma ed invece c'è il figlio rinnegato a fargli visita. Il suo sguardo incrocia volontariamente il mio, un sorrisetto si erge fiero sul viso invecchiato. È felice che alla fine sia stato io a venire fin qui. Si siede sulla sedia afferrando il telefono, stessa cosa faccio io. Nessuno dei due parla, in questo siamo sempre stati identici. Silenziosi, scostanti.
«Ciao Blake» mi saluta con un leggero imbarazzo.
«Davon...» non me la sento di chiamarlo papà, infondo non lo è mai stato.
«Come stai?» assume una postura del tutto sbagliata, le gambe divaricate e il filo del telefono a stento arriva al suo orecchio.
«Meglio di come te la passi tu» è tagliente, non coglie la mia provocazione ridacchiando sonoramente.
«Sei tutto tuo padre» alla sua affermazione, scatto sulla.
Io non sono come lui.
Mi ricordo di Nives al mio fianco solamente quando si china per lasciarmi un bacio sull'orecchio.
«Va tutto bene Blake, respira» ho dimenticato come si fa, non ci riesco più.
«Tu sei?» la sua attenzione adesso è su di lei. La fissa come se fosse una Dea, l'ho fatto anch'io la prima volta.
«Sono Nives Hamilton é un piacere conoscerla Sign.Thompson» si presenta con una dolcezza innata, come può essere così gentile con l'uomo che mi ha rovinato?
«Sei la sua ragazza?» non perde tempo, non è un uomo che fa molti giri di parole. Va dritto al punto, subito.
«Si, Nives è la mia fidanzata» sputo velenoso.
«Perché sei venuto?» me lo chiedo anch'io. Speravo davvero che mio padre potesse essere cambiato? Ho commesso uno sbaglio, uno dei tanti. Mi alzo dalla sedia con uno scatto, Davon esamina la mia espressione cogliendo il mio essere incline a restare lì. Sembra pentito, ma non mi chiede di restare.
«Sono venuto qui per dirti che sono diventato tutto ciò che ho sempre sognato, sono un giocatore di basket. Mi sono guadagnato tutto da solo! Sei stato un padre assente, ma ti ringrazio. Mi hai aiutato a capire che posso farcela anche da solo, che non mi occorre l'aiuto di nessuno» sbraito verso di lui, il bimbo dentro di me non grida più. Si alza in piedi, sorridendo. Finalmente ha riversato tutta la sua rabbia, finalmente è stato chiaro.
«Figliolo so benissimo cosa hai fatto in questi anni, tua madre mi ha sempre riferito tutto...» vorrebbe continuare, ma blocco sul nascere le sue parole.
«Andiamocene» Nives resta ferma, non accenna a muoversi.
«Vai tu, ti raggiungo tra un paio di minuti» scuoto il capo, nervoso. Non se ne parla non la lascerò qui da sola con lui, potrebbe compromettere la nostra relazione, potrebbe dirle cose non reali. Mi prega con lo sguardo, lui è quasi confuso quanto me.
«Va bene, cinque minuti. Mi trovi qui fuori, ti tengo d'occhio» riluttante, mi dirigo all'esterno della stanza. Mi sento bene adesso, sono felice. Non ho più quel peso sulle spalle, posso godermi i miei ventisette anni. Non ho più nulla da rimpiangere, non c'è più nulla su cui piangere. Finalmente ho chiuso un capitolo della mia vita in qui tutto era scuro, sono pronto ad aprirne un altro più bello.
Ricco di colori è di emozioni nuove.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro