capitolo tre

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Nonostante l'orario tardo a cui erano andati a dormire, alle otto del mattino dopo, davanti ad una tazza di tè verde mischiato col gin, solita colazione di William, cominciano a studiare una partita.
A nessuno dei due piace dormire, trovano che sia una perdita di tempo.
Nel 1986, Karpov e Ribli stavano giocando quella partita alle olimpiadi di Dubai.
È una partita simmetrica fino alla quinta mossa.
Il bianco, Karpov, apre una partita inglese, che Ribli regge.
Ogni mossa che fanno, oltre a ricordarla a memoria, William la spiega e commenta.
La partita è composta da cinquantasei mosse, dura più di un’ora solo da riprodurre, ma quantomeno Amber è costretta a concentrarsi, cosa che fa raramente.
E impara anche qualcosa di nuovo.
È domenica, l'unica libera del ragazzo, e la passano insieme.
Ambrosine non si preoccupa di tornare a Holmes Chapel, a “casa”, perché si sente più a casa in quel seminterrato che in qualunque altro posto che non sia il “Peter Pan”.
Il “Peter Pan” le è entrato nel cuore dalla prima volta che ci ha messo piede, ovvero cinque anni prima.
Ai tempi, non era ben accetta nel locale, le cause erano tre principalmente: l’età, il comportamento sfacciato, ed il suo aspetto.
Aveva solo dodici anni, il suo comportamento era ancora più sfacciato rispetto a quello che ha ora e aveva i capelli troppo corti, che le rendevano il viso tondo.
C'era una sola persona che l'aveva presa sotto la sua ala: Dixie.
E per Ambrosine era ed è un po’ come la sorella maggiore di cui ha sempre avuto bisogno.
Da allora il “Peter Pan” è cambiato, ma per la ragazza rimarrà sempre il suo posto sicuro.
Nel seminterrato, mentre Amber sfoglia distrattamente le pagine di un romanzo di William, captando solo poche frasi, c'è in sottofondo il rumore della doccia sotto cui il ragazzo si è infilato.
La bionda si scalda un’altra tazza di tè e si accomoda al tavolo di legno, davanti alla scacchiera.
Rimette a posto i pezzi e cerca di ricordare l'apertura che ha imparato poco prima.
Ma nulla, i suoi pensieri sono catturati da altro: dai ricordi ancora vividi della sera prima.
Le piace come balla il moro.
E le piace l'interesse che dimostra nei suoi confronti, le cose che hanno in comune, il suo modo di trattarla con gentilezza e senza compassione.
Non sa nemmeno quanti anni abbia, e nemmeno cosa faccia per campare, ma non le importa, con tutta sincerità.
Importa di più come la tratta.
Come la guarda.
Come le parla.
E poi lo scoprirà col tempo.
Perché sì, ha intenzioni di rimanere da William fin quando lui glielo permetterà.
O fin quando lui non la deluderà con qualche idiozia che però le farà male e la spiegherà ad andarsene.
Le capita spesso: si affeziona troppo a qualcuno, lo idealizza, quella persona fa una piccolezza che non rientra negli schemi, e lei inizia ad allontanarsi ed esserne disgustata.
Quando William esce dalla doccia, solo un asciugamano legato in vita, passa dal lato opposto del tavolo, lasciandole un bacio a fior di labbra.
I ricci scuri gocciolano ancora e l'acqua va a finire sul busto snello del ragazzo.
Amber si ferma un secondo a guardarlo.
Ma subito dopo William si chiude in camera per vestirsi.
Non vuole affrettare le cose, anche se sa che l'ha già fatto, perché andiamo, ormai quella ragazza si aggira per il monolocale come se ci fosse abituata da una vita.
Quella sera, sul divano, con le gambe incrociate le une a quelle dell’altro, la testa di Ambrosine sulla sua spalla, ricominciano a parlare.
Il discorso si ricollega a quello della sera prima, ad una canzone, per la precisione.
<< Mi piace >>
Dice la bionda.
<< E’ leggero >>
Risponde William.
<< Perché? >>
Chiede Amber.
<< Ha il cuore spezzato e cerca una giustificazione per il suo pessimo gusto in fatto di uomini >>
Spega.
<< Oppure, cerca qualcuno che sia in grado di spezzarle il cuore >>
Controbatte la ragazza. Silenzio. William aggrotta le sopracciglia e cerca di capire.
<< Oh, non fare quella faccia hai capito benissimo. >>
Il moro nega.
<< Temo di no, invece >>

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