𝕱𝖗𝖆 π–—π–Šπ–†π–‘π–™π–†Μ€ π–Š π–‹π–†π–“π–™π–†π–˜π–Žπ–†

Màu nền
Font chα»―
Font size
Chiều cao dòng

A un certo punto, fra un sospiro e l'altro, imbarazzo e domande pesanti nel petto, dovevo essermi addormentata.
Ne ero certa, perchΓ© l'unica spiegazione possibile in quel momento era che stessi ancora sognando.

Il soave, delicato trillare di un vecchio Carillon nei ricordi di una bambina ridente risuonava, vibrando nelle mie ossa. Solchi di veritΓ  fra pieghe di una scena muta e confusa.

Era la tetra colonna sonora di quella proiezione che pareva odorare di pergamena accartocciata.
Vecchi giradischi incastrati in un tempo antico.

Il sogno si svolgeva in una grande sala da ballo. Pareva antica. Intricati disegni si estendevano su pareti e pavimenti. Le stelle d'inchiostro impresse ad arte formavano un'arcata celestiale sul soffitto. Brillavano come polveri di ghiaccio lunare.

Sarebbe stato difficile capire che non si trattasse di un vero tratto di cielo al di sopra della mia testa se non avessi notato la pioggia battere sulle vetrate dell'immenso salone.

Passi di folla si muovevano sotto strascichi di gonne fluttuanti in toni pastello e pantaloni eleganti.
Mocassini scuri e tacchi argentati battevano a ritmo sul pavimento solcato di incisioni.
Pestavano in punta di dita ghirigori di oscillanti lettere latine impresse nel marmo bianco.

Sembrava ballassero a suono di musica e Valzer, io non sentivo nessuna tarantella.
Eppure la folla si perdeva al ritmo di una settecentesca danza sconosciuta.

In alcuni anfratti della sala riprendevano fiato uomini e fanciulle dai piedi stanchi, con visi di cipria e vite strette. Un fuoriuscire di sussurri inascoltati, a mezza bocca.

Io ero lì. Nelle mie vesti di ragazza moderna, maniche arrotolate di una maglietta bianca. Riccioli rossi solleticavano il collo. Osservavo quei movimenti aggraziati con guance rosse e labbra schiuse.

Signori con capelli brizzolati e barba bianca con dame dagli orecchini d'avorio a portata di braccio. Pirouettes e inchini, tra sorrisetti sotto baffi arricciati e gesti dietro ventagli aperti.

I miei piedi parevano incastonati nel pavimento e le gambe, fasciate nei Jeans grigi, gelatina. Mi era impossibile distinguere volti e parole, avvertivo solamente il panico e la lieve sinfonia di quel Carillon.

Il cuore mi batteva forte nel petto e, fra luci ombreggianti di lampadari, lumi e candele, l'oscuritΓ  era dipinta in pietra. Sgusciava come velo sottile fra pizzi e merletti.

Battei le palpebre, ingoiando un nodo in gola e parole che sabbero affondate in quello stesso vociare che io non potevo udire.

Fra la folla di sorrisi schioccati e giovani donne, intrattenute in chiacchiere cortesi, spostai iridi screziate di azzurro e verde.

Affondai le unghie nel palmo, in un disperato tentativo di risveglio. Osservai poi piccoli solchi a mezzaluna formarsi nella pelle, in un lieve bruciore. Un battito di ciglia e sguardo sperduto, non avevo idea di cosa fare.

Una voce mi distolse dal panico e la musica del Carillon cessΓ², lasciando riposare i miei timpani.
Fino a quel momento ero stata certa che sarei rimasta intrappolata ad annaspare in un film cui qualcuno avesse messo muto.

Era soffuso, quel mormorare, lontano, ma non molto.
Scivolando e inciampando, mi mossi lungo le pareti grigio fumo e le vetrate illuminate e imperlate di pioggia della sala. Non volevo testare contatti con altri.

Fissai gli occhi azzurrini sulle figure di due ragazzi vicini. Erano frenetici, dita contratte attorno alle vesti, bocche arricciate, segreti in punta di labbra. Nessuno stava loro prestando attenzione e loro parevano bearsi dei punti ciechi di chi non poteva vederli.

I riccioli della ragazza erano raccolti, aderenti alla nuca. Le sue labbra vivaci erano piegate in un sorriso, ne ero quasi certa, poco consono all'epoca e all'ambiente.

Le sue dita, bianche ed esili, si contrassero attorno al taffeta d'avorio.
La sua veste era pomposa.
PizzicΓ² con l'indice e il medio nell'esatto punto in cui cominciava la gonna e terminava il corpetto che fasciava la sua vita sottile.
Le maniche strette, coperte di pizzo, le arrivavano ai palmi.

Erano così attenti ad appoggiarsi alla parete con il busto, fissarsi appena negli occhi, che mi sentii fortunata a essere invisibile. Potevo ascoltare i loro misteri, che parevano avvolti attorno alle unghie.

Mi avvicinai finchΓ© non rimasero un paio di metri a separarmi da quella sconosciuta. Inclinai il busto in avanti tra loro, scrutinando i loro volti bianchi e labbra scure.
Potei notare la mano della ragazza stretta attorno a un calice di cristallo. La bocca sporcarsi di vino rosso come ciliegie mature.

La sua pelle era bianca e immacolata come neve. In piedi giocherellando con l'orlo delle maniche della mia maglietta, invidiai immediatamente la sua sicurezza.

Delicatezza trapelava in ogni ricciolo di labbra, ogni risata cristallina attutita e candore appena accennato di denti.
C'era sensualitΓ  persino nella maniera in cui, quando un filo di rame le sfiorava la guancia, lei lo scostava con polpastrelli delicati.

I suoi occhi erano liquidi, fra ciglia sfumate, ambra e caffè giocavano a rincorrersi in essi, senza sosta o tregua. Non pareva rendersi conto di tutto ciò, tuttavia.

Le sue guance erano rosse, con pudore e quelle iridi, tanto profonde e torbide, guizzavano sul volto del suo ascoltatore, ansiose, mentre le parole scivolavano nell'aria.

Parlava di questo e di quello, occhi ridenti verso il suo accompagnatore.
Raccontava di Lady Danneville, madre di due splendidi pargoletti.
Sembrava fosse stata proprio questa Lady ad aver organizzato quel Ballo, dopo essersi volatilizzata dall'alta societΓ  per qualche mese.

La fanciulla dai rossi riccioli e occhi di whiskey sembrava scioccata di essere stata invitata. Schioccava le labbra ciliegia di incredulitΓ .
La preocccupava il fatto che la donna non si fosse ancora presentata.

Mi dondolai sulla punta dei miei piedi nudi, arricciando le dita contro una scalfittura rigorosa di cobalto nel pavimento gelido.
Le mie scapole erano premute contro la stessa parete, pungevano sul grigio del muro che sosteneva anche gli altri due ragazzi.

Anche lui era bello e fu proprio lui a fornirmi una conclusione.
Mi resi conto di aver giΓ  sognato qualcosa di simile e di essermene scordata.
Mani mollemente posate lungo i fianchi, annaspai alla realizzazione, passando le dita tra i ricci, un movimento incredulo del capo.

Premetti ulteriormente la schiena contro la parete, in congiunzione allo spazio vuoto fra le loro teste e i loro corpi. Fantasma silenzioso su cui nessuno puΓ² porre sguardo.
I denti nel labbro inferiore screpolato, a portare un lieve retrogusto di ruggine in bocca.

«Sei certa di ciò che dici di desiderare, Harriet?». Il ragazzo parlò per la prima volta. Inghiottì apparentemente un groppo in gola. La sua voce schizzò dritta all' intestino di Rose.

Aveva passato gli ultimi dieci minuti ad annuire e vibrare ronzii dal fondo della gola. I suoi occhi ermetici scivolavano sulla linea della clavicola scoperta della ragazza, poi risalivano nei suoi occhi.

Harriet bloccΓ² le mani nel loro dondolio a mezz'aria. Il trillo della sua risata distillata si spense.
Il labbro inferiore tremolΓ². Non era quello l'argomento di cui stavano trattando.

La bocca arricciata e occhi sciolti in rimpianto. Le espressioni sul volto di lei erano chiare, ma lui non demorse: Β«Non si torna indietro facilmente, da una scelta del genereΒ».

Lui aveva lunghi ciuffi castano scuro, si arricciavano sulla nuca, sfiorandogli il collo in un gioco di seduzione.
Gli occhi riportavano alla memoria ghiacciai e brina, ragnatele e laghi, catene e cascate. Grigi come il cielo, tinti di cobalto e di spuma.

La mascella schioccava frasi concise. Dirette. Le mani erano affondate nelle tasche, le maniche di una camicia bianca arrotolate sugli avambracci.

Β«Non ne voglio piΓΉ sapere, NathanΒ» cantilenΓ² Harriet. Quasi fosse un discorso ripetuto piΓΉ volte. Un frullare di lunghe ciglia rosso scuro.

Due fossette le si aprirono sulle guance. Il vestito fasciava perfettamente i seni sodi, esaltando il suo piccolo busto a clessidra.

GonfiΓ² il petto, dondolando il calice non del tutto vuoto nella mano. Β«SarΓ  tutto piΓΉ facile, quelle inutili Leggi non ci intralcerannoΒ».

Emisi una specie di verso gutturale involontario, mordicchiandomi il labbro inferiore. Sporsi il viso nella sua direzione, le mie mani premute fra il muro e la schiena.

La fissai tra le ciglia.

Fece per sfiorare il braccio di lui, avvolgere le dita attorno al tessuto sottile della camicia.
Interruppe il movimento a mezz'aria, ritraendosi. Mosse gli occhi color caramello verso gli estremi della stanza, la bocca stretta e un ricciolo sulla guancia.

Espirai, ormai accovacciata sul terreno, avevo lasciato scivolare la schiena giΓΉ lungo il muro.
Le braccia a circondare le gambe, sporsi il labbro inferiore, comprendendo la relazione fra i due.
Una palloncino di malinconia mi si gonfiΓ² fra le costole.

Seppur trovassi la conversazione oltremodo interessante, la mia testa ciondolava un po' sulla spalla, fili rossi cadenti alla rinfusa, le palpebre pesanti.

Sapevo che se mi fossi addormentata, mi sarei svegliata, di nuovo fra le mie lenzuola profumate, al sicuro nel mio letto. Sebben precedentemente fosse stata quella la mia ambizione, non desideravo affatto andarmene a fatti incompiuti.

Β«Meglio se non ti poni nella posizione di dar pareri sulle Leggi, HarrietΒ». Lui sbuffΓ² un ricciolo di stress. RizzΓ² la schiena. Contegno di ferro.
Un guizzare di labbra carnose lo tradì: sembrava silenziosamente venerare la ribellione taciuta nel minuto corpo di fronte a lui.

Riccioli di media lunghezza furono tirati indietro dalla sua mano pallida Β«Seppur tu sappia bene che non sono le Leggi a turbarmiΒ».

I suoi occhi scintillarono, malizia distillata. Un cameriere passava loro di fianco, portava in equilibrio sul palmo un vassoio d'argento.
Rivolse ai due un'occhiata vacua e verdognola, fin troppo indugiante, fra ciuffi biondi.

Harriet schioccò le labbra. Un movimento aggraziato, bevve un ultimo sorso di vino, deglutì.
Rimise il calice vuoto sul vassoio in un tintinnare di cristallo.
La bocca ridente e uno sguardo complice, quasi bonario al ragazzino troppo curioso.

Le guance del cameriere si colorarono di porpora. I suoi occhi scavarono nella pelle di Harriet.
Bevve del rosso dei suoi riccioli, si mordicchiΓ² le labbra nel tuffarsi tra le grazie dello stelo sottile della sinuosa figura con occhi esitanti.

Le sue pupille si dilatavano di nero. La bocca socchiusa in un sospiro.
Il suo sguardo indugiava un minuto di troppo nel punto in cui il taffeta d'avorio lasciava spazio alle clavicole pallide.

Un solo guizzo della guancia di Nathan tradì la sua espressione stoica. Le palpebre erano socchiuse quasi pigramente sugli occhi grigi.

Il cameriere nel suo completo bianco e nero sgusciΓ² via rapidamente, inciampando sulle piastrelle con una sgommata. I bicchieri sul vassoio trillarono un acuto, vibrando gli uni contro gli altri.

Il busto magro si raddrizzava e la sua testa bionda si confondeva nella folla con sguardi sospettosi dietro le proprie spalle esili.
Le sue iridi verde smeraldo strette come punte di spillo divenivano un ricordo.

Mi chiesi quanti anni avesse precisamente. Nathan e Harriet stessi sembravano molto giovani. Sicuramente non sopra i vent'anni.

Allora, a seguito di un sopracciglio arcuato di Nathan, il dibattito riprese. Braccia incrociate.

Β«Tu sei fedele alla causa, NathanΒ». SoffiΓ² la ragazza fra labbra scure, improvvisamente la sua schiena era rigida e la sua bocca stretta.

Β«Qualunque essa sia. Credi che io mi stia maledicendo da sola, ne sei contrariato. Odi quello che sto per fare. Ma non puoi odiare meΒ».

Nathan parve turbato. Io storsi il naso. Β«Non Γ¨ perchΓ© sono fedele alla causa che odio ciΓ² che ti accingi a fareΒ» scattΓ². StrizzΓ² le palpebre.
Ciglia scure e occhi duri.

Β«NΓ© perchΓ© ritengo sia una follia o che vada contro la natura stessa. Lo credo, non nego, ma non per questo odio. Odio, invece, perchΓ© ti lascerΓ  vulnerabileΒ».

La ragazza schiuse le labbra. La fronte corrugata. Un'ombra le oscurΓ² il volto. Era pronta a dire qualcosa ma a quanto pareva io non ero pronta ad ascoltare.

Β«Credi che se ci fosse un altro modo per noi io non-Β» la voce della ragazza sembrΓ² graffiata. Improvvisamente si strinse in sΓ© stessa.
Una leonessa ferita. AffondΓ² le unghie nei palmi, gocce di sangue fra le dita.

Β«Io amo la mia-Β»
ma ricaddi nel sonno, la testa pesante, sotto di me non piΓΉ un pavimento inciso di storia ma un materasso.

Occhi spalancati nel buio di una stanza illuminato dalle prime luci dell'alba. Deglutii, alzando la testa, lisciai con mani bianche la treccia rossa che mi cadeva sulla spalla.
Mi misi seduta, scostai ciuffi fuggenti, umidi di sudore, caduti sul viso, il respiro affannato.

Le tempie pulsavano. Gli occhi bruciavano di lacrime. Le mie unghie artigliavano il lenzuolo.
Le gambe erano contorte sotto le coperte e un dolore sordo mi rimbombava sotto l'epidermide.

Alzai il capo, scrutando la sveglia.
Erano da poco passate le quattro del mattino.

Scostai le lenzuola e posai i piedi sul pavimento. Mi sedetti in bilico sul lato del letto. Schiena ricurva e mano sul petto, sventolai un lembo della maglietta con la punta delle dita.

Piantai i gomiti nelle cosce, ancora fasciate dai Jeans. Mi limitai a espirare e inspirare, le mani sulla fronte ghiacciata.

Gocce di sudore come pioggia sulle tempie. Sentii un tuono lontano, la finestra tremΓ² nel buio.

Sarebbe arrivato un dannato temporale.

-----------------------------------------------------------------------------------------------

𝕰 π–†π–‰π–Šπ–˜π–˜π–” π–˜π–”π–‘π–” π–’π–Š!!!!!
π™ΌπšŽπšπšπš˜ πšπšŠπšŒπš’πš•πš–πšŽπš—πšπšŽ 𝚚𝚞𝚎𝚜𝚝𝚘 πšŒπšŠπš™πš’πšπš˜πš•πš˜ πšŠπš• πš™πš›πš’πš–πš˜ πš™πš˜πšœπšπš˜ πšπš›πšŠ πš•πšŽ 𝚌𝚘𝚜𝚎 πšŒπš‘πšŽ πš–πš’ πšœπš’πšŠπš—πš˜ πš–πšŠπš’ πš›πš’πšœπšžπš•πšπšŠπšπšŽ πš™πš’πšžΜ€ πšŒπš˜πš–πš™πš•πš’πšŒπšŠπšπšŽ 𝚍𝚊 πšœπšŒπš›πš’πšŸπšŽπš›πšŽ. π™°πš•πšπšŽπš›πš—πšŠπš›πšŽ πš•πšŠ "πšπšŽπš›πš£πšŠ" πšŠπš•πš•πšŠ πš™πš›πš’πš–πšŠ πš™πšŽπš›πšœπš˜πš—πšŠ πšŽΜ€ 𝚜𝚝𝚊𝚝𝚘 πšœπšπš›πšŽπšœπšœπšŠπš—πšπšŽ πšŠπš•πš•'πš’πš—πšŸπšŽπš›πš˜πšœπš’πš–πš’πš•πšŽ 𝚎 π™³πš’πš˜ 𝚜𝚎 πš‘πš˜ πš™πšŠπšžπš›πšŠ πšŒπš‘πšŽ πš—πš˜πš— πšœπš’ πšŒπšŠπš™πš’πšœπšŒπšŠ πš—πš’πšŽπš—πšπšŽ.
πš‚πš™πšŽπš›πš˜ πšπš’ πšŠπšŸπšŽπš› πš›πšŽπšœπš˜ πš•'πš’πšπšŽπšŠ πš™πšŽπš›πšŒπš‘πšŽΜ πšŠπš•πšπš›πš’πš–πšŽπš—πšπš’ πš–πš’ πšŠπš–πš–πšŠπš£πš£πš˜.
π™²πš˜πš–πšžπš—πššπšžπšŽ... π™²πš˜πš–πšŽ 𝚟𝚊𝚊𝚊𝚊? π™²πš‘πšŽ πš—πšŽ πš™πšŽπš—πšœπšŠπšπšŽ?

π™Έπš˜ πšπš˜πš–πšŠπš—πš’ πš‘πš˜ πšžπš—πšŠ πšŸπš’πšπšŽπš˜πš•πšŽπš£πš’πš˜πš—πšŽ πšπš’ 𝚍𝚞𝚎 πš˜πš›πšŽ πš™πšŽπš›πšŒπš‘πšŽΜ πšŠπš• πš–πš’πš˜ πš™πš›πš˜πš πš—πš˜πš— πšπš›πšŽπšπšŠ πšπšŽπš•πš•πš˜ πšœπšπš’πš™πšŽπš—πšπš’πš˜, πšŸπšžπš˜πš•πšŽ πšœπš˜πš•πš˜ πšŒπš‘πšŽ πšœπšπšžπšπš’πšŠπš–πš˜ 𝚎 πš‹πš•πšŠ, πš‹πš•πšŠ, πš‹πš•πšŠ... πš€πšžπš’πš—πšπš’ πš‘πšŠ πšπšŽπšŒπš’πšœπš˜ πšπš’ πšπšŠπš›πš•πšŠ πšπš’ πš™πšžπš—πšπš˜ πš’πš— πš‹πš’πšŠπš—πšŒπš˜.

π™ΏπšŽπš› πššπšžπšŠπš—πšπš˜ πšπš’ πšœπš˜πš•πš’πšπš˜ πš•πš˜ πšŠπš–πš’, πš’πš— 𝚚𝚞𝚎𝚜𝚝𝚘 πš–πš˜πš–πšŽπš—πšπš˜ πš•πš˜ 𝚜𝚝𝚘 𝙾𝙳𝙸𝙰𝙽𝙳𝙾 ΰΈ…^β€’ο»Œβ€’^ΰΈ….

πš„πšπš!

BαΊ‘n Δ‘ang đọc truyện trΓͺn: Truyen2U.Pro