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Mร u nแปn
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Chiแปu cao dรฒng

Nonostante ci fossimo affaticati tanto cercando di entrare in orario, non riuscimmo nel nostro intento.
Cosรฌ, compresi che quella giornata non prometteva nulla di buono.

Non mi sbagliavo.

Il professore decise di mettermi sotto torchio con Shakespeare.
Come รจ facilmente possibile dedurre, in quei giorni non ero ben riuscita a estrapolare un tempo sufficiente a studiare in modo adeguato.
Le giornate parevano interminabili e nel Branco serpeggiava un comune sentore di pericolo. Lupi che fiutavano nell'aria umida dell'inverno l'odore del giaguaro.

Come se non bastasse non riuscivo a collegare le labbra al cervello adeguatamente, nรฉ a creare una diga.
I pensieri mi urlavano contro a gran voce, implorando di essere ascoltati.
Pensieri sicuramente piรน importanti di una semplice ed effimera interrogazione.

Riuscii a uscirne con una sufficienza stentata: un voto migliore del previsto.
A ricreazione, fui costretta a prestare ascolto alle dettagliate spiegazioni sull'algebra che Sebastian desiderava fornirmi.
Tentava disperatamente di convincermi almeno a puntare a una semplice B-.

Normalmente non avrei avuto tutti quei problemi. Alla fine, nel grande schema delle cose, i miei voti mediocri non apparivano di tanta rilevanza. Specialmente se paragonati a ciรฒ che recentemente aveva popolato la mia vita, in un continuo susseguirsi di tese situazioni inverosimili.

Speravo che le equazioni fossero una sufficiente distrazione. Il genere di distrazione che potesse impedirgli di cambiare idea. Doveva assolutamente venire al Vermouth assieme a me.

Quando, quel pomeriggio, percorremmo la solita strada mi parve di essere improvvisamente invecchiata di un'ottantina di anni.
Sulle spalle non mi pesava piรน solo lo zaino, ma anche le fisiche ripercussioni di quella quotidianitร , divenuta ormai frenetica.

Rimasi cullata da quei miei pensieri di autocommiserazione ben poco.
Infatti, Sebastian si bloccรฒ improvvisamente. Stavamo per svoltare l'angolo della vietta ciottolata. Un paio di passi e avremmo posato gli occhi sui mattoni rossastri della mia abitazione. Ma sarebbe stato troppo facile ovviamente.

Contrasse i muscoli nella posa di un predatore. Pareva la perfetta interpretazione di un lupo attento. Prontamente fiutava l'odore del nemico, e ne decretava l'amara sorte.

ยซQualcosa non va?ยป Chiesi.
Volsi a lui il mio sguardo stremato, le palpebre pesanti. Schioccai la lingua contro il palato. Sentivo la punta del naso pungere per via del gelo. Avrei sicuramente preso un raffreddore.

Possedevo ogni conoscenza riguardo ciรฒ che non andava, almeno inconsciamente.
Nelle profonditร  piรน intricate del mio cervello un neurone si stava freneticamente muovendo, impazzito. Tentava di inviarmi pressanti avvertimenti attraverso un meraviglioso e affascinante impulso cerebrale.

La parte conscia della mia complessa psiche, tuttavia, non pareva desiderare il raggiungimento di quell'esasperante conclusione.
Era intrappolata nella comoda e gettonata fase del rifiuto.

L'altro mio neurone, quello piรน pigro e scansafatiche, primeggiava con i suoi intelligenti mugugni.
Mi suggeriva, tentatore, di continuare a perpetrare nella confortevole finta ignoranza. Presi immediatamente atto della saggezza celata in quel muto consiglio.

Era, certamente, piรน semplice ignorare importanti problemi, aggirare gli altri ostacoli. Dopotutto ero accompagnata dalla consapevolezza che qualcuno si sarebbe occupato di essi in mia vece.
La mia straordinaria capacitร  nell'arte del lasciar perdere meritava una considerevole lode.

ยซCi metterรฒ pochi minutiยป mi informรฒ Sebastian, in una debole scusa inespressa, non necessaria.
Un sorriso si fece, inevitabilmente, strada sul mio pallido volto, scaturito dalla semplicitร  di quell' affermazione.

Stavo per rispondere, ma, in un singolo battito delle mie ciglia ramate, lui era era giร  sparito. Partito alla volta di una battaglia senza fine, combattuta contro le sole ombre dell'inferno.

Non indugiai oltre sul polveroso ciglio di quella stradina.
Mi sistemai lo zaino bianco sulla spalla, ormai dolorante, e mi diressi verso casa, rassegnata all'idea di attenderlo a destinazione.

Spalancai la porta in legno.
Il benevolo e lucente sorriso di mia madre mi accolse. Si trasformรฒ poi in un delicato broncio, la bocca cadde all'ingiรน, le braccia rimbalzarono lungo le cosce, quando si accorse della mia sola presenza.

Sospirรฒ esasperata e mi lanciรฒ un'occhiata depressa.
Gli occhi verdastri improvvisamente privati di ogni qualsivoglia trepidazione.

Le sue ciglia erano di un castano chiaro, estremamente lunghe e folte. Svettavano su quegli occhi color smeraldo, che erano simili alle barriere coralline.
Da bambina era sufficiente una sua occhiata a farmi confessare ogni marachella, quando tornavo a casa con le ginocchia sporche di fango e sorridevo con una finestrella che faceva capolino al posto di un dente da latte.

ยซNoยป bofonchiรฒ, comicamente scioccata. La bocca rossa di rossetto tremolante. ยซNon mi dire che lo hai fatto arrabbiare un'altra volta!ยป mi puntรฒ contro un dito pallido.
Il sapone per i piatti era incrostato sotto le unghie. ยซCredevo aveste fatto pac-ยป.
La fermai, prima che potesse perseverare in quei suoi film mentali.

ยซVedo che sei felicissima di vedere tua figlia, di ritorno da scuola...ยป ironizzai, sinceramente divertita. Inarcai un sopracciglio rosso.
ยซSprizzi gioia da tutti i pori. Il tuo entusiasmo mi stendeยป conclusi, gettando goffamente lo zaino sul divano azzurro, con un verso dettato dallo sforzo.

Lei si morse il labbro inferiore. In qualche modo non si sporcรฒ i denti di rosso. Decisi che le avrei chiesto in prestito quel rossetto prima o poi.
Sembrava una bambina scettica.
Battรฉ uno stivale scuro di camoscio sopra al parquet, in un debole tonfo.

ยซMa io ho bisogno del mio futuro generoยป cantilenรฒ, in un debole capriccio. Riuscรฌ a tirar fuori dalle mie labbra rosee una lieve risata.
Affondando con il sedere nel divano incrociai le gambe.
Gettai la testa all'indietro. Mi pulsavano le tempie e mi pareva che il mondo fosse solo un grande scarabocchio.

Di colpo schizzai in un movimento fulmineo.
Afferrai un cuscino grigio per la federa.
Lo lanciai contro mia madre, quasi spaccandomi un'unghia nel processo.
Senza alcuna remora lei schivรฒ, con una disarmante maestria, e non esitรฒ a rivolgermi un impertinente linguaccia.

Era strabiliante come quella donna riuscisse, con la sua innata infantile spontaneitร , a rialzare il mio morale. Anche nei giorni all'apparenza piรน bui sapevo che sarebbe stata lรฌ.
Sin da bambina ero sempre stata certa che mia madre fosse la donna piรน forte del mondo. La mia supereroina.

Quando mio padre era sparito e lei era rimasta sola, giovane, con i suoi crucci, era comunque riuscita a rimboccarsi le maniche.
Ricordavo giornate intere passate a giocare con le Barbie sul pavimento del suo ufficio mentre attendevo che lei terminasse il bilanciamento degli introiti. La osservavo smanettare al computer ammirata, mentre pettinavo la testolina di una bambola.

Aveva sempre i capelli raccolti in una crocchia. Ciocche in alcuni punti piรน scure in altri piรน chiare le sfioravano le clavicole bianche e sporgenti.
Vicino al suo gomito era sempre presente una gigantesca tazza di caffรจ forte. Sulla tazza c'era scritto migliore madre del mondo. Era un regalo che si era fatta da sola, ma io ci credevo fermamente.

Aveva mezzelune nere sotto gli occhi e le guance pallide. Ogni tanto spostava comunque lo sguardo su una me di quattro anni. Trovava sempre tempo per risparmiarmi un sorriso.
C'era sempre stata per me all'occorrenza, incurante di acquazzoni e tempeste, dolce e comprensiva.
Era riuscita ad apparire persino saggia, talvolta.

In quel momento il trillo del campanello riempรฌ la nostra confortevole dimora.
I residui di una risata ancora sul viso, mia madre andรฒ ad aprire.

Non rinunciรฒ, perรฒ, alla propria vendetta. Mi rilanciรฒ il cuscino all'indietro, da sopra la spalla, senza guardarmi. Ricevetti una botta in pieno volto.
La stoffa mi finรฌ in bocca.
Caddi sdraiata all'indietro. Appena riuscii a liberarmi, sputacchiando pelucchi di cotone e saliva, mi resi conto che lei stava dialogando pacatamente. Gli occhi luccicanti.

Misi, poi, a fuoco la figura di Sebastian, in piedi sulla soglia.
Lei si era gettata verso di lui in un soffocante abbraccio, come un avvoltoio sulla preda.
Il ragazzo strinse il suo busto esile con delicatezza, quasi sollevandola da terra. Seppellรฌ il viso nel suo collo da cigno, annusando i capelli castani con fare infantile.

L'unica a potergli stare tanto vicino infatti, non solo fisicamente, oltre me, era proprio mia madre.

ยซOh, tesoroยป esclamรฒ questa, staccandosi finalmente e rivolgendogli un sorriso complice. Lo ammirรฒ per un po' dalla testa ai piedi, quasi fosse una sua creazione. Le mani orgogliosamente sui fianchi.
ยซStavo proprio per dare una lezione alla nostra Rosie, quiยป Proseguรฌ, scostandosi per permettergli di entrare.

Insieme, ci muovemmo verso la cucina. Per decisione di mia madre quella stanza sfoggiava brillanti pareti, gialle come il sole a mezzogiorno.
Un pugno in un occhio quando alle sette del mattino dovevi entrare a fare colazione con gli occhi ancora mezzi socchiusi per il sonno.

Eppure lei diceva che quel colore sarebbe rimasto tale anche quando fuori avrebbe piovuto e quindi avrebbe fatto cominciare ogni giornata con il sole. Con positivitร .
Contenta lei, contenti tutti.

La cena fu un sereno passaggio di quella giornata. Forse l'unico.
Fu popolata di liete e spontanee risate. Non potei far a meno di notare, perรฒ, che, piรน l'ora dell'incontro al Vermouth con le ragazze si avvicinava, piรน freneticamente il piede di Sebastian batteva silenziosamente sul pavimento.

Un piccolo dettaglio, che a me non potรฉ sfuggire.
Le cose fin troppo piccole divenivano, ai miei occhi, enormi.
Venivano amplificate dalla potenza della passione ardente, dell'amore prepotente e dispettoso.
Era un incessante mistero, che persisteva nelle gioie e negli amari dolori.

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