Affreschi

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Una volta giunta nella grande sala da pranzo affrescata, ora piena di tavoli su cui erano già sistemati gran parte dei generali convocati e dei nobili che abitavano la corte, Arya si sedette di fianco a Nasuada la quale occupava il posto a capotavola della lunga tavolata centrale. La salutò con un sorriso, che venne ricambiato dalla umana con la pelle scura.

Un paio di istanti dopo, di fronte a lei si mise Orik. Era da tempo che non lo vedeva ma non sembrava particolarmente cambiato, aveva ancora quello sguardo allegro che l'elfa sapeva però nascondere una certa perspicacia.

Appena il nano si accorse che quella che aveva davanti era proprio Arya, scattò in piedi. La regina degli elfi non riuscì a nascondere un'espressione confusa, mentre l'altro sovrano le veniva di fianco e la circondava con le sue corte ma toniche braccia da nano, in un abbraccio decisamente stretto e, considerando il loro stato sociale, secondo il galateo fuori luogo. Se lei non avesse avuto la struttura robusta di un guerriero, probabilmente le avrebbe fatto male. Poi, Orik tornò a sedere.

Abbastanza sorpresa dal saluto dell'altro, Arya accennò un sorriso allegro nella sua direzione, come per ricompensarlo di quella dimostrazione di affetto. Non era quel tipo di persona che abbracciava gli altri, e pensò che un sorriso fosse più che sufficiente.

«Come va sui monti Beor?» chiese, cercando di sembrare amichevole.

Il nano fece spallucce. «Si tira avanti, mia cara» rispose.

Arrivò anche Roran che si sistemò vicino al nano. Il giovane li salutò con la mano, prima di scambiarsi una strana stretta di mani con il re al suo fianco, in quello che Arya riconobbe come un saluto. Era un'usanza umana, aveva scoperto, quella di costruire strani saluti con i propri amici stretti. Anche quello decisamente era fuori contesto, ma un po' di allegria non faceva male a nessuno e nemmeno lei aveva nai davvero seguito il protocollo sociale.

«Qualcuno sa quando arriverà quando dovrebbe arrivare Eragon e i
cavalieri?» chiese dopo qualche minuto di chiacchere Orik.

Roran sospirò. Nasuada guardò Arya. L'elfa scosse la testa, leggermente amareggiata dal non poter fornire informazioni. Sapeva quanto il nano e il cavaliere si volessero bene.

«Doveva arrivare questa per poi seguirci domani a Gil-ead...» spiegò Arya, con un sospiro.

«Ma come puoi notare...» iniziò Nasuada, con lo stesso tono serio dell'elfa.

«...Non c'è» concluse Orik. Arya colse una leggera delusione nella sua voce. Se aveva salutato così calorosamente lei, chissà come gli mancava Eragon, per lui come un fratello.

«Speriamo che stia bene» commentò Roran, visibilmente preoccupato per il cugino. I quattro caddero in un silenzio teso.

Solo in quel momento Arya ebbe il tempo di osservare il salone: era affrescato con tutta la storia dell'Impero. Si potevano trovare tutte le grandi imprese di imperatori e imperatrici che avevano regnato secoli dopo secoli, affrontato guerre dopo guerre.

In quegli ultimi quattro anni, dopo la vittoria dei Varden, era stato aggiunto un nuovo capitolo: l'affresco illustrava una maestosa Nasuada con un occhio di drago azzurro come sfondo. Di fianco a lei era raffigurato un ragazzo castano con una spada fiammeggiante in mano, che l'elfa identificò come Eragom.

Dall'altro lato dell'imperatrice c'era... lei. Era strano vedersi raffigurata in un dipinto del genere, per di più di fattura umana, razza dalla quale anni prima la sua gente doveva guardarsi le spalle, soprattutto se avevano un'uniforme imperiale. Era stata dipinta con i lunghi capelli neri che svolazzavano al vento, l'arco in mano con la freccia incoccata, pronta a colpire.

Vicino a lei c'era Orik con l'ascia lucente e la barba scompigliata, mentre vicino al cavaliere di Saphira c'erano due giovani che identificò essere Roran e Murtagh. Poi quasi attaccata a Nasuada, che si confondeva con la sua veste, si poteva vedere Elva, la bambina allungava la mano indicando la parete opposta. Da dietro di lei Angela l'erborista le appoggiava amorevolmente la mano sulla testa.

L'elfa seguì con curiosità il dito di Elva e guardò la parete opposta. Su quel lato c'era l'elenco di tutti i cavalieri di draghi e le loro storie. Anche quello era stato aggiornato.

Nella nuova sezione, Eragon era al centro, tra lei e il fratellastro Murtagh. Guardò la propria parte d'affresco, con un sorriso sulle labbra. Era in piedi, con i capelli che le volteggiavano in parte davanti al viso e le gambe in posizione di corsa, l'arco nella mano sinistra, come se avesse appena scoccato un dardo.

Attorno a lei c'erano una serie di altre piccole immagini. Sopra a tutti c'era lo Yawë in mezzo agli alberi d'abete della Du Weldenvarden, e guardandolo si portò la mano sulla spalla in cui sapeva trovarsi il tatuaggio.

Quella seguente raffigurava lei di spalle che guardava fuori dalle finestre di una cella. In quella dopo lei, Eragon, Saphira e Murtagh combattevano contro gli Urgali con un monte nello sfondo. Probabilmente erano a Fathen Dür, intuì l'elfa. Nella seguente lei stava colpendo al cuore lo spettro Varaug. E nell'ultima ci vedeva una mano appena sopra la testa di un piccolo drago verde.

Vedendola così interessata ai nuovi affreschi, Nasuada le sorrise.

«Ti piacciono le nuove aggiunte?» le chiese l'imperatrice, con un tono gentile.

«Si» rispose Arya, ricambiando il sorriso. E poi, incominciò il banchetto.

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