Capitolo 9 - Un grosso errore

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I giorni estivi che più amavo erano quelli afosi, così caldi da necessitare di una rinfrescata all'aperto.
E cosa poteva esserci di meglio delle battaglie di acqua in giardino?

Con la scusa di occuparmi dei miei fratelli, partecipavo alle lotte per godere dell'acqua fredda che mi veniva lanciata addosso.

Andrea aveva preparato le sue pistole giocattolo, Amelia i palloncini, Agnese aveva riempito qualche secchiello e Alisia se n'era stata a guardarli.

Questione di minuti e la battaglia ebbe inizio. Da Andrea proveniva solo qualche schizzo, Amelia non mirava correttamente, Agnese si limitava a correre, Alisia tentava di sollevare i secchielli troppo pesanti per lei.

Il gioco però si fece più movimentato quando si mise in mezzo Adrian. Gli lanciai tre palloncini e ne scoppiarono due, di conseguenza mi arrivò una fiondata d'acqua che bagnò completamente i miei vestiti.
Quando mi guardai intorno, notai che anche gli altri erano molli.

Ci alleammo per "sconfiggere" il nemico comune. Ci scagliammo contemporaneamente su Adrian riuscendo a farlo cadere per poi bagnarlo completamente.
Quando l'acqua a disposizione finì, scoppiammo tutti in una rumorosa risata, mentre Adri strizzava gli occhi tentando di riaprirli e guardarmi male.

Feci spallucce. "Te lo sei meritato."

Si alzò da terra e si avvicinò. Indietreggiai timorosa, ma non abbastanza velocemente per evitare il suo abbraccio tattico per bagnarmi ancora di più. Era inutile, Adrian l'aveva sempre vinta.

Era così fin da piccoli. Riusciva ogni volta a evitare di apparecchiare la tavola, in tv si guardavano i film che sceglieva lui o le partite di calcio, usciva con gli amici tutte le volte che voleva. Se in dispensa rimaneva uno snack, finiva sicuramente per mangiarselo lui!

Da lontano notai una figura avvicinarsi alla casa. Focalizzai lo sguardo e riconobbi Dante.
Erano giorni che non lo vedevo, non lo sentivo, non sapevo che fine avesse fatto e non osavo chiederlo.

Rimasi bloccata. Alisia e Andrea gli corsero addosso urlando "Dade!"

Accennò a un sorriso e li abbracciò per poi continuare dritto verso l'entrata senza degnarmi di uno sguardo. Ci rimasi male.

Quando rientrai in casa lo vidi seduto sul divano insieme ad Adrian. Quest'ultimo notò la mia presenza, Dante invece non alzò la testa. Lo guardai per capire se facesse sul serio. Nessun movimento.

Cercando di rimanere serena, andai in bagno alla ricerca di un asciugamano. Iniziai a tamponare i capelli grondanti di acqua e nel frattempo feci per uscire, quando mi ritrovai proprio Dante davanti.

Ci eravamo accorti in tempo per non finire a sbattere l'uno contro l'altro. Si scostò subito per entrare in bagno dandomi le spalle, ma lo fermai.

"Fai sul serio?" chiesi infastidita. "Mi eviti?"

Si girò e mi guardò finalmente negli occhi. "Non ti sto evitando." Mentre lo diceva, spostò lo sguardo alla sua destra.

"Non mi hai salutato, facevi finta che non ci fossi" insistetti. Non capivo perché la cosa mi toccasse così, quella settimana senza vederlo mi aveva fatto sentire la sua mancanza. Nonna Ada era riuscita finalmente ad allontanarlo da me, ma forse iniziavo a non desiderarlo più così tanto.

Rimase in silenzio.

"Perché nemmeno mi guardi?" lo dissi ferita. Mi stupii della mia voce. "Mi stai ascoltando almeno?"

A quel punto incatenò il suo sguardo ai miei occhi. Poi lo spostò verso il basso con rapidità analizzando la mia figura. "Non riesco a stare concentrato così" confessò continuando a guardare il mio profilo.

Abbassai anche io lo sguardo per capire cosa ci fosse di così strano e vidi la maglietta bagnata aderire completamente al mio corpo mostrandone le forme.
Mi si attorcigliò lo stomaco. Non mi sentivo a disagio, ma si era creata una certa tensione.

Mi avvicinai a lui d'istinto e si irrigidì. "Voglio solo sapere perché fai finta che io non ci sia."

"E questo ti interessa veramente?" fece Dante. "Lo sto facendo per te. Non sei tu che non ci sei, ma io che non devo esserci. Se non mi sopporti, allora è meglio che io non ci sia."

E iniziai a piangere. Non capii il motivo, un po' perché mi era mancato, un po' perché credevo non mi volesse più vedere, un po' perché gli avevo fatto credere di non sopportarlo.
Lo abbracciai, ne avevo bisogno. In quei giorni non mi ero accorta del vuoto che si era creato senza la sua presenza.

Ero sicura che fosse sorpreso, forse anche confuso, ma ricambiò l'abbraccio, anzi strinse più forte e appoggiò la testa sopra la mia accarezzando i capelli.

"Non è vero che non ti sopporto" sussurrai.

Ci staccammo. Asciugai le lacrime.

"E allora perché l'hai detto? Sembravi sincera."

"Non lo so" mentii. Non potevo dirgli che il motivo fosse la sua ragazza.

"Tutto quello che facciamo, lo facciamo per un motivo."

Così dissi: "Avevo paura".

Mi guardò a lungo tanto da far diventare i suoi occhi un peso perché non riuscivo più a reggerli.
Per un attimo tutte le parole svanirono. Annullò ogni distanza e si avvicinò a un soffio dalle mie labbra.

"Dante!" Sentimmo Adrian richiamarlo. Un loro conoscente era finito agli arresti domiciliari.

Dante mi guardò un'ultima volta prima di raggiungerlo e rimasi lì, emotivamente confusa. Buttai fuori tutto l'ossigeno trattenuto e, per quanto per un attimo mi fossi sentita felice, pensai che Adrian mi avesse salvata dal commettere un errore.

Non avrei mai voluto essere la causa di una relazione finita. Dante aveva già una ragazza, io dovevo tirarmi fuori.

Feci spallucce come per consolarmi e andai in camera a cambiarmi facendo riaffiorare alla mente il modo in cui mi aveva guardata poco prima.

Mancavano pochi giorni al ritorno di mamma e papà ed io ero sempre più entusiasta. Sarebbero rimasti poco, ma mi bastava.

Nella mia vita avevo dei momenti in cui sentivo molto la loro mancanza, avevo bisogno di loro. Per svuotare la mente, ricordarmi che quello che facevo ogni giorno aveva un senso.

Volevo dimostrare di essere riuscita a tenerci uniti nonostante la loro assenza, perché miravo alla felicità di ognuno di noi.

In quel momento non riuscii a non ripensare a Luca. Era stato sempre al mio fianco, mi aveva tenuto compagnia, mi aveva aiutato ad essere spensierata nei momenti in cui la vita iniziava a farsi pesante e stressante.

Presi il telefono, guardai lo schermo spento a lungo. Lo accesi, osservai nuovamente lo schermo. Poi aprii la chat con lui e gli inviai un messaggio senza temporeggiare ancora. Gli chiesi semplicemente come stava. Senza aspettare risposta, lo spensi e lo lasciai sul comodino per uscire dalla stanza.

"Ada." Fu Agnese a parlarmi. "Sai dov'è la mia maglietta viola?"

Alzai gli occhi al cielo per aiutarmi a ricordare. "Ah sì. Devo ancora stirarla. Te la porto subito."

"Grazie Ada. Ariele mi ha detto che ci porta a cena."

"Ah sì?"

"Sì, proprio adesso. Ma Andrea e Alisia continuano a giocare fuori. Non si sono ancora cambiati i vestiti bagnati" disse.

Portai una mano in fronte. "Hai ragione, dovevo cambiarli prima!"

Corsi da loro. In effetti stavano giocando a rincorrersi. Nonostante il caldo, le loro magliette non erano ancora asciutte. Avrebbero potuto ammalarsi.

Li presi in braccio, Andri da un lato e Ali dall'altro. Non erano più piccoli come una volta e le mie braccia iniziavano a cedere per il peso; cercai di resistere.

Arrivata alla porta, la spinsi con la gamba per aprirla di più e feci per portarli in camera.

Dante mi vide in difficoltà e venne in mio soccorso prendendo Alisia in braccio e seguendomi.

Arrivati, appoggiai Andrea a terra e con il fiatone ringraziai Dante.

"Devi fare sempre tutto da sola?" chiese lui.

Non risposi e cambiai argomento. "Dobbiamo cambiarli. Ariele li porta a cena fuori."

"Tu non vai?" domandò.

"No" dissi.

"Perché?"

Ci riflettei. "Non ci ho pensato... non ho voglia."

Io e Dante eravamo di spalle, io aiutavo mio fratello e lui Alisia. All'improvviso Andrea iniziò a ridere. Ci guardammo per capire cosa fosse successo.

"Cosa hai visto?" gli chiesi, mentre lui continuava a ridacchiare e a indicare Dante sempre più confuso.

"Guarda," ridacchiò, "a Dade si vedono le mutande."

Mi girai e a quel punto risi anche io. Alisia non poteva vederlo. Dante rimase indisturbato.

"In effetti, dovresti alzare un po' i pantaloni" gli feci notare.

"No, credo che li terrò così. Anzi forse li abbasso un altro pochino" disse e nel mentre fece finta di abbassare i pantaloni per far ridere Andrea ancora di più.

E così, finimmo di vestire i gemelli mentre entrambi ridevano di Dante e del suo "stile".

"Andate da Ariele ora che siete pronti e aspettatelo di sotto." E così fecero. Si diedero la mano e andarono insieme in salotto per aspettare gli altri.

Ringraziai Dante per l'ennesima volta per avermi dato una mano.

"Che hai deciso di fare allora?" chiese.

Aggrottai le sopracciglia. "Restare a casa?! Forse uscirò a fare una passeggiata più tardi."

"Mmh..." Il suo telefono squillò, lo prese dalla tasca e rispose. "Adrian?"

Riuscivo a sentire la conversazione.

"Dante dove sei? Io e gli altri usciamo, vieni?"

Mi guardò pensandoci, poi disse: "No, oggi passo."

"Come vuoi, allora vado" fece Adrian e attaccò la chiamata.

Fui sorpresa. "E tu perché hai deciso di rimanere a casa?"

"Non ho voglia" ripeté le mie parole, al che scossi la testa.

"Cosa hai intenzione di fare allora?" domandai.

Finse di rifletterci su. "Credo che farò una passeggiata."

Risi e uscii dalla stanza. Fui subito fermata da Agnese che chiese di nuovo della maglietta viola.
Portai una mano in fronte, me ne ero completamente dimenticata, presa dai gemelli e da Dante.

Agnese comprese e, senza farsi troppi problemi, decise di sceglierne un'altra per non tardare.
Odiavo avere distrazioni, eppure ultimamente succedeva spesso. Non riuscivo più a stare dietro a tutto e la cosa mi turbava.

Feci avanti e indietro per i corridoi controllando le stanze assicurandomi che tutto fosse in ordine e che tutti fossero pronti per uscire.

Non mi restava che pensare a cosa preparare per cena. Per me. E per Dante.
Dopo un paio di ricette lette online, decisi che gli affettati fossero abbastanza.
Dante non si lamentò e mangiammo in silenzio.

"Io vado a cambiarmi," gli dissi per poi alzarmi, "così esco a camminare."

"Mmh e io vengo con te" affermò deciso.

Nemmeno provai a ribattere, convinta che non avrebbe funzionato. Andai dritta in camera per trovare un abbigliamento più comodo.
Dante mi aspettò e nel frattempo aveva sistemato la cucina.

"Ah quindi non sei del tutto inutile..." commentai.

"Così mi offendi cara Ada."

Uscimmo di casa e tra una parola e l'altra, non feci nemmeno caso al percorso che stavamo seguendo.

"Devo ancora capire con quale coraggio esci da sola alle nove di sera..." fece Dante.

"Non sono una bambina."

"Non è questo che voglio dire. Lo sai anche tu quante ne succedono. Fuori ci sono pazzi, maniaci, ubriachi che non perdono tempo ad avvicinarsi... a ragazze come te. Hai capito cosa intendo."

"Sì okay, ma posso difendermi. Non voglio rinunciare alle mie passeggiate."

Fece un sospiro. "Non ti sto dicendo di rinunciarvi, ma di non uscire da sola."

Il suo discorso aveva un senso, ma mi risultava difficile ammetterlo, perché ormai era diventato un momento tutto mio. Mi perdevo nei pensieri, riflettevo, mi rilassavo. Non volevo nessuno con me, per scelta. O almeno così credevo.

Ognuno a casa aveva il proprio momento. Per Ariele era lo studio, nessuno osava disturbarlo. Adrian ne aveva anche troppi; il pomeriggio non rinunciava ai riposini e la sera a stare in compagnia dei suoi amici. Persino i gemelli ogni tanto si separavano per passare del tempo con loro stessi. Gliel'avevo insegnato io, per evitare di litigare e ritagliarsi un attimo per loro stessi. Funzionava per loro che erano più piccoli, così come per noi grandi.

Alzai lo sguardo verso il cielo e notai la luna piena. Alla sua vista mi emozionavo ogni volta come se fosse magica. Anche se in fondo per farmi quell'effetto, doveva pur esserci un qualcosa di sovrannaturale.
Mi fermai per contemplarla meglio.

"Ehy Dante" e sventolai la mano alla mia destra per cercare di colpire la sua spalla, invano. "Guarda che bella luna."

Nel mentre sorridevo affascinata. Non ricevetti risposta, così mi girai lentamente e Dante non c'era. Iniziai ad agitarmi e con uno scatto mi voltai alla mia sinistra. Vuoto. Avanti, dietro, destra, sinistra di nuovo. Circondata dal nulla.

Non sapevo nemmeno dove mi trovavo, non riuscivo ad orientarmi. Proprio perché ero pessima in questo, ogni volta seguivo la stessa strada.
Quando uscivo da sola, non ero spaventata perché conoscevo i posti in cui andavo, sapevo che distavano poco da casa e c'era sempre qualche conoscente nelle vicinanze.

"Dante!" urlai con voce tremante. Ormai era buio pesto, iniziavo a congelare. Ripetei il suo nome un'altra volta, poi di nuovo e ancora da varie angolazioni.

"Per favore, Dante! Dove sei?" tentai ancora nella speranza che potesse sentirmi. Non riuscivo a comprendere come fosse stato possibile perderlo di vista e per la poca lucidità non riuscivo a darmi una risposta. "Non posso morire così!"

Ecco l'Ada tragica. Era più forte di me.

"Non puoi." La voce dapprima mi spaventò. "Hai solo sedici anni. Hai una famiglia. Una vita davanti. Devi ancora leggere l'ultima pagina del diario di nonna. Devi rivedere i tuoi genitori... E non hai ancora dato il tuo primo bacio."

Rimasi impalata per qualche secondo e poi presa da un istinto violento iniziai a colpirlo, sempre più forte, sul petto. "Ma sei matto?! Che ti dice la testa? Mi sono spaventata a morte! Ho zero senso di orientamento, non so dove mi trovo e tu hai pensato bene di farmi uno scherzo! No seriamente, cosa ti dice la testa??"

"Calmati Ada." Cercò di divincolarsi dai miei colpi. "Pensavo che fossi abituata a stare da sola fuori..."

"Sì, ma io vado sempre nella stessa direzione. Percorro la solita strada. Dato che ero con te, non ci ho fatto caso, non so dove siamo. Cavolo, perché non ci hai pensato?" parlai velocemente.

"Perché io non penso mai, faccio e basta" disse sorridendo. Vederlo così tranquillo mentre io avevo il battito accellerato mi faceva rabbia.

Iniziai a camminare. Continuavo a non conoscere la via, ma in quel momento non stavo ragionando, volevo solo allontanarmi da lui che però mi seguì.

"Che fai?" chiese.

"Quello che fai tu: non penso, faccio e basta" risposi.

"Te la sei presa così tanto?" continuò da dietro mentre cercava di tenere il mio passo.

Non fiatai.

"E dai, Ada."

A quel punto accellerò leggermente per poter afferrare il mio braccio e costringermi a voltarmi.

Pochi secondi e, seguendo la sua filosofia del fare e non pensare, le sue labbra si ritrovarono sulle mie. Non ebbi tempo di riflettere e mi lasciai trasportare dal momento, finché il rumore di un grillo non mi riportò alla realtà e mi staccai scacciando il sorriso dal mio volto. Era stato un errore. Un grosso errore.

Mi guardò stranito, confuso.

"Perché lo hai fatto?" sibilai.

Poi ripresi a camminare cercando di ricordare la strada del ritorno. Fu grazie a Dante che riuscimmo a raggiungere la casa, ma come se non bastasse, avevo dimenticato le chiavi, così fummo costretti ad attendere il ritorno di Adrian.
Rimanemmo seduti sulle scale, in un silenzio imbarazzante, ad aspettare.

Non riuscivo a stare in pace con me stessa ripensando all'accaduto. Ma soprattutto, mi chiedevo come sarebbero andate le cose in altre circostanze, se Dante non fosse stato fidanzato...

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Autrice

Vi sta interessando la storia? C'è qualcosa in particolare che credete debba essere approfondito?

In attesa del prossimo capitolo, bombardatemi di commenti nella speranza che questo mi aiuti a scrivere!

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