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Alis

Venerdì

Appena vidi Nathan, sorrisi e fermai la musica che ero solita ascoltare quando ero da sola, mettendo le cuffiette arrotolate casualmente dentro la prima tasca disponibile del mio cappotto. Il giorno prima avevamo deciso di andare a scuola insieme, tanto ci eravamo divertiti a guardare film in compagnia dell'altro. La sua casa distava pochi minuti dalla mia e non erano molti i metri a separarci dalla scuola, così l'idea migliore era fare due passi per spendere più, anche se poco, tempo assieme. 

"Stavo pensando..." cominciò senza nemmeno darmi il buongiorno e avviandoci. "Se ogni giovedì ci guardassimo un film? O potremmo iniziare una serie..."

"No, sono troppo curiosa per aspettare una settimana per poter continuare una serie! Però l'idea mi piace. Ogni giovedì sarà la nostra serata film!" esclamai iniziando già a pensare a qualche titolo nuovo, non volevo trovarmi impreparata come l'ultima volta. 

"Bene, anche io sono entusiasta! Il mio cervello lavora più del dovuto o queste idee brillanti non si spiegano." Rimasi spiazzata ed ero pronta per scoppiare a ridere, ma mi trattenni e aspettai che continuasse. "Come si diceva? Ah sì, ho il quoziente intellettivo alto. Come quei bambini che si annoiano alle elementari perché già sanno tutto..."

Scossi la testa allibita e mi limitai a sorridere: "Penso proprio che non hai appreso il significato di avere il quoziente intellettivo di quei bambini di cui parli. A proposito... ho sentito di un film basato su una storia vera di questo genere, potremmo vederlo!"

"Già, così confermeremo la mia intelligenza." Non badando alle sue parole, pensai di dover scrivere una lista di tutti i film che mi venivano in mente così da eliminarli una volta visti. Lo avrei fatto in classe, perché data la mia scarsa capacità di memoria a casa lo avrei sicuramente dimenticato. 

Iniziò a raccontarmi come sarebbe andata la sua giornata con supposizioni varie affiancate dalle descrizioni dei suoi insegnanti, nessuno di loro gli andava a genio, a eccezione della professoressa di matematica. Probabilmente era la materia in sé a piacergli, non chi la insegnava. Restai ad ascoltarlo senza interromperlo, era carino quando parlava così tanto. Iniziai a pensare che forse non aveva amici con cui confrontarsi ed esprimere le sue idee e ci rimasi un po' male; chissà se i Kings gli mancavano o se l'odio sovrastava la nostalgia. Mi parve strano non avesse contatti con nessun membro, in fondo qualcuno di loro era anche gentile e comprensivo, ero sicura che Aron per esempio non lo avrebbe giudicato per essersene andato. 

Arrivati a scuola, fece una pausa per controllare l'armadietto. "Non è nemmeno qui" borbottò e sbuffò.

"Cosa?" chiesi osservandolo spostare i libri da un lato all'altro un paio di volte.

"Il libro di storia, non lo trovo più. Non è né a casa né sull'armadietto."

"Hai controllato bene? Sicuro di averlo perso?" Annuì e spiegò di avere un'interrogazione in vista. Cercai di trovare le parole giuste per tranquillizzarlo: "Chiedi a qualcuno di fare delle fotografie e inviartele, così puoi studiare."

"Giusto, dalla preoccupazione non mi era venuto in mente" risi leggermente. Si avvicinò Matthew e mi parve strano siccome tra lui e Nathan era chiaro che non scorreva buon sangue. All'inizio faticai a capire il suo avvicinamento, poi notai un libro sulle sue mani.

"Lo avevi dimenticato in classe" disse privo di emozioni e porse il libro a Nathan rimasto confuso.

"Buongiorno Matt" lo salutai e mi sorrise. Rimase a guardarmi con il sorriso per molto fino a darmi il buongiorno anche lui. Nathan aveva osservato la scena dove lui sembrava fosse un intruso, limitato a fare l'osservatore. Mi vennero le farfalle nello stomaco immaginandolo come terzo in comodo, ma cercai di togliermi quella sensazione distraendomi con altri pensieri.

"Raggiungo i Kings. Alis, ci vediamo questa sera" e con un ultimo sorriso, si allontanò. La prima affermazione mi aveva delusa, ogni volta che immetteva i Kings nel discorso mi rendeva triste. Non c'era nemmeno un'occasione nella quale non li avesse nominati. Alla fine la cosa non mi riguardava, semplicemente mi infastidiva un po'. Anche Nathan sembrava avesse preso male la prima frase. Forse Matthew gli mancava e con lui tutto il gruppo. Era una brutta sensazione vivere nel loro presente senza conoscere il passato, vedevo la nostalgia, la percepivo, ma non sapevo a cosa era dovuta. Se fosse stata una così grande amicizia, perché abbandonarla?

"Alis, ti dispiace se vado in classe?" mi riprese sistemando il libro ritrovato insieme agli altri.

"No assolutamente, vado anche io." Non ci salutammo dando per scontato che ci saremmo rincontrati, a ricreazione o all'uscita. In classe, come ogni giorno, il primo pensiero a fiondare nella mente era quello di dover affrontare un giorno scolastico in compagnia di due ragazzi particolari. Sì, particolari era un aggettivo perfetto! Né offensivo, né elogiativo. Il primo dei due irruppe nell'aula facendo la sua entrata appariscente a differenza di quella dell'amico che si rivelava indifferente e quasi intimidatoria, come soleva far sembrare Dan.

"Hai detto di essere venuta nel Bronx quest'anno, eppure hai fatto diverse conoscenze" notò Alan sedendosi.

"Il fatto è che, conosciuto un membro dei Kings, finisci per fare conoscenza di tutti."

"Giusto. Ma Nathan non lo è" precisò.

"Lui è stato un caso. Le conoscenze fatte sono state soprattutto dovute a mia cugina. Il resto tutte casuali." Forse lo avevo confuso ma non avevo voglia di spiegare nuovamente. Ashley era l'unica persona che conoscevo veramente nel Bronx essendo mia cugina, da lì avevo fatto amicizia con Justin e Michael. Ricordando le settimane passate, mi ricordai di Ryan, incontrato alla festa di Dan. Sembrava che non lo conoscessi più, un estraneo, nonostante gli avessi dato il mio primo bacio. Com'era possibile?
Feci un gesto strano davanti al mio viso per smettere di pensare troppo e Alan lo notò chiedendo cosa significasse.

"Nulla, devo solo smettere di ricordare" spiegai. Avrei potuto non farlo, ma era liberatorio rispondere di getto senza avere ripensamenti. Anche lui sembrò immergersi nei pensieri dopo la mia affermazione e non osai disturbarlo.

Quando arrivò Dan, l'aria cambiò decisamente. Si sedette di peso buttando lo zaino nel primo spazio vuoto che trovò vicino a lui. Non salutò né tantomeno sorrise, il solito sguardo arrabbiato che sembrava avere solo ed esclusivamente in mia presenza. Lasciai anche lui nel suo spazio, senza infastidirlo e cercai un modo per distrarmi e per non farmi cadere in tentazione dal chiedergli perché tutta quella negatività.
Anche quel giorno mi risultò difficile concentrarmi, anche se la causa era il resto della classe. Mi girai verso Michael e feci un'espressione frustata, rise continuando a prendere appunti. Mi divertii cercando di mantenere gli oggetti nel mio astuccio in equilibrio: la penna blu sopra alla rossa, la matita sopra alla gomma e il righello a creare un ponte. Alan guardò strano il mio lavoro, mi girai verso Dan e la sua non reazione quasi mi preoccupò. Scossi la testa in direzione di Alan come per chiedere cosa avesse quel giorno che non andava, ma non seppe darmi risposta. Probabilmente era solo il suo carattere.

"Può darsi si è innamorato..." pensò Alan.

"Vi sento" esordì Dan alzando lo sguardo verso di noi e quando sorrisi lo assottigliò.

"Ah Alis, dà una festa questo sabato. Ci sei vero?" ricordò Alan. Non avevo nemmeno il bisogno di rifletterci su: "No."

"Infatti non sei invitata" aggiunse Dan. Se credeva di ferirmi, non era così, stranamente non in quel caso. Invitata o non, non sarei andata alla festa, non mi divertivo.

Presi un foglio e iniziai a scrivere qualche titolo di film affiancato da un piccolo quadratino vuoto. Lo mostrai a Nathan quando ci fu l'intervallo e lo osservò attentamente barrando quelli che aveva già visto, non amava rivedere gli stessi film.

[...]

"Perché non posso?"

"Alis, è buio, è pericoloso uscire a quest'ora" si preoccupò nonna ed entrò in sala anche papà ascoltando la conversazione.

"Non sarò sola, ci sarà Matthew con me" spiegai.

"Chi è Matthew?" si intromise papà.

"Un amico." Nonna era contraria al farmi uscire a quell'ora, ma era stato Matt a deciderlo. Sicuramente aveva avuto le sue ragioni.

"E cosa vorrebbe fare?" continuò. Come facevo a spiegare senza essere fraintesa? Se avessi detto che aveva in mente di farmi una sopresa, avrebbero pensato fosse il mio fidanzato, ma non era così. Voleva portarmi in un posto, a me ignoto e non conoscere il luogo in cui mi sarei trovata, li avrebbe preoccupati maggiormente.

"Vuole mostrarmi una cosa" risposi banalmente.

"Verrà a prenderti qui?" Annuii e decidette che avrebbe chiesto al diretto interessato quali intenzioni avesse. Speravo non sarebbe stato imbarazzante.

Quando il campanello suonò, andai ad aprire. Sembrava più agitato del solito e mi salutò con un "hey". Lo feci entrare e subito mio papà gli si avvicinò.

"Salve" gli porse la mano, ma papà si pietrificò e non fece nemmeno caso al gesto. Capivo perfettamente cosa era successo, quello che provavo io ogni volta che vedevo Matthew negli occhi. Papà non piangeva mai, eppure quella volta una lacrima tenera scivolò con rapidità sulla guancia. Il contatto con la goccia lo fece tornare alla realtà, strinse la mano di Matt e disse: "Piacere, padre di Alis."

"Matthew Morris."

"Morris? Mi sembra un cognome già sentito..." Non gli venne in mente, restò a pensarci a lungo. Nonna si avvicinò e gli strinse anche lei la mano.

"Quindi ora ho il vostro consenso?" chiesi, non potevamo trattenerci oltre, avrei potuto mandare all'aria i piani.

"Sì sì" rispose papà, forse troppo in fretta, ma approfittai comunque del momento per salutarli e uscire. Una volta fuori, risi.

"Che succede?"

"Non volevano farmi uscire, perché dicono che il Bronx sia pericoloso."

"Lo è." Non mi aspettavo quella risposta.

"Perché dici così?" Ci avvicinammo alla macchina ed entrammo.

"L'esperienza personale mi porta ad affermarlo." Mi lasciò perplessa, non sapevo a cosa si riferisse e nemmeno se l'avrei mai scoperto, sapevo solo che era turbato e triste e avrei voluto abbracciarlo per farlo sentire meglio. "Però dobbiamo essere positivi, curiosa di dove andremo?"

"Un po' sì..." e si voltò verso di me sorridendomi.

Dopo pochi minuti fermò l'auto in un parcheggio vuoto e uscimmo. Mi guardai intorno confusa quando sentii il contatto della sua mano sulla mia, mi trascinò fino a un parco, anch'esso deserto, ma fornito di giochi e panchine vari. Lasciò la mano per avvicinarci ai due scivoli e immediatamente sentii una mancanza e un rivolo di freddo pervadere la mia mano. Si sdraiò sullo scivolo e mi fece cenno di fare lo stesso su quello accanto.

"Guarda su" sussurò e alzando la testa mille scintille bianche occuparono la mia traiettoria visiva. Era spettacolare, erano così chiare e lucenti. Amavo le stelle, amavo il cielo. E ogni volta che lo guardavo, era una nuova avventura, era sempre un continuo meravigliarsi, come se fosse la prima volta.
"Ti piace?"

"Adoro le stelle, non avrei mai pensato mi avresti portata qui."

"Di tanto in tanto servono dei posti tranquilli... in questo parco non viene quasi nessuno, ma è sempre stato il mio preferito."

"Perché?" mi incuriosii restando ad osservare i puntini bianchi.

"Non avevo molti amici, preferivo stare da solo e questo era il parco perfetto."

"Venivi da solo fin qui?" chiesi meravigliata spostando il mio viso nella sua direzione e, come se avesse percepito il mio movimento, anche lui si voltò e potei osservare altre due stelle luminose più da vicino.

"In realtà venivo con mio fratello... e un amico" tornò nella posizione precedente togliendo lo sguardo dal mio.

"Eravate piccoli? Ti ricordi di lui?"

"Era Nathan" sussurrò. Restai in silenzio. Mi sentivo così tranquilla, sapevo che fosse tutto più bello la notte, più magico, calmo.

"Non avevate paura?" Se la notte si raccontavano storie, ero sempre molto curiosa, ne volevo sapere di più. Avrei voluto che mi parlasse di suo fratello, di cosa gli era successo, nonostante gli pesasse e magari mi sarei fatta avanti anche io con le mie debolezze. Avrei voluto che raccontasse tutta la sua vita, il perché di determinate decisioni. Di Nathan, dei suoi genitori, delle sue passioni... ne avrei voluto parlare, tutto in quell'unica notte. Ma era impossibile e mi abituai all'idea che avrei sentito poche delle cose a cui avevo illuso.

"Con le persone a cui tieni, non hai paura di niente. È come se insieme foste più forti. Se qualcuno ha un problema, l'altro prova a risolverlo. Eravamo una squadra in cerca di avventure" per tutto il discorso non mi guardò, forse era difficile per lui farlo. Quando iniziai a convincermi di quello, si girò: "Non hai mai avuto qualcuno su cui contare?"

Abbassai lo sguardo tristemente e risposi: "Non proprio".

Avvicinò e posò la sua mano gelida sulla mia guancia, mi abituai al contatto e mi lasciai coccolare dal pollice che muoveva delicatamente. Tramite quel movimento percepivo affetto, una mancanza colmata improvvisamente.
"Scusa" disse poi e scansò la mano. Non riuscii nemmeno a tranquillizzarlo ripensando a quel gesto di cui sentivo la mancanza.

"Guardavate spesso le stelle?" All'inizio non capì. "Tu e la tua squadra."

Rise leggermente: "Di solito quando c'erano le feste, perché avevamo una scusa per uscire: Halloween, la vigilia di Natale... eravamo sempre qui. Lì ci stava Nathan e Joan si sdraiava sull'erba."

"Parli mai di lui?" non avevamo più perso il contatto visivo, i nostri occhi erano ormai incatenati, non c'era più la paura di parlare.

"In realtà no." Da un parte lo apprezzai, dall'altra mi sentii quasi a disagio. "Ho anch'io una domanda per te."

Non risposi, non domandò, aspettò qualche istante guardandomi negli occhi, non aspettava un consenso, voleva solo godersi l'attimo o almeno era quello che anche io facevo.

"Certe volte ti blocchi quando mi guardi, questo dettaglio non è passato inosservato perché non mi è indifferente. Sono stato tutte le sere a pensare se fossi io il problema. Adesso invece è tutto tranquillo, mi guardi senza distogliere gli occhi dai miei..." Mi sentivo in colpa a immaginare le sensazioni che aveva provato ogni volta. Era successo anche con papà prima ed era il momento di dargli una spiegazione chiara.

"I tuoi occhi. Sono loro la causa. Sai, sono dello stesso colore di quelli di mia madre e ogni volta che li vedo, rivedo in te lei. Ora è più semplice, perché è buio e le iridi si confondono con il buio. Ti dovrei delle scuse, non lo faccio di proposito, mi blocco senza volerlo."

"Non devi scusarti Alis... arriverà il giorno in cui quando mi guarderai penserai solo a me" mi sorrise quasi maliziosamente, ma sapevo che quel gesto non era fatto con cattive intenzioni. Anche io avrei voluto pensare a lui, pensare a mia madre mi faceva solo stare male. Senza volerlo, sentii un peso scrollarsi di dosso sotto forma di lacrime. La morsa alla stomaco svanì lentamente e iniziai a sentirmi quasi meglio senza capire da dove provenisse il dolore.

"Alis" sussurò Matt addolorato e dispiaciuto accarezzandomi di nuovo la guancia.

"Penso che non smetterò mai di pensare a lei e il suo ricordo è sempre più opprimente" dissi lentamente, "e accumulo dolore. Non sono l'unica a cui è successo un episodio simile, ma tutti lo vivono in modo differente. Non smetto di pensare a quanto per me sia stato un trauma, non ho potuto colmarlo con niente fin'ora. Chissà se riuscirò mai a superarlo. Mi porto ancora troppi rancori con me..."

"Ti capisco... so come ti senti." Dimenticavo ogni volta di suo fratello, utilizzava sempre il passato con lui e significava solo una cosa.

"Perché non ti sfoghi anche tu?" azzardai a chiedere timorosa. Non sembrava molto convinto all'inizio poi cambiò idea.

"Non mi sfogo spesso, perché rende triste anche me. All'inizio stentavo a crederci, ero abituato ad avere mio fratello sempre in casa, veniva in camera mia per cercare di convincermi... a entrare nei Kings. Quando se ne andò... colmai il vuoto con la rabbia, ero arrabbiato con me, con tutti. Ho smesso di sperare." Mi ci ritrovavo nella sue parole, anche io avevo perso la speranza, forse non l'avevo mai avuta. Non avevo avuto il tempo per sperare, oramai era inutile. Su cosa potevo sperare? A un miracolo? Mamma non sarebbe più tornata.

"Non ne parli mai neanche con i tuoi amici? Intendo con i Kings." Alla fine erano loro i suoi amici.

"Parlo soprattutto con Dan, lui non mi giudica e riesce a capirmi. Penserai sia strano da parte sua, ammetto che ha uno carattere difficile, ma se lo conosci veramente, ti affezioni." Già, magari fosse così.

"Guarda lì!" indicai con gli occhi che brillavano.

"Il grande carro..." esclamò lui. Era l'unica costellazione che riuscivo a riconoscere. Rise leggermente dal nulla e gli chiesi il motivo. "Mi è venuto in mente un aneddoto."

"Oh" fu l'unica espressione che mi uscì dalla bocca e lo lasciai continuare.

"Ero un bambino fantasioso. Credevo che le stelle fossero sogni. O meglio, pensavo che i sogni che le persone facevano si trasformassero in stelle. Prima di andare a dormire controllavo sempre il cielo, non era mai lo stesso, quindi mi convincevo sempre di più della mia ipotesi" e sorrise ancora, una scintilla sfiorò le sue iridi.

"Quando hai scoperto di aver torto?"

"Non ricordo precisamente, ma ci rimasi male. Sarebbe stato di gran lunga un mondo più bello se la mia ipotesi fosse giusta. Si vive di sogni e sarebbe bello avere un ricordo di essi da qualche parte."

"I sogni rimarranno sempre impressi nella nostra mente" affermai avvicinandomi alla sua spalla e appoggiandoci la testa.

"Forse, anche se non li ricordiamo probabilmente sono ancora lì, ma sarebbe troppo banale. Pensare che le stelle siano sogni è più magico..." In effetti aveva ragione. Nemmeno da bambina avevo avuto pensieri così fantasiosi e improvvisamente avrei voluto averli. Mi immaginavo Matthew da piccolo che con gli occhioni azzurri curiosi si avvicinava alla finestra della sua camera, spostava la tenda e osservava le stelle studiandole. Poi magari entravano i suoi genitori e lo sorprendevano sveglio e in piedi e lui doveva affrettarsi a rimettersi sotto le coperte per iniziare un sogno destinato ad occupare un nuovo posto nel cielo.

"Pensavo anche che le stelle più brillanti fossero i sogni più belli e di conseguenza, quelli non visibili a occhio nudo, gli incubi" aggiunse.

"Avevi qualche sogno da piccolo?" domandai. Se era così curioso, doveva pur avere qualche ambizione e desiderio.

"Avevo sogni strani, i tipici sogni da bambino. Volevo fare l'astronauta all'inizio, poi scoprii la dura verità sulle stelle e smisi per un po' di incuriosirmi. Ma ora ho tre sogni principali... alcuni sono impossibili, altri dovrò scoprirlo. Ho collegato i miei tre sogni a una costellazione: la cintura di Orione, perché è formata da tre stelle. Sono tutte poste in fila, è facilmente riconoscibile" spiegò.

"Ora quali sono i tuoi sogni?"

"Il primo riguarda Joan, è uno dei sogni impossibili. Lo vorrei di nuovo qui con me" guardò il cielo "magari lì sdraiato sull'erba..." Si fermò un attimo e riprese: "Il secondo sogno è di ricominciare la mia vita, in un modo migliore... essere giusto. E la terza stella, Bellatrix, la più luminosa delle tre, è per il terzo sogno, avere una ragazza accanto a me che stia al mio fianco per tutta la vita."

Sorrisi, mi piaceva quando si dava significato alle piccole cose e Matthew ci era riuscito con le stelle. Era riuscito a farle diventare più interessanti di quello che già erano. Ogni volta che le avrei guardate, automaticamente avrei pensato a lui. Il suo discorso aveva un senso. Alla fine i sogni erano desideri e i desideri potevano essere soddisfatti o meno. Joan era un sogno irraggiungibile ma rimaneva comunque tale. Non avevo ben capito cosa intendesse con ricomiciare la sua vita in un modo migliore, sicuramente aveva le sue ragioni. Il terzo punto era molto dolce, aveva dedicato la stella più luminosa tra le tre alla futura donna della sua vita.

"Dedicheresti mai una stella a qualcuno?" chiese voltandosi verso di me, lo faceva quando era interessato e preso dalla risposta.

"È sicuramente molto profondo... ma non sono esperta di costellazioni nonostante mi incuriosisca la loro storia" confessai.

"Secondo me è qualcosa di diverso... non dedichi una canzone, né una poesia, semplicemente una stella. Sono molte le storie, i miti che girano intorno ad esse. Ne ricordo alcuni, da piccolo leggevo un libro dove erano scritti tutti i vari racconti e nel frattempo guardavo fuori dalla finestra facendo finta di riconoscere le costellazioni." Quasi lo invidiavo. Io non avevo avuto passioni del genere da piccola e mi faceva piacere sentirlo parlare delle sue.

"A me quale stella dedicheresti?" Ero un po' imbarazzata, ma allo stesso tempo curiosa di sentire il suo pensiero.

"Un giorno te lo dirò" sorrise lasciandomi con l'ombra del dubbio.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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