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Alis

Martedì

"Ieri sono stata la prima ad entrare nell'autobus. Ti aspettavo, ma non sei arrivato."

"Già, ho fatto tardi. Sono tornato a piedi" disse Nathan pensieroso.

"Okey va bene, la prossima volta ti aspetto fuori, così se mai dovessi essere in ritardo, andiamo a piedi insieme" sorrisi. Tirai fuori qualche titolo di film da poter guardare giovedì e li commentammo insieme. La metà li scartava solo perché i titoli non erano originali, o almeno quella era la sua scusa; in realtà erano di genere romantico e non andava pazzo per i film d'amore.

"Facciamo che scelgo io" esclamai con un'idea in testa.

"Ti lascio fare."

A scuola ci separammo e mi fiondai in classe, ero tra i primi già dentro. Quando venivo a piedi con Nathan, venivo sia in anticipo che in ritardo, dipendeva dall'orario in cui si svegliava e dal passo mantenuto. Sul banco notai una scritta: "Ti va di uscire oggi? Matt."

Per quanto fossi sorpresa, non potevo accettare, avevo già un impegno. Io e Nathan, come ci eravamo promessi tempo prima, dovevamo andare alla pista di skateboard. Non mi sembrava il caso di rifiutare anche perché ero stata io a supplicarlo. Non feci in tempo a cancellare che entrò Dan e iniziò a fare battutine come al solito.

"Siete passati al livello successivo? Messaggini scritti sui banchi?" Poco mi interessava il suo pensiero, lo faceva solo per ferirmi. Anche Alan entrò in classe poco voglioso di fare lezione. Quel giorno sembrava anche particolarmente assonnato e sbadigliava ogni due per tre. A lezione fu ripreso più volte per la poca attenzione, così gli chiesi quale fosse il problema. Rispose di non aver dormito per i troppi pensieri che aveva in testa, al che gli proposi di prendere un caffè alle macchinette durante la pausa e non poté che accettare.

Quando uscimmo però fui bloccata da un corpo, un contatto che mi fece rabbrividere, avevo letteralmente abbracciato il busto e potevo sentire i muscoli. Ero pronta a sentirmi in imbarazzo. Quando alzai il capo istintivamente, vidi un sorriso accogliermi, il sorriso di Matt.

"Stai comoda?" ridacchiò e mi allontanai subito sentendo la necessità di quella vicinanza. La verità era che stavo veramente bene e faceva strano solo pensarlo.

"Scusa non ti avevo visto." Stavo andando letteralmente a fuoco, un po' per il disagio un po' per aver sentito qualcosa nello stomaco.

"Qual è la tua risposta?" Ci misi qualche secondo per capire la risposta che cercava riferita al messaggio lasciatomi sul banco.

"Non posso" faticai per dire quelle due parole soprattutto perché sentivo dei forti sensi di colpa.

"Cosa c'è di più interessante di un'uscita con me?" La presenza di Alan mi imbarazzava maggiormente, potevo definirmi fortunata solo perché era mezzo addormentato.

"Nathan. Cioé non che sia più interessante, ma da tempo avevamo pianificato un'uscita" puntualizzai senza dare troppi dettagli e vidi il suo volto trasformarsi in quello di un cucciolo. Il cuore batteva sempre più forte, i suoi occhi mi tenevano incollata a tutta quella tenerezza. Sembrava di essere appena stata punta dalla spina della rosa più bella del campo, mi sentivo tremendamente in colpa per aver dovuto rifiutare e il suo sguardo dolce non aiutava. Un ciuffo biondo gli ricadeva sulla fronte in modo buffo e, come se mi avesse letto nel pensiero, portò una mano sui capelli per sistemarli.

"Alis ci sei o vado da solo?" mi riprese Alan con la voce stanca. Matthew era leggermente infastidito e pensai avrebbe chiesto dove stessimo andando, ma non lo fece.

"Appena non hai impegni, vieni con me" fece l'occhiolino e se ne andò per primo.

"Pff, non gli hai nemmeno detto di sì" si lamentò Alan, "ho troppo sonno per replicare."

Non andai oltre, presi il suo caffè e glielo diedi. Nemmeno il tempo si raffreddasse che lo finì, ustionandosi sicuramente la lingua. Non fece però nessun verso di dolore, continuò a chiudere le palpebre di tanto in tanto e non azzardai a raggiungere l'aula, si sarebbe addormentato durante il tragitto. Una cosa era certa, aveva una grande preoccupazione per la testa per essere ridotto in quelle condizioni. Capitava anche a me, quando pensavo spesso al passato. Forse era successo anche a lui, ma dubitavo. Magari dietro c'era altro. Troppi dubbi si accumulavano giorno dopo giorno e non riuscivo a darmi pace.

"Sei intero? Tra poco dobbiamo entrare."

"Sì ci sono, la prossima volta mi conviene stare a casa" e sbadigliò staccandosi dal muro utilizzato come appoggio. Utilizzò i pochi minuti dell'assenza del docente per riposarsi, ogni momento era buono.

"Quindi oggi esci con il tuo finto fidanzato?" La voce di Dan arrivò fastidiosa e colma di cattiveria alle orecchie.

"Ci risiamo? Pensavo la storia del finto fidanzato fosse acqua passata" mi lamentai. Quello che proprio non mi andava giù era che si dicessero sempre tutto, anche i dettagli più inutili. Perché Matthew gli aveva detto della mia uscita con Nathan, a cosa serviva a Dan quella informazione se non utilizzarla per farmi innervosire?

"Non passerà mai... cosa farete di così entusiasmante?"

"Perché dovrei dirtelo? Nemmeno ti interessa."

"In effetti non mi interessa" e restò muto, prese il telefono e riuscii a vedere l'icona di qualche social. Sbuffai, il suo carattere era sempre meno comprensibile.

Dopo aver passato l'intera mattina a scuotere Alan per non farlo addormentare, il pomeriggio raggiunsi invece la casa di Nathan. Non era ancora sceso, così mi vidi costretta a suonare il campanello e si fiondò ad aprirmi affannato.

"Scusa stavo sistemando la mia stanza e sono venuto ad aprirti di fretta" e fece spazio per farmi entrare. L'ordine che c'era in quella casa faceva quasi preoccupare. In fondo ci abitavano solo lui e suo padre, due uomini che non riuscivo a immaginarmi a fare le pulizie. Probabilmente chiamavano qualcuno per dargli una mano. Per togliermi la curiosità, glielo chiesi.

"No, sono io a sistemare." Spalancai la bocca. "La maggior parte del tempo mio padre lavora, così nella solitudine mi ritrovo a pulire."

"Questo sì che è triste" lo stavo pensando e finii per dirlo ad alta voce.  "Ti servirebbe una Alis ad aiutarti. Adesso che ci siamo, finiamo di sistemare insieme camera tua."

"Forse è meglio se lo facciamo dopo, il cielo non ci metterà molto a rabbuiarsi. Prendo una giacca e arrivo." Si allontanò e restai ad osservare l'abitazione, me la ricordavo perfettamente. Dalla moltitudine di oggetti, ogni angolo era rimasto impresso nella mente. Notai la console e il joystick appoggiato sul tavolino e lo immaginai giocarci da solo. Improvvisamente mi sentii così triste per lui, era esattamente come me poco tempo prima: sola. E realizzai come fossero passati velocemente gli anni, senza sogni, senza speranze, con il vuoto più totale.

"Eccomi" esclamò energico, "passiamo in garage a prendere due tavole e andiamo."

Con le chiavi spoglie chiuse la porta e avanzò verso il garage. Lo aspettai rigidamente fuori, quando arrivò con due skateboard in mano: uno nero e l'altro blu.

"Questo nero è mio, questo l'ho preso per te" e mi diede quello blu. Il colore non mi dispiaceva. E ci incamminammo verso la pista. Da piccola non ci ero mai andata, quel posto per me era nuovo. Era un parco immenso con pochi giochi, al centro era situata la pista delimitata da un recinto. Già un paio di persone stavano facendo dei giri con lo skate.

"Pronta?" e con uno scatto portò la tavola per terra e raggiunse l'interno della pista, non molto grande ma d'effetto. Guardai un po' spaesata intorno a me e anch'io appoggiai a terra lo skate. Lo guardai per qualche secondo e salii sopra con entrambi i piedi, non sapevo nemmeno io cosa stavo facendo, studiando la tavola in qualche modo. Scesi e risalii con un solo piede aiutandomi con l'altro a spingere per muovermi. Alla prima spinta, utilizzai troppa forza e lo skate volò a pochi metri da me. Non pensavo fossi così tanto negata. La seconda volta, dimenticai di salire con l'altro piede e finii per fare dei saltelli. La terza ci riuscii, anche se per cinque secondi. Nathan ridacchiò.

"Dovresti aiutarmi invece di ridere!"

"Scusa, è da un po' che non ci salgo nemmeno io. Mi stavo accertando che ci sapessi ancora fare."

"Va bene, ma ora vieni qui" dissi un po' in difficoltà. Mi fece un discorso sull'equilibrio prima di passare alla pratica.

"Devi concentrarti all'inizio, poi ti verrà facile. Quando spingi con il piede sinistro, devi stare pronta ad alzarlo e spostare l'altro per fare spazio" e mi mostrò la mossa. "Controlla la velocità che utilizzi. E di tanto in tanto quando stai rallentando, fai gli stessi movimenti, ma penso che questo ti venga spontaneo."

Avevo imparato a non dare mai nulla per scontato, così tenetti a mente ogni singola parola e riprovai. Non aveva aggiunto nulla di più a ciò che già non conoscevo, ma avevo acquisito più autostima e sicurezza. Così riuscii a fare un tratto della pista lineare con lo skate.

"Passiamo al livello successivo?" e osservò le curve.

"Non pensi abbiamo poco tempo?"

"Ci sai andare, quindi possiamo già passare alle rampe. Su quella là piccola" e la indicò a pochi metri. C'erano dei bambini lì vicino, gli adolescenti e gli adulti erano sulle strutture più grandi. La maggior parte non era concentrata sulla pista, bensì sul resto del parco; chi passeggiava, chi chiacchierava, chi leggeva, chi mangiava patatine in compagnia dell'amico.

"Devi solo lasciarti andare..." continuò a parlare ma poco ascoltai un po' ansiosa. Senza nemmeno aspettare il via, mi diedi una spinta e attraversai la rampa scivolando alla fine e cadendo dopo aver posto più volte resistenza. Nathan particolarmente divertito si mise a ridere e venne ad aiutarmi porgendomi la mano. Lo guardai in cagnesco, la sua risata aumentava il mio imbarazzo.

"Provaci di nuovo" mi incoraggiò.

"Per ricadere? No, direi di tornare a casa" non ero assolutamente vogliosa di tornare a casa, ma ero ancora presa dall'imbarazzo.

"Non mollare, è normale cadere le prime volte. Anzi stai andando meglio di quanto credevo." L'autostima si alzò e ci riprovai cadendo nuovamente, in fondo me l'aspettavo. Lo guardai rendendo il mio volto il più infantile possibile per chiedergli di tenermi le mani così da non sbattere il fondo schiena a terra una terza volta.

"Va bene, vieni" e mi diede le sue mani calde. Le strinsi forte per riscaldare le mie, non mi ero accorta del freddo prima di quel contatto, poi alleggerii un po' la presa.

"Ora vado" esclamai e diedi una spinta con il piede sinistro. Nonostante fossi andata più lenta, non ero caduta. Lo feci altre due volte con il suo aiuto, poi riprovai da sola e ci riuscii. "Finalmente!" esclamai euforica battendo le mani. Intorno a noi un gruppetto di bambini stavano aspettando annoiati che ci allontanassimo. Imbarazzata, dissi a Nathan di non aver più voglia di provare per lasciare spazio ai piccoli di giocare. Non solo ero in imbarazzo perché stavo provando lo skate su una rampa per bambini, ma anche perché avevo occupato loro il posto senza accorgermene.

"Bene, ora si passa alla parte bella" disse Nathan dopo aver riso per la scena precedente, sfregandosi le mani alla vista della pista a conche, non conoscevo il nome.

"Non penso di andare con lo skate su quelle buche." Sapevo a malapena mantenere l'equilibrio, non sarei passata al supremo il primo giorno di lezione. Anzi credevo proprio che sarebbe stata la prima e l'ultima lezione, alla fine non mi entusiasmavano molto. O forse ero io che non amavo non saper fare le cose al primo tentativo.

"Si chiamano bowls," mi corresse, "e posso capire. Allora faccio una prova io e poi andiamo."

E dopo un attimo di esitazione, iniziò a oltrepassare le curve di quella pista. Ad occhi più che spalancati lo osservavo attentamente impaurita e ansiosa che potesse cadere da un momento all'altro. Dopo qualche minuto tornò da me e potei finalmente sospirare. 

"Vieni spesso qui?" chiesi.

"Venivo spesso, ormai non più. Da solo non è granché..."

"Potremmo venire altri giorni, questo parco è immenso."

"Già", alzò la tavola e notai la lettera 'N' sul retro, "verremo ogni volta che vuoi. Magari prendi confidenza con lo skate."

Lo indicò ridendo e approfittai per domandargli di quella lettera: "C'è in tutti i tuoi skate?"

"Dici la 'N'?"

"Sì, l'ho notata poco fa."

"Oh, beh sì. È una sorta di firma, non saprei come definirla. Dovrebbe esserci anche nella tua."

Girai per controllare. "C'è una 'M'."

"Oh. Non me n'ero accorto, probabilmente era di Matt..."

Ripensai alla sera dei post-it. Quando parlammo dei nostri colori preferiti, il suo era il blu. Gli ricordava il mare, il cielo... a me, quel blu non faceva altro che rimandarmi alla purezza dei suoi occhi. Io avevo risposto giallo, ma era come se in quel momento avevo cambiato idea e fossi innamorata persa del blu.

"Domani posso restituirgliela" pensai.

"No, non serve, puoi tenerla. Non va più sullo skate." Nonostante non fossero più amici, continuavano a conoscersi bene. Forse su quel parco erano soliti andarci come due migliori amici che si divertivano su quella pista, me li immaginavo sorridenti, solo loro due, lontani dal resto del gruppo. Magari anche Lena o Joan si univano.

"Meglio tornare a casa, il cielo si sta rabbuiando." Annuii e tornammo veloci aiutati dalle ruote dello skateboard a casa di Nathan.

Avevamo deciso di pulire insieme la sua camera. Senza indugiare, partimmo da lì. Sistemammo il letto ancora disfatto, poi passammo ai libri sparsi per la camera. Mentre mi occupai di pulire le finestre, ultimo compito da svolgere, si allontanò con la scusa del bagno. Quando finii, non era tornato, così uscii dalla stanza e guardai il corridoio. Una porta era rimasta aperta, mi avvicinai e lo vidi lì, a spolverare la camera di Lena.

"Perché non hai detto la verità?" sussurrai per non spaventarlo.

"Volevo pulire da solo qui... scusa, in realtà stavo per andare in bagno, poi ho cambiato idea..." Sorrisi, mi avvicinai per osservare la camera.  Aspettai che continuasse a parlare e lo fece: "Spero sempre che lei torni e lascio la camera linda esattamente com'era quando se n'è andata. Era lei la donna di casa, mi sono pentito di non averla aiutata spesso."

"Non devi essere così negativo nei tuoi confronti, non devi avercela con te stesso. È normale accorgersi tardi, l'importante è farlo."

"Non ce l'ho con me stesso. Mi do colpe per non avercela con il vuoto. Perché in fondo con chi dovrei prendermela? Non lo so neppure io. Se fosse qui, glielo chiederei, ma non c'è. Da un anno non c'è più..." Portò le mani sul volto, quando le scostò vidi i suoi occhi leggermente rossi e lucidi. Così mi avvicinai e lo abbracciai. Lo strinsi forte e la stretta fu ricambiata.
Aveva bisogno di qualcuno in quel momento ad ascoltarlo. Di qualcuno che potesse consolarlo. Che potesse aiutarlo. Come aveva perso la sorella, aveva perso le amicizie, la fiducia, la compagnia. Io lo capivo.

"Mio padre va e torna dal lavoro tutti i giorni e si comporta come se fossero giorni normali. Ti giuro Alis che da un anno niente è più normale. Di tanto in tanto mi chiede se Lena è tornata, poi va in camera e sono sicuro si metta a piangere ogni volta, perché lo faccio anch'io appena sento il suo nome" e una lacrima rigò la guancia. "Sembra così surreale e così reale al contempo, è possibile?"

Avrei voluto rispondere di sì, era normale sentirsi distrutti. Era surreale perché non riusciva a realizzare, nessuno poteva immaginarsi una scomparsa simile. Era reale perché ne pativano le conseguenze, ogni giorno qualcosa mancava nelle loro vite, la presenza di Lena. Avevo capito sin da piccola che della realtà c'era poco da fidarsi. Si spacciava per illusione la realtà. Si fingeva un sogno la realtà. Ma l'illusione e i sogni erano ben diversi da ciò che si viveva. Puoi illuderti quanto vuoi, sognare ciò che desideri, ma vivi quello che il destino ha scelto per te.

"Giuro che la troverò. E non passerà un altro anno" disse convinto e serio, mentre ancora aveva gli occhi bagnati. Non aggiunsi altro, non volevo rovinare i suoi pensieri. Gli sarei stata accanto, perché avevo scoperto un amico. Lo avrei aiutato.

Alzò lo sguardo verso l'orologio e fu come se si fosse appena ricordato qualcosa di importante. Guardò me e vide che lo stavo osservando, fece finta di niente. Era il momento di tornare a casa, lo avrei lasciato fare quello che voleva, non volevo disturbarlo oltre.

"Bene, penso sia ora di tornare a casa" esclamai e mi diede un passaggio.

Nathan

"Giuro che la troverò. E non passerà un altro anno." Speravo non fosse solo una convinzione, ma che ben presto sarebbe successo. Confessare il mio stato d'animo era difficile, esprimermi era difficile, confidarmi. Pensavo fosse difficile buttare fuori le emozioni attraverso le lacrime eppure erano lì, una dopo l'altra scivolavano. Con gli occhi offuscati da esse alzai lo sguardo sino all'orologio e come un lampo ricordai dell'appuntamento con Justin e Jessica. Ingenuamente mi girai verso Alis e mi accorsi che mi stava osservando, perfetto, sicuramente aveva capito che qualcosa non andava. Non potevo chiederle di andare via, sarebbe stato da maleducati. Non volevo nemmeno che se ne andasse, era più una richiesta del momento, non potevo fare altrimenti.

"Bene, penso sia ora di andare" disse, così le diedi un passaggio a casa senza cercare di farle cambiare idea.

Quando scese dalla moto, sussurrai tra me e me: "Scusa Alis."

Approfittai per inviare un messaggio a Jessica per chiederle di incontrarci tutti e tre al "The Rift", un pub aperto da poco di cui avevo sentito parlare bene. Non ci mise molto a rispondermi, così ripartii e raggiunsi il posto. Entrando notai un constrasto di colori. Da una parte il locale era costituito da luci led blu e bianche, dall'altra erano nere con accenni al rosso dovuti a piccoli oggetti, come rose nei tavoli o i quadri alle pareti. Forse il nome si riferiva a quella "spaccatura" di colori evidente. Una musica di sottofondo creava un'atmosfera quasi da discoteca. Presi posto in un tavolo a quattro e aspettai i due. Un cameriere mi raggiunse: "Cosa desidera?"

"Oh sto aspettando due persone." Annuì comprensivo: "Va bene, ripasso appena la vedo in compagnia."

Aveva un paio di occhiali, in un altro contesto lo avrei sicuramente scambiato per uno studente dedito allo studio. Un po' per i movimenti studiati e rigidi, un po' per i lineamenti poco decisi e sicuramente per gli occhiali. Forse aveva scelto di fare il cameriere per pagarsi i futuri studi al college. Lo vidi allontanarsi in un altro tavolo.

"Hey Nathan" mi salutò Jessica allegra con un gesto della mano.

"Scusate, ero con Alis. Mi stavo completamente dimenticando..." spiegai.

"Non preoccuparti. Abbiamo pensato che ci dovesse essere un motivo valido" mi tranquilizzò. Se non fosse stato per Lena, non avrei lasciato che Alis tornasse a casa per venire in un pub a parlare con due persone quasi sconosciute. Non c'era tempo da perdere, non potevo rimandare, non più.

"Siete mai venuti qui?" chiesi curioso. Si guardarono intorno e lei disse: "No, ma ne avevo sentito parlare."

"Anche io, non è male" replicò Justin. Il cameriere con un sorriso fine si avvicinò di nuovo. Presi una semplice birra, lo stesso Justin, mentre Jessica una bevanda gassata. I due commentarono il locale, iniziando a parlare di alcune teorie. Da quel che si raccontava, il padrone aveva perso la moglie e quel pub rappresentava i suoi due stati d'animo. Rabbia e tristezza. Ma quelle erano semplicemente voci, piuttosto pensavo che avesse voluto mettere in atto un'idea originale. L'idea in sé non lo era, il risultato sì.

"Direi di iniziare... penso che Tyler sia il primo mistero da risolvere. Faceva parte dei Kings e ho il presentimento che ci siano dei problemi. L'ho visto alla festa di Dan" dichiarai. Quando il ragazzo tornò nuovamente a portare le ordinazioni, fermai il discorso. Stavo quasi iniziando a non sopportare la sua presenza, nonostante non fosse scorbutico o arrogante.

"Faceva parte? Vuoi dire che è uscito dal gruppo?" domandò Justin. Mi ero dimenticato, a scuola nessuno sapeva dell'accaduto. Tyler era stato cacciato, senza creare troppi drammi nell'istituto, era un problema che riguardava solo i Kings. Dopo essere stato cacciato, non si seppe molto di lui se non che passò qualche mese in carcere denunciato da un anonimo. Tutto questo era rimasto nel gruppo, fuori nessuno sapeva niente. Io conoscevo il minimo indispensabile della storia, perché non trascorrevo più molto tempo con loro in quel periodo per via di mia sorella.

"Sì, a scuola nessuno lo sapeva, non dovete raccontarlo. Tutto ciò che diciamo, dovrà rimanere tra noi" e annuirono entrambi. "So solo che lo hanno cacciato per via degli affari loschi con cui aveva a che fare a insaputa del gruppo. Ci avrebbe messo in pericolo tutti, così si era deciso di mandarlo via senza creare trambusto a scuola."

"Allora perché era venuto alla festa di Dan? Cosa voleva da loro?" chiese lei.

"Magari vendicarsi" suppose Justin pensieroso e bevette un sorso di birra.

"Ha avuto tutto il tempo per vendicarsi," riflettei, "forse voleva cercare qualcosa o ricattarli."

"Non possiamo risolvere nulla attraverso delle supposizioni. Io e Justin stavamo pensando a una cosa" si guardarono. Aspettai una spiegazione. "Dovresti seguire Matthew."

"Cosa!? Matthew? State scherzando? Non posso" sbottai.

"Perché no?" Quasi mi dispiaceva di aver alzato il tono prima, Jessica era così calma...

"Eravamo migliori amici, ora non più. Semplicemente non posso."

"Come vuoi. Ma magari potevamo sapere le loro mosse... o scoprire direttamente dove si trova Lena." A sentir nominare il suo nome ci ripensai e acconsentii rassegnato. Forse non si trovava da nessuna parte, ma ero speranzoso, dovevo esserlo.

"Ci metteremo d'accordo, faremo a turni tu ed io" decise Justin. Probabilmente non voleva lasciare quel compito anche a Jessica per non rischiare, avrei fatto lo stesso, conoscendo il mio lato protettivo.

Inaspettatamente il gruppo intero entrò nel locale facendo entrare un po' di aria fredda dall'esterno. Dan, Matthew, Thomas, Lucas, Aron e Alan. Tutti insieme.

"Non se ne perdono nemmeno una" esordì Jessica. Si riferiva al pub nuovo, erano venuti sicuramente a dare un'occhiata.

Sperai non ci notassero, invece Matthew puntò lo sguardo proprio sul nostro tavolo. Lo stesso sguardo che aveva quando da piccoli giocavamo a braccio di ferro. Dopo qualche minuto, ancora i suoi occhi erano fissi nella nostra direzione. Il cameriere giovane con gli occhiali aveva appena portato le loro ordinazioni e a ogni sorso della sua bevanda, Matthew guardava me, pensieroso e arrabbiato.

"Perché ti guarda così insistentemente?" chiese Jess e feci spallucce.

"Eravamo migliori amici... non so cosa gli stia passando per la testa, forse non capisce perché sono insieme a voi" pensai. Sarebbe stato più che ragionevole. Matt sapeva bene dell'allontanamento di Justin da Alis, soprattutto perché ne era stato l'artefice. E in quel momento probabilmente cercava di capire se stavamo tramando qualcosa. Con quello sguardo però sapevo che mi stava ricordando del nostro accordo: non intrommettersi nella vita dell'altro. Ciò che non sapeva era che stavo mandando all'aria la nostra ultima promessa, lo facevo per Lena, lo facevo per Alis.

Dopo altri bicchieri ordinati, il gruppo si alzò. Matthew fece fatica e arrivò fino all'uscita barcollando. Scossi la testa, chissà quali alcolici aveva bevuto. Il vero problema non era quello, io sapevo che lui non era amante dell'alcool e se ne beveva una grande quantità era per dimenticare i pensieri e le preoccupazioni che lo affliggevano. E dalla morte di Joan quegli episodi accadevano sempre più spesso. Guardai l'orario, era quasi mezzanotte. Ci eravamo fermati per controllare i Kings, ormai non avevamo più nulla da fare lì. Così uscimmo dal The Rift e ci salutammo. Mentre tornavo a casa, mi tornò in mente il compleanno di Alis. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte; aumentai la velocità cosicché avrei potuto inviarle un messaggio di auguri.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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