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Alis

Giovedì

Quella mattina Nathan sarebbe rimasto a casa, non mi spiegò il perché. Non mi preoccupai troppo, scartai la possibilità di una presunta febbre, perché mi aveva ricordato della nostra serata film. Semplicemente necessitava di un giorno senza lezioni per rilassarsi. Non avendo lui come accompagnatore, andai in macchina con papà. Era sempre felice di farlo, così potevamo parlare un po' solo noi due.

"Sai, sono felice che piano piano ti stai costruendo una nuova vita" disse improvvisamente.

"Già, anche io. Ultimamente sento di meno il vuoto che avevo... e non posso che esserne sollevata." Quella mancanza si stava sgretolando lentamente grazie alle persone, non l'avrei mai pensato, ognuno aveva un ruolo importante nella mia vita.

"Oggi esci?"

"È così scontato?"

"Esci spesso questi giorni" osservò.

"Non hai torto, oggi io e Nathan guarderemo un film."

"Avete già scelto quale?"

"Gifted" e iniziai a spiegargli la trama. I protagonisti erano una bambina molto dotata per la matematica e suo zio. Parlai seguendo cronologicamente gli episodi del trailer che avevo visto, ancora conoscevo poco i dettagli. Si incuriosì, avrebbe voluto guardarlo anche lui, così promisi di farlo un giorno.

"Passa una buona giornata, ci vediamo a casa" si avvicinò per darmi un bacio sulla fronte e uscii. Da lontano vidi Michael e Ashley appena arrivati, sorrisi mentre li guardavo, erano una coppia perfetta. Avrei voluto vivere anche io quel sogno, ma sapevo che stavo chiedendo molto.

Mi venne in mente la storia dei miei genitori raccontata da papà. Sarebbe stato bello avere un amico d'infanzia con il quale condividere l'intera vita. Sicuramente nella loro c'era stato un inconviente fin troppo doloroso che aveva dato fine alla loro esperienza. Ma finché erano stati insieme, avevano vissuto felicemente. In fondo era quello che contava. Era solo un sogno, una realtà irraggiungibile, perché ricordavo poco dell'infanzia e degli amici avuti. Avevo resettato ogni ricordo che si collegava al Bronx.

"Eccoti! Ti stavo cercando ovunque..." esclamò Matthew sollevato avvicinandosi a me.

"Oh questo mi sorprende, come mai?"

"Solo perché non riesco a stare più lontano da te." Quella frase riuscì a rallentare il mio respiro. Lo pensava veramente? Se mi aveva trovata, significava che mi aveva realmente cercata.

"Non ho niente di così speciale." Volevo sentire la sua risposta, per capire se pensava veramente quelle parole.

"Forse per gli altri, ma per me sì" lo disse senza staccare gli occhi dai miei. Cosa significava tutto quello? Non ero abituata a certe situazioni. Sorrisi e non replicai come se non trovassi una ragione per farlo. Al contempo avevo timore che il mio silenzio potesse rovinare il momento, in fondo con Ryan non era andata bene...

"Bene, allora mi accompagni in classe?" Ero ancora rimasta in cortile come molti altri studenti. Con la mano sfiorò il mio braccio dandomi l'impressione che volesse tenermi la mano ma si fosse accorto che non poteva. Sorrisi nascondendomi dal suo sguardo, era così dolce.

"Pronta per oggi?" Avevo dimenticato tutto dal momento in cui mi aveva rivolto parola e non avevo la minima idea a cosa si stesse riferendo. Aveva quello strano potere di deconcentrarmi dall'esterno.

"Oggi? Cosa succede oggi?"

"Giocheremo a calcio" sorrise orgoglioso, anche io lo feci. Lucas chiamò Matthew distraendolo e dovette salutarmi per raggiungere l'amico. Un brivido di freddo mi percosse lungo il braccio, succedeva ogni volta che si allontanava, ma me ne feci una ragione.
Ero così entusiasta di trascorrere il pomeriggio con lui che risultò difficile concentrarmi e mi rivolgevo a Dan sempre in modo gentile.

"Scusami principessa, com'è che il tuo cuore non si spezza oggi?" chiese dopo una serie di battutine che non ottennero una minima reazione.

"Non ne ho motivo" feci spallucce.

"Non ho ancora fatto battute divertenti" commentò Alan scherzando alludendo al fatto che la mia felicità dipendesse da quelle. Erano entrambi confusi, ma non riuscivo proprio a prendermela dopo quello che mi aveva detto Matthew. Mi sentivo strana, sembrava che fossi diversa, un nuovo periodo prospero e positivo mi stava aspettando, me lo sentivo.

"Alis, stai bene? Ti ricordi che lui è Dan giusto?" domandò serio Alan.

"Sono così strana? Non dovrebbe essere positivo il fatto che non sia infastidita?" Fece una smorfia non molto convinto.

"Matthew ti ha fuso il cervello" affermò Dan. Da lì smisi di pensarci e mi godetti la tranquillità.

Durante le pause sentii nostalgia di Nathan e il bisogno di avere un'amica. Era bizzarro come le cose che cercavo non arrivavano mai da sole, mentre le cose indesiderate sì. Volevo conoscere qualcuno come lui in versione femminile.

"Ehi Alis, Ashley mi ha detto del regalo. Ti è piaciuto?" chiese Michael passandomi accanto prima di uscire nel corridoio.

"Oh sì, molto. Sarà un bel viaggio" commentai con occhi sognanti ringraziandolo più volte.

"Hai deciso chi portarci?"

"Non ancora... ho abbastanza tempo per decidere."

"Hai ragione. L'importante è che tu non scelga un ragazzo più bello di me, faccio fatica a non far distrarre tua cugina..." Risi, Ashley era sicuramente ingestibile, ma amava molto Mike e di certo non lo avrebbe lasciato per il primo che le passava accanto. Non era il suo intento quello di farlo ingelosire, le veniva naturale commentare l'aspetto di tutti, senza mai offenderli, anzi portando in luce i loro pregi.

"Farò del mio meglio" feci l'occhiolino e rise anche lui.

"Comunque oggi ti vedo particolarmente felice... sarà una mia espressione, ma hai una sguardo allegro e i tuoi occhi brillano di una luce intensa" notò prima di fermarsi a riflettere e uscire definitivamente. Decisi di andare a prendere qualcosa da sgranocchiare alle macchinette, già da lontano si intravedeva una fila lunga e consistente, ma non mi feci abbattere e aspettai comunque, per mia fortuna scorreva velocemente. Dietro di me arrivò il gruppo delle Sparks; una di loro, la stessa dai capelli neri del giorno prima, mi riconobbe e mi fece qualche domanda, per poi concludere lasciandomi il compito di ricordare a Dan dei ruoli maschili per la serie. Iniziai a convincermi del fatto che fossero venute solo per farmi quella richiesta, perché non aspettarono il loro turno, ma se ne andarono direttamente. Solo una di loro restò: la ragazza con gli occhiali. A quanto pareva, le piaceva stare nel suo, non seguiva molto i discorsi del gruppo e stava in compagnia di quelle ragazze come se fosse un modo per passare il tempo più che un piacere. Ero tentata nel farle delle domande, però evitai e mi limitai a prendere un pacchetto di patatine e uno di m&m's. Quando aprii il primo mentre camminavo nel corridoio, una mano precedette la mia e prese una patatina.

"Dan, se si tratta di cibo posso ancora mostrare la parte peggiore di me!", ovviamente scherzavo. Per quanto mi infastidisse che gli altri prendessero la mia merenda senza chiedere, non mi arrabbiavo mai seriamente.

"Allora continuo, preferivo la vecchia Alis" confessò.

"Trova qualcun altro da infastidire" consigliai, sempre se sarebbe riuscito a trovare qualcuno come me al quale bastasse poco per irritarsi. Sembrò adocchiare una nuova preda proprio dietro alle mie spalle, continuò a osservarla con occhi vispi ma non mi azzardai a girarmi per controllare chi fosse il soggetto in questione.

"Sai che non dicevo sul serio? Dovresti smetterla di disturbare la gente, trova un altro passatempo per divertirti" continuai.

"L'ho già trovato", non mi diede retta e rispose concentrandosi solo sulla seconda parte delle mie parole. Tornai in classe, stranamente venne con me continuando a sgranocchiare qualche patatina senza farsi troppi problemi.

"Probabilmente ieri mi sarei già arrabbiata con te" pensai. Quel giorno ero così calma che quasi non mi riconoscevo, ancora non c'era niente che mi avesse turbato. Sarebbe stato a lungo in quel modo, oppure era una sensazione a breve termine?

"Già e io avrei continuato a mangiare le patatine con o senza rabbia" fece spallucce e risi notando quasi un filo di ironia nelle sue parole. "Quello lo apri?"

"Hai così tanta fame?" Era da un po' che osservava il pacchetto con i cioccolatini colorati, così lo soddisfai e lo appoggiai sul banco lasciandogli libero accesso. Quando alzò lo sguardo contento, i suoi lineamenti mi ricordarono quelli di suo fratello e divenni cupa per qualche secondo. Era da tempo ormai che non vedevo Ryan e non era più nemmeno un problema, avevo dimenticato tutto. Avevo sbagliato una volta, cancellato dalla mente quell'errore e avevo deciso di ricominciare. Quel giorno sembrava perfetto per farlo. Diversi episodi passati scorsero lenti davanti ai miei occhi come scene di un film, ma li scacciai sforzandomi di lasciar perdere.

"Posso farti una domanda?" Stranito, annuì con un cenno del capo. "Perché vai spesso dai tuoi zii?"

"Sono obbligato a rispondere?"

"No, ma sarei curiosa di saperlo."

"Beh non mi interessa, ti ho già detto che dovresti farti gli affari tuoi." Ero calma, ormai avevo capito come funzionava Dan. Finché non si andava sul personale, restava tranquillo, poi piuttosto scontroso.

"Fa niente, comunque la ragazza di ieri mi ha chiesto di ricordarti della sua offerta poco fa."

"Incredibile, quella ragazza è incredibile! Vado a cercarla, così la smette!" urlò arrabbiato alzandosi dalla sedia. Con grande velocità arrivò alla porta, ma lo bloccai in tempo: "Lascia perdere, se tornano spieghi di non essere interessato. Non c'è bisogno di andare a cercarle".

Per una volta ci ragionò su e tornò indietro, "Sia chiaro, non sto seguendo il tuo consiglio, ma non ho tempo da perdere."

"Chi parla? Dan o l'orgoglio?" Dopo le domande retoriche, mi beccai uno sguardo omicida che schivai per le seguenti ore. Quando rientrò Alan, fece anche lui una sfilza di domande per vedere cosa fosse cambiato in me e perché. Nemmeno io riuscivo a dargli una risposta, in fondo succedeva nella vita di avere dei cambiamenti repentini e travolgenti. In quel momento stavano interessando il mio umore.

Quel pomeriggio papà si sarebbe trattenuto a lavoro, così tornai a casa a piedi affogando i pensieri sulla musica. Dan mi aveva offerto un passaggio, ma avevo rifiutato. "Il carattere scontroso ti si addice più di quello da ragazzo gentile", avevo detto.
Aveva sorriso e se ne era andato passandomi accanto con la macchina.
Mi ritrovai a ripensare per tutto il tragitto a lui. Era come se la mia rabbia alimentava la sua. Se mi infastidiva un suo comportamento, non faceva altro che peggiorare la situazione continuando a infastidirmi. Se invece non aveva feedback, era neutro. Non concepivo il suo carattere, ma almeno iniziavo a comprendere le sue abitudini. Piano piano lo facevo con tutti, mi sembrava di avere più chiare le persone, o almeno in parte. Le sensazioni negative lottavano per tormentarmi, facevo il possibile per toglierle dalla mente. Se ci fossero stati segreti, sarebbe arrivato il momento in cui sarebbero usciti fuori, non dovevo forzare niente. Dovevo seguire il consiglio di Dan: non intromettermi e farmi gli affari miei. Fin lì stava andando tutto bene, avrei fatto un viaggio e mi sarei divertita. Crearmi problemi sarebbe stato inutile.

"Eccoti finalmente" esclamò nonna abbracciandomi quando aprii la porta di casa.

"Cosa succede?" chiesi confusa.

"Hai impiegato trenta minuti per arrivare... sai che posso pensare al peggio" spiegò. Lo sapevo bene, in fondo era lei che non si fidava della lavastoviglie perché mangiatrice di piatti! Se si fidava delle persone, significava che lo faceva veramente e avrebbe dato il mondo per loro, la fiducia la costruiva con il tempo.

"Lo so, lo so. Devi stare tranquilla, le strade non sono pericolose..." mi pentii di quella frase. Mi avevano insegnato a stare sempre attenta, quelle parole facevano sottintendere la mia poca comprensione, anche se in realtà l'avevo capita bene la loro raccomandazione. Aveva strabuzzato gli occhi e sembrava delusa, come se volesse spiegarmi di nuovo tutte le storielle raccontatemi da piccola sul Bronx. "Vado in camera..." e con lo sguardo basso mi allontanai. Prima di andare realmente in camera però, mi avvicinai alla porta di quella dei nonni e controllai se fosse vuota. Nonno dormiva beatamente sul lato destro del letto, non osai disturbarlo e sorridente raggiunsi il mio rifugio. Il sorriso si allargò appena appoggiai lo zaino a terra e accanto vidi la palla da calcio. La presi e mi spostai sul letto sedendomi e tenendo la palla con entrambe le mani; la osservai per qualche minuto per nessun preciso motivo e la lanciai in aria con poca forza per poi riprenderla e girarla tra le mani. Mi fermai notando dei segni neri di una penna, su un esagono bianco c'era disegnata una faccina e un cuoricino appena evidente. Non ebbi nemmeno il tempo di essere confusa che fui presa da una strana allegria.

[...]

"Mi fai venire voglia di dormire, però penso dovremmo andare", sentii. Aprii lentamente un occhio, poi l'altro, fino a spalancarli completamente.

"E tu cosa ci fai qui?" chiesi nel panico e imbarazzata.

"Tua nonna ha detto che ti trovavi qui e mi ha lasciato entrare. Non volevo svegliarti, ma nemmeno far saltare il nostro appuntamento", sorrise, mi stupì del termine utilizzato, "e vedo che già ti sei affezionata al pallone."

Indicò un punto verso di me e abbassai lo sguardo, mi ero letteralmente addormentata mentre abbracciavo la palla. Oltre all'imbarazzo, avrei dovuto trovare un modo per restare sveglia, non era la prima volta che mi addormentavo. Forse avrei dovuto iniziare a bere il caffè ogni giorno diminuendo la quantità di zucchero.

"Okey", mi alzai di scatto facendo finta di niente, "quindi cosa vuoi fare?"

"Resterei qui a guardarti, ma ho altri piani. Andiamo."

"Dove? Devo vestirmi."

"Cosa aspetti?"

"Che tu esca."

"Oh scusa" diventò rosso e si voltò subito di schiena uscendo. Non ci misi molto, presi la palla, il telefono e scesi; trovai nonna e Matthew molto presi nei loro discorsi, mi avvicinai curiosa per sentire di cosa parlavano.

"Alis, dov'eri finita?" Non mi lasciò il tempo di rispondere, perché continuò: "Io e Matthew stavamo parlando un po', mi ha detto quello che farete. Andate prima che diventi buio e non perdetevi!"

"Raccomandazione un po' buffa, non credi nonna?" le diedi un bacio e uscii. Restai sulla soglia della porta a osservarla abbracciare Matthew, poi distolsi lo sguardo.

"Ti eri dimenticata dell'allenamento?" chiese una volta dentro alla macchina. Non mi era affatto sfuggito dalla mente, l'ostacolo era stato il sonno.

"Assolutamente, a cosa credi servisse la palla se non da promemoria?" Cercavo di ironizzare sul fatto che avessi abbracciato una palla. In quel momento era posizionata sui miei piedi, approfittai per chiedergli di quella faccina.

"Oh l'hai notata, lo spiegherò dopo." Era chiaro che quell'attimo di suspense non mi andava giù, ma cercai di non pensarci troppo.

"Siamo arrivati" sorrise. Il campo era grande e vuoto. Ripensai a tutte le partite viste in televisione e me le immaginai dal vivo.

"Come fa a essere deserto? Non viene nessuno qui?"

"Oh sì, è pieno tutti i giorni. Ho fatto del mio meglio per minacciare le persone", risi. "Com'è andata la giornata oggi?"

"È stata... tranquilla. Sto iniziando a essere più felice o forse è solo una sensazione" confessai.

"Dovresti essere felice che sei felice" si fermò confuso dall'intreccio che aveva creato, il suo viso era così buffo, non riuscivo a togliere il sorriso dal mio.

"Lo sono" sussurrai. Prese il pallone dalle mie mani, lo appoggiò a terra e si mosse fino alla porta. Cercai di seguirlo senza correre, stancarmi troppo non rientrava nei miei piani.

"Iniziamo a tirare... vediamo come te la cavi. Avevo pensato di fare delle domande, se fai goal puoi decidere se rispondere o meno, in caso contrario sei obbligata. Non vorrei che fosse troppo forzato però..."

"Oh nono, iniziamo, mi sembra una buona idea." Ci allontanammo di un paio di metri. Consigliò di fare una piccola corsetta prima di tirare con la punta. La corsetta iniziale era più una camminata, ma il tiro fu efficiente. Si era dimenticato di fare la sua domanda, così rimediò al secondo tiro.

"Ti è mai piaciuto qualcuno?" A quel punto lanciai, riuscì a parare la palla così fui costretta a rispondere.

"All'incirca." Nonostante fosse confuso, se lo fece bastare e continuammo, mentre lui mi dava qualche altro consiglio. Era più difficile di quanto credevo. Sembrava tutto così semplice, restava lì immobile sulla porta e si muoveva appena il pallone arrivava a pochi centimetri dal suo corpo (sempre se ci arrivava). Una volta non parò la palla per darmi una piccola soddisfazione, le volte successive però ne approfittò per farmi sempre più domande.

"Cosa significava la tua risposta?" insistette.

"Non so cosa significhi amare, piacere... non lo so" confessai imbarazzata. Qualcuno avrebbe potuto riderci su, invece lui sorrideva compiaciuto e mi guardava dritto negli occhi anche se eravamo lontani.

"Arriverà un giorno in cui lo capirai. C'è chi impara ad amare ed essere amato da piccolo e chi da adulto, nessuno viene risparmiato, arriva il momento per tutti. Ti do un piccolo spoiler sull'amore; capisci che è alle porte quando la tua felicità dipende da quella di un'altra persona." Le sue parole mi toccarono portando trambusto, iniziai a rifletterci. Sembrava che stesse parlando come se conoscesse bene l'amore, gli brillavano gli occhi di una luce, la stessa luce proveniente dagli occhi di una madre che vede per la prima volta suo figlio, di un bambino che gioca con il suo giocattolo preferito, la luce di chi ha scoperto nuovi valori...

"Non pensi sia il mio turno di stare in porta?" Sembrava che trovassi ingiuste le sue continue domande, in realtà perdevo un pezzo di dignità a ogni lancio mancato. Così ci scambiammo i compiti, mi accorgevo dei suoi scarsi tiri, ma mi limitavo a ridere e pararli. Ci eravamo dimenticati delle domande, ma non ci preoccupammo molto. Alla fine c'era complicità in quegli attimi, ci bastava quello. Il suo sorriso mi scioglieva, mi sembrava quasi di averlo già visto in passato. Il buio iniziò a calare lentamente, delle lucine si accesero intorno al campo.

"Ora ci mettiamo a metà campo e dobbiamo cercare di prendere la palla e fare goal. Non avere paura dell'energia o di farmi male." Arrivati in un punto, posizionammo il pallone dinanzi a noi e sorrisi notando la faccina. Al suo via, calciai subito la palla dalla parte opposta e iniziai a correre portandomela dietro. Matthew senza perdere tempo riuscì a prenderla e passarla da un piede all'altro impedendomene la presa.

"Non è divertente", lo guardai con aria di sfida. Non ci stavo mettendo tutta la mia energia, nonostante me l'avesse consigliato, perché odiavo sfiatarmi o perdere forza.

"Invece lo è" mi sbeffeggiò, ma sempre gentilmente e mai maliziosamente, come era solito fare. Più determinata, provai di nuovo a sottrargli il pallone; quella volta dovette spostarsi dalla staticità. Lo seguii a ogni movimento, fino a quando rischiai di scivolare. Cacciai un urlo e tappai la bocca con la mano appena mi accorsi del verso acuto e stridulo. Matthew aveva lasciato la palla per afferrarmi inutilmente, perché ero già tornata in equilibrio. Sorrisi al contatto e, approfittando della distrazione, corsi verso la palla e poi dritto alla rete.

"Vittoria!" esclamai euforica. In quell'istante ebbi una brutta sensazione, non sapevo a cosa fosse dovuta. Sperai solo di non avere un sesto sesto funzionante...

Matt offeso spalancò la bocca. "Me l'hai fatta Alis Carter."

"Ora puoi rispondere?", mi avvicinai a lui con la palla sulle mani e indicai la faccina.

"Non pensavo me l'avresti mai chiesto," rise, "ma prima o poi te lo avrei raccontato..."

Ero pronta ad ascoltare una delle sue storie, forse sull'infanzia. Mi sedetti sull'erba fresca, lui seguì i miei movimenti e ci ritrovammo vicini entrambi con la gambe incrociate.

"All'asilo tra le attività creative spiccava il disegno. Non mi piaceva molto disegnare figure sensate, preferivo gli acquerelli con i quali davo veramente spazio alla fantasia. Ero spesso da solo sul tavolino, quel giorno la maestra chiese di disegnare un paesaggio estivo. Disegnai il mare con un sole in cima." Mi guardò come per controllare se mi si fosse accesa una lampadina, non accadde. Avvertii una certa tensione, presi una breve pausa dal suo sguardo. "Una bambina si avvicinò, osservò il disegno e sorrise. Poi mi consigliò di fare una faccina sorridente sul sole per rendere tutto ancora più bello e allegro."

Puntò gli occhi nuovamente su di me e sussurrò: "Quella bambina eri tu."
Ero priva di parole e di memoria, non ricordavo assolutamente nulla dell'infanzia. Non avevo nella mente nessun nome di compagni di classe passati, neanche uno, tutto cancellato da un trauma troppo grande per i sette anni che avevo. Non aveva nessuna intenzione di mettermi a disagio, continuò ad aggiungere particolari a quel momento per lui speciale.

"Mi hai aiutato involontariamente. Per tutti questi anni ho pensato a quel sole sorridente e a te, la bambina che se n'era andata di punto in bianco. Ti ho aspettato per ringraziarti e ancora non l'ho fatto. Quando ho perso Joan, ho ripreso la mia vita pensando al sole lucente, di tutti. Ci riscalda, ci osserva felice e aspetta che gli restituiamo un po' di allegria. Mi sono ripromesso di renderti felice."

"Perché non me l'hai mai raccontato prima?"

"Aspettavo il momento giusto" sorrise. Quando ero insieme a lui, tutti i momenti erano adatti. Mi abbandonai sulla sua spalla e osservammo il cielo. Propose di ordinare qualcosa da mangiare e, dopo un'ora, gustammo due pizze sotto quel lenzuolo scuro che fungeva da cupola protettiva.

"Quindi hai superato la cosa di Joan..."  Utilizzai cosa come sinonimo, perché il vocabolo morte mi metteva i brividi.

"Grazie a te" concluse. In quel momento mi accorsi che lui era stata la causa della mia felicità quel giorno, non avevo smesso di sorridere e forse mi stava aiutando a uscire dalla mia zona buia.

La curiosità su suo fratello svanì lentamente quando iniziò a parlare della sua infanzia. Lo ascoltai come se  non ne avessi abbastanza delle sue storie e, se si fermava, lo pregavo di continuare arricchendo di dettagli anche irrilevanti. Mostrò il bambino creativo quale era con i suoi pensieri non condivisi. Al contrario, io avevo vissuto un'infanzia perfetta, con un continuo struggente. Sia il suo che il mio finale, invece, erano ancora da interpretare.

Abbassò lo sguardo sullo schermo del suo cellulare che si illuminò e strabuzzò gli occhi. "È tardissimo!"

Controllai l'ora sul mio telefono e per poco non mi prese un infarto, era mezzanotte passata e aveva una sfilza di chiamate e messaggi. Iniziai a farmi prendere dal panico, mi alzai dall'erba e controllai chi mi avesse cercato. Più di una decina di chiamate erano da parte di nonna, altrettante di papà, mentre Nathan aveva per lo più inviato messaggi. Portai una mano in fronte scoraggiata, "Sono un'idiota! Mi sono dimenticata di Nathan!"

"Cosa c'entra lui?" chiese come se avesse trovato una grande forza di volontà per fare una tale domanda.

"Dovevamo giardare un film, ma durante la giornata non ci ho proprio pensato! Sono pessima, veramente pessima" mi agitai.

"Non lo sei," mi alzò il viso dal mento, "capita a tutti di dimenticare. E poi hai tutto il tempo per rimediare."

Non era riuscito a tranquillizzarmi completamente, cercai di non pensarci troppo. Ci affrettammo per tornare a casa. Quella sensazione non mi stava ingannando, avrei dovuto decifrarla. Fermò l'auto e uscì anche lui seguendo i miei passi svelti sino alla porta. Suonai preoccupata con le gambe tramanti, aprirono in un secondo.

"Alis!" esclamò Nathan sollevato e deluso. Il mondo mi stava cadendo addosso.

"Oh Alis!" Anche nonna mi raggiunse e mi abbracciò correndo. "Ero in pensiero per te, è tardi, ti abbiamo chiamato. Non ci hai avvisato sull'orario di ritorno."

Era arrabbiata, ma in quel momento era l'ultima delle emozioni ad emergere. Non riuscii a dire nessuna parola, se non delle scuse banali. Matthew era rimasto impalato a osservare la scena, sicuramente si stava addossando tutte le colpe, lo si notava dallo sguardo dispiaciuto.

"Non lo fare più" continuò. Arrivò anche papà, sul viso preoccupato diminuerino le rughe grazie alla sollevazione. Mi sorrise, sentiva il peso che avevo addosso e cercava di scaricarne una parte. Nathan se ne andò minacciandomi di sentirci il giorno dopo, Matthew uscì con lui. Intravidi degli sguardi omicida tra i due, sperai non combinassero nulla per non aggiungere problemi alla serata. Mi eri fatta prendere da quella nuova emozione, la felicità. Da quel miscuglio di spensieratezza e divertimento, dall'essere infantile... stavo ricostruendo la mia vita riprendendo da dove si era frantumata. Volevo però ricostruirla troppo in fretta, senza rendermi conto che ogni cosa ha i suoi tempi.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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Consapevole che delle scuse non contribuiranno a farmi pubblicare più spesso, ecco un nuovo capitolo.
Era già pronto e solo da revisionare, dopo aver visto nuove persone che hanno iniziato a leggere, mi sono sentita tremendamente in colpa.

Vi piace la musica? Quali sono i cantanti che ascoltate recentemente?

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