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Justin

Domenica

Quella mattina mi svegliai presto e fu un risveglio totalmente diverso da quelli precedenti. Un risveglio a tutti gli effetti, sentivo una grande forza morale e un desiderio di vivere la realtà così com'era. Non sentivo il bisogno delle favole, era quasi come se ne avessi affittata una per alloggiarci. Un'abitazione perfetta.

Il bar non era pieno, ero stato rapido nel prendere due cornetti e altrettando veloce nel raggiungere la casa di Jessica. Sicuramente non era sveglia, era ancora presto, motivo per il quale avrei aspettato con impazienza il suo risveglio. Per un piccolo cambiamento, sembrava fosse cambiata tutta la mia vita. Sentivo il bisogno di rendere una persona felice sempre e comunque e la persona in questione era Jessica. Così leale e onesta, meritava di vivere in un sogno.

Aspettai un'ora intera, poi la vidi uscire, si guardò intorno e chiuse la porta di casa prima di raggiungermi. Non riuscii a trattenere il sorriso mentre la guardavo, la baciai con naturalezza e le mostrai i cornetti. Spalancò gli occhi felice e le pupille si dilatarono a dismisura.

"Facciamo un giro?" propose.

"Sì, il pomeriggio parlaremo del nostro piano con Mike e Nathan" dissi. La voglia si smacherare i Kings non era più tanto forte quanto all'inizio, forse perché avevo Jessica affianco a me e volevo dedicarle il mio tempo.

Le chiesi se avesse novità sul trasferimento e mi confessò di averne parlato con i suoi genitori quella mattina stessa. Suo padre era ancora convinto, sarebbe dovuto partire dopo qualche giorno per lavoro con o senza famiglia. La madre era invece più dubbiosa, nonostante fosse pronta ad accogliere qualsiasi proposta del marito.

"Mi sono svegliata presto fortunatamente. Se non lo avessi fatto, non sarei potuta venire con te" constatò.

"Allora quando sai di dover parlare con i tuoi, alzati presto, perché non sarà la prima volta che verrò a prenderti."

Accennò un sorriso. "Come se non l'avessi mai fatto..."

In effetti andavamo sempre a scuola insieme, venivo a prenderla aspettandola sotto casa sua. Con gli stessi movimenti veloci, si guardava attorno prima di chiudere la porta e correre verso la mia macchina con lo zaino che le pendeva da una spalla.

Non c'era molto da fare nel Bronx, decidemmo di restare in macchina e passare per le strade ascoltando la musica. Volevo creare dei piccoli e semplici momenti che avrebbe ricordato in futuro comunque sarebbe andata. Le aprii il finestrino consapevole del vento che le fece svolazzare i capelli lisci arruffandoli. Piuttosto che arrabbiarsi, sorrise divertita per il gesto e alzò il viso all'insù facendosi cullare dal movimento. Mi sforzai di guardare la strada accontentandomi di girarmi solo per pochi secondi verso di lei, quanto bastava per farmi brillare gli occhi. Quando trascorrevo il tempo insieme a Jessica, mi sentivo un'altra persona, sentivo il bisogno di essere dolce e venivo pervaso da una forte naturalezza, che avevo quasi timore di sbagliare qualcosa, di essere trasportato troppo da quell'emozione. La voglia di scovare la verità non era viva come all'inizio, al contempo non era del tutto spenta; il pensiero di Ashley e la giustizia per Nathan mi portavano avanti. Alis in quel momento era a casa di quest'ultimo, così mi aveva detto lui, perché voleva trascorrere più tempo possibile con lei, accertarsi che stesse bene. Da quel che pareva, era un bravo ragazzo di cui fidarsi, anche se non ne avevo identificato le qualità.

"Quella casa è la stessa che hanno fatto vedere in televisione!", indicò un'abitazione poco lontano.

"Sì, lì si nascondeva un criminale. Tenevano quel posto sott'occhio, ma quell'uomo non usciva mai di casa, si faceva fare commissioni da altri..." dissi.

"Certo che è strano... come ha fatto a non essere scoperto per così tanto tempo?"

"Buon per lui, è riuscito a cavarsela per un po'. Non so molto sull'accaduto nei dettagli, ricordo solo che un certo Joan Morris era andato lì ed è morto." Notai che le vennero i brividi, mi fermai sul lato della strada e la strinsi tra le mie braccia. La sua sensibilità mi faceva tenerezza. Mi allontanai per chiudere il finestrino, l'ambiente iniziava ad essere troppo freddo.

"Aspetta... Morris non è il cognome di qualcun'altro? Sento di averlo già sentito."

Riflettei e iniziai ad elencare i nomi dei Kings senza un apparente motivo spinto dall'istinto: "Thomas Orlove, Tyler King, Lucas Anderson, Dan Davis, Aron Diaz..."

Ne restava solo uno, ci guardammo negli occhi e concluse lei: "Matthew Morris."

"Quante possibilità ci sono che siano parenti? Insomma è molto improbabile" pensò.

"Ma non impossibile. Sarà un dettaglio da tenere in conto, non sappiamo cosa può esserci utile finché non lo verifichiamo."

"Giusto... quest'indagine finirà per essere inquietante" commentò.

"Speriamo di no" e le diedi un bacio prima di ripartire e superare quel posto misterioso.

Durante il giro per il quartiere, iniziammo a formulare delle ipotesi sull'ipotetica parentela tra Joan e Matthew. Se si fossero realmente conosciuti, com'era possibile che non ci fossero state voci a scuola?
Forse non voleva che si creasse confusione, o che si parlasse troppo di quell'argomento. Avremmo indagato sull'accaduto, non sapevo come, ma lo avremmo fatto, nonostante ciò comportasse entrare troppo sulla vita personale di qualcuno di loro.

[...]

Jessica era con me, aspettavamo il resto della squadra. Ormai ci piaceva definirci così, in fondo eravamo realmente una squadra! La osservavo mentre sistemava minuziosamente le statuette in ceramica sopra i mobili in legno. Si muoveva con cautela e si abbassava leggermente per studiare le posizioni e allineare perfettamente i vari oggetti, diceva fosse una sua piccola ossessione quella di curare i particolari. Non avevo alcun problema a riguardo, o almeno non lo avrei avuto fin quando non avrebbe fatto diventare maniaco anche me!

Nathan e Michael arrivarono nello stesso momento, quindi iniziammo subito a parlare. Jessica descrisse il posto che avevamo visto quella mattina e parlò del caso del ragazzo ucciso dall'uomo che si nascondeva nella casa. Mentre spiegava le nostre osservazioni, notai Nathan silenzioso e con lo sguardo perso.

"Conosci per caso Joan?" chiesi così all'improvviso distraendolo dalla distrazione stessa. Nathan faceva parte dei Kings, avrebbe potuto sapere chi fosse quel ragazzo se le nostre supposizioni erano giuste.

"Sì" rispose. "È... era il fratello di Matthew."

Le probabilità che io e Jess avessimo ragione erano a stento sopra lo zero, eppure avevamo indovinato. Non sapevo dove ci avrebbe portato quella scoperta, tantomeno se ci sarebbe stata utile, ma ogni informazione era importante e sarebbe potuta essere una nuova pista da seguire. Dalla voce rotta di Nathan potei dedurre il suo affetto sbiadito per Joan, lo capimmo tutti, restammo in silenzio per fargli andare giù il discorso.

"Non devi parlarne e non devi pensarci se questo ti fa stare male" consigliò Jess, la sua voce dolce arrivò alle mie orecchie così come il venticello improvviso soffia in una giornata afosa d'estate.

"Grazie Jessica, ma ormai è passato un anno. Vogliamo uscirne fuori, per farlo devo parlare. Ebbene... io e Matthew uscivamo spesso, eravamo quella coppia di amici inseparabili sin dall'infanzia. Il nostro duo divenne presto un trio, anche Joan entrò a far parte delle nostre avventure, chiamiamole così. La morte di Joan fu sconvolgente, chi mai poteva aspettarsi che un ragazzo di sedici anni venisse ucciso da un criminale? Non so perché era lì, ma hanno trovato della droga in quella casa..."

Se non fosse stato per quel rapporto, avrei sicuramente urlato e lo avrei rimproverato per non averci raccontato nulla prima. Forse aveva paura, o credeva che fossero informazioni irrilevanti. Al suo posto probabilmente avrei agito allo stesso modo, sarei sempre stato piuttosto generico e avrei esitato prima di confessare. Non era andato ancora molto sul personale, nemmeno lui ne sapeva più dei giornalisti.

Jessica non perse tempo e si mise a cercare su internet gli articoli di quel giorno. Si supponeva che Joan, denominato solo con la lettera iniziale seguita da un punto, fosse in compagnia, ma l'altro soggetto era riuscito a scappare in tempo e salvarsi. Tutti i giornali riportavano le medesime informazioni, nulla di più. Anche i titoli erano pressoché simili, differivano solo per le parole in ordine diverso. All'inizio lesse a voce alta, poi si limitò a dare un'occhiata constatando che non c'era altro da aggiungere. Sapevamo quindi che quella zona era tenuta sott'occhio da telecamere e nelle vicinanze c'erano delle pattuglie; Joan accompagnato da qualcuno aveva raggiunto quella casa abbandonata nella quale viveva un ex criminale, motivo per cui era sorvegliata, e dove sono state trovate sostanze stupefacenti. L'uomo, avendo sentito il suono delle sirene e le macchine delle polizia avvicinarsi, sparò intimorito e cercò di fuggire, ma fu catturato qualche minuto dopo. C'erano state delle tentate interviste alla famiglia, tutte rifiutate o deviate, più che comprensibile.

Quando Nathan cercò di riprendere in qualche modo il discorso, gli suonò il telefono. Osservò lo schermo, alzò lo sguardo mimando il nome di Alis confuso, ma rispose un po' agitato. Tutti noi indirizzammo la nostra attenzione verso di lui, nonostante non riuscissimo a sentire bene la voce di lei.

"Cosa intendi?" le chiese Nathan. "Matthew è venuto da te? E perché io avrei dovuto saperlo?"

Michael afferrò il telefono di Nathan strappandoglielo letteralmente dalle mani e mise il vivavoce, senza badare alla privacy. Eravamo piuttosto preoccupati, soprattutto perché aveva nominato Matthew, dovevamo sapere cosa fosse successo.

"Già, mia nonna ha detto che Matt era venuto questa mattina, ha provato a chiamarmi per sapere dove ero, ma la chiamata non era arrivata" disse Alis con una rabbia non ancora accesa.

Nathan era in difficoltà, non sapevamo il motivo, ma era evidente il suo nervosismo. "Non capisco quale sia il problema, cosa avrei fatto io?"

"Non lo avrei mai pensato, voglio dire,  non mi saresti venuto in mente, è stato Matthew a farmi ragionare. Hai bloccato il suo numero e poi lo hai eliminato, è così chiaro, non hai nemmeno bisogno di prendermi il telefono, puoi entrarci quando vuoi senza permesso!" Il me immaturo avrebbe riso per il doppio senso a fine frase, ma quel lato scompariva in presenza di Jessica. Spesso innamorandosi si diventa bambini, io con lei mi sentivo un ragazzino che non pensava ad altro se non a lei, abbandonavo le sciocchezze per essere alla sua altezza.

"Cosa dici Alis, perché ne sei così sicura?" Ormai era così preso dal discorso che si era dimenticato che stavamo ascoltando.

"Tu non lo sopporti, non vuoi che esca con me. Hai già fatto una cosa simile tempo fa, quindi hai pensato che non c'era nulla di male nel rifarlo. Non capisco comunque il motivo... insomma, non dovrebbe essere un tuo problema", sentivamo tutto il suo dispiacere, quasi mi sentivo io in colpa per lei nonostante comprendessi Nathan, tutti in quella sala volevamo che Alis stesse bene.

"Alis", cercò di trovare le giuste parole per rimediare alle sue bugie.

"Non dire niente Nate, volevo solo sfogarmi e vedere la tua reazione. Non ti odio, ma avevi promesso che non l'avresti più fatto. Non puoi decidere per me e non so più quanto posso fidarmi di te..." e dopo un attimo di silenzio lo salutò e chiuse la chiamata lasciando Nathan immobile a pensare.

Jessica tirò fuori un piano di lavoro per risollevare gli animi. Pensò di creare un file per tenere insieme tutti i documenti sulle nostre ricerche, sarebbe stato utile. Poi introdusse nuovamente il discorso sui fratelli Davis, sarebbero stati il fulcro del nostro lavoro probabilmente.

"Come vogliamo parlare con Ryan?" domandò Nathan che per tutto quel tempo era stato in silenzio con il telefono sempre sott'occhio. Forse la stavamo trascurando quella domanda non conoscendone risposta.

"Ryan ha la mia stessa età... ma non siamo amici."

"La tua età non ci è utile, ma andremo a parlargli semplicemente" constatò Mike.

Restava il problema della casa condivisa, non potevamo interrogare Ryan in presenza di Dan. Dovevamo capire se il secondo aveva qualche allenamento.

"Penso pratichi calcio" disse Nathan che, dopo aver dato un'occhiata al telefono, confermò la teoria aggiungendo: "Martedì possiamo sfruttare due ore del pomeriggio, ha allenamento."

"Perfetto, vorrà dire che aspetteremo." Due giorni non erano molti, avrei potuto trascorrere quel tempo con Jessica liberi da qualsiasi pensiero.

"Chi andrà da lui?"

"Justin e io" rispose Michael e, senza dare troppe spiegazioni o farci problemi sulla scelta, iniziammo a preparare un discorso. Mancavano ancora due giorni, ma non avremmo fatto altre riunioni. Speravamo che Ryan ci ascoltasse e sarebbe stato di aiuto, eravamo fiduciosi.

Jessica e Mike buttarono giù qualche idea per le parole da usare per sensibilizzarlo e le giuste informazioni da usare, mentre Nathan non parlò più chiudendosi quasi in una bolla. Ogni tanto alzavo lo sguardo per controllare la sua espressione, sempre la stessa, pensierosa e delusa. Ripensando alle parole di Alis, mi sorsero dei dubbi. Come aveva fatto Nathan a bloccare ed eliminare un numero dalla sua rubrica senza prenderle il telefono? In quell'istante, pensai a come avesse confermato l'ipotesi sull'allenamento di Dan dopo aver controllato il cellulare. Che lui fosse un hacker? Era sicuramente insolito, ma possibile. Quell'idea non abbandonò la mia mente per tutta la serata e non sapevo nemmeno come capire se avessi ragione oppure no.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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Non ero molto convinta nel pubblicare il capitolo, ma mentre studiavo mi sono apparse delle notifiche e mi sentivo un po' in colpa, come sempre ahah.
Spero non faccia schifo, non ho niente di pronto quindi non posso promettere nulla.

Personaggio preferito o che vi incuriosisce?

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