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Alis

Sabato

I giorni passavano lenti, giorni vuoti e spenti dove tutti si preoccupavano per me, mentre io nemmeno pensavo più, ormai la tristezza si era depositata nel mio corpo. Se riflettevo era per ricordare tutti i momenti trascorsi con Matthew plasmandoli secondo la persona che si era dimostrata di essere. La falsità non traspariva facilmente, come attore era stato ottimo. Faceva male quella situazione, continuavo a ripetere che la colpa era stata la mia, ma cos'altro avrei dovuto fare? Aprire gli occhi forse, fidarmi di Justin, lui era già amico di Ashley, non c'era da preoccuparsi.

Mi sentivo stanca, trascorrevo le ore sul letto senza muovermi minimamente. Mangiavo a stento, bevevo solo quando non potevo farne a meno. Continuavano a portarmi piatti pieni di cibo che non toccavo ed erano costretti a riprenderli. Mi preoccupavo anche della mia famiglia, sicuramente erano in pensiero per me, ma non riuscivo a essere di nuovo allegra. Soprattutto perché avevo scoperto la felicità grazie a lui, quella gioia non era vera, quindi perché provarla?

Decisi finalmente di alzarmi e camminare per la stanza. Vidi il mio riflesso sullo specchio senza fare nessuna smorfia per il semplice fatto che non avevo le energie per muovere alcun muscolo. I capelli intrecciati, le occhiaie, il pigiama ancora addosso suggerivano di farmi una doccia e provare a risollevare il morale, ma servivano ben altri stimoli.

Avevo addirittura allontanato Nathan! Mi pentivo, mi pentivo così tanto. Volevo chiamarlo e chiedergli di venire, ma le mie condizioni non mi permettevano di accoglierlo adeguatamente. Se solo gli avessi raccontato di Lena, che l'avevo vista, o almeno avevo avuto delle teorie su quella ragazza che diceva di chiamarsi Lara. Tutto era collegato, mi ero anche accertata con le domande fatte a Ashley sull'aspetto. Eppure, per non creare ulteriori problemi, avevo scelto il silenzio. Quella scelta era forse stata fatta d'impulso per proteggere i Kings senza nemmeno conoscere nulla su di loro. Patetica, stupida, ecco cosa ero.

Osservai ancora il mio aspetto allo specchio muovendo la testa da un lato all'altro fino a decidere finalmente di farmi un bagno caldo. Dovevo reagire, imparare dal passato per non ripetere i miei errori. Per mia madre non ero stata capace di reagire e di affrontare la realtà, ciò mi aveva portata a non superare mai l'accaduto creando un accumulo di strane emozioni dentro di me che costituivano un limite.

Tornai in camera con l'accappatoio per evitare di farmi vedere lungo il corridoio da qualcuno, non avevo voglia di parlare, solo stare da sola. Mi vestii lentamente e lasciai i capelli bagnati, le goccioline d'acqua che scendevano sul viso lo rinfrescavano tenendo in qualche modo la mia mente sveglia.

Dal comò mi spostai di qualche centimetro osservando la camera come se non l'avessi mai vista prima. Per terra c'era ancora la palla da calcio, il sorriso disegnato riuscì a formare una linea dritta sulle mie labbra, non era curva, ma era qualcosa. Come poteva quell'oggetto farmi ancora effetto? Distolsi lo sguardo poggiandolo però sullo skate, sembrava che Matt fosse un pensiero fisso, dovevo sbarazzarmi di quelle cose. Anche se lo avessi fatto, restavano le stelle, quelle non potevo eliminarle.

"Finalmente!" esclamò Ashley  facendo sbucare la testa dalla botola per entrare nella mia stanza. Salì completamente e mi raggiunse per abbracciarmi.

"Che ci fai qui?" chiesi.

"Sono appena venuta," spiegò, "nonna ha bisogno di una mano in cucina, zio ha detto che verranno ospiti, dei suoi amici se non sbaglio." Mugugnai disinteressara, sarei comunque rimasta in camera. "Devi venire, per distrarti un po'. "

Ciò che mi piaceva di Ashley era la positività. Cercava di trasmettermela e rimaneva allegra nonostante io non lo fossi e questo mi confortava in piccola parte. Sempre sistemata, non aveva nemmeno un capello fuori posto. Si accorse dei miei ancora bagnati e si rese disponibile per asciugarmeli, ma scossi il capo.

"Prenderai un raffreddore, siamo in pieno inverno" disse e feci spallucce. "Va bene. Scegli, o lo vado a uccidere per averti ridotta così o mi lasci sistemare i tuoi capelli."

Sapeva di certo come comportarsi, mi aveva messo di fronte a una decisione e Ashley era una persona che aveva sicuramente tutte le armi per poter distruggere qualcuno se lo desiderava e ciò mi spaventava, non volevo conoscere questo suo lato. Mi arresi e la lasciai fare. Ci mise pochi minuti, decise di farmi una coda alta giustificando quell'acconciatura con: "Così ti sentirai più libera e aperta e non dovrai nasconderti..."

Non aveva tutti i torti, a volte delle ciocche mi coprivano il viso mettendomi più a mio agio ma al contempo mi isolavano in qualche modo.

Ashley scese per aiutare nonna senza perdere tempo. Io restai lì a riflettere nuovamente, non sapevo se chiamare Nathan e raccontargli tutto finalmente e non sbagliare una seconda volta. La situazione non sarebbe peggiorata, se avessi tenuto quel segreto ulteriormente, mi sarei sentita in colpa più di quanto non lo fossi già.

Così lo chiamai. Gli squilli aumentavano la mia agitazione, muovevo le gambe freneticamente per sfogare le sensazioni che mi tormentavano. Dovevo mantenere la calma per trovare le parole giuste.

"Alis!" rispose sorpreso.

"Nathan" dissi a stento con la voce rotta. Improvvisamente mi era venuto il bisogno di piangere, trattenevo le lacrime.

"Stai bene?" chiese.

"Devo raccontarti un cosa." Rimase in silenzio, intorno nessuna voce. Quel vuoto mi diede un minimo di coraggio. "Lena è viva." E così iniziai a piangere, ogni goccia liberava i sensi di colpa per aver tenuto nascosta quell'informazione. Allontanai il telefono per non far sentire i singhiozzi, ma aveva ascoltato sia le mie parole che la mia successiva reazione, eppure rimase in silenzio.

"Scusa Nate, non dovevo allontanarti. Mi sono arrabbiata per delle piccole cose, quando io sono stata la prima a non rivelarti niente. Sono stata dalla parte sbagliata" continuai tormentata.

"Alis, Alis, tranquilla. Lo sapevo. Cioè... cosa intendi per 'sono stata la prima a non rivelarti niente'?" si insospettì.

Schiarii la voce per prepararmi alla spiegazione, doveva capire che la colpa era mia. "L'avevo vista e non ti ho detto niente. Le ho parlato, diceva di chiamarsi Lara, ma aveva avuto dei comportamenti strani. Così avevo chiesto ad Ashley del suo aspetto e coincideva con il suo! Ma non sapevo cosa fare e sono stata in silenzio."

Anche lui così stette per qualche secondo interminabile, poi sospirò: "Non importa, posso capire. Ma sapevo che era viva... Justin me l'ha detto."

"Justin? Quel Justin?"

"Già, anch'io ti ho tenuto nascosto qualcosa, è per questo che riesco a comprenderti e perdonarti, spero lo farai anche tu. Abbiamo fatto squadra per scoprire ciò che immagino ora sai."

"Mmh sì, lo so" abbassai la voce.

"Voglio venire da te" disse.

"No non venire" risposi subito, pensai che non sarei riuscita a parlargli ancora se fosse venuto. Mi accorsi del tono, così continuai: "Meglio se vieni domani, è domenica e potremmo parlare con calma."

"Va bene, voglio solo che tu stia bene. Vedrai che si risolverà tutto." Lo speravo, ma anche lui non ne sembrava molto convinto, voleva solo tranquillizzarmi.

Sbuffai per liberare un po' dell'angoscia e tornai a sdraiarmi sul letto non curante dei capelli legati che iniziarono a scompigliarsi, lo sguardo rivolto verso l'alto.

Sentii suonare il campanello, rimasi immobile senza scompormi. Avrei saltato la cena e mi sarei addormentata sicuramente. Il piano di Ashley di risvegliarmi non suonava male ma si era rivelato inutile, i capelli erano disordinati e io mi ero rimessa a letto. Chiusi gli occhi sentendo le palpebre pesanti, ero costantemente stanca, forse proprio perché mi alzavo e muovevo poco perdendo anche quella minima attività quotidiana.

"Biondina." A quella voce scattai in piedi incredula, non poteva essere lui. Poi realizzai, in effetti degli amici di papà sarebbero venuti a cena e io conoscevo solo i genitori di Ryan e Dan. E proprio lui, forse l'ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento, era salito in camera mia. Avrei dovuto pensarci prima! Mi era proprio sfuggito.

Seccata chiesi: "Cosa ci fai qui?"

"Tuo papà ci ha invitati."

"È una scusa. Non saresti venuto."

"Sì, forse hai ragione. Ma volevo vedere se stavi bene."

"Sì," mentii, "sto bene."

"Allora scendi, penso che la cena sia pronta tra pochi minuti. O almeno mi è parso... che tua nonna abbia detto così. "

"Non ho fame."

"Lo stare bene e il non avere fame non vanno bene insieme. Cosa è successo?" Sembrò serio e la cosa mi spaventava. Perché proprio Dan era venuto da me e si stava preoccupando? Era così chiaro che il problema fossero i Kings, ecco spiegato il motivo per cui aveva capito che qualcosa non andava. Senza farmi troppe paranoie, gli feci le domande formulate nella mente, ma non rispose.

Presi un cuscino dal letto furtivamente e glielo lanciai addosso urlando: "Vattene!"

Al contrario salì completamente le scale entrando definitivamente in camera. Si avvicinò lentamente mentre io continuavo a ripetergli di fermarsi sul posto e tornare di sotto.

Non voleva darmi ascolto, così continuai a parlare: "Sei solo un bugiardo e falso, sia tu che tutto il gruppo! Vattene, anzi andatevene tutti! Siete solo capaci di prendere in giro le persone, così come stai facendo tu ora. Chi sei, chi fingi di essere!? Non eri scontroso una volta?"

Le mie parole lo turbarono, o meglio, lo confusero, tanto che inarcò un sopracciglio. "Sono qui perché Matthew è mio amico, ci tengo a lui e so quanto lui tiene a te."

"E perché non è lui qui ma ci sei tu?"

"Siamo stati invitati a cena e sono venuto a controllare come stessi, non sapevamo effettivamente se eri arrabbiata o se avevi la febbre. Ma ora non ci sono dubbi, ce l'hai a morte con i Kings... eppure eri perfetta come regina" ironizzò, ma non apprezzai affatto la sua battuta. E ripetei di andarsene.

Mi sedetti sul letto, fece lo stesso anche se non gli avessi detto niente. Lo lasciai stare, era comunque distante un metro da me, non avevo intenzione di arrabbiarmi per delle minuzie.

"Puoi spiegarmi cosa sai? Così poi posso spiegare a mia volta. Magari ci sono fraintendimenti. E poi, chi è stato a parlare?" domandò.

"Non deve interessarti" risposi rendendomi conto del tono poco garbato, ma non riuscivo a tenermi a freno e contenere la rabbia. Così iniziai a raccontargli tutto ciò che sapevo, facendogli capire quanto mi sentissi usata per via di quella situazione, usata e presa in giro.

Chissà com'era realmente Matthew! Si era mostrato gentile e aperto solo per conquistarmi per poi sfruttarmi. Magari il suo vero carattere era proprio quello della notte in cui era venuto da me ubriaco e geloso. Avevano tutti interpretano un ruolo e io nemmeno conoscevo il copione.

"No, no, no. Sei proprio fuori strada. È a questo che credi? Pensi che lui sia arrivato a tanto?"

"Sì, perché non avrebbe dovuto? Sapevo dei traffici di droga iniziati da Tyler... continuandoli avreste potuto guadagnare..." Abbassai lo sguardo, non sapevo nemmeno io se crederci. Mi stavo fidando di una sensazione negativa che sentivo.

Si ammutolì dando in qualche modo conferma alle mie supposizioni e facendo diminuire la sua credibilità.

"Quindi pensate che io sia stupida... Sei venuto qui per smentire tutto pensando che ci avrei creduto," risi nervosamente, "ora puoi andartene?"

"Ma cosa hai capito? Non è come pensi. Sono stato in silenzio perché in parte ciò che hai detto è vero. Abbiamo continuato l'attività di Tyler, ma non per nostro volere. È stato lui stesso a minacciarci, voleva dei soldi per andarsene una volta per tutte e non ferire nessuno" restò piuttosto vago.

"Non ti credo." Nonostante ciò, lui continuò a spiegarmi per convincermi con determinazione.

"Alla festa... quando Aron si è rotto il braccio... è stato Tyler. Quando è venuto, eravamo tutti allarmati. Si è avvicinato e Aron era furioso, così ha iniziato subito ad andargli incontro facendo iniziare una rissa. Abbiamo cercato di intervenire, ma Aron è caduto con il braccio dietro la schiena. In pochi minuti Tyler ci ha avvisato che avrebbe ferito qualcuno a cui tenevamo se non gli avessimo dato una sostanziosa somma di denaro. Non avevamo altra scelta."

"Non ti credo," ripetei, "questa storia non è credibile. Aron non aggredirebbe mai nessuno istintivamente. Mi è parso il più gentile nel gruppo."

Esitò un attimo prima di spiegare valutando se potesse darmi quell'informazione. "Beh... hai detto di sapere chi è Lena e che lei è viva. Ma non sai com'è realmente andata..."

Lo bloccai subito: "Prima di parlare, come faccio a credere alle tue parole? Dovrei ascoltarti e dare per scontato che sia la verità?"

"Volendo... sì" disse beccandosi un'occhiataccia. In fondo c'era da aspettarselo, Dan non poteva cambiare il suo carattere. "Non avrei motivo di mentirti. Lo faccio per Matt. Se avesse voluto utilizzarti, l'avrebbe già fatto. Oppure avrebbe cercato un'altra ragazza. In realtà inizio a preoccuparmi anch'io per te... non so se sia dovuto solo all'amicizia con Matt. Comunque... Tyler era l'unico a utilizzare le ragazze e ora ti spiego."

Con un cenno del capo gli diedi il consenso di continuare, ero tutta orecchi. Nonostante ce l'avessi con loro, Matthew mi mancava. E anche con Dan stavo iniziando a instaurare un rapporto... amichevole.

"Come sai, Lena è la sorella di Nathan, una volta era il migliore amico di Matthew e beh... anche nostro, ma loro particolarmente aveva stretto un forte legame, come fraterno. Nathan portava molto rispetto sia a lui che al fratello Joan e Matt era molto protettivo nei confronti di Lena. Ci fu un periodo di confusione dove i fatti si succedevano e si mescolavano.
Accadde che un ragazzo ridusse il cuore di Lena in frantumi, non sapevamo chi fosse. Piangeva giorno e notte. Fino a quando Matthew riuscì a farla uscire di casa e lei iniziò ad avvicinarsi a noi. Non siamo cattivi ragazzi... l'abbiamo accolta e consolata nel nostro piccolo. Tyler però si è subito approfittato delle sue fragilità e la corteggiò solo per i suoi scopi, che noi non conoscevamo. Riuscì a conquistarla e a farle consegnare dei pacchi illeciti tenendola all'oscuro di tutto e inventandosi delle scuse. Però la seconda volta fece l'errore di svelare la sua identità; fu proprio quando noi scoprimmo i segreti di Tyler, così decidemmo di nasconderla e tenerla al sicuro per paura che finisse nei guai."

Tutto sembrava più chiaro, anche se qualcosa continuava a non quadrare. "E Aron cosa c'entra?"

"Sì, stavo proprio arrivando lì. Lui si era innamorato di lei, era e tutt'ora è completamente perso. Per questo odia  Tyler più di qualsiasi altro e fu lui a denunciarlo."

Dan non sembrava colpevole, mi stava raccontando la storia con naturalezza e ciò significava che non era inventata. Eppure ero ancora molto confusa e potevo crederci al cento per cento solo se l'avessi vista con i miei occhi.

"Va bene, domani stesso ti porterò da lei e potrà confermare tutto. Si trova nella nostra casa, la casa dei Kings" disse.

"Avete anche una casa in comune?"

"Già... i miei genitori volevano venderla. Ho detto loro che ci avrei pensato io, ma l'ho tenuta per me. Non mi hanno chiesto nulla, poco gli interessa di quella casa" rivelò malinconico come se volesse continuare la frase.

Matthew mi aveva resa così felice che tutta quella situazione aveva creato uno scudo intorno a me che non mi permetteva di credergli. Da tanto affetto, si era annullata ogni emozione  e ogni riguardo nei suoi confronti.

"Sento ancora che non è stato sincero. Tutti questi segreti mi hanno pesato, hanno creato continui dubbi e tutto è crollato. Tutte le sue parole... chissà quante bugie si sarà inventato!" supposi.

"No, non è così" lo difese, ma in fondo era suo amico.

"Probabilmente non mi conosceva sin da piccola, non ho mai commentato il suo disegno. È per questo che non me lo ricordo. Si è inventato tutto. Chi è che pensa per dieci anni a una bambina che se n'è andata? È ridicolo, è una storia assurda." Mi osservò quasi dispiaciuto del mio pensiero.

Replicò con un tono dolce mai sentito prima: "Sono sempre stato accanto a lui. Lo prendevo in giro per questa bambina che mi descriveva di tanto in tanto, pensavo fosse immaginaria, che l'avesse creata nella mente. Quando ne parlava, gli brillavano gli occhi, da quando era un ragazzino. Descriveva i capelli biondi senza mai nominare il nome, lo ricordava, ma lo teneva per sé. Era assurdo anche per me pensare che questa bambina esistesse, bambina che con il tempo era cresciuta. Ma lui era ostinato, diceva 'se mai dovesse tornare, non la farò scappare'. Anche con la morte di Joan non ha smesso di pensarti, a volte sorrideva a caso sostenendo che con il sorriso sarebbe stato tutto più bello. Per me era strano, ma solo ora capisco che non ha mai smesso di essere innamorato."

Volevo piangere. Un miscuglio di emozioni erano pronte a uscire dal mio corpo. Tutta la delusione e la tristezza accumulatasi in quegl'ultimi giorni creava un forte contrasto con una nuova sensazione. Si era realmente ricordato di me in tutti quei dieci anni, era bastato il mio nome per riconoscermi. Si era avvicinato a me per non lasciarmi andare, non per usarmi. Magari non era vero, ma mi piaceva pensarci... almeno finché non sarebbe venuto fuori qualche altro sospetto.

Scesi a mangiare cena insieme a Dan e tutti ci guardarono stupiti, nonna sorrise. Salutai gli ospiti gentilmente notando che Ryan non era presente. Mi sedetti vicino a Dan e sottovoce gli chiesi il motivo dell'assenza.

Annoiato rispose: "Aveva altro da fare."

Per il resto della cena Ashley e Dan iniziarono a parlare, li ascoltavo incredula del comportamento di Dan. Di tanto in tanto sfuggiva qualche battuta, ma non era scontroso, anzi trovava sempre un modo per continuare il discorso. E sorrideva.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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