viii. musica, danza e minacce

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C A R L O S

Era incredibile come non riuscisse a godersi il pollo arrosto che aveva nel piatto.

Mai ne aveva visto uno più carnoso e invitante, ma, nonostante questo, tutto ciò a cui riusciva a pensare era Esme: ai suoi setosi capelli corvini, ai suoi occhi color pece, così scuri ma incredibilmente luminosi. Alle sue labbra: sottili, eppure così invitanti . . .

«Terra chiama Carlos! Rispondete, passo. Amico, tutto bene? Sei più rosso della tua bottiglia di ketchup!».

La sua testa scattò in un nanosecondo dal piatto verso il volto di Jay che, insieme a Evie, lo stava fissando con uno strano sorrisetto. Mal, invece, stava discutendo con Hunter sul fatto di risistemare la spada di suo padre. Non era ancora convinta a farlo.

«S—Si, t—tutto bene!» rispose il figlio di Crudelia.

Evie e Jay si scambiarono un'occhiata complice. Poi fu la ragazza a parlare.

«Ne sei sicuro? Perché la tua faccia dice tutt'altro».

Carlos annuì in fretta e furia: «Sì! Ne sono sicuro!». Poi analizzò le parole di Evie e aggiunse: «E la mia faccia non dice un bel niente!».

Il figlio di Jafar alzò un sopracciglio, un ghigno furbetto stampato sul volto: «Ah davvero? Allora perché tutto quello che riesco a ricavare è: "Quanto è bella! È la ragazza più incredibile che abbia mai visto! Oh, quanto vorrei poterla baciare, e abbracciare, e—».

«Ok!» gridò Carlos, se possibile, ancora più rosso di prima. «Ho capito dove vuoi arrivare. E poi non è vero! Non stavo pensando ad Esme!».

Evie incrociò le braccia al petto, mentre Jay scoppiò a ridere.

«E chi ha detto che stavamo parlando di Esme?» gli disse la principessa dai capelli blu, con aria sicura.

Ormai era sicuro di non essere altro che una macchia rossa ambulante, ma trovò comunque la forza di lanciare ai due un'occhiataccia, cercando di apparire deciso.

Jay, che cercava di riprendersi dalle risate, gli diede una pacca sulla spalla: «Ehi, ehi, guarda che non ti biasimo! La principessina non è affatto male, e devo ammettere che durante la scenetta di prima era veramente sexy».

Carlos rispose con un leggero pugno sul braccio, sperando di chiudergli la bocca in quel modo. E di distogliere l'attenzione generale dal suo viso ormai completamente rosso.

Ma Evie, che non aveva fatto caso al loro banco durante 101 Rimedi di Bontà, lì osservò interrogativa.

«Di che scena state parlando?».

Il figlio di Jafar le lanciò uno sguardo malizioso, mentre Carlos non fece altro che guardare altrove, ancora imbarazzato.

Solo ripensare a quello accaduto prima lo faceva sentire più accaldato del normale, e la cosa peggiore era che non riusciva a smettere di farlo. Continuava a ritornare a quel momento come un disco rotto, e ogni volta si sentiva sempre più attratto dalla ragazza. Era seccante ed eccitante allo stesso tempo. Non sapeva come sentirsi.

Alla fine, Carlos emise un gridolino di esasperazione, per poi mettersi a soffocare il suo imbarazzo nel pranzo delizioso che aveva davanti. Per lui non c'era modo migliore di distrarsi, anche se le grasse risate dei suoi amici non lo aiutavano per niente.

•✵•

L'ultima lezione del giorno era finalmente arrivata, e Carlos non vedeva l'ora di concluderla per poter andare ad esplorare un po' in giro.

Nonostante Auradon in quanto a persone non fosse proprio il suo posto preferito, era curioso di esplorarne l'ambiente e i confort. Chissà di quali altre sorprese disponeva! Avrebbe dovuto approfittarne, no? Quando lui e i suoi amici avrebbero liberato i Cattivi tutto sarebbe andato distrutto. Meglio godersi la favola finché durava.

L'aula di musica dove si teneva l'ultima ora era più grande delle altre: luminosa, insonorizzata, e rifornita di qualunque strumento esistente, dalle chitarre ai triangoli. C'era persino un'area riservata ai ballerini.

Per fortuna, insieme a lui c'era Evie. Non era sicuro di riuscire a resistere ad un'altra classe senza almeno uno dei suoi amici.

«Carlos».

«Sì?» chiese alla sua amica.

Lei in tutta risposta, indicò con la testa verso un lato della stanza, dove si trovava una certa principessa ormai molto familiare.

Carols sospirò, mentre Evie al suo fianco cercava di trattenere un risolino.

«Perché non le vai a parlare?».

Il figlio di Crudelia la guardò come se gli avesse appena detto di preferire il cibo dell'isola a quello di Auradon.

«Sei fuori di testa per caso? Ti rendi conto di chi è lei e di chi sono io?! Mi odia!» sussurrò di rimando.

Abbattuto, rivolse un'occhiata alla figlia di Esmeralda. Stava parlando con un ragazzo che non aveva mai visto prima d'allora. Era molto alto, con corti capelli dorati, occhi color cioccolato fuso e una pelle dall'abbronzatura notevole. Stavano ridendo per una battuta di qualche genere, e mentre Esme non toglieva gli occhi dal pianoforte che stava accordando, quelli del ragazzo non abbandonavano mai la figura della principessa. Aveva uno sguardo adorante, ma al tempo stesso dolce e in qualche modo quasi affamato.

Carlos serrò la mascella, osservando la scena.

Quel tizio non la stava di certo guardando come un fratello fa con una sorella, né come un amico fa con un'amica. Non aveva lo sguardo protettivo e leggermente annoiato che usava lui con Evie e Mal.

Carlos decise che quel tipo, chiunque egli fosse, non gli piaceva. Non gli piaceva per niente.

«Prendete posto, prego!».

La voce del professore fece distogliere al figlio di Crudelia gli occhi dalla scenetta di fronte a sé, per poi andare a sedersi con Evie in uno dei banchi in fondo all'aula. Il segreto, con gli Auradoniani, era di non attirare l'attenzione. Meno parlavi e meno ti guardavano (cosa che si poteva tradurre con: "meno parlavi e meno ti lanciavano maledizioni addosso", il che era utile, in quanto lì le maledizioni te le potevano lanciare sul serio).

«Essendo questa la prima lezione dell'anno» iniziò il professore. «Ognuno di voi avrà la possibilità di dimostrare di cosa è capace al resto della classe».

Una ragazza pochi banchi più avanti a Carlos alzò la mano: «Che cosa intende con "di cosa siamo capaci"?».

L'uomo sorrise: «Mi è stato riferito che alla fine del semestre, in occasione della Giornata Della Famiglia, il Re ha dato l'approvazione per mettere su un piccolo balletto cantato. Per questo ho bisogno di volontari che imparino la coreografia e le parole della canzone».

Mormorii di eccitazione si diffusero nella classe. Carlos ed Evie si scambiarono un'occhiata confusa. Nella loro scuola non c'era mai stato niente del genere, a parte il Ballo Disgustoso di fine anno.

«Ma!» esclamò l'uomo, riportando il silenzio nell'aula. «Non pensate di poter ottenere la parte solo chiedendola! Ho intenzione di scegliere solo i migliori tra quelli che hanno intenzione di iscriversi, il che ci porta alla lezione di oggi».

Girò intorno alla cattedra per poi appoggiarcisi con la schiena.

«Mostrate il vostro talento. Se sapete cantare, ballare. Voglio vedere la vostra passione e la vostra energia!».

Molti studenti annuirono senza pensarci due volte, mentre altri cercarono di nascondersi nei loro banchi, in imbarazzo.

«Bene! Se volete provare qualcosa alzate la mano, sennò potete comunque restare a dare un aiuto».

Ci fu un momento di esitazione, ma poi diverse mani si alzarono. Carlos non si sorprese nel vedere anche quella di Esme.

Poi sentì un'improvvisa fitta al fianco sinistro.

«Ouch!» esclamò, portandosi una mano al punto colpito, opera di Evie. «Perché l'hai fatto?».

«E me lo chiedi pure?» disse la ragazza dai capelli blu. Il figlio di Crudelia la fissò confuso. Lei alzò gli occhi al cielo. «Carlos, quante volte ti devo ripetere che tu spacchi a ballare! Persino Jay l'ha ammesso! E sai che è stato un grande sacrificio per lui doverlo fare davanti a tutte le sue ammiratrici, nipoti della Matrigna Cattiva».

Carlos aprì la bocca per ribattere, ma poi la richiuse.

Tornò con la memoria a qualche settimana prima della partenza.

Dopo il grande successo della sua festa l'anno precedente, ormai sull'isola era diventato una specie di "Mister Party". Tutti gli chiedevano in continuazione (o meglio, minacciavano) di organizzare delle grandi feste ogni volta che poteva.

L'ultima era stata proprio due settimane prima della grande notizia. Ed era stata la prima volta che aveva ballato in vita sua.

Ma non era stato per sua scelta! Evie lo aveva costretto a prendere parte ad una gara di ballo insieme a Jay, Anthony (unico nipote maschio della Matrigna), Gil, e Yzla (figlio di Yzma). Lui aveva protestato, in quanto era uno scienziato, non un ballerino o uno sportivo, ma alla fine, dopo una lunga trattazione (che includeva diverse delle ampolle rubate da Jay) aveva ceduto. Anche perché era difficile sfuggire alla presa del figlio di Jafar che lo scortava delicatamente in pista.

Ballare era strano. Quando lo faceva, gli sembrava di volare in un'altra dimensione e di essere in pace. Era come se sapesse di essere al sicuro, nel suo territorio, intoccabile. Tanto quanto lo era in un laboratorio di chimica, o nella sua casa sull'albero. Si sentiva sè stesso.

Aveva vinto la gara senza sapere neanche lui come. Ma i suoi amici erano rimasti a bocca aperta. Quella era stata la prima e la sola volta in cui Jay aveva ammesso una sconfitta. Questa consapevolezza lo faceva sentire stranamente appagato e fiero di sé.

Nell'aula, Carlos rivolse uno sguardo alla principessa figlia di Esmeralda, che in quel momento stava parlando con un'altra ragazza. Forse in questo modo avrebbe potuto attirare la sua attenzione.

Carlos sospirò, per poi annuire: «Ok, ci proverò».

Evie si lasciò scappare dalle labbra un urletto eccitato, per poi avvicinarsi e, in un impeto di felicità, abbracciare il ragazzo. Quest ultimo, che come tutti gli abitanti dell'isola non era abituato a gesti di affetto, si irrigidì di colpo. Ma Evie si era già staccata prima che potesse protestare in qualche modo.

Non che non gli piacessero gli abbracci. Ma da dove venivano loro, il contatto fisico era una cosa utilizzata per altri fini: risse, furti, spintoni, o speciali rapporti esclusivamente a fini di guadagno, e senza alcun sentimento in ballo. Gli abbracci, i baci o le carezze erano gesti considerati stupidi e che nessuno utilizzava, se non per manipolare qualcuno. Né Carlos né Evie vi erano abituati. E a loro andava bene così. L'amore era per i deboli, gli sciocchi, i buoni a nulla. Loro erano Cattivi, non ne avevano bisogno. Per tutta la vita gli era stato insegnato che il solo modo di ottenere la felicità era il potere. Tanto potere. Quel tipo di potere che avrebbero ottenuto soltanto conquistando Auradon. E Carlos voleva essere felice. Lo voleva più di ogni altra cosa al mondo. Ci doveva essere qualcosa di più che servire sua madre. Ci doveva essere. E forse, adesso che era ad Auradon, avrebbe potuto trovare questo qualcosa.

Dopo un altro lungo sospiro, alzò anche lui la mano, attirando così l'attenzione del professore e del resto della classe.

Il silenzio che seguì lo fece subito pentire della sua scelta. Non gli piaceva avere tanti occhi addosso, tanto meno quelli di una certa principessa che lo osservava ad occhi spalancati.

«Sì, signor De Mon?».

La sua attenzione venne catturata dalle parole del professore, che lo guardava a braccia incrociate e con un sopracciglio alzato.

Carlos deglutì, leggermente intimorito. Nessuno l'aveva mai chiamato "signore" prima, men che meno i suoi professori.

«I—Io vorrei provare per . . .». Non riusciva a parlare con tutte quelle persone che lo fissavano.

«Per . . ? Per il balletto?».

Lui annuì, insicuro. Ma dentro di sé stava gridando. Era una fortuna che non fosse sull'isola. Lì, questo suo comportamento sarebbe stato deriso da tutti, e sicuramente punito da sua madre. Non che ad Auradon fosse tanto meglio: poteva sentire benissimo le risatine che venivano da alcuni studenti.

«Be' allora ci faccia vedere di cosa è capace».

La testa del ragazzo scattò subito in aria, e i suoi occhi si spalancarono impercettibilmente. Cosa aveva detto?

«Cosa?! Adesso?».

Il professore alzò gli occhi al cielo: «Sì, adesso signor De Mon. O preferisce aspettare questa sera? O sentito dire che dalle vostre parti preferite la notte al giorno».

Altre risatine risuonarono nell'aula, e Carlos si sorprese nel vedere che quella di Esme non era tra queste. La principessa era impegnata a disegnare qualcosa sul suo quaderno. L'unica altra persona a non aver riso era una ragazza dai tratti orientali.

Sentì Evie muoversi vicino a lui, alzandosi e portandosi anche lui per un braccio. Il suo sguardo lanciava saette.

«No, preferisce farlo adesso. Noi di notte dormiamo, sa? Come tutte le persone di questo mondo!».

Be', non era una vera bugia. Ovvio che di notte dormivano, ma a volte potevano anche uscire e divertirsi. E con "divertirsi" intendeva andare in giro a fare graffiti sui muri delle case.

Poi la figlia della Regina Cattiva si rivolse a Carlos, e gli sussurrò: «Fai vedere a queste principessine da quattro soldi e a questo pallone gonfiato cosa sai fare! Sei o non sei cattivo dentro?».

Il figlio di Crudelia si congelò sul posto a queste parole.

Erano vere. Erano dannatamente vere! Evie aveva ragione! Questi ragazzi e queste ragazze che lo stavano prendendo in giro, persino lo stesso professore della classe, non avevano idea di chi fosse lui! Un Cattivo. Sull'isola aveva imparato a sopportare molto peggio di un paio di frecciatine, non sarebbero di certo state queste a farlo stare male. Non doveva aver paura di qualche stupida risatina, specialmente se venivano da qualcuno come un Buono. Semmai erano loro a dover avere paura di lui.

«Sì, lo sono» sussurrò in risposta alla sua amica, ma sembrava lo stesse ricordando a sé stesso.

Sotto gli sguardi increduli della classe, si tolse la giacca di pelle nera e rossa che aveva indosso, rimanendo in una t-shirt bianca, e la lanciò poco garbatamente al professore, che di riflesso la prese al volo.

«Mi tenga questa prof, non vorrei rovinarla».

Evie lo guardò sorridendo a trentadue denti, quando dal suo computer partì a tutto volume Rotten To The Core, la loro canzone simbolo sull'isola.

Molti degli studenti, al suono di quelle note, fecero una smorfia infastidita, e alcuni si tapparono addirittura le orecchie.

Carlos, non curante di queste reazioni, iniziò a muoversi a ritmo di musica, saltando da un banco all'altro dell'aula, esattamente come avrebbe fatto sui tavoli dell'isola. Buttò giù matite, penne e fogli di ogni tipo, scatenando diverse proteste dai proprietari.

«Signor De Mon!» urlò il professore. «Si fermi immediatamente, o dovrò prendere seri provvedimenti!».

Carlos rise, saltando sulla cattedra e spaventando così l'uomo che ricadde con un grido sulla sua sedia.

«Cosa intende con fermarsi, signore? È lei che mi ha detto di farle vedere di cosa sono capace, no? È quello che sto facendo!».

Sentì la melodiosa risata di Evie risuonare alle sue spalle, insieme ad uno sbuffo che non fece fatica a riconoscere. Il figlio di Crudelia sorrise fra sé e sé.

»Questo non è ballare!» protestò uno studente che non aveva mai visto prima.

«Forse sì, forse no» rispose Carlos, un ghigno furbo stampato in faccia. «Ma è altrettanto divertente!».

Saltò giù dalla cattedra, atterrando con l'eleganza di un gatto.

Mentre ritornava in fondo all'aula, pronto per il gran finale, con la coda dell'occhio riuscì a vedere Esme. La principessa stava con la testa piegata sul suo banco, e la mano destra sulla bocca. Anche un cieco avrebbe visto che si stava sforzando di non sorridere.

La reazione della ragazza fece scorrere una nuova ondata di confidenza dentro Carlos, che sorridendo si girò verso il professore. Ormai si trovava nel punto della stanza riservato ai ballerini.

«Sa, probabilmente ha ragione» disse.

La canzone era arrivata quasi al termine.

«Quello che ho fatto prima non era ballare».

Due secondi e l'ultima strofa avrebbe risuonato nell'aria.

«Ma questo» ridacchiò per un attimo, ma poi tornò serio. «Decisamente sì!».

Sulle note dell'ultima parte della melodia, Carlos non si trattenne. Diede tutto sé stesso. Sentiva la musica scorrergli nelle vene, le note animargli braccia e gambe. Inventò sul momento una nuova coreografia, diversa da quella che insieme ai suoi amici ballava sull'isola. Questa era ancora più grezza, più viva e movimentata.

Non prestò attenzione a nessuno degli sguardi increduli che tutti gli rivolgevano. Tanto meno a quello fumante del professore. Non notò neanche quello di Esme, che ormai aveva dimenticato il suo quaderno per osservare lui a bocca aperta.

Con la familiare adrenalina a scorrergli nelle vene, Carlos si sentì potente come non mai. Ogni passo, ogni movimento, lo facevano sentire più tranquillo ed incredibilmente felice. Ora non aveva più dubbi: il ballo era diventata una delle sue cose preferite.

Quando la canzone finì, crollò sul pavimento sfinito. Anche se adorava muoversi a ritmo di musica, non era abituato a tutte quelle mosse in serie. Ma nonostante il fiatone, aveva stampato in faccia un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Non gli importava di aver mandato all'aria tutta la sua piccola recita, in questo modo. Era soddisfatto.

La campanella suonò, e la maggior parte degli studenti non perse tempo a scappare fuori dalla classe come dei razzi.

«Ci vediamo questa sera alle nove in punto per la punizione, De Mon! Sia puntuale!».

E con queste magiche parole, anche il professore corse fuori dall'aula.

Carlos chiuse gli occhi, sospirando. In tutta onestà si era aspettato una reazione del genere, ma ora come ora non gli importava. Aveva mostrato chi era veramente, e che nessuno poteva mancargli di rispetto solo perché era un Cattivo. Aveva dimostrato a tutti quali erano le sue origini, e ne andava fiero.

«Sei stato grande!».

Riaprì le palpebre, trovandosi davanti Evie, che lo fissava sorridente e con le mani giunte. Con uno sbuffo, si alzò dal pavimento. Stava cercando di nascondere la sfumatura di rosa comparsa sulle sue guance.

~Ha ragione sai?».

Non aspettandosi la nuova voce, Carlos cacciò un urletto, ricadendo di sedere per terra. Evie scoppiò a ridere.

Quando si rimise in piedi, le sue guance arrossirono ancora di più alla vista di Esme che lo guardava, le braccia conserte e un'espressione indecifrabile sul viso. Non era la prima volta che la vedeva in quel modo. Si chiese se fosse un'abitudine, per lei, quella di non mostrare emozioni.

Ma, a dirla tutta, il suo linguaggio del corpo riusciva dove i suoi occhi fallivano. Sembrava fosse indecisa tra scappare a gambe levate o avvicinarsi e abbracciarlo.

«Ra—Ragione su cosa?» chiese lui titubante. Tutta la sicurezza di qualche minuto prima era completamente sparita. Carlos cercò di convincersi che era dovuto alla mancanza di adrenalina, e non allo strano sentimento che provava ogni volta davanti ad Esme.

La principessa alzò un sopracciglio.

«Il balletto che hai fatto prima... la tua amica ha ragione: sei . . . sei stato bravo . . .». Teneva i denti serrati, come se provasse un qualche tipo di dolore fisico anche solo a parlare con lui. Carlos sospirò, ma non riuscì a nascondere il sorriso da ebete che gli si era formato in viso.

Le rivolse una lunga occhiata. La figlia di Esmeralda sembrava voler essere in qualsiasi altro luogo che lì. Continuava a spostare il peso da una gamba all'altra, torturandosi un filo che sporgeva da una tasca dei pantaloni.

«Grazie» le rispose lui, senza tante cerimonie. Ma il suo tono di voce era come la cioccolata calda d'inverno: dolce e confortante.

Esme grugnì, annuendo. Fece per uscire dall'aula, quando si fermò sulla porta. Sembrava indecisa se aggiungere qualcosa o no.

«Buona fortuna con la punizione, stasera, De Mon. Il professor Martin non sarà molto clemente con te».

Questo attirò l'attenzione di Carlos: «Che intendi?» chiese.

La ragazza ridacchiò: «La famiglia Martin è da anni la migliore amica dei Radcliffe. Ti suona familiare?».

E dopo questo, era sparita tra la miriade di studenti nel corridoio.

•✵•

Il resto della giornata passò velocemente per Carlos. Anche troppo, per i suoi gusti.

Non che non si fosse divertito. Aveva esplorato ogni angolo dell'Auradon Prep: la biblioteca, il campo da gioco, le scuderie, e qualunque altra stanza fosse riuscito ad incontrare sul suo cammino. Era persino riuscito ad entrare nelle cucine. Il giorno dopo a colazione sarebbero mancate molte barrette di cioccolato.

Erano le venti e cinquanta di sera, e il figlio di Crudelia si stava dirigendo a passo lento verso l'aula di musica, dove avrebbe scontato la sua punizione.

A dirla tutta, non era per niente preoccupato. Certo, l'avvertimento di Esme non l'aveva proprio messo di buon umore, ma in fin dei conti quell'uomo era un suo professore, e di conseguenza avrebbe dovuto sopportarlo comunque.

Stava per svoltare in un altro corridoio, ma nel farlo finì addosso a qualcuno.

Fece per scusarsi, ma quando alzò lo sguardo, davanti a sé si ritrovò il ragazzo con cui Esme stava parlando quella mattina. Lo stesso ragazzo che la guardava come un animale feroce.

Carlos entrò subito sulla difensiva.

Non si scusò, facendo per continuare per la sua strada, ma il tizio lo prese per un braccio, costringendolo a fermarsi.

«Ehi! Potresti anche chiedere scusa! O dalle tue parti è una parola proibita?».

Carlos non rispose, rivolgendogli semplicemente uno sguardo annoiato.

Gli occhi dell'altro sembrarono accendersi di una nuova luce, e sorrise a trentadue denti.

«Tu sei il ragazzo di cui parla Esme! È un vero piacere conoscerti! Io sono Richard!» esclamò, cosa che fece immediatamente spalancare gli occhi al diretto interessato.

«Sei il figlio di Crudelia De Mon, giusto?» chiese, il suo tono di voce fin troppo eccitato.

Lui annuì, incerto. Dove vuole arrivare? pensò Carlos.

Richard rise: «Com'è essere figlio di tua madre? Scommetto che vi divertite ad uccidere insieme dei poveri cagnolini innocenti!».

Alla parola "cagnolini" Carlos deglutì, ma cercò di non darlo a vedere. Questo tizio non gli piaceva neanche un po', ma forse poteva usare questa affermazione a suo favore.

Perse del tempo ad osservarlo. I suoi capelli dorati e i suoi occhi cioccolato gli sembravano estremamente familiari, ma non riusciva a capire perché.

Quindi, non trovò niente di meglio da fare che controbattere.

«Sì, sai, è il nostro passatempo preferito. Non c'è niente di meglio come antistress». Il sarcasmo sgorgava da ogni sua parola, ma Richard sembrò non coglierlo, poiché rabbrividì da capo a piedi. Un lato delle labbra di Carlos si inclinò all'insù.

«Oh» rispose il ragazzo. «Non importa. Io non ho un cane! Mhm mhm, no, no, neanche uno». Il figlio di Crudelia si disse che perfino Gil avrebbe capito che stava mentendo.
Stavolta fu il suo turno di rabbrividire.

Finché gli ingranaggi non scattarono nella sua testa.

Barcollò, quando si rese conto di chi si trovava davanti. Era ovvio! Come aveva fatto a non capirlo prima?! La somiglianza era incredibile!

Questo ragazzo era la copia esatta di Roger Radcliffe. L'altezza, la corporatura, i capelli. Solo gli occhi, al contrario, ricordavano quelli di Anita Radcliffe. Era identico alle vecchie foto della coppia che si trovavano nella soffitta di casa sua.

Si trovava davanti al figlio dei nemici giurati di sua madre!

«Comunque non è questo il punto!» esclamò il biondo, schioccando la lingua. «Già che ci sono, voglio dirti una cosa».

Carlos pensò subito ad una minaccia di qualche tipo. Non sarebbe stato strano, considerando di chi erano figli.

Infatti aveva ragione. Solo che si trattava di una minaccia un po' diversa.

Il tono di voce di Richard si fece tutt'un tratto più profondo, e scoccò al figlio di Crudelia un'occhiataccia.

Carlos non potè fare a meno di deglutire, leggermente intimorito. Era strano, ma anche dopo anni e anni sull'isola non era ancora abituato alle minacce, nonostante lì fossero una cosa normalissima.

Se sua madre fosse venuta a sapere di un comportamento così debole (o patetico, come piaceva chiamarlo a lei) davanti al figlio dei Radcliffe, gli avrebbe dato una valanga di schiaffi. Poteva quasi sentire le sue guance bruciare dal dolore.

«Stai lontano da Esme» gli disse, mentre il cioccolato fuso nei suoi occhi si trasformava in cioccolato fondente. Scuro e amaro. «Non so quale sia l'obbiettivo tuo o dei tuoi amici, ma so che ha a che fare con il museo di Storia Culturale». Carlos dovette sforzarsi di non apparire scioccato. «E se anche proverete a fare qualcosa ad una certa figlia di Esmeralda, ve la dovrete vedere con me. Non mi importa di chi siete voi o di chi sono i vostri genitori, Esme ha passato delle cose che il tuo stupido cervellino non può neanche immaginare. Non ti lascerò rovinare la vita perfetta che si è creata».

Non appena finì di parlare, i suoi occhi tornarono luminosi e limpidi come sempre.

Diede a Carlos un ultimo grande sorriso, prima di superarlo con una forte spallata.

«Ci si becca in giro, De Mon».

—— angolo autrice!


Scusate il ritardo! Veramente scusatemi tantissimo, ma sono in vacanza e non ho tempo materiale per usare il tablet.

Comunque spero vi sia piaciuto il capitolo! Vi è piaciuta la scena nell'aula di musica? Che ne pensate del rapporto attuale tra Carlos ed Esme? E della minaccia di Richard? A cosa pensate sia dovuta? Io sono sempre pronta ad ascoltare le vostre opinioni.

Domanda del giorno: quali sono le vostre tre ship preferite?
Le mie sono queste:

1. Marlos (lo so, non uccidetemi)
2. Malevie
3. Jonnie

Al prossimo capitolo!

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