xxix. oscure consapevolezze

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

( C A R L O S )

Carlos ci aveva provato.

Lo aveva fatto con tutto se stesso.

Sul serio, lui—

«Carlos». Evie sbucò dalla porta del bagno della stanza sua e di Jay, i lunghi capelli blu acconciati in morbidi boccoli che le ricadevano lungo le spalle, gli occhi decorati dall'ombretto dorato. «Noi stiamo andato, sei pronto?».

Carlos si guardò nello specchio.
La sua figura bassa e magra era coperta da un tuxedo nero con inserti bianchi, l'interno, invece, foderato di stoffa rossa. Si sistemò un'ultima volta i guanti senza dita di pelle nera, e prese un respiro profondo. «Sì, ci sono».

Perchè ci aveva provato a non pensare ad Esme, a come lo avesse salutato in quel giardino, così debole e rassegnata, come non l'avesse più vista da allora, non un biglietto, un messaggio, un segno di vita. "Ti voglio bene, Carlos. Ma non so—". Ci aveva provato a non restarci deluso.

Uscì dal bagno, e fece un cenno di saluto a Jay e Hunter, i loro visi cupi e stanchi. Probabilmente anche lui appariva così.

Diede un ultimo sguardo a quella camera, al suo letto morbido, al pavimento pulito, alla console di videogiochi collegata allo schermo piatto della TV. Si disse che se tutto fosse andato per il verso giusto, quelle cose sarebbero state ancora sue. E non solo. Sarebbero state di tutti i Cattivi.

Afferrò il suo telefono e si diresse verso l'esterno insieme ai suoi amici.

•✵•

Era abbastanza umiliante il modo in cui non riusciva a staccare gli occhi dallo schermo.

Per tutto il tragitto fino alla cattedrale era stato a controllare il telefono, nella vana speranza di un messaggio dalla figlia di Esmeralda. Ancora nulla.

«Notizie?» gli chiese Evie.

Lui scosse la testa, affranto.

«Non dare niente per scontato» si intromise Jay. «Magari ha il telefono scarico, oppure—».

«Oppure non vuole più vedermi».

«Non hai sentito la parte del "non dare niente per scontato"?».

«È passato un giorno! Non so neanche se stia bene! Ieri ci ha difeso, è vero, ma non so . . . pensavo che—». Si passò una mano tra i capelli, nervoso. «Non so cosa pensavo».

La figlia della Regina Cattiva gli posò una mano su una spalla. «Sono sicura che c'è un motivo per tutto questo. Esme non ti lascerebbe mai in questo modo».

Anche una parte di Carlos ne era convinta, ma l'altra . . .

"Ti voglio bene, Carlos. Ma non so—".

Non so, non so, non so.

Non poteva lasciare che due semplici parole lo distruggessero a tal punto. Non in un momento del genere.

Si costrinse a darsi un contegno. Quel giorno era ciò per cui lui e i suoi amici si erano preparati dal loro arrivo ad Auradon. Non aveva il diritto di lasciarsi distrarre in quel modo, non dopo ciò che era successo il giorno prima; non quando era chiaro che nessuno di loro era il benvenuto, lì.

E nonostante ciò, il pensiero della principessa riusciva comunque a insinuarsi nella sua mente, un enorme "e se?" che lui non riusciva a mettere a tacere. Un'unica scintilla di speranza nel mare di oscurità, rabbia e tristezza che minacciava di prendere il controllo del suo cuore.

«Scusate».

Carlos e i suoi amici si girarono di scatto alla voce familiare.
Audrey gli sorrideva nella maniera più falsa che Carlos avesse mai visto, un lungo abito rosa pastello, ricoperto di diamantini, che le scendeva leggero sulle gambe. Jay e Hunter la guardarono un attimo, per poi ricominciare a camminare verso la cattedrale.

Evie prese lui la mano, scoccando un'occhiataccia ad Audrey: «Andiamo, Carlos».

Sentì Audrey sbuffare: «Non sono qui per mangiarvi in un sol boccone o creare altri problemi. Voglio parlare con Carlos».

Al suono del suo nome, il ragazzo aggrottò le sopracciglia: «Io? Perchè?».

«Già, perchè?» si intromise Evie, guardando Audrey scettica. «Che cosa devi dirgli?».

«Ho paura che non siano affari tuoi» alzò il mento la figlia di Aurora. Poi, fissando Carlos negli occhi, aggiunse: «Riguarda Esme».

Si congelò. Perchè è Audrey la prima a parlarmi di lei? Sa qualcosa? L'ha mandata Esme? Perchè ora? Cosa è successo?

Scosse la testa, arretrando di un passo. Evie gli mise una mano sulla spalla, occhi nocciola fermi sulla figlia di Aurora: «Quello che devi dire a lui, lo puoi dire a tutti».

«Ho paura di no» rispose sarcastica la principessa. «È un messaggio che solo Carlos ha bisogno di sentire. Esme è stata molto precisa al riguardo».

Evie stava per protestare, ma lui la fermò, stringendo le labbra.

«Carlos, non possiamo fidarci di lei».

Già, Carlos lo sapeva. Era da stupidi, e sicuramente avrebbe portato a qualcosa di brutto. Era come essere una molla, le cui estremità venivano tirate da due estremi opposti. E lui non sapeva da che parte lasciarsi andare. Alla fine, sospirò: «E, tu vai avanti, ti raggiungo fra poco».

La ragazza si mosse a disagio: «Ne sei proprio sicuro?».

«No» rispose lui, sincero. «Ma è qualcosa. Un segno. Dopo un giorno di nulla. Magari è da stupidi ascoltarla, ma, per quanto mi riguarda, lo è anche ignorarla. Farò presto, lo giuro».

Non sembrava molto convinta ma, con un'ultima stretta alla sua spalla, Evie rivolse un'occhiata guardinga a Audrey e si diresse verso la cattedrale.

Carlos tornò a guardare la principessa, assottigliando le sue labbra in una linea retta: «Allora?».

«Non qui» disse lei. «Seguimi». E si diresse alle spalle di una paio di bancarelle che abellivano il viale per il centro della città.

Se si fosse trovato sull'Isola, probabilmente non l'avrebbe assecondata: si imparava a diffidare di chiunque ti chiedesse di seguirlo in un vicolo buio. Tuttavia, erano ad Auradon e dubitava che qualcuno come Audrey volesse derubarlo o, beh, ucciderlo. Anche se su quest'ultima aveva dei dubbi.

Si fermarono dietro due strutture di legno che vendevano caramelle e zucchero filato. Se chiudeva gli occhi e ignorava l'odore stucchevole dello zucchero, Carlos poteva immaginare di trovarsi sulla strada del mercato che divideva l'Isola degli Sperduti in due parti uguali: il rumore dei passi della gente, risate e gridolini. Per un secondo, si sentì a casa. E la cosa lo spaventò.

«Allora?» ripetè, infilando le mani in tasca, sguardo attento la figlia di Aurora. «Che cosa ha detto Esme?».

Audrey sorrise, congiungendo le mani e incrociando le dita. Per qualche ragione, a quei piccoli gesti, sentì un brivido percorgliergli la schiena. «Una cosa importante» disse. «Molto, a dire la verità. Esme era quasi impanicata quando—».

«Audrey, arriva al punto» la interruppe Carlos, impaziente. Spostò il peso da un piede all'altro. «Cosa ti ha detto?».

Di tutte le cose che si era aspettato — anzi, no: forse una parte di lui lo sapeva già da tempo e non voleva accettarlo — furono le parole che uscirono dalle labbra della ragazza, tono dolce e tenue, quasi stesse parlando del suo argomento preferito.

«Voi ruberete la bacchetta, vero?».

Silenzio. Il suo cuore che si fermava. Il primo istinto di Carlos fu negare.

«No, no, certo che no. Di che bacchetta stai parlando?».

Audrey sbuffò: «Non fare il finto tonto, De Mon. So cosa avete provato a fare un mese fa. L'intrusione al Museo di Storia Culturale. Avete provato a rubare la bacchetta della Fata Smemorina una volta, senza successo. E ci riproverete oggi, all'incoronazione». Sulle sue labbra tornò il piccolo sorriso di prima: «È così che mi ha detto Esme».

Il secondo istinto di Carlos fu di andare nel panico.

Abbassò il capo, il respiro che iniziava a farsi più irregolare. Come sapeva tutte quelle cose? Era impossibile. Totalmente senza senso. Nessuno sapeva di una cosa del genere. Tranne Esme — pensò. — Esme c'era quella notte, ha visto tutto. Ma l'incantesimo . . .

«Lo Stregatto di ha mangiato la lingua?» lo canzonò Audrey. «A cosa stai pensando, Carlos? A come sono in grado di sapere una cosa del genere? A come Esme se ne ricordi? A come il vostro stupido incantesimo sia riuscito a spezzarsi?».

Il volto del figlio di Crudelia tornò di scatto a fissare la principessa, gli occhi color caffè spalancati, le labbra schiuse, il cuore che, da silenzioso, era tornato a battere a un ritmo straziante, il sangue che gli scorreva nelle orecchie.

«Come . . . » non riuscì a trattenersi.

«Esattamente ieri dopo la Giornata della Famiglia. Esme è tornata in camera distrutta e lo stress ha fatto il resto. La sua memoria è tornata e mi ha raccontato tutto». Gli si avvicinò. «Sapessi quanto era spaventata. Quanto si è sentita tradita. Era nel panico, voleva andare subito a dire tutto alla Fata, ma non gliel'ho permesso. Per il suo bene. Nessuno le avrebbe creduto. Ma io sì. Io l'ho fatto».

Carlos arretrò. Non aveva senso. Cioè, forse lo aveva. Non vedeva in quale altro modo la figlia di Aurora potesse essere in possesso di informazioni del genere. Era successo davvero? E se sì, davvero dopo la Giornata della Famiglia?

"Ti voglio bene, Carlos. Ma non so—".

«Stai mentendo» replicò, con una scintilla di sicurezza, mentre raddrizzava la schiena. «Magari Esme te lo ha detto, è vero, ma non è stato ieri sera. È stato prima. Esme non sarebbe mai andata a dirlo. Lei—». "Ti voglio bene, Carlos". «mi vuole bene. E vuole bene anche a Mal, Jay, Evie e Hunter».

Era un disperato tentativo di ignorare la voce nella sua testa che gli urlava il peggio? Che Esme l'aveva fatto veramente, che una volta rotto l'incantesimo aveva scelto il suo paese al posto suo? Al posto loro? Una parte di lui non l'avrebbe biasimata, l'altra sarebbe esplosa di rabbia, delusione e senso di colpa. Ma era tutto ciò che aveva al momento ——il dubbio — e vi si sarebbe aggrappato come un cane all'osso.

Tuttavia, Audrey scosse la testa: «Hai una vaga idea di come funzionino questo genere di incatesimi? Ci sono centinaia di libri al riguardo, e li puoi trovare tutti nella biblioteca della scuola. L'incantesimo si è spezzato dopo la Giornata dell Famiglia, ma aveva già iniziato a indebolirsi da tempo». Incrociò le braccia: «Perchè credi ti abbia chiesto di parlarle? Mi sembrava strana, indecisa tra qualcosa d'importante. L'incantesimo stava per lavarsi via. Funziona così: quando chi lo lancia inizia a pentirsi di esso, quello diventa instabile. Ed è solo questione di tempo prima che sparisca».

A quel punto, il terzo istinto di Carlos gli prosciugò ogni minima traccia di speranza rimasta.

La voce nella sua testa sopraffece il resto, sovrastò ogni sorriso e ogni "ti amo".

"Ti voglio bene, Carlos. Ma non so—"

Non so, non so, non so.

Per tutto quel tempo, Carlos aveva cercato di soffermarsi sulla prima parte di quell'affermazione, di sperare che fosse abbastanza, di avvinghiarsi ad essa e ripetersi che era tutto ciò di cui aveva bisogno. Non era così.

Quello che diceva Audrey aveva senso, e non importava quanto lui desiderasse il contrario.

Esme non gli aveva più parlato, aveva ignorato ogni suo tentativo di approccio, non voleva piu—

«Esme non è venuta e non si è fatta sentire perchè non vuole più avere niente a che fare con te. Non vuole più vederti. Non ci tiene a stare nella stessa stanza di qualcuno che l'ha presa in giro». Audrey si lisciò il vestito con le mani. «E io sono qui a dirti di non fare passi falsi. Provate a toccare la teca della bacchetta e vi ritroverete l'intera guardia reale a circondarvi. Nonchè un biglietto di sola andata per l'Isola».

A quello, Carlos sentì la rabbia montargli in petto: «Questa si chiama minaccia, lo sai?».

Audrey scrollò le spalle: «Me ne farò una ragione».

«Non hai prove» sputò. «Non puoi semplicemente dire quello che sai. Nessuno ti crederà».

Proprio mentre la principessa apriva la bocca per rispondere, il suono delle campane della cattedrale risuonò in lontananza.

«Temo sia ora di andare». La figlia di Aurora sorrise, prese la gonna del vestito tra due dita e sorpassò il ragazzo senza aggiungere una parola.

—— angolo autrice!

come al solito alla fine ho deciso di dividere in due capitoli quello che avevo programmato essere solo un capitolo.

giuro che sto scrivendo la seconda parte di questo pov di carlos, ma sono bloccata su una scena ed è così frustrante.

per questo ho deciso di pubblicare prima questo. che dire, mancano ancora due capitoli. e io sto impazzendo.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro