Prologo.

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Per essere un re,
bisogna anche versare il sangue delle persone che si amano di più.

Nel cuore di una notte eterna, dove l'oscurità incontrava le tenebre della gelida Stagione della Luna, e le stelle sembravano sospese nel cielo come spade pronte a trafiggere, un uomo camminava solo, inesorabile e leggiadro, sui pavimenti glaciali della temuta Sala del Trono dei Troni.

La sua figura era avvolta in un mantello nero come la pece, con inserti di pelliccia bianca, ornata solo da sottili fili d'argento che serpeggiavano come vene di ghiaccio sulle sue vesti di velluto nero. Ogni passo di quella camminata risuonava sul marmo nero e candido come un cupo presagio, così come l'eco dei tacchi dei suoi stivaletti di pelle nera contro le pareti incantate.

Una camminata all'apparenza quiete, che suggeriva le sorti di un intero Continente. Silenziosa quanto fragorosa, perché era tra quelle mura che si stava per decidere l'alba del domani. Era tra quelle mura che una pagina usurata dal tempo si stava incastrando negli annali da tramandare ai posteri. Mura di sangue, vendette e rovina, dove gli Dei del Fato avevano lanciato la loro moneta.

Era in quella Sala di oscurità e ricchezze, in cui si erano consumati i peggiori delitti, gli intrighi politici e i più geniali complotti della storia, che lui avrebbe inciso ancora una volta il suo nome.

Un nome reso immutabile e perpetuo dai suoi successi. Reso unico nella sua dinastia. Un nome che non era ancora nulla in confronto a tutto quello che aveva ancora da raccontare alla gente che lo osannava. Alle masse che lo veneravano come un Dio. E ai calici che lui avrebbe sollevato per festeggiare la caduta dei suoi nemici.

La Sala del Trono dei Troni, dove all'indomani sarebbe avvenuta l'incoronazione, era la più immensa e gloriosa dei Regni della Terra. Su quei pavimenti avevano camminato re di ogni stirpe, si era consumata la gloria di intere generazioni di regnanti, eppure l'usura del tempo l'aveva resa ancora più incantevole. Gelida come una distesa di ghiaccio puro, un santuario della notte, un riflesso della vastità siderale. Le pareti, intarsiate di incantesimi antichi, in alto si aprivano in finestre che mostravano un cielo notturno infinito di stelle e costellazioni, come se la sala stessa fosse stata strappata al firmamento e posta nel cuore del castello.

Il soffitto, scolpito come la precisione di un artigiano divino, era una volta celeste, una mappa delle stelle incisa nell'argento, dove ogni costellazione raccontava la storia di regni caduti, re traditi, Dei funesti, amori proibiti e perduti.
Ed erano colonne possenti a sostenere la volta dove costellazioni di cristallo e sfere lucenti disegnavano questo cosmo. Al centro, un mandala scintillante irradiava luce eterea, e le finestre arcuate riflettevano una luminescenza.

Un luogo dove l'infinito si specchia nella maestà del potere.

E da quelle stesse finestre incantate e incise d'argento puro, filtrava anche la luce della luna, le cui tende rendevano la visione come in una fiaba d'altri tempi. Fredda, pallida, a riflettere sul marmo con un alone spettrale. Come se sapesse anch'essa cosa si stesse scrivendo nelle ore notturne di quel giorno storico e cruento.

Il gioco di luci e ombre della sala rivelava oggetti d'inestimabile valore, che il Re conosceva a memoria per tutte le volte in cui, sin da bambino, aveva ammirato in compagnia del padre in missione. Arazzi raffiguranti battaglie leggendarie, candelabri forgiati da mani ormai dimenticate, i cui ceri emanavano una luce blu, come il fuoco fatuo di un'anima perduta. E piccoli troni di minore importanza rispetto al principale, dedicati agli ospiti, disposti lungo la navata centrale e che giacevano vuoti, silenti testimoni di un potere ormai concentrato in un unico, terribile, temibile Sovrano.

E lui, il Re dei Re, avanzava in quella solitudine abissale e fatale come se gli appartenesse da una vita.

Il volto bello come un Dio, elegante come un angelo, ma scolpito da un tormento antico che custodiva dentro di sé da troppi anni. Gli occhi gelidi e fissi su quel trono di diamanti grezzi. Un trono che ora, immerso nella luce della luna e delle stelle filtrata dalle finestre, gli apparteneva. E gli toglieva il fiato.

Il Trono dei Troni del Re dei Re era una leggenda vivente. Superbo e inimitabile. Sorgeva su un podio di gradini larghi e levigati, ognuno dei quali sembrava intagliato in un'unica lastra di ghiaccio traslucido come il quarzo, che rifletteva la luce in sfumature fredde e taglienti.
Era scolpito in un imponente blocco di cristallo, la cui superficie era liscia e affilata come una lama. La sua struttura era composta da numerosi spuntoni e lame cristalline che si ergevano maestosi, come se fossero le guglie di una cattedrale di ghiaccio. Questi cristalli si innalzavano ai lati del trono, formando un alto schienale che terminava in una punta affilata, che si ergeva al di sopra di chiunque avesse osato sedervisi, quasi a simboleggiare l'inaccessibilità del potere.
Ai lati, due braccioli scolpiti nella stessa sostanza cristallina, erano pronti ad accogliere le mani del sovrano, lisci e senza ornamenti, conferendo un'aria di semplicità regale e in contrasto con la complessità del resto della struttura.
Ci si sedeva su un blocco liscio e piatto, e alle sue spalle, le pareti cristalline riflettevano la luce creando un gioco di ombre per un'aura di mistero e sacralità.

Anche la corona che cingeva il capo del Re era fatta di ghiaccio puro, con stalattiti che si allungavano verso l'alto, emblema della sua nuova sovranità. Era stato lui a commissionarla così. E sempre lui, all'indomani della nuova alba, l'avrebbe voluta sulla sua chioma nera, a rendere meno oscuro il suo cammino interiore.

Ogni passo che lo avvicinava al trono era una sentenza, ogni respiro che prendeva era carico di promesse fatte a sé stesso. I rumori dei suoi tacchetti e il fruscio del suo mantello erano gli unici che echeggiavano nel silenzio tombale. Neanche il vento della notte osò sfidare la furia della sua anima e l'impossibilità di un viso le cui lacrime non furono mai versate. E una volta che il Re giunse davanti al sogno di una vita intera, si fermò. Per lunghi, intensi, infiniti istanti. Come una statua di marmo.

Le mani, dalle lunghe dita affusolate adornate di anelli scintillanti, si posarono sui braccioli dopo la sua lunga pausa di riflessione, e lui strinse il legno antico con una forza che tradì l'apparente quiete esteriore. Si girò, e si sedette con la sua postura perfetta. E il trono stesso avrebbe potuto tremare di terrore e gloria, come se avesse potuto riconoscere in lui il vero padrone. Come se avesse saputo che era solo questione di tempo prima che il più Grande dei Grandi venisse a reclamarlo.

E mentre stringeva ancora più forte i braccioli del trono, il Re sentì il gelo penetrargli nelle ossa. Un gelo che rispecchiava perfettamente l'animo che lo abitava e ciò che avrebbe fatto da quel momento in poi.

La sua schiena rimase dritta, una dimostrazione di potere e volontà indomabile, ma il suo sguardo, quello, era perso nel vuoto.

E non da quella notte.

Quello era il suo regno. Un nuovo regno. Che ne inglobava altri, da Nord a Sud, da Est a Ovest.

Tutti al suo comando. Tutti al suo controllo.

Un vuoto che rispecchiava la desolazione della sua anima, un abisso che nessun potere terreno avrebbe potuto colmare.

E lei, ancora lei, colei che l'aveva condotto a far cadere l'ultima goccia da quel vaso che traboccava di dolore antico, rimpianti e vendetta, si insinuò nei suoi pensieri con furia atroce.

Lei.

Ancora lei.

L'ultima luce che aveva rischiarato le tenebre del suo cuore, gli era stata strappata via.
Lasciandolo con un trono di ghiaccio e un regno di morte.

Non restava più nulla della sua anima. Più nulla del lui che le aveva donato. Un Re spettrale, un sovrano che non conosceva più pietà, né per sé stesso, né per coloro che avevano osato sfidarlo.

Il Re dei Re.

Colui che aveva sacrificato l'ultimo brandello della sua umanità per ottenere il potere supremo e la salvezza di una donna che aveva amato, sedeva come un'ombra.

E mentre fissava il vuoto dell'enorme Sala, e quell'oscurità infinita che lo circondava si rifletteva nei suoi occhi, comprese che la vendetta sarebbe stata la sua unica compagna. Non più amore. Non più speranza. Solo il freddo abbraccio della solitudine e la spada di un destino che lui stesso aveva forgiato. O forse, era così che gli Dei del Fato gli avevano fatto credere. Sin dalle ceneri del fuoco di quella notte maledetta di anni prima.

E così, nell'eco del deserto d'argento, con il soffio del vento che s'infiltrava tra le pareti magiche, il nuovo Re dei Re prese il suo posto. Signore delle stelle e delle tenebre, e incarnazione stessa della rovina.

Ma in quella rovina vi era una fredda, inesorabile determinazione: chiunque avesse osato sfidarlo, chiunque avesse provato ad architettare la sua caduta, avrebbe conosciuto la vera essenza della sua storia. La vera essenza di ciò che aveva oltrepassato il limite, e la vera essenza di ciò che aveva lasciato alle spalle. E una volta realizzato, avrebbe implorato agli Dei di ritornare indietro.

Era solo. Il Sovrano per eccellenza del Continente era solo e abbandonato. Ma in quella solitudine, nella vastità siderale che lo avvolgeva, egli era diventato invincibile. E pronto a riscuotere il prezzo fatale.

Venite, bardi.

Venite a tessere le lodi del più grande Re che Fu.

Venite a intonare i vostri canti con le fiamme dei focolari nelle taverne del popolo, e negli echi solenni delle grandi sale reali. Raccontate a tutti la storia di un'era perduta, intrisa di sangue e potere.

Cantate, o bardi del Continente.

Cantate come non avete mai fatto prima. Intessete l'inno della gloria immortale d'un tempo. Narrate le gesta di colui che conquistò mondi e infranse speranze, di colui che fece tremare i cieli e piegare la terra al suo volere.

Cantate per coloro che vivono nelle ombre della storia. Cantate per i sopravvissuti, affinché le cicatrici di un tempo passato non si dimentichino mai.

Cantate di un nome, Dario Alexander Wealthagon, e del perché sia inciso nel tempo.

Cantate del leggendario Re Sanguinario.

E sappiate, miei coraggiosi e intrepidi bardi, che molte verità sono ancora celate.

Eravamo partiti dal principio, ma la vera storia... deve ancora iniziare.

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