29.1. 𝐍𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐨 𝐭𝐚𝐫𝐝𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐚𝐦𝐚𝐫𝐞

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Non riusciva nuovamente a immaginare dove Theseus li stesse conducendo. Newt sperava solo di non mettere di nuovo piede in quel locale, il "Magic Place", dove avrebbe fatto una battaglia legale contro quegli auror che amavano divertirsi colpendo gli elfi domestici alle spalle, pur di fare quattro risate. Ma la strada sembrava essere quella, a giudicare dall'oscurità che li avvolgeva come un mantello. Sarebbero potute apparire la stessa. Era rimasto senza galeoni, all'asciutto "comprando" Tod.

Se solo avesse potuto!

Li avrebbe allontanati da quell'uomo dal doppio volto, le cui facce si somigliavano, l'una l'immagine speculare dell'altra; celate solo da una patina sbiadita e mal studiata di apparente benignità. Se solo avesse potuto... non avrebbe battuto ciglio e li avrebbe presi tutti con sé, sotto la sua ala protettiva. Adesso poteva gioire, affermare di avere un elfo personale, di averne salvato almeno uno; Newt non avrebbe voluto scegliere, ma Tod... era speciale, un amico, del quale non poteva fare a meno della sua presenza. Non erano tanto determinanti i servigi che Tod gli donava - più volte lo aveva implorato di andare dove gli piacesse - , ma per le sue barzellette, che - stranamente - solo lui sembrava essere in grado di capire.

Quelle orecchie, adesso, non si muovevano nervosamente come il giorno in cui lo aveva conosciuto, tremoli per la paura e guardinghe, timorose della sua stessa ombra. Come se il suo riflesso potesse pugnalarlo alle spalle, e porre fine alla sua lunga vita trascorsa a servire ora uno ora un altro mago. Quella lingua biforcuta, a suo parere, prima o poi lo avrebbe reso libero di volare tra le nuvole. Tod era insolente e il padrone era stato ben felice di cederlo a un altro essere umano, cercando di annodargli la lingua con false adulazioni e qualche misero privilegio, pur di nascondere la loro situazione di abbandono.

Ogni tanto lo scorgeva tremare quando si rannicchiava sul pavimento, contro la sabbia, nonostante gli avesse riservato il proprio letto e, tutte le volte, lo avvolgeva fra le bracca prima che, imbarazzato e traumatizzato com'era, Tod scomparisse, lasciandosi alle spalle un sonoro "pop".

Newt faceva fatica ad abbracciare qualcuno, ma lui non era solo "qualcuno", lui era Tod, l'elfo domestico un po' imbranato che li aveva salvati da quel gruppo di maghi che avevano fatto irruzione in casa sua. Era vecchio e saggio, Tod, gli era bastato una pila di forchette per creare una montagna di pelo vivente. A pensarci bene... aveva dimenticato di presentarlo a Tina. L'ultima volta che l'aveva accolta in valigia, lui non c'era, forse stava sognando la libertà - che lui aveva cercato di donargli molte volte, ma che le si ostinava a rifiutare - in mezzo ai prati.

Si strinse un po' nel cappotto, nascondendo le mani nelle tasche, cercando di riprendere un po' di calore fra le dita. Il tempo non sembrava dei migliori, a giudicare delle nuvole e dei cumuli scuri che si erano radunati sopra ai tetti, era quasi sul punto di piovere.
«Forza, ragazzi! Abbiamo un appuntamento!» La voce fastidiosa del fratello gli fece sollevare appena lo sguardo nella direzione del gruppo.
Aveva dimenticato di guardarsi intorno, poiché troppo concentrato a fissare la valigia che la magizoologa stringeva con entrambe le mani.
Una vocetta, né cupa né acuta, lo fece destare improvvisamente dal suo torpore.
«Lo hai già detto, Theseus.»

A quanto sarebbe potuto sembrare, anche a Tina dava fastidio quel suo atteggiamento schivo e, a giudicare da come strizzava i denti, sembrava sul punto di vomitargli contro una freddura.
La giovane auror si guardava nel frattempo intorno, cercando di distinguere nel buoi gli edifici - decisamente più ridimensionati e sobri rispetto a quelli newyorkesi - nel tentativo di far passare il tempo.

La vide contare a fior di labbra i lampioni che urtava volontariamente con la mano durante il passaggio, ma al ventesimo lampione la vide perdere miseramente il conto, e ritornare a osservare le case a schiera in penombra. Newt li conosceva abbastanza bene, i soliti palazzi modesti dai colori giallo e rosa, che si alternavano senza un ordine apparente. I prati curati e i cespugli nodosi, nei quali spesso da bambino si era sbucciato le ginocchia. Newt conosceva quel vicolo, la posizione di quei sassi, la ghiaia che delimitavano la strada sterrata come fossero le rive di un canale.

«Merlino...! Non mi dirai che...?»
«Oh sì! Bentornato a casa, fratellino. La nostra vera casa.» Gli diede una pacca sulla spalla.
La reazione del magizoologo non fu esattamente quella che il resto dei maghi si era aspetto. Newt si bloccò di colpo, quasi scottato dal tocco del fratello. Guardò prima Tina, che si era anche lei immobilizzata, smettendo di osservarsi intorno. In fondo, avrebbe potuto farlo la mattina seguente andando al ministero della magia britannico in compagnia dei due fratelli.

Infine, Newt borbottò qualcosa di indefinito e riprese a camminare, anzi a correre, veloce come una furia, non curandosi del fratello che tentava di raggiungerlo.
«Hey! Newt! Newt!» Gli urlò indispettito.
Ma Newt non demorse.
«Stiamo solo andando a cena dalla mamma! Lo sai che lei ti ama alla follia! Sei il suo piccolo ippogrifo senza piume!» Tentò di afferrarlo per il laccio del cappotto grigio che, per via del vento, si era alzato in volo, svolazzando come fosse una coda. Ma il magizoologo, come se si aspettasse quel gesto da una vita, lo aggrovigliò più volte intorno alla cintura e riprese a camminare rapidamente, trattenendo a stento la rabbia.

Se Filemina amava Londra... di contro Newt la riteneva insopportabile! Non l'aveva mai ritenuta "casa" a differenza di suo fratello, che odiava New York - che Newt ormai da anni aveva imparato ad amare. Lì abitava Tina, e lì sentiva di avere tutto ciò di cui il suo cuore necessitava per essere sazio: la sua valigia, il suo migliore amico, quella strega dagli occhi bruni. Magari gli mancava la libertà, ma... non gli importava. In fondo, con le sue creature non era mai stato libero di perdere o cedere anche una parte del suo autocontrollo. Lui aveva una responsabilità. La propria passava sempre in secondo piano.

Ora doveva pure farsi venire in mente qualcosa da dire ai suoi genitori, cercare di comportarsi in maniera tale che agli occhi del padre sembrasse un po' più "normale". Ed era difficile, Newt era sempre stato così, quella sua "stramberia" era sempre stata parte di sé e lui non riusciva - e non voleva - a cancellarla. Samuel Scamander avrebbe preferito un figlio stupido e incolto a lui. Sarebbe rimasto in silenzio, senza pronunciare la benché minima sillaba, se era ciò che doveva fare per mantenere la calma.

Chissà, se fosse cresciuto in America - come Filemina - probabilmente avrebbe potuto conoscere Tina e se l'avesse conosciuta, avrebbe frequentato Ilvermorny, e se...
«Andiamo, Newt! Sono tre anni che non fai loro una visita! Come puoi ostinarti così tanto?»

Newt odiava gli interrogatori e ancor di più non riusciva a sopportare suo fratello, che tutte le volte lo spiazzava, convincendosi - sbagliando - che forse, finalmente, era riuscito a inquadrare la sua mente e il proprio modo di pensare.
Ma Theseus gli aveva combinato l'ennesimo appuntamento, anche se, fortunatamente, non con una ragazza. Non aveva voglia di pensarci. Il solo miraggio lo faceva rabbrividire.
«Lo sai che prima o poi dovrai parlare con loro, no?»
«Newt?»

Fu proprio la voce di Tina a farlo indugiare, ad aprire un varco nella sua mente avvolta unicamente dalla frustrazione e dalla delusione. Non vi era rabbia, solo amarezza.
La vide avanzare verso suo fratello Theseus, i due scambiarsi un'occhiata indescrivibile e fugace e lui, questa volta, provò ben altro.
«Tu lo sapevi?» Le chiese seccato, fulminandola con lo sguardo.
«Come?» Si sentì colta di sorpresa, e decisamente offesa.
Non lo avrebbe ritenuto capace di fare supposizioni sul suo conto o di fare accuse insensate.
«Sì.» Sussurrò sprezzante «Tu lo sapevi.»

Poteva sentire il suo cuore tamburellare nel petto e, se non fosse stato per il suo tono di voce, probabilmente lo avrebbe rassicurato.
«No che non lo sapevo. E smettila di urlarmi!» Incrociò le braccia al petto e il suo sguardo che, dinanzi a quell'innalzamento di voce, si abbassò immediatamente all'altezza delle scarpe.
«E se lo avessi saputo, non te lo avrei detto.»
Doveva essersi offesa, a giudicare dal labbro inferiore che le tremava e le sopracciglia corrucciate in una smorfia.
Theseus non potè astenersi dall'accennare un sorriso dinanzi a quell'affermazione. Non aveva un cuore rigido e di pietra, come molti dicevano. Lui lo aveva sempre saputo, a giudicare dalle affermazioni del fratello.
«Io...»
Tina lo guardò, aspettandosi delle scuse, ma Newt si voltò di scatto e riprese a camminare, proprio nella direzione dove era situata la casetta dei loro genitori. Si era aspettata delle scuse...

«Non ci vado.»
«Ah sì? Stai andando nella direzione sbagliata! Casa tua è dall'altro lato!»
«Lo so dov'è! Avresti dovuto dirmi della cena!»
«Beh... adesso ci verrai comunque! La mamma ha già cucinato tutto!» Gli mentì Theseus, continuando a seguirlo «E ti ricordo che comando ancora io! E credimi, mio caro. La tua vita diventerà una banale esistenza, non ci metterò troppo a requisire i documenti di viaggio, i permessi internazionali che ti ho fatto avere!».

Non era vero, Marta Scamander non sapeva affatto della cena. Sarebbe stata una sorpresa, e Theseus moriva dalla voglia di stringerla in un abbraccio e cenare tutti insieme come ai vecchi tempi.
Newt lo guardò borbottando e, con un altro gemito di fastidio, proseguì per la sua strada, lanciando occhiate alla ragazza alle sue spalle, che lo guardava in cagnesco, offesa. Lo stava facendo per le sue creature, non perchè volesse farlo: suo fratello era di parola. Senza documenti, non avrebbe potuto muoversi minimamente, se non entro i confini di Londra, e non avrebbe potuto fare visita a Tina.

Tina... a giudicare dalle sue sopracciglia, doveva averla combinata grossa con lei. Ma Newt non si era reso conto di niente, di aver alzato la voce anche con lei. Forse era sincera: Tina non lo sapeva, e probabilmente lui l'aveva accusata ingiustamente, anche se per una questione non così tanto futile.

Avrebbe cercato di farsi perdonare in qualche modo. Ma come farsi perdonare da Tina Goldstein? Lei raramente accettava il perdono. Ma magari avrebbe capito. Tina aveva una mente aperta, un pochino, almeno.

Le oscillava la testa in sincronia con il braccio che aveva abbandonato lungo il fianco. Quel cappotto le stava bene, strettissimo alla vita, e le metteva in evidenza le curve naturali e appena accennate del suo corpo. Queenie era decisamente più generosa, ma a Newt non era mai piaciuta, a dir la verità. Troppo insolente e sorridente, la personificazione di un raggio di sole contaminato dalla fragilità dei suoi sentimenti. Mentre Tina... appariva decisamente più inviolabile, lontana, e lui moriva in parte dalla voglia di entrare nel suo mondo, la cui chiave era in possesso solo della sorella.

Era nervosa, ed evitava di guardarlo, quindi... sì, Tina si era offesa.

Poteva sentire suo fratello Theseus e il pasticcere ridacchiare, seppur per motivi diversi. Il primo per essere riuscito a domare il suo fratellino un po' ribelle, il secondo per la moglie e il bambino che le si dimenava in grembo. Poteva sentire lo stomaco di Jacob borbottare: come lui, nessuno aveva toccato cibo a pranzo, preferendo preservare la propria saluta anziché ingurgitare cibo di dubbia provenienza.

Jacob aveva quasi rischiato di soffocarsi con la polpetta di carne, se non fosse stato per le manovre salvavita di Tina e Lally, che lo avevano afferrato e colpito con forza allo sterno.
Avevano fame, erano stanchi e demotivati, custodi di un segreto che nessuno sapeva, non sapevano come muoversi esattamente, se non per i prossimi due o tre giorni, e l'umore non sembrava essere nei migliori. Sollevò lo sguardo dal sassolino che stava trascinando con sé, sotto la suola delle scarpe e con la punta, da un buon quarto d'ora, in direzione del cielo.

Gli parve di sentir picchiettare una goccia cala sulla guancia e un'altra gelida come il vento sulla fronte corrucciata. Pochi minuti e sarebbe scoppiato un temporale, con tanto di fulmini a giudicare dai lampi consistenti e sgargianti che di tanto in tanto smorzavano il grigiore sopra le loro teste.
«È tardi! Meglio darci una mossa!» Ignorò la voce petulante di suo fratello, così come fece a sua volta l'auror speciale, quando lo sentì lamentarsi nuovamente.

Quel giochetto gli era costato ben dieci minuti di tempo! Surreale arrivare in ritardo per l'auror speciale!

I due sposini sembravano spassarsela e aver trovato un ottimo compromesso per passare il tempo. Si erano avvinghiati l'uno all'altra, muovendosi e urtandosi a vicenda come se fossero sotto l'effetto di una sbornia - impossibile, nella sua condizione.
Queenie singhiozzava e non sembrava riuscire a contenersi.
«Ma smettila!» Aveva dato la biondina una gomitata al marito, poggiando subito dopo la testa sulla sua spalla.
«Non sono fragiluccia, sono solo stanca!»
Gli occhi le si chiudevano da soli, il tutto amplificato dal rumore della pioggia piovigginosa che batteva delicata sulle chiome e sull'asfalto. Jacob la sorreggeva per la vita, come se avesse paura che l'amore della sua vita potesse mettere un piede nella posizione sbagliata e cascare a terra.

«Ah! Sto bene, amore!»
Probabilmente anche lui si sarebbe preoccupato, considerando che camminava a occhi socchiusi, poggiandosi completamente a suo marito. Ma, a giudicare dalla rapidità con cui aveva voltato la testa di lato, e gli aveva afferrato il viso per baciarlo, stava più che bene.
«Ho sonno.»
«Lo so, bambina. Non appena arriviamo dai genitori di Newt, ci fermiamo. Sempre se non ritrovi l'energia per far fuori il frigorifero!»
«Non succederà!»
Tina non sembrava esserne molto sicura, data la sua espressione di puro scetticismo. La sorella doveva averle letto la mente, poiché le aveva tirato un calcio, seppur lieve, alle gambe.
«Non ci pensare nemmeno, Goldstein!» Era scoppiata a ridere come una matta.

Newt per un attimo l'aveva addirittura sentita ridacchiare e, nello stesso istante in cui i loro occhi si incrociarono, ritornò a essere terribilmente seria, come se avesse appena ricordato il suo torto. Aveva intravisto un barlume di dispiacere nel suo sguardo, ma non sembrava essere diretto nei suoi confronti. Verso i suoi genitori, forse. Ma Tina non li conosceva i propri genitori.

Come poteva essere dispiaciuta per lui o per loro?

Era forse perchè Tina non aveva mai avuto la possibilità di crescere con i suoi genitori. Quel pensiero lo fece sentire tremendamente in colpa, come se, per la prima volta, non riuscisse a vedere al di là del proprio naso. Non ci aveva pensato che, forse, a Tina dispiaceva particolarmente, che avrebbe fatto di tutto pur di riportarli indietro, di vivere con loro anche solo un giorno.

«Muoviamoci!»

La voce di suo fratello... aveva questo effetto anti-estraniante! A volte tremendamente fastidiosa, altre incredibilmente confortante.

«Non vorremo far arrabbiare il caro e vecchio "Franky Scamander"» Ridacchiò, lanciando un'occhiataccia a suo fratello, che prese a tremare come una foglia.

Ormai, dalle espressioni e dalla breve descrizione a singhiozzi di entrambi i fratelli era chiaro a tutti la personalità del padre: un uomo ligio al dovere, cinico ai massimi gradi, rigido come un tozzo di pane ammuffito.

Insomma... un altro Theseus Scamander, ma senza il senso dell'umorismo.

Forse sua madre, pensò Tina, era molto più dolce e docile. Se Newt era "il suo Ippogrifo senza piume", doveva essere senz'altro una madre affettuosa. Aveva letto in una rivista che i secondogeniti tendevano sempre ad assomigliare alla madre, e già riusciva a immaginarla: bassina, con una corporatura generosa, capelli ricci, rossi e ribelli, un visino tondo, labbra sottili e due occhietti verdi e vispi, circondati da tante piccole lentiggini brune.

O forse bionda, come sua madre. Aveva sentito parlare benissimo di lei da Theseus, e aveva capito che la signora Scamander era una donna alquanto premurosa - anche troppo, a giudicare dall'imbarazzo di Newt.
Tina aveva imparato ormai a leggere tra le righe. Come le aveva insegnato Percival, il suo mentore: ogni dettaglio è fondamentale. Di tanto in tanto lo ripeteva alla sua mente, più e più volte.

Cogli i dettagli, Goldstein. Coglili e risolverai il caso.

Ma più ci provava, più il caso le sfuggiva dalle dita. Newt le sfuggiva dalle dita.

Era ben consapevole che non vi era alcuna ragione logica di avere timore, ma... Tina aveva paura.

E se non fosse loro piaciuta?

Sua madre era dolce, sì, ma pur sempre una madre che avrebbe voluto il meglio per i suoi due tesori. E lei non era esattamente il meglio per suo figlio. Lei lo stava tradendo, stava tradendo i suoi sentimenti: lo stava illudendo.

E suo padre? Non sembrava avere una mente molto aperta.

E se fosse uno di quei patiti della purezza di sangue?

Alcuni maghi, ormai lo sapeva bene, considerando la superiorità con la quale si rivolgevano a lei, intraprendevano rapporti amicali solo con coloro che ritenevano degni della loro stirpe magica. Con coloro che dimostravano essere abbastanza puri e incontaminati nell'albero genealogico.

E Tina?

Era solo una mezzosangue, nonostante i suoi genitori entrambi maghi, e suo cognato... era un babbano.

Avrebbero accettato un babbano in casa loro?

Newt era diverso, lo sapeva. Non sarebbe stato lui se fosse stato cresciuto da una famiglia purosangue. A detta di Theseus, anche i Paciock erano purosangue e non così interessati a preservare la loro stirpe di sangue. A Tina non era mai importato di essere una strega "di una sottocategoria".

Era così presa a dai suoi pensieri, che non si era accorta che Jacob e Queenie stavano parlando di lei: di loro.
«Quel magizoologo!» sospirò esasperato il pasticcere.
«Quella strega di mia sorella!» Gli diede corda la moglie, voltandosi a guardarli.
Quei due... si ritrovavano "casualmente" a guardare l'altro, soltanto quando erano certi di non essere del tutto visti.
Queenie si lasciò scappare a quel punto uno sbadiglio e un sospiro, e Jacob fece lo stesso.
«Quei due!» Scosse la testa contrariata.

Jacob Kowalski sapeva che alla moglie procurava dispiacere vederli entrambi nel loro mondo, come ombra di se stessi. Si guardò intorno, cercando di farsi venire in mente un'idea per farli avvicinare.

«Pss! Hey, Newt!»
Come si era aspettato, Newt aveva appena sollevato lo sguardo e riprese a fissare insistentemente la propria valigia, che il fratello stringeva fra le mani. Si fidava di lui, ma non abbastanza da affidargliela.

Esisteva babbeo peggiore di chi aveva una bella strega innamorata a portata di vista?

«Pss, Newt! Vai da lei e chiedile scusa.»

Questa volta doveva averlo sentito - sicuramente anche l'appello precedente - considerando la pallidezza delle sue guance e l'agitazione che adesso era ben evidente. Sbuffò di nuovo, e allungò la mano per sventolargliela - se avesse potuto, lo avrebbe colpito al naso - nel tentativo di fargli aprire un po' gli occhi.
Prima mossa o no... non l'avrebbe fatta, nessuno dei due.

«Tina?»
La strega bruna si era, a differenza del suo migliore amico, voltata immediatamente nella sua direzione. Aveva lanciato una rapida occhiata scrutatoria e un'accelerata ma accurata analisi di controllo alla sorella e, con un mezzo sorrisetto indirizzato a tutti a tre, si era voltata nuovamente, continuando a scrutare il paesaggio indefinito che li circondava.

Se solo avesse avuto sangue di mago scorrere nelle vene, probabilmente gli avrebbe mosso a forza le gambe. Queenie, parecchio tempo prima, gli aveva spiegato dell'esistenza di un incantesimo illegale, una sorta di maledizione... "senza perdono", l'aveva definita. Capace di controllare a distanza la mente di un altro essere vivente. A detta di sua moglie... gli auror erano autorizzati a usarla. Allora perchè Theseus non si ostinava a lanciarla sul fratello?

«Sì! Hai proprio ragione, caro. Ma non ho bisogno di utilizzare una maledizione senza perdono per controllarlo.» Gli mordicchiò il lobo dell'orecchio, facendolo rabbrividire.
Jacob era troppo preso dal fiato della strega, per accorgersi che il magizoologo sembrava muoversi come una tarantola nella direzione di una certa ragazza bruna. Si voltò solo quando quel mago andò a sbattere contro il fianco della ragazza, ignara di tutto.

Lei ebbe appena il tempo di elaborare. Stava fissando la sua recluta, che da diverse ore sembrava aver perso colore. Per tutto il tempo lo aveva visto cercare la luna fra le nuvole e, quando finalmente era riuscito a vederla, si era rasserenato: mancava meno di un quarto al suo totale splendore, ancora pochi giorni alla trasformazione.

«Oh. Uhm.» Gemette, quando Newt per poco non la fece cadere a terra.
Anche lui sembrava ignaro come lei, lo aveva capito subito dai suoi occhi, che sembravano essersi persi nella sua mente da parecchi attimi. Non lo aveva fatto apposta, ne era consapevole, ancora più convinta che, dietro quell'incidente, vi era un terzo incomodo: una certa strega bionda vestita di rosa che, come sempre, faceva finta di niente, continuando a sbaciucchiare il marito per non destare alcun sospetto.
Avrebbe dovuto spiegarle che avrebbe potuto arrestarla, in quanto illegale controllate la mente degli altri!
Fortunatamente erano troppo lontani perché lei potesse udirli.

«Tesoro?»
«Shh! Non lo saprà nessuno!» Continuò a catturare le sue labbra, guardando oltre le orecchie del marito le reazioni della sorella, che sbuffava, questa volta in direzione del mago lentigginoso.
Per Queenie Goldstein, quella sembrava essere diventata quasi una missione. Le gambe di Newt cedettero e, finalmente, dopo averla urtata un paio di volte cadde su di lei, e Tina prontamente lo afferrò per la vita.

«Amore... non è che forse sarebbe dovuta essere lei a inciampare?»
«Np, non credo. La "damigella", o meglio... il damigello in pericolo è Newt, non mia sorella. Non credi?»
«Sì?»
Se lo dici tu, ridacchiò fra sé e sé.

Newt incrociò lo sguardo della bruna. Che cosa avrebbe potuto dirle? Si sentiva ancora confuso e pesante, senza un motivo apparente.
«S-scusa. Non so cosa sia successo.»
«Nessun problema.» Rispose secca, aggiungendo - nella sua mente - "io, invece, lo so, che cosa è successo". E ne ebbe conferma quando sentì di nuovo la sorella ridacchiare.
Tina riprese rapidamente a camminare, senza tuttavia allontanarsi troppo dal magizoologo che sembrava piuttosto titubante nell'inseguirla.

«Io...» ci riprovò lui, cercando di attirare la sua attenzione, ancora rosso per essere stato salvato da una spiacevole caduta; ma Tina continuava a fissarsi intorno, come se volesse volontariamente evitare la questione.

Evitare lui.

«Non volevo offenderti prima. O farti arrabbiare.» Si grattò nervosamente la nuca.
«Sì?» Incrociò scettica le braccia al petto.
«Mi dispiace. Non avrei dovuto urlare.»
«No... non avresti dovuto.» Confermò lei, addolcendosi un po'.
Newt intravide un piccolo sorrisetto ai margini delle labbra e, in quel momento, desiderò tanto avere il coraggio di dimostrare quanto la sua bontà gli fosse cara.
«Non sono arrabbiata con te, Newt.» Gli scostò una ciocca di capelli per incrociare lo sguardo, che lui faticò a mantenere «Sono solo... delusa. A detta di tuo fratello, tua madre è fantastica. Dolce, sensibile e...»
«Sì, ma-»

Gli parlava con una dolcezza che non aveva mai notato nella sua voce, delineata da quel tocco di fragilità che aveva sempre cercato di celare.

Era forse quella la vera Tina?

«Sono i tuoi genitori, Newt. E ti vogliono bene.»
«Sì, ma io, ogni volta, davvero Tina... io... non so cosa dire. Vorrei tanto che le cose andassero diversamente ma, loro, io... ecco...» disse tutto d'un fiato «non sai come sono. Loro...»
«Fanno domande.» Completò la frase al posto suo, lasciandolo a bocca aperta.
«È normale, sono i tuoi genitori! E l'imbarazzo... Newt, è... normale. Anche questo lo è. Come puoi gestire le emozioni se hai il timore di viverle con chi ti ama?»
«Io...»
«Non devi avere paura, Newt. Sono i tuoi genitori. E loro ti amano. Si interessano a te. Non lasciarli alle spalle, non lo meritano.»

Come puoi gestire le emozioni, se hai il timore di viverle con chi ti ama?

Newt si era posto quella domanda molte volte, ma aveva dimenticato di darle una risposta. Tina... con lei non aveva mai avuto paura una sola volta.

Le sue non erano supposizioni o giudizi insensati. Tina lo conosceva bene, più di quanto lui conoscesse se stesso. Non si sentiva infastidito dai suoi consigli, ma era in parte rincuorato, come se quelle parole su di lui avessero un effetto quasi calmante.
«Io... mi dispiace...» le guardò le labbra laccate lievemente di rosso, sulle quali era apparso un discreto sorrisetto.
Non era arrabbiata, nemmeno offesa. Sembrava essere più saggia di lui, nonostante fosse un po' più piccola, quattro anni più giovane. Tina era sempre stata intelligente, logica ed empatica.
«Non lasciare che l'imbarazzo diventi rimpianto. Hai ancora tempo... e quello... purtroppo non può tornare indietro.»

O meglio, sì, è possibile, pensò tristemente Tina. Non senza causare, però, conseguenze irrimediabili nel presente.
«Ventisette anni. Sono trascorsi ventisette anni dalla morte dei miei genitori. E ancora oggi, desidero che loro siano ancora qua, con noi. I tuoi, Newt, sono ancora vivi. Loro ti amano, e hai ancora la possibilità di dire loro Addio. Io e Queenie invece... non c'è giorno che non sentiamo la loro mancanza

Era stato tremendamente egoista, Newt si sentiva un narcisista. Aveva messo al primo posto i propri sentimenti, dimenticandosi di quelli della strega che amava alla follia. Cercò di rimediare in qualche modo, allungando la mano per sfiorarle uno zigomo, in un vano tentativo di asciugarle una lacrima così dolce e amara.
«Io... non volevo rattristarti!»

Lei non aveva smesso di sorridere neanche per un attimo, nonostante avesse intravisto i suoi occhi indugiare nel passato.

Se avesse dovuto fare una lista di tutti i dettagli che amava di lei, avrebbe avuto bisogno di parecchi centimetri di pergamena.
In primis avrebbe citato i suoi occhi, bui e luminosi, come aveva avuto il coraggio di confessarle almeno una volta, la vita e quel fuoco che ardevano indisturbati nelle sue profondità, che lui desiderava ardentemente sconfinare; il suo sorrisetto timido e tenero che, di tanto in tanto, riempiva quegli attimi di vuoto che provava; i capelli, la sua voce, la sua esperienza; il suo essere semplicemente "Tina".

«Non lo hai fatto.»

Avrebbe tanto voluto dirle "mi sento così... piccolo", ma a giudicare dal suo sguardo, Tina sembrava averlo già capito.
«Non ti preoccupare. Sono sicura che andrà tutto liscio come l'olio. Mi piaceranno, davvero. Spero solo di piacere io a loro.»

Come poteva Tina non piacere? E se lui non l'avesse conosciuta, avrebbe sicuramente pensato che probabilmente era solo un piccolo dubbio da parte sua. Ma Tina ci credeva.

«Beh... non penso affatto che... non piacerai... insomma, tu... piaci a tutti.»
Piaci anche a me, arrossì.

Certo che a sua madre sarebbe piaciuta! Lei amava le persone timide. Se l'avesse vista... probabilmente le avrebbe dato uno di quei suoi abbracci strappa fiato, e le avrebbe quasi spezzato le ossa per la contentezza. Una ragazzetta di campagna che si era trasferita da poco. Mentre suo padre... probabilmente si sarebbe limitato a stringerle la mano e a porle le ennesime domande del suo ennesimo interrogatorio. Leta con lui aveva fallito miseramente. A Franky Scamander, La Lestrange non era mai piaciuta. La mamma... la accettava solo per amore del suo bambino.

«Non è del tutto vero...»
«Intendo che piaci a chi... non vuole ucciderti.»
«Mi rincuori!» Rise lievemente lei, poggiando la testa sulla sua spalla «Molte persone vogliono uccidermi.»
«Beh... i miei genitori... non... ci penserebbero minimamente... insomma, sarebbero gli ultimi a... pensarci.» Balbettò, incapace di emettere una frase lineare.

Il fiato di lei contro il proprio collo lo faceva rabbrividire. La stessa piacevole sensazione che aveva provato la notte prima al paiolo, o sul treno... o la sera del matrimonio di Jacob e Queenie.
Scattò di qualche centimetro, quando sentì le sue mani eteree accarezzargli la schiena attraverso il tessuto del cappotto, incappando con il rilievo delle sue spalline.
«Non essere troppo nervoso.» Ridacchiò lei timidamente.

Come poteva non esserlo? Non era nervoso per i suoi genitori, adesso erano gli ultimi individui a cui stava pensando, nonostante si stessero dirigendo esattamente in casa loro in quel momento.
Newt riconobbe la lunga fila di lampioni disposti secondo un ordine che vagamente ricordava. Si stavano avvicinando e lui non voleva assolutamente. Come avrebbe potuto giustificarsi? Solo trenta metri e...

«Vedrai che era solo tutto nella tua testa, caro.»
«Grazie, Queenie.» Mormorò al posto sua la mora, sospirando.

Quella grande impicciona di sua sorella!

La ignorò, riprendendo a passeggiare al fianco del magizoologo che, adesso, si stava stirando nervosamente la camicia con le mani - già impeccabile e tesa.

«Vai benissimo, fratellino. Anche se... la cravatta sta meglio a me!»
«Suvvia, Thes!» Lo ammonì ridendo Eulalie, che li aveva seguiti - e studiati - in silenzio per tutto il tempo.

«Non ci pensare. Vogliono solo... incoraggiarti!» Gli sorrise l'auror, allontanandosi dalla sua spalla.
Adesso aveva freddo, ma non poteva lamentarsi della mancanza del calore che gli aveva lasciato.
«Tutto sommato...» gli spazzolò i capelli ribelli con la punta delle dita «Non sembri un forestiero!»

Certo che no... con quel completo grigio satinato, beh... avrebbe potuto rifarsi un po' gli occhi, se solo non ci fossero stati sguardi indiscreti nei paraggi. In fondo, Newt non se ne sarebbe sicuramente accorto.

«Solo un pochino...»
«Hai ragione.» Dovette ammettere l'auror ridendo.
«Per la mamma lo sono... un forestiero. Ogni volta mi deve spazzolare i capelli» arrossì violentemente.
Ma lei, contro ogni aspettativa da parte del magizoologo, non lo derise, anzi, si era limitata a sorridergli.
«Beh... le mamme hanno pazienza. E i tuoi capelli ne richiedono tanta. Neanch'io saprei dove mettere le mani...» Gli sorrise.

Se io lo fossi, non ne avrei... pensò.
Si voltò appena a incrociare lo sguardo dell'amica, Eulalie, che le sorrise di rimando. Stava guardando l'auror speciale che di tanto in tanto le lanciava degli sguardi fugaci, senza tuttavia avvicinarsi troppo, preferendo tenere d'occhio il fratello, pur di non fare il rimo passo verso di lei. Quando la Hicks comprese che entrambe pensavano alla stessa cosa, scrollò le spalle e le fece l'occhiolino e ripresero a ridacchiare all'unisono fra sé e sé.
Due fratelli, due tassorosso con lo stesso modo di pensare e la stessa incapacità di dichiararsi.
Uno troppo impacciato per farlo e l'altro troppo sfacciato da fare cattive figure.

Dopo qualche altro metro, Theseus fece cenno al resto del gruppo di seguirlo. Newt conosceva bene la strada, erano vicini. Oltrepassarono una piccola stradina, prima di ritrovarsi in un spiazzale piuttosto ampio, sormontato da una corda da marinaio spessa e un lungo e denso praticello.
«Non te lo ricordavi così, eh?» Ridacchiò il fratello maggiore, dando una pacca al fratello, quando lo vide spalancare la bocca per lo stupore.

L'ultima volta quel prato non esisteva - o meglio, esisteva, ma era secco e morente. Forse la mamma aveva smesso di dedicarsi al giardinaggio. Alcune cose non erano cambiate, ad esempio le due lampade disposte a distanza ravvicinata l'una all'altra - una spenta, l'altra accesa, come sempre. Vi erano ancora le due panchine, l'altalena mezza sgangherata in legno massiccio e... una decina di nani da giardino in terracotta, brutti come... come ricordava.

A Newt avevano sempre fatto più paura di quelli veri, a essere onesti. Da bambino uno era sbucato dal terreno e gli si era avvinghiato a un dito, e non erano riusciti a staccarlo senza portarsi via l'intera unghia!

«Prima le ragazze!» Fece cenno a Queenie ed Eulalie di anticiparlo, ma evitò di rivolgersi a Tina che discuteva tranquillamente con il magizoologo della signora Scamander.

Povera donna! Doveva averle raccontato, conoscendolo, l'intera storia della sua famiglia, perfino il mangime che sua madre era solita dare agli ippogrifo che proteggeva e allevava nel suo semi interrato!

«Tutte bellissime le ragazze!»
«Uff, Theseus...»
«Ah... giusto giusto!» Ridacchiò lui, incrociando lo sguardo fintamente truce dell'auror americana, che era arrossita visibilmente.

Erano tutte così carine. Queenie indossava il solito vestito rosa a fiori, che le calzava a pennello, Tina e Eulalie decisamente più sobrie con le gonne a pieghe e la camicetta bianca. Bunty... beh, vestiva... da Bunty!

Gli uomini del gruppo - escluso Newt, che camminava affianco alle quattro ragazze - attesero che le ragazze varcassero il sentiero roccioso in mezzo al prato, prima di seguirle. Un pasticcere, una giovane recluta, due auror in carriera.
La mamma sarebbe stata felice di averli tutti a cena - meno contenta di cucinare per dieci persone.
L'auror speciale aveva quasi dimenticato che fosse una sorpresa, e si bloccò giusto in tempo, prima di suonare il campanello. Prese le chiavi dalla tasca dei pantaloni e, dopo averci ciocherellato allegramente per qualche secondo, le inserì nella serratura e, dopo aver varcato la soglia, con l'indice premuto sulle labbra, li invitò a entrare.

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