9.1. 𝗖𝗼𝗿𝗿𝗶𝘀𝗽𝗼𝗻𝗱𝗲𝗻𝘇𝗲 ( Tina Goldstein/ Lally Hicks )

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Tina's POV

Tina guardò intorno a sé ben due volte prima di girare l'angolo vicino alla pasticceria. Si fermò per qualche minuto per bloccare la mente, pur sapendo che sua sorella era in grado di penetrare le sue difese senza alcuna fatica. Non riusciva a impedirle di infrangere la sua privacy. Non voleva che Queenie si preoccupasse per ciò che stava succedendo. Non voleva metterla al corrente del pericolo a cui stavano andando incontro.

Respirò profondamente e si fece comparire un falso sorriso, prima di spingere la porta. Con grande piacere, sentì le narici riempirsi di un piacevole aroma di vaniglia e cannella, che in parte la stava aiutando ad affrontare quella tempesta interiore.

Queenie le si precipitò incontro e la strinse a sé con affetto, travolgendola con la sua euforia. Sentì le ossa spezzarsi per la pressione, ma ormai era abituata a quelle manifestazioni affettuose. Ricambiò timidamente il suo abbraccio e si staccò poco dopo dalla sua stretta, per guardarla dritta negli occhi. Queenie le accennò un dolce sorriso, quando le lesse la mente.

Era felice che la sorella riuscisse a capirla; con lei era facile, un libro aperto. Molto più facile con lei, che con chiunque altro.

«Ti amo tanto tanto anch'io!» Le disse, accarezzandole la guancia.
Tina arrossì lievemente. Per quanto fossero diverse, erano in realtà molto simili, opposte ma uguali. Non aveva bisogno di leggerle la mente per estrapolarle quella verità.

Loro erano sorelle, un legame così forte e raro, non solo un legame di sangue. Queenie sapeva ciò che provava Tina e viceversa. La giovane auror Americana non era una legilimens, ma era come se lo fosse con sua sorella Queenie. Riusciva a leggere ben oltre i suoi pensieri. Tina la capiva, era sempre attenta a non farle mancare nulla, a sostenerla. Riusciva a leggerle la mente da dentro, ciò che non riusciva a fare con se stessa. Le bastava semplicemente guardarla negli occhi.

La sua razionalità dominava le sue emozioni, che certe volte la assalivano quando erano troppo intense.

«Come è andata a lavoro, tesoro?» Le chiese dolcemente.

Tina amava perdersi nei suoi occhi, le ricordava così tanto sua madre. Quando si soffermava a guardarla, Tina rivedeva lei. Rivedeva il suo viso dolce, il mento appena accennato e quegli occhi furbi che sembravano aver capito tutto del mondo.
Non voleva pensarci, non in quel momento. Non vi erano parole al mondo capaci di descrivere adeguatamente quanto le mancasse.

«Uhm, diciamo. Solite grane.»

Non voleva mentire a Queenie, così si limitò a ometterle alcuni dettagli. Non era una bugia, ma una mezza veritá.

«Oh. Ok. Meglio così, almeno le cose non sono peggiorate.» Le sorrise, battendole una mano sulla spalla, allegra più del solito.

«Già...» mormorò a denti stretti.
Queenie le lanciò un' altra occhiata affettuosa e si avvicinò al marito, che stava impastando dei biscotti con le mani dentro la ciotola, completamente sporco di farina. Gli stampò un bacio fugace sulle labbra e poggiò la testa sulla sua spalla. Jacob le avvolse un braccio dietro la schiena, e ricambiò il bacio.

Imbranato... come lo aveva conosciuto.

Tina abbassò lo sguardo un pò imbarazzata, ma si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. Non credeva che lei stessa avrebbe potuto trovare un amore così intenso come il loro. Si diedero qualche altro bacio prima di separarsi.
Jacob si tolse il grembiule, ripulendosi dalla farina, dopo che Queenie gli lanciò un'occhiata repentina, di intesa. Un tacito accordo non pronunciato.

Uscì da dietro il bancone, seguito dalla moglie che sorrideva sgargiante. Era emozionata, si teneva le mani, fremita per l'emozione. Si fermarono a qualche metro da Tina, che sollevò lo sguardo per studiarli. Jacob diventato rosso e Queenie che non riusciva a smettere di saltellare.

L'auror li guardò con un aria interrogativa. Da quando erano sposati, la loro gioia la travolgeva. Eppure... vi era qualcosa di diverso in quegli sguardi.

«Glielo dici tu, amore?» Domandò filnalmente Jacob alla biondina, guardandola negli occhi con un mezzo sorrisetto trasognato.

«Cosa?» Chiese lei di conseguenza, accigliandosi.

Non le piacevano le attese, eppure non era preoccupata per ciò che stava per dirle. Queenie annuì e fece un passo avanti, verso la sorella, che teneva le braccia incrociate al petto.

Quei due prima o poi l'avrebbero fatta morire di paura. Non si ostinavano a dire nulla, si limitavano, piuttosto, a ridacchiare e a scambiarsi occhiate dolci e sfuggenti. Le stesse che di tanto in tanto riservava a Newt.

«Sono incinta!»

Tina sgranò gli occhi e le braccia scivolarono lungo i fianchi, spalancò appena gli occhi e la bocca per lo stupore.

«Queenie...»

Questa volta fu lei che iniziò a tremare, inspirò forte con il naso per cacciare via una lacrima.
«Beh, abbiamo aspettato il momento giusto per dirtelo e, sono già passate molte settimane, e non volevamo aspettare più di tanto, così, ehm.»
«Abbiamo deciso di dirtelo oggi.» concluse Jacob continuando a sorridere.
Queenie rise, quando lesse la mente della sorella, un turbinio di pensieri e confusione. Ridacchiò quando la vide pulirsi le orecchie con le dita, come se fosse convinta di essere sorda.

«Oh cara, hai capito bene, non è un sogno. Diventerai veramente zia.» Le sorrise, parlandole dolcemente con la sua solita vocetta.

Tina rimase in silenzio, non riusciva a dire nulla, mentre Queenie si aspettava di ricevere una minima reazione.
E vedendo che lei era rimasta in silenzio, iniziò a preoccuparsi.

Forse l'aveva offesa.

«Io non volevo che ci restassi male. Pensavamo che fosse il momento giusto per annunciare una gravidanza. E ehm.»

Tina non la lasciò finire, si precipitò da lei e la strinse fra le braccia come poteva. Rimase in silenzio, senza riuscire a dire la benché minima sillaba, limitandosi ad annuire con la testa.

E Queenie ne capì il motivo, quando sentì la stoffa della camicia inzupparsi di lacrime. Tina stava piangendo, sapeva che le sue erano lacrime di gioia. Ricambiò l'abbraccio con più energia della sorella, che la stringeva a sé facendo attenzione a non farle male e non essere troppo brusca, spezzandole quasi le ossa.

Si avvicinò al suo orecchio e le cantilenò divertita: «Porpentina Esther Goldstein sta piangendo.»

Una reazione che si era già figurata, visto che Tina cercava di dimostrarsi forte, ma finiva sempre per piangere come una fontana. L'auror scosse la testa, e inspirò nuovamente col naso.

«Io... non sto piangendo!» Si asciugò gli occhi.

Lo dichiarò con voce talmente incrinata e simile a un sussurro, che fece ridere sia Jacob che Queenie, ancora stretta fra le sue braccia.

«Certo, come no. Ti è entrato solo qualcosa nell'occhio, eh?» Continuò a ridere lievemente, mentre Tina la liberava dalla sua stretta.
Si asciugò nuovamente le lacrime con il palmi delle mani e rimase a fissare i due coniugi. Aveva dimenticato tutte le disavventure che aveva vissuto quel giorno.
«Uhm, avresti veramente bisogno di un fazzoletto, tesoro.» Scherzò Jacob, mentre Tina rideva senza riuscire a contenersi.
E di tanto in tanto una lacrima le ricadeva sul mento dai margini dei suoi occhi.

«Sì, sì, Jacob. Molto divertente. Preferirei un dolce.» Rispose l'auror, poggiando una mano sulla spalla della sorella, che la guardava con un dolce sorrisetto stampato sul viso.
«Beh... sarebbe giusto festeggiare...» Esclamò la biondina con un enorme sorriso, facendo apparire dal nulla dei vassoi d'argento vuoti.

Tina iniziò a passeggiare in giro per il negozio,e subito dopo fermarsi a pochi passi da Jacob, che fu costretto ad allungarsi per guardarla oltre la sua spalla.

Perché doveva essere così alta?

«Io non ci posso credere. La mia sorellina aspetta un bambino!»

Il suo cuore non aveva smesso di battere deciso nel petto, e Queenie poteva percepirne ogni singolo battito. Era felice di condividere questa notizia con lei, che per lei era sempre sembrata un'utopia... fin dal primo giorno in cui si era innamorata di quell'impacciato pasticcere, Jacob Kowalski, consapevole che sua sorella era altrettanto felice.

Forse addirittura più felice di lei.
Probabilmente avrebbe iniziato ad addestrare suo figlio, o sua figlia, non appena avesse iniziato a muovere i primi passetti. Conosceva Tina, e sapeva fino a che punto il suo entusiasmo avrebbe potuto spingersi.

«Basta che non me lo trasformi in una specie di auror in miniatura.» Rise Jacob.
Tina gli accennò un sorrisetto, smettendo per un momento di ridere.
«Anche se non dovesse essere una strega o un mago. Non importa!» Le accarezzò la guancia, «Troverei sempre un modo per addestrarlo.» Scoppiò a ridere.
Queenie era convinta che mai avrebbe rivisto una versione di Tina così felice. Non ne avrebbe avuto le opportunità, di essere felice, non in quel contesto.

«Quando anche tu aspetterai un bambino dall'amore della tua vita, avrò la tua stessa reazione.»

Tina a quelle parole sollevò lo sguardo, e divenne improvvisamente pallida, come se stesse avendo un mancamento repentino.

«Scusami?!»

«Beh.... sì, ecco. Prima o poi toccherà anche a te.» Sorrise Queenie.

Tina scosse la testa, divenendo pensierosa. Non era esattamente la più adatta per quel ruolo.
«Io non credo che succederà mai, non credo che riuscirò a...»
«Ad avere un bambino? O a trovare l'amore della tua vita?» Le chiese la legilimens, seria, ma senza smettere di sorridere.

Entrambi.

Eppure, pensò Queenie, sua sorella l'aveva già trovata, una persona con cui condividere il resto dei suoi giorni, dovevano solo capirsi e ritrovarsi.

E lei era così ingenua certe volte da non notarlo.

«Amore, non credo proprio a una minima parola di quel che stai dicendo.» le lanciò un'occhiata amorevole, «Ad ogni modo, non sappiamo cosa accadrà in futuro, no? Non ci resta che vivere giorno per giorno...»

Tina annuì. Si ricordò di essersi congratulata con lei, di averle perfino bagnato la camicia, ma di non essersi congratulata minimamente con suo cognato Jacob.

Nascose le mani tremanti nelle maniche del cappotto, e fece un passo avanti verso il pasticcere, che singhiozzava appena per l'emozione.

«Sono così felice per voi. Io non so che dire, ehm congratulazioni!»
Proprio non riusciva a smettere di tremare.
Il nomag allungò la mano verso la cognata, ma Tina la ignorò, ed energicamente lo strinse in un caloroso abbraccio.

Nella sua mente balenò un pensiero che la intristì.

Come avrebbe fatto a difenderli, se Grindelwald era così deciso a farli sparire?

In quell'istante, si pentì di essere diventata un'auror, lei non sarebbe riuscita a proteggerli. Odiò il suo lavoro più che mai.
Ma non poteva nè dire nè pensare a nulla, continuò a sorridere, cacciando via la tristezza da un momento importante come quello.
Prese un bicchiere di spumante, e brindò con Jacob e Queenie, che aveva sostituito il suo con del succo di mela.

Lally's pov

Mentre la nebbia avvolgeva l'ambiente circostante, Lally Hicks iniziò a girare e rigirare nel suo ufficio alla ricerca dei suoi occhiali, che aveva perso per la centesima volta. Sbuffò.

«Merlino!»

Ma, dopo aver girato intorno inutilmente per più di mezz'ora, si ricordò di possedere una bacchetta.
«Accio occhiali!»
Le lenti scivolarono nel palmo della sua mano, decisamente frantumate.

Dal suo abito caddero dei frammenti quasi invisibili di vetro, e soltanto allora ricordò di essersi seduta sopra di essi, insieme a un piccolo libro di pergamene squalcite rilegato alla bel meglio.

«Merlino! Reparo

Puntò la bacchetta sulle lenti e, dopo aver recitato l'incantesimo, i frammenti, che erano caduti poco prima, si levarono in aria e gli occhiali tornarono al loro posto, come nuovi. Ed eventuali graffi collezionati sparirono.

Lally li indossò, erano del tutto inutili, visto che spesso si dimenticava di indossarli. Si portò alle mani un vecchio volume impolverato, dalla copertina semplice color pesca, che aveva trovato in mezzo a un mucchio di libri altrettanto impolverati sullo scaffale.

Lo aprì, sbattendolo violentemente sulla scrivania completamente sgombera.

Un tonfo secco si disperse fra le mura dell'edificio. Sfogliò qualche pagina bianca, per poi soffermarsi poco dopo su una di esse, una pagina anonima un po' spiegazzata agli angoli, ma ancora integra. Un volume apparentemente inutile all'apparenza, non un singolo grafema al suo interno.

Prese una fiala di pozione da uno scaffale, ricco di pergamene e libri di ogni genere, e ne versò due gocce sulle pagine aperte. A contatto con la pozione, la pagina si colorò, apparvero delle grandi lettere color seppia e una cornice dorata stilizzata e intrecciata, una fantasia probabilmente francese. Lally si sedette sulla sedia e sollevò leggermente il libro, per avere una visuale più ampia.

Aveva bisogno di indossare gli occhiali, quelle lettere sfocate a volte glielo ricordavano.

«Nicolas?» Chiamò quel personaggio a voce alta, guardando le pagine decorate del libro, nel tentativo di scorgere qualche movimento.

Un personaggio che di cose ne aveva viste, nella sua lunga carriera da alchimista. Erano amici da una vita, la sua luce nel buio. Quasi un mentore, così come lei lo era per lui.

Non ricevette risposta, così lo richiamò a voce più alta, fino a quando le sue urla non furono interrotte da un gemito di fastidio e un'acuta imprecazione.

«Santi numi, Lally! Perché, in nome di Merlino, stai urlando in questo modo?!» sbottò la voce.
Lally impallidì lievemente e accennò un sorriso imbarazzato, si appiattí i capelli nervosamente.
Probabilmente anche il preside di Ilvermorny l'aveva sentita imprecare tra le pareti. Arrossì violentemente.
Si strofinò la fronte e accennò un mezzo sorrisetto tirato alla moglie dell'alchimista, sperando di non averla infastidita. Sapeva, a volte, di risultare particolarmente molesta.

«Oh, ehm scusami, scusami tanto, Perennelle, non volevo disturbarti...»
Evitò di guardare direttamente i suoi cerulei occhietti vispi, circondati da un notevole pallore che non ricordava. Sembrava non dormire da giorni, forse troppo stanca e affaticata.

Rabbrividì, quasi le parve di scorgere l'osso sporgere dall'involucro avvizzito, ormai non più elastico e tonico come un tempo, della sua fronte.
Anche le sue manine minute sembravano essere alle strette, completamente ricoperte da chiazze brune che non riuscivano del tutto a confondersi fra lunga e variegata scia di cicatrici bianche. Faceva fatica a sorreggere anche solo quel libro, a tenerlo diritto, nonostante fosse saldamente poggiato sul tavolo.

«Perry... che ti è successo? Sono arrivata in un brutto momento?» Sbiancò.

Perennelle la scrutò attentamente e le accennò un sorrisetto, prendendo a muoversi fra le pagine aperte, urtando la cornice dorata.

«Stai tranquilla, Lally. È sempre un piacere stare in tua compagnia. Io sto bene, sono solo un po' stanca... sai, con le varie rivolte a Parigi...» Si accarezzò le lunghe trecce argentee che le ricadevano sbarazzine sulle spalle.

Eulalie non ne era del tutto convinta, ma rimase in silenzio, con un mezzo sorriso soffocato. Anche senza occhiali avrebbe potuto notare il suo repentino disfacimento fisico. Quasi ebbe il timore di vederla cascare a terra, in un mucchio di polvere e cenere.

Da settimane, ormai, erano noti a tutti gli scontri che si verificavano in città. Il coprifuoco non era più sufficiente a proteggere i cittadini e i maghi di Parigi. Lo aveva letto sul giornale, lo avevano letto tutti.

Fece per aprire la bocca, ma la Signora Flamel la interruppe dolcemente. La sua voce, fortunatamente, non era cambiata di un'ottava. Rigorosa e scattante, come le era sempre piaciuta.

«Se cerchi Nicolas, potrebbe essere un problema...» mormorò a denti stretti.

Per un attimo, Eulalie ebbe un tuffo al petto, che cosa poteva essergli successo?
Viste quelle smorfie ai margini degli occhi, non poteva certo dirsi una buona notizia.

«È ferito?» Sgranò gli occhi.
«Oh, no! Non starei così così tranquilla!» Si portò la mano alla bocca per contenere un ghigno, cambiando repentinamente voce e espressione, così velocemente da far balzare l'insegnante sulla sedia.
«Ma è ciò che succederà...» agitò nervosamente la mano, facendo cascare di conseguenza il libro sul tavolo «se non la smette! Insomma... continua a lavorare incessantemente! Abbiamo seicento anni, Merlino!» Sbottò irritata, voltandosi nella direzione in cui il marito stava smontando il lucernario.

Poteva soltanto sentirne il rumore, fortunatamente troppo distante per trucidarlo con lo sguardo.

Lally nascose un sorrisetto, certamente non conosceva nessun'altra coppia che fosse durata più di cinquecento anni.
«Non ti preoccupare, Perry, proverò io a farlo ragionare.»

Perennelle si tinse di rosa sulle guance rugose, rincuorata. Almeno un pochino, forse. La cocciutaggine del marito poteva essere vinta, in rarissimi casi, soltanto dalla sottoscritta. Un po' ne era orgogliosa, non poteva non ammetterlo almeno a se stessa.
Sbuffò.

Quel matto del marito si sarebbe fatto uccidere, prima o poi!

«O cara, ti ringrazio così tanto! Nicolas certe volte non mi dà ascolto. Se non fosse per la pietra, probabilmente si ritroverebbe senza arti! Merlino! È così odioso quando non mi dà retta!»

«Anche io ti amo, Perry.»

Quella voce fu come un fulmine a ciel sereno.

Un'altra sagoma di carta comparve nel riquadro. Un uomo magro e gracile, dai capelli bianchi, lunghi ma pettinati con cura. Prese il posto vuoto accanto alla moglie. Anche lui aveva il viso piuttosto scarso e smunto. Quando le fu un po' troppo vicino, la pallida strega gli lanciò un'occhiataccia truce, e si scostò di lato per fargli spazio.

Perennelle era certa che fosse già lì, seminascosto, a origliare. Lo faceva sempre, soprattutto quando era solita parlare di lui con Albus Silente. Quando si accorgeva di solito della sua velata presenza, iniziava a insultarlo pesantemente, e Nicolas si sentiva costretto a uscire dal suo nascondiglio.

Funzionava sempre, che sciocco!

«Certo che ce ne hai messo di tempo con quel paralume, eh?!» La sua voce era rauca, ma si poteva comunque cogliere una nota di disapprovazione, fastidio e irritazione.

E soprattutto molta molta preoccupazione.

«Mi stavo allenando per una gara.» ironizzò l'alchimista, facendo l'occhiolino a Lally, che rispose con un leggero sorrisetto imbarazzato.

Si sentiva un po' la terza incomoda della situazione.

«Beh Nicolas, scommetto che quest'anno vincerai.» Gli rispose Lally, ridacchiando appena dinanzi a Perennelle, che continuava a guardare in cagnesco il marito.

«Solo fermati ogni tanto.» Aggiunse, cercando di non destare l'ira della strega anche nei propri confronti.

Nicolas annuì e guardò l'insegnante oltre le pagine, incuriosito di sapere perché fosse stato convocato.
«Beh, parla mia cara.» La incitò Nicolas, accennando un mezzo sorriso incoraggiante.

Lally si schiarì la gola con un colpo di tosse.
«Hai presente le elezioni a cui Gellert Grindelwald si era candidato? A Berlino?»
Nicolas annuì, anche se non era stato presente sulla scena, aveva letto le numerose notizie dai giornali che avevano fatto piuttosto scalpore. Misteriosamente, il chiacchiericcio si era istinto poche settimane dopo.
«E non ti sembra strano che non vengano citate da mesi sulla gazzetta?»

I due coniugi si scambiarono una rapida occhiata, e annuirono. Ne avevano discusso insieme la settimana prima.

«E Gellert non ha cercato forse di ripulirsi dai suoi crimini passati? Non credete che forse, e ripeto forse, non stia cercando di servirsi di qualcun altro per i suoi crimini? Insomma, ora che ha una lista di reati più corta di prima, sta cercando di non dare troppo nell'occhio e»
Nicolas annuì con un cenno del capo, che lo costrinse a massaggiarsi le spalle per il dolore.
«In effetti, non hai tutti i torti. Non stai però considerando una cosa.» La rabbonì con fare paterno.
«Cosa?»

Era colpito che proprio lei ancora non ci fosse arrivata, una donna dall'intelligenza fuori dal comune. La professoressa Hicks ancora non si era resa conto di nulla. Era tutto evidente, o almeno così credeva che fosse.

«Gellert Grindelwald ha una nuova minaccia adesso. Albus Silente non se ne starà dietro la scrivania, gli dará così tante grane a cui pensare.»
Lally scosse la testa, contrariata.

«Silente non farà nulla di tutto questo! Sono settimane che non risponde ai miei gufi! Starà pensando a qualcosa, sicuramente starà... pensando. Pensando a come agirà Grindelwald. Ma non scenderà sul campo da battaglia. Non ancora.»

Udite quelle parole, l'alchimista si accarezzò i lunghi capelli bianchi che ricadevano sinuosi sulle spalle. Il suo viso si illuminò improvvisamente, il discorso stava prendendo una piega alquanto interessante per lui. Perry, invece, rimaneva in silenzio, a riflettere.

«Sì, mia cara. Ma ti sei chiesta perché Grindelwald sia così "tranquillo"? Stanno sparendo auror e maghi, ma non ci sono segni di lotta o tracce evidenti riconducibili a lui.»
Lally annuì, senza tuttavia riuscire a capire o a trovare una risposta a quelle domande.

«Hm, Lally Lally. Credevo ci arrivassi subito. Grindelwald non si sta muovendo, mia cara, perchè ha già pianificato tutto. Ha trovato qualcosa di importante che gli interessa, ma ancora non ha le opportunità per ottenerla. Fra un mese o due forse si farà sentire.»

Perennelle guardò Nicolas con orrore, il solo pensiero che Gellert potesse fare del male a qualcuno che amava da una vita, la faceva sentire vulnerabile e impotente.
«Tina ha scoperto il giornale di cui ti ho accennato, o meglio Aurelius lo ha scoperto. È come sospettavamo, Nicolas. Ecco spiegato il mezzo attraverso cui comunicano i suoi seguaci. Ma anche lì... non è citato nessun Grindelwaldiano. Nemmeno Gellert.»
«E in effetti... non si parla neanche delle maschere!» concluse Perennelle «Ma a proposito, chi diamine sono?»
Chiese la donna, guardando prima l'insegnante e poi il marito.

Lally scosse la testa, non lo sapeva. Come poteva saperlo lei?

«Pensavo che voi lo sapeste, per questo ho chiesto a voi. Insomma, avete più di seicento anni, e non conosco altri mortali con un esperienza superiore alla vostra.»

Nicolas, con la solita vocetta bassa, sussurrò qualcosa di indefinito e Perennelle annuì, come se stessero concedendo l'un l'altra il permesso di parlare, di rendere pubblica una qualche intima confidenza.

«Abbiamo notato degli strani movimenti qui. Tutti i giorni, c'è qualche mago o strega che controlla la via principale e quella secondaria, che danno accesso a casa nostra.»

A quelle parole, Lally balzò dalla sedia e si allontanò dalla scrivania per prendere un altro oggetto, che poggiato sul tavolo iniziò a vibrare.

Per quale motivo erano così tranquilli, allora?! Sbraitò fra sè e sè.

«Perché me lo hai detto solo ora e non subito, Nicolas?» sbottò seria, guardando Perennelle che teneva le braccia incrociate. Guardava il marito con aria di sfida, con una espressione che intendeva dire: "Te lo avevo detto!"

Nicolas la invitò a rilassarsi.

«Calma... calma, Eulalie. Ho capito benissimo cosa vuoi dire, e dove vuoi arrivare. La pietra è al sicuro. L'ho fatta trasferire settimane fa.»

«Già, e sarebbe l'ora che la toccassimo! Stiamo marcendo!» Protestò Perennelle.
Lally a quel punto annuì, se erano stati bravi a non dare nell'occhio durante il trasferimento, Gellert Grindelwald avrebbe sicuramente continuato a pensare che la pietra fosse ancora lì. A casa Flamel. E non avrebbe certamente perso del tempo prezioso a irrompere in casa loro, con il suo esercito di marionette.

«Mando una segnalazione al MACUSA!» dichiarò infine la strega, afferrando carta e penna, ma il suo tentativo di aiuto fu bloccato da un sonoro urlò di Nicolas.

«No, Lally! Il MACUSA é corrotto! Ci sono troppi seguaci di Grindelwald lì dentro. Non fidarti di loro!»

Lally si lasciò scappare un sorriso.
«Il dipartimento auror è cambiato, Nicolas. Tina sa il fatto suo. È la mia migliore amica, la conosco bene. Non preoccuparti, Flamel. Puoi fidarti di lei.» gli accennò un sorrisetto rassicurante, che non giovò a molto.
«Spero che tu abbia ragione!» sospirò il vecchio alchimista, rassegnato. «Se tu ti fidi di lei, proverò a farlo anch'io.» sospirò più forte.

Non si fidava degli auror per ovvie ragioni.

Perennelle fece un leggero cenno di saluto con il capo, e la connessione si interruppe improvvisamente, lasciando Lally piuttosto disorientata.

La strega rimase a fissarsi allo specchio, più pallida del solito.

Si ricordò di dover consegnare un reclamo al preside su una serratura poco funzionante di una delle porte del secondo piano, e uscì dalla stanza.

Non vedeva l'ora davvero l'ora di lasciare il castello e andare a New York. Avrebbe fatto compagnia a Teenie, oppure a Jacob e Queenie. Da quando si era conclusa la celebrazione del loro matrimonio quella sera, non li aveva neanche incrociati per strada. Lei stessa era sempre impegnata a Ilvermorny, e Tina a malapena usciva dal suo ufficio, e ora che Nicolas e Perennelle erano in pericolo, non poteva certo lasciarli inermi a Parigi.

Superò i corridoi con una grazia che non le apparteneva, spaccando quasi il pavimento con i tacchi delle scarpe. Consegnò la lettera a un elfo domestico, ordinandogli di farla avere alla persona di maggiore autorità del castello. Non poteva permettersi di perdere ulteriore tempo prezioso. Così afferrò il cappotto e lo indossò rapidamente, e senza dare spiegazioni a nessuno, si precipitò all'esterno dell'edificio, ignorando il freddo pungente che circondava le mura. Un freddo che avrebbe potuto gelare anche il suo cuore, per quanto caldo che fosse.

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