Los Angeles

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Adrenalina.

Pura e semplice adrenalina.
Una sola piccola, insignificante molecola in grado però di scatenare tutte quelle reazioni di cui sono alla disperata ricerca da mesi.
Euforia, sregolatezza, palpitazioni.
Ne sono assuefatta, dipendente, schiava. La bramo come un galeotto anela alla libertà, come un viandante nel deserto prega per l'acqua fresca di un'oasi, quando non ha altro che montagne e montagne di sabbia davanti. Distese immense che non hanno un filo d'ombra, battute costantemente dall'accecante luce del sole e colpite dai venti più forti.

Sabbia, sole, vento.

Calore.

Gli stessi elementi che battono in questo momento sulla pelle nuda delle mie braccia, si incastrano tra le mie lunghe ciocche chiare scaraventate in tutte le direzioni dalla velocità della decappottabile da cui mi sono sporta. Ho le braccia spalancate, i palmi delle mani rivolti verso l'alto e vorrei andare sempre più veloce per sentire il sangue ribollirmi nelle vene, offuscarmi i pensieri, cancellarmi dalla testa tutto quello che è successo solo pochi mesi fa.
Metto i piedi sul sedile per avere ancora più pelle a contatto con il vento e lancio la testa indietro per perdermi in lui, farmi trascinare come una piuma e fondermi con l'azzurro di questo cielo senza fine.

«AMALIA!», una voce allarmata mi richiama prepotentemente facendomi abbassare il viso e alzare un sopracciglio interrogativa.
Un paio di lenti scure sono fisse su di me e mi impediscono di vedere le iridi azzurre e sicuramente contrariate di Niall, il mio migliore amico.
«Non abbiamo affittato una decappottabile perché tu ti sporgessi fino a volare fuori dalla macchina!», il suo tono di voce alterato mi fa fare una smorfia e alzare gli occhi al cielo. «Siediti immediatamente sul sedile».
Mugugno un lamento di risposta e la voce del ragazzo alla guida torna prepotentemente a colpirmi i timpani, «Amalia, ORA».
Afferro saldamente il bordo del parabrezza prima di lasciarmi cadere sul sedile, incrociare le braccia e rivolgermi al ragazzo seduto di fianco a me, «Contento, paparino?».
Niall sbuffa e scuote la testa, lanciandomi un'occhiata di traverso prima di rifocalizzare la sua attenzione alla strada dritta davanti a noi.

La linea dell'asfalto si perde a vista d'occhio nell'afoso deserto della Death Valley. Non c'è nulla intorno a noi se non qualche cespuglio ai bordi della strada che io e il ragazzo seduto al mio fianco stiamo percorrendo in direzione di Los Angeles, quella che sarà la nostra casa per i prossimi mesi.

Los Angeles, meta di star della musica, del cinema, dalle immense spiagge bianche e dalle strade battute dal sole.
Una terra promessa di caldo e bel tempo, le uniche cose che voglio vedere nell'immediato futuro, senza nuvole, cielo cupo e grigio o pioggia.
Si stima che nella città ci siano poco più di sette giorni di pioggia annui. Un paradiso di cieli azzurri a non finire e tramonti che si tuffano nell'oceano.
Niente rovesci per la città degli angeli.
E dire che fino a qualche tempo fa la pioggia aveva per me un effetto calmante, di pace e di assoluta serenità. E soprattutto di incredibile romanticismo.
Chi, infatti, non ha mai sognato un bacio sotto alla pioggia?
Uno di quei baci che ti tolgono tutta l'aria dai polmoni, che ti rendono la testa leggera e ti fanno scoppiare il cuore nel petto.
In cui il sapore delle labbra della persona che stai baciando si mischia al gusto della pioggia che incessante batte sulla tua testa.
Ho sempre desiderato di ricevere il mio bacio sotto alla pioggia... un bacio da film quasi. E invece tutto quello che ho ottenuto sotto al battere incessante dell'acqua è stato un cuore spezzato e il gusto amaro delle mie lacrime, miste a quel petricore che invece mi ha sempre fatta sognare.
Non so per quanto tempo sono rimasta a inzupparmi sotto l'acqua scrociante, non so quanto tempo è passato e non so nemmeno in quale momento ho iniziato a non sentire più il freddo che mi impregnava le ossa.
So solo che deve essere passato un tempo considerevole, vista l'espressione disperata del mio migliore amico quando mi ha trovata: bagnata, indifesa, muta e... spezzata.
Se chiudo gli occhi ho ancora di fronte il suo sguardo allarmato, le ciocche di capelli bionde appiccicate sulla sua fronte e la sua voce ovattata al di sopra della tempesta che si stava abbattendo sulla città.
In quel momento non sentivo nulla, né il freddo, né l'acqua, né i tuoni e i fulmini che riempivano il cielo.
Nulla, se non una voragine nel petto causata da... lui.

«Amalia, a cosa stai pensando?», la voce calda di Niall mi riporta immediatamente alla realtà. Al caldo della Death Valley e al sole cocente sopra alle nostre teste.
So per certo che conosce il corso dei miei pensieri e, infatti, nonostante io non gli abbia dato ancora nessuna risposta, sposta la sua mano dal cambio al mio ginocchio e me lo strizza delicatamente.
Gli rivolgo un debole sorriso, mentre sento i suoi occhi dietro alle lenti scure scavarmi nell'anima, come ha sempre saputo fare fin da quando eravamo bambini.
Lo conosco ancora da prima che venissi al mondo perché le nostre madri si sono conosciute tra i banchi di scuola e da allora non si sono mai separate e hanno fatto praticamente tutto insieme, anche rimanere incinte.
«Amalia, io credo che...», inizia a dire, ma lo interrompo ancora prima che possa dire qualcosa.
Non ho voglia di sentire niente, non sopporterei un'altra parola su quello che è successo, o una qualche frase di conforto, sarebbe peggio. E soprattutto rovinerei ancora una volta la giornata a tutti.

Come non la stessi rovinando comunque.

«Sto bene, Niall, davvero», mento spudoratamente abbozzando un sorriso che mi tira appena gli angoli della bocca.
Non riesco più a ridere, e nemmeno a sorridere. Sento che ogni volta che provo anche solo ad azionare uno dei muscoli del viso, qualcosa dentro di me mi impedisce di farlo davvero. E il risultato non è altro che una smorfia, la stessa che credo di aver appena abbozzato; anche perché il mio migliore amico sbuffa e alza gli occhi al cielo, sistemandosi gli occhiali sopra alla testa.
«Farò finta di crederti, ma la smorfia che mi hai appena fatto è degna di un film dell'orrore», mi lancia uno sguardo in tralice. «Il pagliaccio di IT è meno spaventoso di te».
Gli do una manata sulla spalla e scuoto la testa, come a liquidare la questione come se fosse di poco conto.
Cosa che ovviamente non è e lui lo sa benissimo, ha visto il mio cambiamento da quel giorno a oggi: sono irrequieta, iperattiva e la sedentarietà mi fa soffrire come un cane. Non riesco a stare più ferma in un posto e cerco in continuazione qualcosa che mi distragga e che mi faccia sentire piena.
O perlomeno è quello che sto tentando di fare: cerco qualsiasi cosa che possa riempirmi, che possa riempire la voragine che ho nel petto o, dovrei dire, che mi attraversa da capo a piedi.
Per questo siamo in viaggio da mesi e per questo la notte esco di casa e mi perdo tra i vicoli più bui e malfamati. Non temo nulla, ma cerco la scarica di emozioni che il rischio e il pericolo portano con sé.
Niall ovviamente non sa nulla, probabilmente mi staccherebbe la testa se sapesse quello che vado a fare ogni notte, e non lo biasimerei nemmeno, ma è l'unica cosa che mi fa andare avanti. L'unica cosa che mi impedisce di affogare in me stessa.

Il cartello di Los Angeles ci dà finalmente il benvenuto e io non posso che sperare che questa nuova città mantenga le sue promesse da sogno americano e mi dia quel brivido che cerco da mesi.

***

Ciao a tutti!
Chi non muore si rivede, eh?
Eccomi qui con una nuova storia che mi frulla in testa da un po' ma che non ho mai buttato su carta, almeno fino a ora.
Non so cosa mi sia preso, soprattutto perché non ho tempo materiale per scrivere (e quindi gli aggiornamenti saranno distanziati), ma ci tenevo a tornare qui.
Premetto che sarà una storia diversa da Incipit, ma spero che possiate apprezzarla lo stesso.

Un bacio e a presto (si spera)!

A.

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