Vicoli bui

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«A chi hai venduto l'anima per avere questa casa?!».

Sono di fronte a una villa immensa: bianca, su due piani e che affaccia direttamente sull'oceano Pacifico. Un grosso prato si snoda alla destra della struttura e scorgo in lontananza un salice sotto cui si trovano un tavolo e due panche di legno. Alcune sdraio invece sono disposte sulla lingua di sabbia antistante la casa, che si integra perfettamente con il paesaggio che la circonda.

L'odore del mare e della salsedine arriva prepotentemente alle mie narici e una leggera brezza mi scompiglia i capelli, trattenuti a stento da una crocchia improvvisata.

È il paradiso.

Siamo appena arrivati qui dopo aver attraversato le trafficate strade di Los Angeles ed esserci persi almeno un paio di volte nella giungla di incroci e semafori.

«Chiudi la bocca altrimenti entrano le mosche», mi sbeffeggia Niall dandomi un buffetto sotto al mento.

Guardo il mio amico stralunata mentre si avvicina nuovamente alla macchina e apre il baule per tirare fuori i nostri bagagli. Il sole si riflette sulle sue ciocche chiare e sugli occhiali scuri che ha sul viso, «Pensi di darmi una mano o restare lì imbambolata?», mi rimprovera bonariamente tirando fuori l'ultima valigia e chiudendo la macchina.

Si appoggia poi con un fianco alla carrozzeria, incrocia le braccia e mi rivolge un sorriso sghembo, «Quindi?».

Scuoto la testa e alzo gli occhi al cielo prima di avvicinarmi a lui e afferrare la mia valigia e lo zaino dove tengo le bombolette spray, le stesse con cui esprimo sui muri quello che non riesco a dire a voce. Lo faccio tutte le notti, prendo lo zaino e mi infilo nei peggiori vicoli e disegno il vuoto che ho dentro. È l'unica cosa che mi fa andare avanti, insieme al brivido di essere scoperta o finire in qualche guaio. Ma questa è una faccia che mostro solo la notte, quando solo la luna mi fa compagnia e le ombre si muovono intorno a me.

Di giorno sono un'altra persona, fingo di essere quella che ero un tempo, o almeno ci provo. La ragazza appassionata di arte che sognava di aprire una sua galleria.

Ed è anche per questo che alla fine siamo a Los Angeles, perché Niall, tramite le svariate conoscenze che ha grazie al suo lavoro da pubblicitario, è riuscito a mettermi in contatto con un gallerista del Sunset Boulevard che cercava un'apprendista da formare e ha ben pensato di fare il mio nome, per quietare un po' la bestia che ho dentro e che mi mangia tutto quello che ho.

Ma prima, da buon amico quale è, mi ha portata un po' in giro per gli Stati Uniti, sperando che potessi pensare meno e sentirmi più leggera.

Così non è stato. O almeno non lo è se non la notte.

«Quindi a che ora inizi lunedì?», mi chiede Niall tirandomi fuori dai miei pensieri e frugando nelle tasche per prendere le chiavi dell'ingresso.

«Nel primo pomerig...», faccio per rispondere, ma la vista dell'interno della casa mi lascia senza fiato.

«Niall, sul serio, ma come diavolo hai trovato questa casa?», mi volto verso il mio amico che continua a guardarmi compiaciuto.

Se ho pensato che l'esterno fosse il paradiso è perché non credevo che l'interno della casa potesse essere migliore: la parte della villa che affaccia sul mare è infatti completamente di vetro e il sole si infila in ogni ambiente, dall'ampia cucina e dalla penisola che dà sull'oceano, alla sala con i tre divani bianchi e l'enorme televisore incastonato in una libreria immensa.

Una porta conduce poi verso un'altra stanza, in cui scorgo un letto e un imponente armadio a muro. Vicino a quella porta poi una scala di vetro conduce al piano superiore, che, viste le premesse dal piano terra, non oso immaginare come possa essere.

«Diciamo che questo è uno dei benefit del mio nuovo lavoro», ribatte Niall rivolgendomi un sorriso furbo.

«E scusa per chi dovresti lavorare? Per il presidente degli Stati Uniti?», lo guardo assottigliano lo sguardo e lui, in tutta risposta, si stringe nelle spalle.

«In realtà non lo so di preciso, dovrebbe essere un noto investitore della galleria per cui lavorerai», risponde meditabondo. «Pare sia il più giovane collezionista d'arte a essersi accaparrato opere dal valore inestimabile e che vuole che qualcuno gli curi i progetti e gli eventi dei prossimi mesi», continua a spiegarmi. «Non ho parlato direttamente con lui però, so solo che mi ha riempito di soldi e offerto questa casa», apre le braccia e mi rivolge un altro sorriso. «Sarei stato un pazzo a dire di no».

Corrugo la fronte pensando a chi potrebbe essere, prima di tutto quello che è successo ero informata bene sul mondo dell'arte, dei galleristi e dei collezionisti, ma non riesco a capire chi possa essere questo individuo.

«Pare che abbia solo ventotto anni, ma sia il più temibile quando mette gli occhi su qualcosa. Alle aste non si presenta mai e fa tutto da remoto», si gratta il mento. «Non che mi interessi più di tanto, alla fine mi importa solo del lavoro che devo fare», precisa Niall.

«E comunque», fa una pausa e afferra la valigia. «Il secondo piano è tutto mio», scatta verso le scale e non faccio in tempo a seguirlo che ha già chiuso la porta della stanza.

«Molto maturo da parte tua», gli urlo, ma poi con una scrollata di spalle mi dirigo verso la porta vicino alla cucina.

«Beh, poteva andarmi peggio», mormoro tra me e me entrando nella stanza. È più grande di quanto sembrasse. Il letto bianco si impone sullo spazio della stanza e un ampio bagno con la cabina doccia più spaziosa che io abbia mai visto si affaccia sull'oceano. Fortunatamente i vetri sono smerigliati e quindi non fanno vedere dall'esterno quello che succede all'interno.

Dalla camera si scorge però il salice e il tavolo, verso cui mi riprometto di andare più tardi.

Inizio a disfare la valigia e una volta che ho sistemato tutto, il sole sta ormai tramontando nell'oceano e quindi decido di uscire e godermi il panorama.

Tolgo le scarpe, affondo i piedi nel prato soffice e mi dirigo verso la panchina: il cielo è un mix di colori. Rosso, arancio, lilla e viola si mescolano tra loro creando dei giochi di luce con le nuvole e donando all'ambiente circostante un colore soffuso; la sabbia è dello stesso colore dei lillà in fiore.

Resto a osservare la natura e il sole che cala, scurendosi man mano che viene fagocitato dall'oceano.

Ho sempre amato i tramonti e la sensazione dolceamara che lasciano ogni volta che assisto a uno di essi. Bella o brutta che sia stata la giornata, il tramonto arriva sempre. Il sole cala e sorge la notte chiudendo quello che è stato e preparandosi per quello che sarà.

A lui non importa, non si cura dei problemi umani, delle cose che succedono sotto al suo volto luminoso. Lui sorge e splende, calando poi sia sulle più belle che sulle più cupe giornate.

Mi alzo solamente quando sorge finalmente la notte e le prime stelle iniziano a trapuntare la volta scura. La stella polare brilla luminosa come succede in ogni notte limpida e il solito richiamo mi spinge ad aspettare che il buio diventi a tal punto totale da permettermi di uscire e disegnare.

La notte mi è fedele compagna e complice con le sue ombre in cui posso perdermi e sentirmi di nuovo in parte viva.

Un soffio d'aria fredda mi colpisce la pelle, spingendomi a rientrare. Trovo Niall in cucina che sta preparando qualcosa di caldo da mangiare.

Scambiamo qualche parola mentre ceniamo insieme e poi io sistemo la cucina. È un rito che condividiamo da qualche mese a questa parte e come quando ogni sera mi chiede se mi va di uscire a bere o fare qualcosa, la mia risposta è sempre uguale.

«Per questa sera passo, sono stanca».

All'inizio Niall ha provato a protestare, a convincermi in qualche maniera, ma poi ha desistito, sapendo che con me insistere non è mai servito a niente.

Leggo nei suoi occhi il rammarico e il dispiacere e non posso che sentirmi in colpa, ma non riesco a dirgli di sì, accettare e lasciarmi vivere come facevo un tempo perché quello che mi offre Niall non ha nulla a che vedere con le distrazioni che cerco: musica, locali e vita mondana non mi danno nulla. Mi lasciano inerme e annoiata, un mix che non voglio provare.

Come ogni sera mi metto a letto vestita completamente di nero, lego i capelli in una treccia stretta e fingo di dormire, aspettando che arrivino le due di notte, l'orario perfetto per uscire.

Mi corico di lato, guardando le onde infrangersi sulla battigia e mi estranio al suono dei grilli che cantano per tutta la notte.

Sento i passi di Niall avvicinarsi alla porta, sbirciare come sempre la mia figura distesa tra le lenzuola, sospirare e poi richiudersi la porta alle spalle. Mi sento in colpa, ma la smania che mi spinge a uscire e disegnare vince sui miei rimorsi.

Da questo momento so che manca solo un'ora prima che possa uscire e quando finalmente arrivano le due, mi alzo, recupero il mio zaino ed esco furtiva nella notte.

L'aria frizzante dell'oceano mi punge la pelle mentre mi dirigo verso il vialetto di ingresso, scavalco la cancellata e mi perdo tra le vie del quartiere.

Los Angeles è immensa, spostarsi a piedi non è una pratica dei suoi abitanti, ma le distanze non mi hanno mai spaventata e ben presto mi ritrovo in un agglomerato di vie piene di bar dalle insegne al neon e vicoli scuri.

Bingo! Penso vedendo le persone che bazzicano per queste vie e mi intrufolo dietro un locale cupo, dai vetri oscurati e dal tanfo di birra persistente.

Come basta poco a far perdere il fascino patinato della città degli angeli non appena ci si infila nel retro dei locali, come è facile vedere la bella faccia pulita della città del cinema diventare cupa, sporca e maleodorante.

Arrivo fino a una strettoia, dove tra i cassonetti dell'immondizia un enorme muro di mattoni si staglia e diventa improvvisamente la tavolozza perfetta dove incidere quello che sento.

Poso lo zaino, apro la cerniera e tocco il freddo metallo della bomboletta, che mi dà subito un senso di pace.

La scuoto e inizio a tracciare le linee, sempre le stesse dure e spigolose linee, fino a quando un rumore e dei passi affrettati mi fanno fermare.

Il cuore inizia a battermi forte nella cassa toracica e la ormai familiare sensazione di elettricità mi si propaga fino alla punta delle dita.

Mi acquatto vicino al cassonetto, trattenendo il respiro per non farmi sentire, le voci sono maschili e sembra che stiano discutendo animatamente di qualcosa.

«Che cazzo avevi in testa?», dice una delle due, il timbro cupo e concitato. «Quale è la prima regola della Corte?».

La Corte?

Sono più vicini di quanto pensassi perché sento il corpo di uno dei due uomini sbattere contro il bidone dell'immondizia.

«Allora?», ringhia la voce di prima.

«N- non... p-parlarne», la seconda voce è tesa, come se gli mancasse l'aria. Un altro colpo, un altro lamento.

«E che cosa hai fatto tu?», ormai la voce è sempre più furente.

«W...», lo supplica. «Io...», prova a difendersi il secondo uomo, ma non ha il tempo di dire altro perché un colpo di pistola attutito da un silenziatore pone fine alla vita dell'uomo.

Ho il cuore in gola, mentre mi faccio sempre più piccola contro il muro, mi è già capitato, nelle mie fughe notturne, di imbattermi in risse e ricatti, ma mai di sentire il suono di una pistola o la vita lasciare il corpo di un uomo. Resto immobile e cerco di controllare il respiro mentre sento l'uomo dalla voce profonda mormorare a una radio, «Occupati del corpo», prima di sospirare e tornare verso la direzione da cui è arrivato.

Quando non sento più i passi sull'asfalto, esco dal mio nascondiglio e vedo il corpo riverso, una pozza di sangue si sta allargando man mano.

Sono inorridita, l'adrenalina è in circolo nel mio sistema e fatico a collegarmi con la realtà: mi sembra un film quello che sto vedendo e l'uomo di fronte a me non mi sembra reale.

Recupero in fretta lo zaino e mi allontano dal lui, procedendo nella direzione opposta rispetto a quella da cui se ne è andato l'uomo con la pistola e sgattaiolo nel vicolo successivo.

Con le orecchie che ronzano e l'aria che si impiglia nei polmoni noto però un simbolo dorato nell'angolo più buio della strada.

Spinta da non so che cosa mi avvicino e vedo che è il disegno di una maschera dorata accompagnata da una scritta: Cohors Miraculi.

***
Ciao!
Lo so, mi sono lanciata in una storia mesi fa e poi sono sparita, ma ho avuto diverse cose in ballo tra lavoro, un cambio di ufficio e miliardi di libri da impacchettare, per non parlare di altri vari ed eventuali disagi.
Ma eccomi qui con un nuovo capitolo!
Spero che vi piaccia e se vi va fatemi sapere che ne pensate:)

A presto (spero!)

A. x

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