9•capitolo -Can't help falling in love-

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Roman

Oggi è quel giorno che non vorrei mai rivivere. Quel giorno che spero passi il più in fretta possibile, perché mi ricorda ciò che ho perso quattro anni fa. Non riesco a reagire e dunque mi sono chiuso in camera mia sperando che la musica mi risollevi il morale, o almeno era la mia intenzione quando ho messo le cuffie, ma non può di certo aiutarmi se continuo ad ascoltare in loop la canzone che tanto mi ricorda di lei, mia madre. Lascio andare con tanti sforzi le lacrime ma sono costretto ad asciugarle quando dei rintocchi alla porta mi fanno sobbalzare. Si presenta Camila in punta di piedi, ha un sorriso comprensivo sul viso e ogni volta che la vedo, mi fa stare bene. Da quando è arrivata, lei è l'unico raggio di sole che è entrato nelle nostre vite, ovviamente insieme a Beatriz. Ma lei è il mio bagliore di luce.

«Ehi, tesoro...» pronuncia, ha quasi paura della mia reazione, come sapesse già che oggi non è un giorno facile da sopportare e quindi non vuole ferirmi in nessun modo. Cosa di cui non si è mai preoccupato mio padre. «Se non te la senti di andare a scuola oggi, capisco» rimango a guardare i suoi occhi rassicuranti, la curvatura della sua bocca e trattengo il respiro. Nemmeno c'è bisogno di dirle che non me la sento oggi di stare in mezzo alla gente, perché lei ha già annuito e si sta chiudendo la porta alle spalle.

«Sei ancora a letto?» si intromette però Bea, apparendo con la sua bellezza mozzafiato. «Dai, alzati, che è tardi»

«Oggi non vengo a scuola»

«Hai trentasette di febbre?» mi deride, poi guarda sua madre che si allontana e non dice nulla, dunque prosegue: «Fammi indovinare: sei triste perché non riesci più a sopportare Ana con Victor» ridacchia, come se avesse appena fatto la più grande scoperta. Forse è la prima volta che non reagisco alle sue provocazioni, oggi non ho proprio le forze per farlo.

«Bea, per favore puoi uscire da camera mia?»

Bea rimane un po' intontita a guardarmi per alcuni secondi, aggiusta i suoi capelli biondi e trattiene il respiro.

«Siamo nervosetti stamattina» dice solamente e lascia camera mia, e non poteva farmi regalo più grande visto che il mio bisogno era di rimanere solo, estraniarmi dal mondo e trovare il coraggio che mi serve per andarla a trovare. Ci provo tutti gli anni a farlo, ma non ce la faccio a vedere il suo bellissimo sorriso su una foto senza vederla davvero. Non mi basta, non mi basterà mai.

Ana mi ha scritto diversi messaggi oggi per dirmi che quando non ci sono, la mia mancanza si sente. I miei amici lo sanno che questo per me è un giorno difficile, non perché gliel'ho detto chiaramente, ma perché lo hanno vissuto insieme a me. Loro mi sono stati vicini quel giorno così difficile, dunque rimangono in silenzio e rispettano il mio dolore.

Quando i pensieri si fanno troppo profondi e il mio cuore si spezza ad ogni battito, sento ancora dei rintocchi alla porta e dopo qualche secondo vedo Bea. Mi sta osservando da lontano e distrugge le cuticole con le unghie, mi osserva e non parla, ma sento il suo respiro ansante.

«Mi dispiace, Roman» si appresta a dire, si sente che le costa doverlo fare. Apprezzo di Bea che non è orgogliosa e che, quando capisce di aver sbagliato, nonostante tutto ti chiede scusa. «Se vuoi che me ne vada, me ne vado...» ma nonostante io rimanga in silenzio, facendole capire che sì, vorrei rimanere solo, lei si siede sul letto e poi appoggia la schiena allo schienale. «Sono stata una stupida, avrei dovuto capire che i tuoi silenzi avevano a che fare con lei» non pronuncia quel nome, come se comprendesse che farebbe ancora più male.

«Non potevi saperlo» soffio così piano che non sono certo mi abbia sentito. Appoggia una mano sul mio ginocchio e cerca il mio sguardo, solo dopo qualche minuto riesco a ricambiare perché non vorrei mostrarle le incrinature della sofferenza che sento.

«Bea, forse... dovresti andare» da un lato ci rimane male, dall'altro leggo nei suoi occhi che non ha alcuna intenzione di farlo.

«Il dolore non si dovrebbe mai affrontare da soli» inaspettatamente prende la mia mano appoggiata sul letto e mi manca il respiro nel sentirmi sfiorato dal suo tocco. Trattengo il respiro e questa volta non è per mia madre, ma per lei. «Cosa ascoltavi?» indica il mio iPod sul letto con ancora le cuffie attaccate. A me scappa un sorriso malinconico.

«Una canzone del 1961, probabilmente non la conosci»

«Posso...» si morde le labbra, «Posso ascoltare?» avrei detto no, sempre, eppure non so fiatare di fronte alla sua richiesta e nemmeno quando prende l'iniziativa e mette la cuffia nell'orecchio porgendomi l'altra in un chiaro invito ad attaccare la musica. E lo faccio, faccio tutto quello che vuole.

Wise men say

Only fools rush in

But i can't help falling in love with you

Shall I stay?

Would it be a sin

If I can't help falling in love with you?

Bea mi osserva ha le lacrime agli occhi quasi sapesse che tutto questo ha attinenza con lei, quasi sentisse le mie stesse emozioni. Nemmeno mi sono accorto del momento in cui abbiamo cominciato a stringerci le mani, quasi necessitassimo di un contatto con tutta la nostra forza.

«Era... la canzone preferita di mia madre» non riconosco neppure la mia voce mentre mi apro con lei, non parlo mai di mia madre, neppure con mio padre. Bea continua a tenere gli occhi incollati ai miei, li ha lucidi ma le lacrime le ha asciugate. «La canzone con la quale i miei genitori si sono innamorati» mi mordo forte le labbra e lei annaspa. «Can't help falling in love. Mia madre non voleva una storia, voleva girare il mondo. Ed è stato proprio in uno di questi viaggi, in Italia, che ha conosciuto lui. È stato amore a prima vista e da lì, non si sono mai lasciati. Sono caduti perdutamente innamorati l'uno dell'altro senza riuscire a farne a meno. Proprio come dice la canzone.»

«Sto immaginando la scena» dice con un filo di voce, «erano così tanto innamorati?»

Annuisco sicuro, ci guardiamo per un attimo.

«Mia madre vedeva in mio padre ciò che non ho mai visto io.»

Sospiro stanco, afflitto, poi rimaniamo in silenzio ognuno ad ascoltare il respiro dell'altro.

«Andrai da lei oggi?» Mi fa quella domanda tanto temuta, perché no, non ce la faccio, è troppo difficile.

«Non ci vado da due anni» confesso e abbasso gli occhi, colpevole di essere troppo debole per poterlo fare. «Non ce la faccio a vederla solo in foto, non riesco a respirare nel saperla dentro quella bara.»

Beatriz stringe più forte la mia mano e forse rendendosi conto di ciò, la ritrae e abbassa lo sguardo, ma io ne ho bisogno più dell'aria che respiro. Ma non sono io a fare il primo passo, lei prende coraggio e alza il mio viso dal mento per permettermi di guardarla.

«Ci andiamo insieme a trovarla?» Mi spiazza con questa richiesta, deglutisco fiotti di saliva e non rispondo, rimango a contemplare i suoi occhi cristallini che cercano di aiutarmi.

«Non so se me la sento» le confesso.

«Allora facciamo una cosa» non so come ci siamo finiti ad un capello di distanza, so solo che nel nostro momento non c'è malizia e mi sta bene così, basta che mi sia vicino e io riesco a sentirmi vivo. Forse dopo troppo tempo. «Ci andiamo insieme, ma ti prometto che se mentre saremo li cambierai idea e non te la sentirai, ce ne andremo. Ma ci dobbiamo provare, no?» parla di noi come se fosse ovvio che debba fare questa cosa con me, anche se poi nella vita di tutti i giorni non facciamo che litigare. E avrei detto di no in tutti i modi possibili se me l'avesse chiesto un'altra persona, ma chissà perché a questa ragazza non so mai dire di no, quasi fosse necessario il mio assenso. «Ci stai?» mi incalza non vedendo arrivare una risposta.

E io invece di rispondere, mi limito ad annuire.

Qualche ora più tardi stiamo camminando insieme, lei mi sta al fianco e me la fa sentire addosso la sua presenza. Mi tremano le gambe ad ogni passo che mi avvicina alla lapide di mia madre e trattengo il respiro rimanendo in apnea; poi ci ritroviamo davanti al cimitero, Beatriz si ferma e mi guarda, io non lo faccio, rimango a fissare quel posto che tanto mi fa paura con troppa tensione addosso.

«Allora ci buttiamo?» continua a parlare di noi, quasi stessimo vivendo lo stesso disagio, e invece di infastidirmi mi fa sentire capito.

Ancora una volta annuisco, ma nel momento in cui mi ritrovo a fare un passo verso la direzione della lapide, mi blocco e non ho più la forza di proseguire. È solo quando Beatriz inaspettatamente prende la mia mano e la stringe, che mi trasmette l'energia che mi serve. Le lancio uno sguardo e lei pare imbarazzata, ma il suo sorriso mi rassicura più di qualsiasi altro al mondo.

«Andiamo?»

«Andiamo!» pronuncio quella frase e prendo un profondo respiro. Da lontano vedo il posto dove c'è la foto di mia madre, riconosco i suoi occhi e si inumidiscono i miei, ma cerco di nasconderlo con tutto me stesso. Quando ormai mi manca poco per arrivare, però, Beatriz si ferma e lascia la mia mano. Mi sento svuotato nel non sentirla più vicina.

«Che fai?» dunque le chiedo, vedo che nel frattempo lei sta facendo qualche passo indietro e si sta allontanando.

«Dovete stare da soli, io sono qui ad aspettarti» dice e anche se non sono convinto, annuisco un'altra volta e fatico a voltarmi ancora verso mia madre.

Finalmente la raggiungo e mi si bagnano gli occhi nel percepire il suo calore anche se ormai è così lontana da me.

«Ciao, mamma» mi sembrava di non pronunciarlo da troppo tempo. «Lo sai che mi manchi tanto?» le domando come se lei potessi rispondermi, poi mi siedo, butto giù tutte le barriere e mi apro a lei. «Le cose vanno bene. Papà si è sposato con Camila, lei è una brava donna, ti sarebbe piaciuta. O forse no, perché tu eri troppo gelosa di papà» sorrido nel ripensare alle sue scenate di gelosia nei confronti di mio padre. «Papà, be' lui è peggiorato da quando non ci sei. Non è più lo stesso. È sempre scorbutico. Credo che manchi tanto anche a lui» ancora una lacrima viene giù dai miei occhi. «E poi c'è Bea...» dico il suo nome e mi viene spontaneo cercarla, quasi avessi paura che se ne sia andata. E invece nel girarmi la vedo, è lì, e pare non volermi lasciare solo. Per quale motivo non lo so, visto che so quanto mi detesta.

«Lei è bellissima, è intelligente, è... lei è l'unica che mi fa sentire vivo da quando te ne sei andata. Ma la cosa peggiore è che non lo sa, che mi detesta, che vorrebbe che scomparissi. Tu sei l'unica a sapere della mia cotta per lei, lo sai da sempre, dal primo anno di superiori quando l'ho vista e sono rimasto folgorato. Probabilmente non si innamorerà mai di me, ma ho scoperto che va bene anche se mi sta accanto e basta, l'importante è che ci sia, come oggi. La voglio nella mia vita» tiro fuori, perché so che non potrò mai dirlo a nessuno, che dovrà rimanere un segreto.

«Adesso che sai tutto, mi sento meglio. Lo so che sarai arrabbiata con me perché non ti sono venuto a trovare per tutto questo tempo, ma da oggi in poi mi sforzerò di farlo. Ciao mamma, mi manchi!» le dico ancora. Poi mi alzo in piedi, asciugo le lacrime e mi volto per tornare da Beatriz che mi guarda con gli occhi rincuoranti.

Quando le sono vicino, schiude le labbra e so che sta per dirmi qualcosa.

«Non avresti dovuto asciugarle le lacrime, Roman. Non devi vergognartene» nel dirmi ciò, mi fa sentire compreso come solo mia madre mi faceva sentire, quasi fosse in lei adesso. Rimango a guardarla e poi non lo so chi è che lo fa per prima, ma finiamo l'uno nelle braccia dell'altra. Ha la testa appoggiata sul mio petto quando decido di appoggiare la mia sul suo collo, e in quel preciso istante il cuore mi si ferma e ricomincia a battere più prepotente. Io lo sento e non mi sembra vero che nella sua pelle ritrovo il profumo di mia madre. Un brivido mi scansione la pelle, un sospiro esce dalle mie labbra facendo svolazzare i capelli, mi stacco da quell'abbraccio spiazzato e lei mi guarda stranita.

«Torniamo... torniamo a casa, Bea!» dico col cuore in gola, lei si limita ad annuire.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro