Capitolo 8

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Don't you know too much already?

I'll only hurt you if you let me

Call me friend but keep me closer


Let's just let it go

Let me let you go

- Billie Eilish


Quando riaprì gli occhi, la notte era rischiarata da una lampadina a luce calda, e qualcosa di morbido sosteneva il suo peso. Si mosse debolmente e, nel momento in cui riconobbe la stanza dell'amico e capì di essere sul suo letto, Adam gli si sedette accanto sul bordo.

«Alec, mi hai fatto prendere un colpo! Cosa succede? Vuoi che chiami un'ambulanza?»

«No!» urlò di scatto, poi di fronte all'espressione allarmata dell'altro si sforzò ad aggiungere, con più tranquillità: «Sto bene.» Fece per alzarsi, ma il movimento gli costò troppa energia e la vista gli si appannò. Che cosa gli stava accadendo?

Fu costretto a portarsi le mani al viso per cercare di rimediare in qualche modo, ma una forza estranea lo rispinse piano verso il cuscino. Si ritrovò di nuovo adagiato contro la testiera, non seduto ma nemmeno sdraiato, e notò che Adam gli si era avvicinato. In quell'attimo captò un odore che conosceva bene, che non era solo quello inconfondibile ai fiori d'arancio: il solito profumo fresco era macchiato da qualcosa di dolciastro e pungente. Alcol.

«A me non sembra proprio così.» L'agitazione del ragazzo spinse Alec a maledirsi per non aver mantenuto la lucidità davanti a lui. Subito dopo, però venne distratto dalle seguenti frasi. «Sei sconvolto, Alec. E mi hai appena aggredito. Vuoi dirmi che succede?»

«Credevo fossi un ladro!» si giustificò.

Adam fece per parlare, poi si interruppe. Sebbene il sentore della festa gli fosse rimasto addosso, non pareva ubriaco. Forse un po' alticcio. Ci volle qualche secondo prima che riprovasse. «Stai scherzando? E perché mai avresti dovuto pensare una cosa simile?»

Il suo tono lo infastidì non poco, ma si trattenne dal rispondergli male. Ciò che gli uscì, tuttavia, fu comunque macchiato da un'amarezza che non era riuscito a contenere. «Mi sembra normale, che ne sapevo io che saresti rientrato alle due, no anzi alle tre, di notte!»

I lineamenti di Adam si ammorbidirono, come se avesse deciso di lasciar perdere quella storia. «Ero alla...»

«Festa di Jason» concluse Alec. «Con chi?» Si morse un labbro, ma ormai era troppo tardi per ritirare quelle parole.

Adam alzò un sopracciglio, forse chiedendosi il perché di tale domanda. Alec trattenne il fiato in attesa del nome che tanto odiava, ma questo non arrivò.

«Con amici.»

«C'era anche Cassie?» incalzò quindi, incapace di darsi un contegno.

Tra loro calò il silenzio, che fece capire bene ad Alec di aver esagerato. Se ne pentì con ogni fibra del suo essere e non ebbe il coraggio di continuare a guardare l'altro, quindi tentò di concentrarsi sulla sua stanza ordinata, rischiarata appena dall'abat-jour. E lì lo scorse, Per Aspera ad Astra, poggiato su una mensola e privo di qualsiasi granello di polvere. Provò un senso di appartenenza verso quel libro, e si rese conto che il finale che ai tempi aveva giudicato terribilmente triste, che gli aveva lasciato un vuoto nel petto, era lo stesso a cui stava per andare incontro nella sua vita. Solo. Per sempre. Senza Adam.

«Sì, c'era.»

Adam era di Cassie.

«Perché?»

Era stato così assorto dalla prima parte che non aveva afferrato il tono di quella domanda. Alzò lo sguardo per cercare di comprendere la reazione di Adam, e trovò due cristalli blu oltremare a fissarlo seri.

Tutto ciò che gli uscì in risposta fu una smorfia insofferente. Non sarebbe mai stato capace di dar voce alle proprie emozioni dal momento che non era riuscito a rivelarle nemmeno a sé stesso.

«Che ti prende, Alec?» lo riscosse il ragazzo. «Mi sei svenuto tra le braccia e i tuoi occhi sono rossi come se non dormissi da giorni. Sembri reduce di una guerra e sei più magro che mai. Non ti vedo mangiare da più di una settimana, non credere che non ci abbia fatto caso.»

«Non lo credo affatto» ribatté amaro. Il problema non era che Adam non se ne fosse accorto, ma che non gli avesse detto nulla.

«E allora che c'è? Stai cercando di attirare la mia attenzione? Perché, ti rivelerò una cosa, se tu che mi hai allontanato, che non l'hai voluta.» Adesso appariva quasi adirato, non si scorgeva più l'accenno di tristezza nascosto negli zaffiri. Ma lui sapeva che c'era.

«Non gira sempre tutto intorno a te!» lo accusò Alec, puntandogli un dito contro. Si rendeva conto che una frase simile non era qualcosa che avrebbe dovuto rivolgere a Adam, che continuamente si preoccupava per gli altri, ma ormai era come un treno senza freni. «Sappi che ci sono anche altre persone, che hanno la loro vita e i loro problemi, persone alle quali, agendo in modo sconsiderato, potresti rovinare tutto!» si ritrovò quasi a gridare, mentre il suo interlocutore non batteva ciglio. «Cosa pensi, di essere libero di fare agli altri tutto quello che ti passa per la testa senza andare incontro a delle conseguenze? Di essere libero di fare a me ciò che hai fatto come se niente fosse? Come hai potuto?»

Spalancò gli occhi e si zittì quando realizzò che per la prima volta aveva accennato ad alta voce a ciò che era avvenuto tra loro. Anche Adam sembrava sorpreso, e un lieve rossore stava iniziando a colorargli le guance. Alec rimase a contemplare il suo viso a malapena imporporato come se al mondo non esistesse niente di più bello, ma presto venne richiamato dalla tensione del momento, quando l'altro aprì bocca.

«Mi dispiace che tutto ciò abbia avuto su di te un impatto così negativo, ma devo ammettere che mi fa piacere sentirti finalmente parlarne.» Alec provò a interromperlo poiché in realtà parlarne era l'ultima cosa che voleva, ma non ci riuscì. «In verità ho affrontato questo discorso per giorni nella mia testa, eppure ora non riesco a dire nulla» rivelò, piegando il collo e strofinandosi la nuca impacciato. «Però una cosa è certa: tutto quello che ho fatto a te e con te è stato perché credevo fosse la cosa migliore per te. Quel che vorrei io viene dopo, mi sono sempre focalizzato sul tuo bene prima di...»

Stavolta s'intromise con un'esplosione. «Quindi neanche lo volevi!» Spalancò le braccia e alzò il capo verso il soffitto in un gesto arrendevole. Si sentiva sconfitto dalla vita.

«Non ho detto questo!»

Per lunghi attimi di silenzio si fissarono. Alec coprì il proprio imbarazzo con uno sguardo di sfida, l'unico modo per andare avanti in quella conversazione. Dell'altro invece captava solo la sincerità che trapelava dalla sua persona.

Poi, senza un motivo specifico, il giovane Brass si alzò dal suo posto e si girò verso di lui. Lo guardò solo qualche istante in più, ma l'espressione sul suo volto si era fatta diversa: decisa e intraprendente, così tanto che mandò Alec in subbuglio.

Nella frazione di un secondo Adam gli afferrò i polsi e si protese, finendo in ginocchio sul letto, sopra di lui. Alec perse un battito per lo stupore. La fragranza frizzante e familiare arrivò subito a deliziarlo, mischiata a quella pungente che aveva avvertito prima, e quel miscuglio gli fece quasi dimenticare in quali circostanze si trovasse.

Con gli occhi spalancati, fissò il ragazzo che gli stava di fronte e non riuscì a provare paura per ciò che stava accadendo. Più un'adrenalina immotivata, che gli fece comprendere che il suo corpo apprezzava la piega insensata che aveva preso la situazione. Per questo non si mosse, rimase paralizzato e suddiviso tra ciò che fisico e psiche gli ordinavano di fare, continuando a perdersi nella visione che aveva davanti. Inevitabilmente, tornarono a tormentarlo le immagini dei suoi incubi, così simili ora a quelle reali, e di nuovo si sentì accaldato come quando si era svegliato dopo il sogno.

«Stammi lontano» rantolò, ma restò immobile.

«È quello che mi hai fatto capire una settimana fa. Però non sembra sia ciò che vuoi realmente. Né ciò che è meglio.» Adam Gli rivolse uno sguardo eloquente che decise di ignorare anche se ne aveva afferrato il significato. Sapeva benissimo che da quando il giovane Brass non gli era più vicino tutto stava andando per il peggio. Ma non poteva abbandonarsi a desideri momentanei con i quali prima o poi avrebbe dovuto fare i conti. Conti che non aveva la possibilità di pagare.

«Non voglio infastidirti, Alec, ma sei tu che continui, testardo, a mentire. Posso far finta di crederti, ma se mi accusi così non ci sto.»

«Non ti ho mentito!» Scattò subito in difensiva. Non è vero, fece una vocina nella sua mente. Hai mentito anche a te stesso. Gli mancava l'aria. Perché Adam gli stava dicendo quelle cose?

Adam aprì bocca, ma ancora una volta la richiuse senza emettere alcun suono. La sua espressione si fece combattuta, come se dentro di lui stesse avvenendo una guerra per decidere cosa dire, poi si fece arrendevole un attimo prima di abbassare il capo. Alec lo sentì poggiarsi contro di lui, nell'incavo tra la spalla e il collo, e sobbalzò, lasciandosi sfuggire un'esclamazione sorpresa per la vicinanza improvvisa.

«Non voglio turbarti» ripeté Adam. La sua voce si era fatta più bassa e roca, il suo tono sembrava dispiaciuto. «Forse è meglio se torni in camera tua.»

Soffocato dall'odore che proveniva dai suoi capelli, Alec rimase immobile, terrorizzato dal fatto che Adam avrebbe potuto accorgersi facilmente di ciò che stava succedendo al suo corpo in subbuglio.

«Va' via prima che sia troppo tardi» insistette.

Troppo tardi per cosa? avrebbe voluto domandare, ma aveva il sospetto che la risposta l'avrebbe sconvolto più della situazione stessa, quindi seguì l'istinto e pronunciò semplicemente: «No...»

Non aveva idea del perché l'aveva detto, né il motivo per cui desiderava restare lì, i polsi serrati dall'amico che da un po' aveva perso.

Con una lentezza quasi dolorosa, Adam alzò il capo e si raddrizzò. I loro nasi si sfiorarono, e Alec percepì il respiro dell'altro sulle proprie guance. Ma ciò che più lo aveva catturato erano i suoi occhi. Brillavano alla luce della lampadina, di un blu intenso che, lo sapeva, assumevano solo quando celavano profonde emozioni. Quel cambiamento repentino lo destabilizzò, e il suo cuore iniziò a correre all'impazzata quando la stretta si fece più incisiva.

«Non hai paura di cosa potrebbe succedere?» gli venne chiesto.

Oh, sì che ne aveva, e anche tanta. Ma c'era come qualcosa, una forza magnetica, che gli impediva di alzarsi da quel letto. E non era per la presenza del ragazzo che lo schiacciava contro il cuscino. O meglio, quella giocava un ruolo molto importante in tutto ciò, ma da un punto di vista più astratto. La verità era che non se ne voleva andare, aveva cercato di resistere lontano da Adam, ma non c'era riuscito. Per farlo, avrebbe dovuto mettere quanti più chilometri possibile tra i due poli della calamita, cosicché non avrebbero continuato ad attrarsi a vicenda. Tuttavia, era un'idea che ora come ora non poteva attuare, quindi non gli restava che abbandonarsi alle leggi insormontabili della fisica.

«Ho paura» rivelò infine. Non era pronto a calare tutte le carte in tavola, ma avrebbe provato a scoprirne alcune. «Però non voglio andarmene.»

«Alec...» I lineamenti di Adam si ammorbidirono, la sua espressione dispettosa svanì per lasciare spazio a quella che conosceva e che sempre gli aveva rivolto, che ultimamente era scomparsa. Alec la vide e si sentì a casa, accolto, amato. Il suo Adam era tornato, il suo sole era tornato a splendere per lui dopo una lunga e fredda notte, donandogli un'alba candida e tiepida.

Non si era accorto che Adam gli aveva lasciato i polsi per fargli scorrere l'indice sulla guancia. Quel semplice tocco fu abbastanza per riaccendere la fiammella di prima, non del tutto estinta.

«Non devi avere paura di me, mai.» Gli sussurrò contro il viso quelle parole calde che, al di là di ogni logica, lo fecero tremare.

Lentamente, Adam gli si avvicinò al volto e lo studiò per qualche secondo, poi gli poggiò le labbra dove un attimo prima era stato il suo dito. Questa era così infuocata che le percepì fresche.

«Io non...» Provò a dire che non era da lui che era spaventato, bensì da sé stesso, ma il respiro gli si mozzò e non riuscì a proseguire.

Adam gli si tolse di dosso per sdraiarglisi accanto, e il suo corpo fu investito da una corrente gelida proveniente dalla finestra socchiusa. Di fuori, la luna era luminosa proprio come nel suo sogno, e la cosa lo turbò ancora di più.

«Non farò mai niente che tu non voglia» bisbigliò Adam al suo fianco, facendolo trasalire.

Si calò di un poco dal cuscino per ritrovarsi alla sua stessa altezza e inspirò a fondo per cercare di riguadagnare il controllo. «Posso stare qui stasera?» domandò. Avrebbe voluto chiedergli scusa per averlo accusato in quel modo poco fa, ma quella richiesta gli era sfuggita senza che potesse trattenerla. Quasi si stupì nel constatare che aveva ripreso quasi del tutto la padronanza della propria voce. Era stato il tono di Adam, quello di una volta, a tranquillizzarlo.

Anziché dargli una risposta, l'altro si sporse di più verso di lui e gli circondò le spalle. Dopo aver iniziato ad agitarsi per tale gesto, Alec capì che stava spegnendo l'abat-jour dietro di lui e tentò di darsi un contegno, ma alla fine non ci riuscì.

Afferrò d'istinto il polso dell'amico prima che lo allontanasse da lui. Adam gli sorrise consapevole e lui non seppe continuare a sostenere il suo sguardo, per cui abbassò il proprio verso le coperte sotto di loro, avvertendo le guance in fiamme. Avevano ancora un conto in sospeso e non ce la faceva per adesso ad affrontare l'argomento, ed era quello che più di tutto lo faceva imbarazzare. Essere toccato da Adam non gli aveva mai provocato così tanta vergogna quando era all'oscuro di ciò che provava. E adesso era un codardo incapace di parlare.

Perché mi sorridi se non farò altro che farti del male? pensò senza essere in grado di dirlo, un istante prima di sentirsi stretto tra le braccia dell'altro.

«Adam.» Si permise di esternare quel nome che tanto desiderava percepire sulle labbra. Quella singola parola pronunciata con trasporto parve attivare tutta una serie di meccanismi nell'altro, che non riuscì a restare fermo e si mosse così rapido che Alec non ebbe il tempo di fermarlo. In un attimo si ritrovò pelle contro pelle con lui, intrufolatosi sotto la maglietta del pigiama. Dapprima lo carezzò con leggerezza, poi premette i polpastrelli sulla sua schiena come se volesse imprimere le proprie impronte accanto a quelle del fato .

Il filo dei suoi pensieri si spezzò del tutto, bruciato dalla stretta bramosa delle dita altrui, che premevano tanto da fargli quasi male. Dal petto si propagò un'ondata che arse l'intero corpo quando l'evidenza che Adam si stava trattenendo dal fare qualsiasi altra cosa s'intrufolò prepotente nella sua coscienza.

Inspirò a fondo il suo profumo e provò a riguadagnare la ragione. Si permise di riflettere sul fatto che Adam non aveva cercato di infastidirlo come la scorsa volta, sebbene di sicuro avesse notato le sue reazioni. Forse si stava impegnando davvero per lasciargli i suoi spazi, ma quanto sarebbe durato?

Ti farò soffrire, farò soffrire entrambi fu la sua ultima considerazione, prima di abbandonarsi al calore invitante di quell'abbraccio.

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