Capitolo 23

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Sono le otto del mattino, tra dieci minuti Maria entrerà in sala operatoria.

Ho girato tutto l'ospedale da sola, come un'anima in pena. Non sopporto di vedere mio padre con l'aria preoccupata. Non ne ha il diritto. Non ha il diritto di essere preoccupato adesso. Così è troppo facile. Dov'è stato in questi anni?

Rosita è andata a casa, mi ha promesso che tornerà non appena i bambini saranno entrati a scuola. Dante mi ha chiamata due volte, io l'ho pregato di non venire e lui mi ha ascoltata, ma ha detto che manderà uno dei suoi dipendenti a prendere la sua macchina e a sua volta lascerà la mia parcheggiata davanti all'ospedale. E' davvero molto gentile.

Sebastiano è andato via, non ho idea se tornerà, spero di no. Fa troppo male la sua vicinanza. Mi fa venire voglia di abbandonarmi a lui, di averlo nella mia vita, di non essere più sola.

Ma lui non mi appartiene, non mi apparterrà mai. Sposerà Diletta, avrà una vita con lei e si dimenticherà di me. Non serve a niente sperare che le cose vadano diversamente.

Arrivo davanti alla piccola cappella dell'ospedale. Entro dentro e punto lo sguardo sulla croce appesa in cima all'altare. Da quando la mamma è morta mi riesce molto difficile credere in Dio, ma la visione di Maria così piccola e indifesa dentro a quel letto mi fa pregare che le cose vadano per il meglio. Non potrei sopravvivere, senza la mia piccola.

Chiudo gli occhi e inizio a pregare. Prego Dio, prego mia madre, prego chiunque affinché l'operazione vada bene. Sono disperata, talmente disperata che mi manca il respiro.

Stringo forte la collana che ho al collo, quella che non ho più tolto dal funerale di mia madre, quella che mi aveva regalato lei, dopodiché torno in sala d'attesa e mi siedo vicino a mio padre.

Lui guarda nel vuoto e continua a sfregarsi il braccio sulle labbra. Probabilmente è in astinenza dall'alcool.

<<Mi... mi dispiace, per prima>>, borbotta, senza guardarmi. <<Non credo che sia colpa tua.>>
Annuisco, amareggiata. <<Già, certo, come no.>>

<<Sono spaventato, Cris.>>

<<Spaventato?>> Gli lancio un'occhiata furente. <<E da cosa?>>

<<Ho paura di perdere anche Maria.>>

Mi alzo in piedi, trattenendomi a stento dal colpirlo. <<Sì, bè, ti voglio dare una notizia: c'hai già perso da tempo.>>

Prendo posto nella fila di sedie opposta alla sua e per il resto del tempo restiamo in silenzio.

Vorrei farlo scomparire con un gesto delle dita, vorrei che ci fosse lui al posto di Maria, vorrei che ci fosse lui al posto di mia madre, e mi faccio schifo per questi pensieri, ma non posso farne a meno.

Sono arrabbiata, così tanto che vorrei urlare, invece rimango zitta e ferma, qui, in questo fottuto ospedale. Per l'ennesima volta.

Sono passate già quattro ore da quando è iniziata l'operazione, ma nessuno viene a dirci nulla.

La porta dell'ascensore si spalanca e Rosita si avvicina a me con un sorriso. <<Ho portato qualcosa da mangiare per te e per tuo padre, niña.>> Mi porge uno dei due portapranzi che ha tra le mani. <<Pasta al sugo e albahaca.>>

<<Grazie Ros, non dovevi.>> Alzo lo sguardo su di lei. <<Che diavolo è l'albahaca?>>

Lei scoppia a ridere e mi accarezza i capelli. <<E' quello che voi chiamate "basilico".>> Si avvicina a mio padre e gli porge l'altro portapranzo. <<Tenga, signor Lovatelli, le ho portato un po' di pasta.>> Lui tentenna per un attimo, dopodiché afferra il contenitore e inizia a sbocconcellare il cibo. <<Ho portato anche qualche bevanda: acqua frizzante, Coca Cola...>>

<<Non avresti della birra?>>

Sgrano gli occhi e per poco non rovescio il contenitore sul pavimento. <<Fai sulserio? Tua figlia di sei anni sta subendo un delicatissimo intervento e tu vorresti ubriacarti?>>

Rosita mi poggia una mano sulla spalla. <<Cris, calmati, coraggio.>>

<<Ho solo chiesto se...>>

<<Oggi per la prima volta sono contenta che la mamma non sia qui, almeno non può vedere che schifo di uomo ha sposato.>> Mi alzo in piedi e raggiungo velocemente l'uscita. Ho bisogno di aria.




Sono seduta nel parcheggio dell'ospedale da almeno quaranta minuti e di Maria ancora nessuna notizia. Rosita mi tiene aggiornata tramite messaggi e davvero, se non avessi lei sarei finita.

Non riesco a fare a meno di tremare. Per il freddo, per la preoccupazione, per la rabbia, per il dispiacere. Non lo so nemmeno io, i motivi sono troppi.

Il mio cellulare vibra nella tasca dei jeans. Guardo lo schermo e sospiro. Il mittente della chiamata è Dante. <<Pronto?>>

<<Ehi, Cris, come va?>>

Mi trattengo dall'impulso di mandarlo al diavolo. Ma che razza di domanda è? Va da schifo. <<Non bene. Ancora non è uscito nessuno per darmi informazioni.>>

<<Vorrei davvero venire lì e starti vicino, ti prego di permettermelo.>>

<<Dante, preferisco restare da sola. Non ho voglia di vedere nessuno, scusami.>>

Bugiarda.

La mia mente mi prende in giro, gioca a farmi perdere la pazienza. Continua a proiettarmi in loop il viso di Sebastiano, smentendo palesemente le mie parole. Non voglio stare sola, voglio Sebastiano.

<<Va bene, ma se hai voglia di parlare chiamami, ok?>>

Annuisco, anche se non può vedermi. <<Certo. Grazie, Dante.>>

<<Figurati, piccola.>>

Riaggancio il telefono e mi accorgo di avere un messaggio da Rosita. Dice solo "Dottore."

Arrivo in sala d'attesa come una furia. Vedo mio padre parlare animatamente con il dottor Perrotta, mentre Rosita si avvicina a me con la faccia sconvolta.

Fermati, Ros, fermati ti prego. Dimmi che Maria non è morta, che sorride, che respira, che è viva. Dimmi che non sono sola, che ho ancora lei, che ho fatto un buon lavoro, che l'ho protetta e che mia madre sarebbe fiera di me.
Dimmi che è stato solo un sogno, che mi sveglierò nel mio letto e sentirò la voce di mia madre in cucina mentre prepara la colazione, la risata di Maria che gioca nella sua stanza, mio padre che canta stonato per far divertire la mamma.
Fermati, non avvicinarti, Ros. Non piangere. Non uccidermi, ti prego.

<<Che è successo?>>

Rosita mi abbraccia e poi mi sussurra tra i capelli: <<Cris, Maria è in coma.>>
In un attimo sono scomparsi tutti, tutti quanti. I medici, gli infermieri, i pazienti, le loro famiglie, mio padre, Rosita e persino io.

Continuo a respirare, mi muovo lungo il corridoio, mi siedo sulla sedia, aspetto notizie, ma non ci sono. Mi sono dissolta tra le parole di Rosita, ho smesso di esistere.

Il dottor Perrotta mi ha stretta in un abbraccio, poco fa, e mi ha spiegato cos'è successo a Maria.

A sentire lui l'operazione è riuscita, ma io vorrei soltanto scoppiare a ridergli in faccia.

Mia sorella è in coma, come può essere riuscita, allora?

Forse gliel'ho chiesto, o magari ha capito da solo cosa mi passava per la mente, fatto sta che il dottor Perrotta mi ha detto che sono riusciti a bloccare l'infezione, ma la febbre alta ha debilitato troppo le sue funzioni vitali e quindi dobbiamo solo pregare che si risvegli.

Mi ha parlato anche di quel progetto sperimentale di cui mi aveva accennato anche l'ultima volta che ho portato la piccola da lui. Secondo Perrotta, nel caso in cui Maria si svegliasse e riacquistasse il massimo delle sue forze, potremmo anche procedere, perché ha buone probabilità di tornare a vedere.

Io sono rimasta ferma alla frase "nel caso in cui Maria si svegliasse". Potrebbe non svegliarsi.

Guardo mio padre, se ne sta seduto in disparte e tracanna una bottiglia di Jack Daniel's come un disperato, incurante delle occhiate disgustate che gli lanciano le altre persone presenti.

Il cellulare nella mia tasca emette un bip, avvisandomi di aver ricevuto un messaggio. E' di Sebastiano.

"Vorrei essere lì con te..."

Belle parole, se non fosse che la sua foto profilo di WhatsApp è uno scatto di lui e Diletta abbracciati davanti al mare. Lei sorride, lui anche. Ed io sono stufa, stufa davvero. Stufa di lui, delle sue parole bugiarde. Stufa di mio padre e del fottutissimo alcool. Stufa degli ospedali, delle malattie e della morte. Sono stufa.

Chiudo gli occhi e scoppio a piangere. Sento una stretta fortissima all'altezza del petto e le mie gambe cedono, facencomi crollare sul pavimento. Sento l'aria che non arriva ai polmoni, rimane bloccata da qualche parte, tra il naso e la gola.

Rosita mi è vicina in un attimo, mi sorregge la testa, mentre il dottor Perrotta mi impone di ascoltare la sua voce. Sto avendo un atatcco di panico, cerco di respirare, ma all'improvviso il mondo diventa nero.

Forse mi sono dissolta davvero, forse è meglio così.





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