Capitolo 22

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Il lavoro al Millenium è faticoso esattamente come lo ricordavo. Dante ha insistito per venirmi a prendere sotto casa, quindi mi ritrovo di nuovo senza macchina.

Non riesco a capire il perché di tutto questo interesse nei miei confronti. Sì, okay, mi ha fatto capire in molteplici occasioni di avere una cotta per me, ma da qui ad essere così... presente.

Non riesco proprio a capirlo.

Sospiro, servendo l'ennesimo cliente ubriaco. Sono elettrica, questa sera. Ho una stranissima sensazione che mi attanaglia il petto e le viscere, come se dovesse capitare qualcosa da un momento all'altro. Non so spiegare cosa, ma è estramente fastidioso.

Saluto un sacco di vecchi clienti e tutti quanti mi fermano per dirmi quanto si sia sentita la mia mancanza. Io rido, scherzo e allo stesso tempo li servo, ma dentro di me sto sprofondando.
Non riesco a fare a meno di pensare alla cena della scorsa settimana, alle braccia di Sebastiano intorno alle spalle esili di Diletta, alla felicità che emanavano. Al loro fottutissimo matrimonio.

E' da quella sera che non ho sue notizie ed è meglio così. La sua presenza fa male, mi ricorda solamente che non mi appartiene, che è di un'altra, che ama un'altra.

Mi cade un bicchiere dalle mani e si frantuma sul pavimento lucido del locale. Dante mi guarda e alza le spalle sorridendo, dopodiché si avvicina a me e mi aiuta a raccogliere i vetri.

<<Ehi, Cris, tranquilla. Sono cose che succedono.>> Mi accarezza una guancia. <<Perché non ti prendi una pausa. Sei sfinita.>>

Ha ragione, ma non so nemmeno io il perché. Mi sento nervosa, agitata, smaniosa. Vorrei rilassarmi, ma non ci riesco. Non è da me rompere le stoviglie. Non sono mai stata imbranata, neanche quando ero alle prime armi. Non so proprio cosa mi stia succedendo.

Annuisco, dopodiché mi dirigo verso gli spogliatoi e prendo il cellulare dal mio armadietto. Chiamo Rosita per avere notizie di Maria. So che è tardi e che probabilmente mi manderà a quel paese per averla svegliata, ma ho bisogno di sapere che va tutto bene.

Il telefono squilla per qualche secondo, dopodiché la voce della mia amica mi raggiunge forte e chiara. <<Cris, finalmente!>> Sembra sconvolta.

<<Che succede?>>, le chiedo in preda al panico, mentre stringo involontariamente la presa sul mio cellulare.

<<Ti avrò fatto almeno venti chiamate, ma eri irraggiungibile.>>

La musica altissima che proviene dalla sala principale m'impedisce di sentire bene la sua voce, così esco all'esterno, mentre il cuore mi batte all'impazzata. Lo sapevo, lo sapevo che stava per succedere qualcosa, me lo sentivo. <<Ros, ma che succede? Maria sta bene?>>

<<Aveva la febbre alta niña, troppo alta.>> Rosita ha la voce che le trema. <<L'ho portata in ospedale. Siamo qui, la stanno visitando ma ancora non ho sue notizie.>>

Riaggancio il telefono e torno al mio armadietto, prendo la borsa e corro da Dante. Lo supplico di prestarmi la sua auto e lui insiste per accompagnarmi, ma io ho bisogno di stare da sola. Mi promette che passerà non appena chiuderà il locale, ma io non gli rispondo neanche.





Mezz'ora più tardi sono nella sala d'attesa dell'ospedale e individuo Rosita seduta su una delle sedie nel corridoio. Ha la faccia stravolta ed è in pigiama. Le vado incontro e scoppio a piangere, mentre lei mi abbraccia forte e mi accarezza i capelli.

<<Calma niña, calma>>, mi ripete, come se fosse una ninna nanna. Come se fossi una bambina spaventata da un incubo.

<<Ti hanno detto come sta?>>, le chiedo singhiozzando. <<Come è successo, Ros? Stava bene quando sono uscita per andare a lavoro.>>

<<Il dottore ha parlato di un infezione, ma non è ancora uscito per darmi notizie.>> Mi spinge verso la sedia. <<Coraggio, siediti, sei sconvolta.>>

<<Oddio, Oddio mio.>> Mi prendo la testa tra le mani e inizio a dondolare avanti e indietro. <<Non può essere vero.>>

Mi sembra un brutto sogno. Non posso credere di essere in ospedale. Non posso credere che mia sorella stia male e che io non possa stare con lei, che non possa tenerle la mano e rassicurarla.
Voglio mia madre, voglio averla qui, ho bisogno di lei. Maria ha bisogno di lei. E di me.

Il dottore esce in corridoio e immeditamente mi avvento contro di lui. <<Come sta mia sorella?>>

Lui sospira e prende ad esaminare i fogli che ha in mano. <<Purtroppo non bene, signorina. La piccola ha un'infezione alla cornea sinistra abbastanza seria. Ha urgente bisogno di essere operata, abbiamo già fatto chiamare il dottor Perrotta, visto che è lui che la segue.>> Mi porge un documento. <<Questo deve firmarlo un genitore o chi ne fa le veci. E' per acconsentire all'operazione, visto che sua sorella è minorenne.>>

Afferro il foglio tra le mani e cerco di non andare in frantumi davanti al dottore. Avrò tempo per farlo quando sarò da sola. <<Posso vedere mia sorella?>>

Il dottore annuisce. <<Solo per un momento. Sta dormendo, abbiamo dovuto sedarla a causa dei forti dolori causati dall'infezione.>>

Mi accompagna in una stanza asettica, senza colore, un'infinita distesa di bianco. Maria se ne sta dentro al letto, coperta fin sopra le spalle. Dorme e sembra così indifesa che vorrei prenderla tra le braccia e portarla al sicuro. Una lacrima mi scivola lungo la guancia, mentre mi avvicino a lei.

Le afferro la manina e me la porto alle labbra, poi le lascio un bacio sul dorso e le accarezzo i capelli sciolti sul cuscino.

<<Mar, mi senti?>>, le chiedo, con la voce rotta dal pianto.

Lei non risponde, non muove un muscolo. Continua semplicemente a dormire. Ed io sono così sconvolta che vorrei gridare. Non posso credere che la mia piccola debba subire di nuovo un intervento. Non posso credere di essere di nuovo in ospedale.

<<Le stiamo soministrando degli antibiotici per cercare di contrastare l'infezione, in modo che la febbre si abbassi, ma l'operazione è necessaria in ogni caso.>> Il dottore mi poggia una mano sulla spalla per darmi conforto. <<Il medico di sua sorella sta già arrivando, lui potrà spiegarle meglio il da farsi. Sua sorella è sotto la sua responsabilità?>>

Annuisco, senza staccare gli occhi di dosso dalla mia piccola. <<Siamo solo io e lei.>>

Ed è la pura realtà. Io e Maria siamo una cosa sola, ce l'abbiamo sempre fatta insieme, dobbiamo farcela anche stavolta. Io ho bisogno di lei per vivere. Solo di lei. Non riesco a immaginare una vita senza la mia piccola.

<<Quindi è lei a dover firmare il modulo?>>

<<No, legalmente no.>> Chiudo gli occhi per un istante, dopodiché li riapro ma non cambia niente. Maria è ancora priva di sensi. <<Devo chiamare nostro padre.>>

Bacio Maria sulla fronte ancora una volta, la guardo a lungo, fisso tutti i suoi particolari, poi esco dalla stanza e telefono a mio padre. Sono le due del mattino, probabilmente sarà ubriaco fradicio e non sentirà il telefono, ma devo provarci.

Al decimo squillo risponde: <<Pronto?>>

Chiudo gli occhi e prendo un bel respiro. <<Sono Cristina. Devi venire in ospedale. Subito.>> Mi mordo le labbra. <<Si tratta di Maria. Devono operarla.>>

Riaggancio senza neanche dargli il tempo di farmi domande. Mi lascio ricadere sulla sedia e fisso il vuoto. Maria è in ospedale. Deve essere operata. Di nuovo.
Io sono di nuovo in ospedale. Il mio cuore è in quella stanza, insieme alla mia piccola.



Un'ora più tardi sono ancora seduta su questa maledetta sedia. Il dottor Perrotta è arrivato circa una ventina di minuti fa e mi ha rapidamente spiegato la situazione, ma io credo di essere in stato di shock, perché non ho capito una sola parola.

Continuo a fissare la porta della stanza di Maria, mentre mi torturo le dita delle mani. Rosita è qui accanto a me. E' un vero tesoro, ha lasciato i bambini con sua madre ed è rimasta a farmi compagnia. Ha provato a farmi bere un po' di tisana, ma proprio non ce l'ho fatta. Ho lo stomaco sottosopra.

La puzza d'alcool m'investe prima che possa vederlo spuntare fuori dall'ascensore. Mio padre si fionda verso di me e mi fissa, assillato dalle millemila domande che vorrebbe farmi. Ha gli occhi inniettati di sangue, il volto giallastro ed è senza cappotto, nonostante fuori ci sia il gelo polare.

<<Che cos'è successo?>>, mi chiede, sorreggendosi alla parete.

<<Il dottore ha bisogno che tu firmi il consenso per l'operazione.>> La mia voce è irriconoscibile. Sembra che abbia delle schegge di vetro conficcate nella gola. <<Sei ubriaco? Altrimenti dovrai aspettare che ti finisca la sbornia. Il dottore mi ha detto che per velocizzare i tempi potrebbe attaccarti una flebo, almeno....>>

<<Cris, ma di che cazzo stai parlando?>> Mi afferra per le spalle. <<Dov'è tua sorella?>>

<<Deve essere operata agli occhi. Ha un'infezione.>>

Mio padre inizia a scuotermi e ad imprecare contro di me, come se fosse responsabilità mia, come se avessi messo io Maria in quel maledetto letto, come se non stessi per morire anch'io. So che è l'alcool a parlare, ma le sue parole mi colpiscono come un tir sull'autostrada, perché le penso tutte anche io. Tutte quante.

<<Sei un'irresponsabile! Come cazzo è potuto succedere, me lo spieghi?>> Osserva il mio abbigliamento, i pantaloncini di jeans e il top nero che indosso. La mia divisa da lavoro. <<Dov'eri? Scommetto che te la stavi spassando, te la spassavi mentre tua sorella stava male!>>

Ed è in questo momento che lo vedo.

Sebastiano si muove velocemente verso di noi, afferra il braccio di mio padre e me lo toglie di dosso. <<Con tutto il rispetto signor Lovatelli, credo che dovrebbe darsi una calmata.>> Gli iindica una macchinetta a pochi passi da noi. <<Vada a prendersi un caffè.>>

<<Venga, l'accompagno io.>> Rosita prende mio padre sottobraccio e mi sorride, dopodiché si allontanano lungo il corridoio.

Non dico una parola. Torno a sedermi come se fossi un'automa. Sebastiano sospira, si guarda per un attimo intorno, poi prende posto accanto a me e mi afferra la mano.

<<Cris?>> Cerca di farmi alzare lo sguardo, ma non ci riesce. <<Coraggio, sono sicuro che andrà tutto bene.>>

<<Sono un'irresponsabile, ha ragione lui.>> Mi prendo la faccia tra le mani. <<Mia madre se ne sarebbe accorta, avrebbe capito che stava male.>>

<<Cris, tuo padre è ubriaco fradicio, non pensa niente di quello che ti ha detto.>>

<<Lui forse no, ma io sì.>>

<<Ma cazzo, Cris! Purtroppo sono cose che succedono, tu non avresti potuto fare nulla.>> Sebastiano si alza dalla sedia e s'inginocchia davanti a me. <<Maria è forte, è la bambina più forte che conosca. Ce la farà, hai capito?>> Mi prende il mento tra le mani e mi costringe a guardarlo.

I miei occhi vagano su di lui, disperati e avidi. Vorrei gettarmi tra le sue braccia, dirgli che mi è mancato, che ho bisogno di lui. Vorrei chiedergli di aiutarmi, di farmi sentire leggera e non colpevole, ma invece rimango ferma, immobile. <<Che ci fai qui?>>

<<Tuo padre è venuto a chiedere a mia nonna le chiavi della sua macchina. Farneticava di sua figlia che era in ospedale e così l'ho accompagnato io.>> Mi stringe la mano. <<Credevo che fossi tu, Cris. Io credevo...>>

<<Bè, grazie per averlo accompagnato.>> Mi alzo in piedi e sospiro. <<Ora sarà meglio che tu vada.>> Inizio a camminare verso il lato opposto del corridoio. Non ha senso stare vicini. Non ha senso che lui sia qui. Non mi appartiene.

<<Cris, aspetta, ti prego.>> Sebastiano mi afferra per il polso e mi abbraccia. <<Non farmi questo. Non mandarmi via. Voglio starti vicino, voglio...>>

<<Stai ancora per sposare Diletta?>>

<<E' complicato, io...>>

<<Sì o no?>>

Sospira. <<Sì.>>

<<Allora devi andartene.>> Sciolgo il suo abbraccio e gli dò le spalle.

<<Cris?>>

Mi volto a guardarlo. Sarebbe così facile lasciarsi andare, fregarmene di tutto il resto e permettergli di restare, ma non posso sopportare altro male, non adesso. <<Che c'è?>>

<<Ho bisogno di te.>>

<<Io ho bisogno che tu te ne vada.>>

Mi allontano da lui e da tutto ciò che vorrei. Non posso credere che questa sia la realtà, non posso credere che Maria sia in ospedale, non posso credere alla rapidità degli eventi.

"<<Ho bisogno di te.>>"

Io ho bisogno di aria.




*Note dell'autrice*

Ebbene sì, sono tornata! Probabilmente non ci speravate più, e invece sono proprio loro, Cris e Seb in carne ed ossa.
Scusatemi davvero per l'attesa, ma ho avuto tantissimi problemi personali! Cercherò comunque di aggiornare più assiduamente da adesso in avanti!


BecLynn.


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