Capitolo 9: Una nuova vita

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Il banchetto ormai era stato svaligiato da tutti i presenti, tranne Amelia, che era andata a sedere sulle enormi scale che portavano al piano superiore.

Si sentiva grande, ma al contempo non sapeva cosa le progettava il suo destino. Sapeva, però,  che da quella sera sarebbe cambiato tutto: in peggio e in meglio.

Osservava i volti dei presenti e sembravano felici, ma lei stranamente, non lo era. Le frullavano in testa molti pensieri e domande a cui, per il momento, non poteva avere nessuna risposta.
La cosa che la turbava di più era quello che successe nel bosco: "Che cosa diavolo era quella cosa?" Si domandava all'infinito.

«Amelia? Amelia?» sentì chiamarsi da lontano, ma non riusciva a riprendere lo sguardo che aveva perso fra la folla.
Alzò la testa scuotendola al millesimo richiamo della zia.

«Noi andiamo... è ora di andare a dormire!» disse la zia sorridendo, mentre Amos, Pheobe e Newt si avvicinavano a lei.

«E io? Non devo tornare con voi?» domandò Amelia.

A rispondere non furono loro, ma la donna dai capelli rosso fuoco che sorrideva dietro le loro teste. La sua altezza era impressionante.

«No, cara!» rispose guardandosi le lunghe unghie rosse con attenzione. «La prima sera si passa sempre qui!» continuò incrociando le braccia.

«Vero! Ricordo la prima sera che...» la zia incominciò a ricordare la prima sera che passò nell'Accademia, da strega. Ma fu interrotto da Amos ricordandole che non potevano stare tutta la notte a sentirla parlare.

« Giusto...» rispose avvicinandosi ad Amelia che si alzò in piedi.

«Ci vediamo domani sera. Mi raccomando!»
L'abbracciò così forte che c'era il rischio che rimanessero incollate fra di loro.

Amelia si sentiva quasi vuota quando sua zia la lasciò andare.
«Bene, ti aspetto domani nel mio ufficio alle sette in punto!» esclamò la preside quando si fece spazio per salire sulle scale. «Regina!»
Urlò su tutti, per chiamare una ragazza dai capelli azzurri che scambiava delle effusioni con un ragazzo.

Lei sbuffò lasciando un ultimo bacio e si avvicinò.

«Si?» Rispose con presunzione, alzando un sopracciglio. Per Amelia sembrava essere altezzosa e irrispettosa, infatti non le fece una bella impressione.

«Potresti accompagnare Amelia alla sua camera? Grazie.» disse facendosi spazio per salire le scale.
Regina neanche fece in tempo a rispondere, che Althea diede la buonanotte a tutti e salì.

«Noi andiamo cara...» disse ancora la zia stampando un bacio veloce sulla sua guancia.
Amelia annuì e abbracciò tutti i suoi compagni, prima che uscissero per andare via.

«Newt, ti riporto io a casa.» spiegò la zia che prese dalla borsa chiama oggetti un'altra banana per viaggiare.

«Ecco prendete!» porse ai ragazzi un pezzetto e la mangiarono.

«Può sempre servirti!» commentò la zia facendole un occhiolino e donandole la sacca.

Newt, prima di sparire, rivolse un ultimo sorriso alla sua amata prima di rimanere da sola in mezzo a gente che neanche conosceva.

Amelia rimase lì a guardare il vuoto che i suoi amici avevano appena lasciato.
«Allora? Vuoi andare?» domandò una voce accanto a lei.
Annuì e insieme a Regina, salirono al piano di sopra. Soltanto quando salirono le scale, Amelia si accorse del bizzarro look della ragazza.
Calze a rete, gonna di pelle e top di pizzo.

«Bizzarro...» sussurrò guardando il caschetto di Regina che ondulava insieme al suo corpo mentre salivano.

«Cosa?» esclamò Regina che si fermò su uno degli ultimi scalini.

Sembrava che stessero salendo all'infinito: Amelia si sporse sulla ringhiera di legno e notò c'erano diversi metri di differenza da lì al pavimento a scacchi.

«No niente! Comunque io sono Amelia...» disse allungando la mano cercando di stringere amicizia.

«Oh si, lo so chi sei!» rispose stringendo la mano molto forte. Da una stretta di mano si può capire molto di una persona, pensò.

«Io sono Regina De Civille!» si presentò con un sorriso sul volto molto forzato.
Amelia notò una somiglianza sul volto, soprattutto i suoi occhi celesti, così freddi.

«Tu sei la cugina di Newt, vero?» chiese, forse con un po' di superficialità e infatti l'espressione di Regina cambiò in un istante.

Annuì mettendo le braccia al petto e alzando il mento verso l'alto.
«Eri tu la bambina che veniva sempre a trovarlo?» domandò.
Regina squadrò da capo a piedi Amelia, guardandola con uno sguardo di superiorità.

«Si!»
Al pensiero di quei giorni passati insieme, anche da bambini, sul volto della ragazza apparve un gran sorriso. Ma Amelia non rimembrava affatto Regina nei suoi ricordi d'infanzia.

«Ora andiamo, ho bisogno di riposarmi.»
disse freddamente la ragazza e voltò le spalle per poi continuare a salire le ultime scalinate.

Alla fine della salita c'era un ascensore. Amelia credeva che ci fosse un altro corridoio con tutte le stanze e il resto.

« Dove porta?» domandò Amelia quando entrarono.

Era diverso dai soliti ascensori che si trovavano nella realtà umana: non c'era una leggenda che spiegava quali numeri bisognava prendere per andare su.

«Dove vuoi tu!» rispose Regina con entusiasmo. «Ogni persona ha un numero assegnato. Per esempio il mio è 97422» disse mentre premeva esattamente quella sequenza di numeri; e appena tirò una piccola leva accanto alla tastiera, uscì scritto su un led "Regina De Civille".

«Vedi?» Indicò lo schermo che era posto sulla porta d'ingresso dell'ascensore.

«A cosa equivalgono quei numeri?» domandò. Ogni cosa che scopriva del mondo magico la rendevano così emozionata che ne voleva sapere sempre di più.

«Data di nascita, rango di appartenenza, e giorno del compleanno...» disse indicando ogni numero.
Amelia entrò nel panico in quel momento, perché nessuno le aveva mai detto il suo numero, neanche la preside Cardonell.

«Ma io non ce l'ho un numero così!» disse portandosi una mano sulla fronte. «Nessuno mi ha avvisato! Me lo sarei ricordato, no?» continuò iniziando a camminare per tutto il perimetro dell'ascensore, mentre Regina si divertiva a guardarla nel panico.

«Tranquilla!» esclamò sghignazzando con la mano davanti la bocca. «possiamo trovarlo!»
spiegò.

Regina si mise davanti alla tastiera piena di numeri e Amelia si fermò a guardarla.
«Quindi?» domandò Amelia agitando le mani in aria e alzando la testa notò che sul soffitto dell'abitacolo c'era lo stesso disegno del suo tappeto della camera da letto.

«Qual è il tuo anno di nascita?» iniziò a domandare Regina mentre aspettava che Amelia le rispondeva.

«2003» rispose, guardando con simpatia la ragazza. Pensò che finalmente avesse trovato la sua prima amica di scuola.

«Il tuo rango di appartenenza?» chiese ancora.

«Cosa sarebbe?» domandò massaggiandosi le tempie.

Regina sbuffò e si curvò su se stessa per un attimo, come se fosse scocciata.

«È lo stesso numero della persona da cui sei nata!» spiegò alzando le braccia al cielo rimanendo di spalle.

«Zero!» disse finalmente la ragazza.

Regina si irrigidì immediatamente contraendo la sua mascella e tornando in posizione eretta con la schiena. Rimase immobile fissando la tastiera dopo che Amelia la richiamò.

«C'è qualche problema?» chiese Amelia posandosi sulla porta dell'ascensore, per guardare meglio la ragazza.
Regina scosse la testa.

«Sei sicura che sia proprio zero?» domandò ancora voltandosi verso di lei.

Amelia incrociò lo sguardo della ragazza e per un momento un brivido di paura le attraversò tutto il corpo.
«Si, sono sicura.» rispose sorridendo.
Così la ragazza dai capelli azzurri e dalla carnagione molto chiara, inserì lo zero e poi il tredici.

Non appena tirò giù la leva, apparì sul led il nome completo di Amelia; l'ascensore finalmente si mosse.

Il cigolio che fece l'abitacolo era così acuto che Amelia si tappò le orecchie per tutto il movimento.
«Ti ci abituerai!» disse ridendo la ragazza.

Quando si fermò fece un brusco movimento, quasi da sballottare Amelia da un lato all'altro.
«Eccoci!» esclamò Regina, indicando la porta che era cambiata.

Il legno era più scuro e trasandato, la maniglia era di un metallo quasi arrugginito e al centro della porta c'era incastonato un occhio che seguiva tutti i movimenti della ragazza.

«Ew ma che cos'è? Un occhio vero?» chiese Amelia indicando con il dito. La sua espressione era di disgusto e quasi le veniva da vomitare.

«Non è un occhio vero e proprio!» spiegò Regina gesticolando e alzando gli occhi al cielo.
«È una pallina da ping pong incantata, che crede di essere un occhio.» continuò toccandolo.

Amelia rimase sbalordita, ma non si azzardava comunque a toccarlo, sembrava così viscido.

«Serve per aprire la porta»

Regina prese la mano di Amelia e la passò davanti lo pseudo occhio che seguì il movimento. E un attimo dopo, ecco che la porta si spalancò lasciando spazio a una piccola stanza da letto.

Regina fece cenno di entrare e sul piccolo letto giaceva già Priscilla che dormiva.

«Ma come ha fatto?» domandò Amelia sedendosi accanto al micio e accarezzandolo.

Regina alzò le spalle. «Bene, io vado. Buona fortuna!» disse lasciando la stanza e tornando nell'ascensore.

«Aspetta!» urlò alzandosi dal letto e andando verso la porta che si stava chiudendo.
«come faccio ad andare dalla preside?»

Nessuna risposta.
Regina era andata via con un ghigno sul volto, come se fosse contenta di lasciarla lì, da sola.

La stanza era piccola apposita per una ragazza dell'età di Amelia.
Le pareti erano di un verde spento, come un verde oliva, una carta da parati con disegni ornamentali oro.
La scrivania giaceva sulla destra della porta, proprio difronte al letto ed era già piena di libri e quaderni che servivano per le lezioni.

Una piccola finestra su un piccolo lavandino, era l'unico spiraglio con il mondo esterno, che dava proprio sul cortile dove poche ore prima Amelia aveva dato l'ultimo bacio a Newt.

Sbuffò a quel pensiero mentre fissava fuori. Tornò sul letto che aveva anche esso delle coperte verdi proprio come le pareti.
Priscilla giaceva sul cuscino, che era scoperto dalle lenzuola e sembrava così spensierata.
Decise così di infilarcisi dentro prendendo tutto il necessario dalla borsa chiama oggetti.
Si coricò al letto e si addormentò subito cercando di scacciare tutti i brutti pensieri.

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