VII. Nuovi inizi

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Diafano.

In fisica, di corpo parzialmente trasparente, tale che guardando un oggetto attraverso di esso si vedano soltanto i contorni. Con significato più generico, fuori dell'uso tecnico, trasparente, terso, limpido, riferito soprattutto all'aria e al cielo; o tenue, pallido, riferito a luce o colore. In senso figurato, letterario, riferito alla persona o a parti di essa, esile, di aspetto delicato e di colorito pallido, quasi alabastrino.

Ho rimuginato parecchio sul significato di questo termine a me sconosciuto. Non mi è mai capitato di imbattermi in questa parola, neanche durante gli esami avanzati di lingua, per cui non ne conoscevo il significato e non ho saputo come reagire alla constatazione di Ander.

Mi sono limitata a osservarlo, sostenendo il suo sguardo divertito, finché Lara Jin è tornata riappropriandosi del suo posto e io ho fatto in modo di non incontrare più il suo sguardo. Ho evitato i suoi occhi per tutta la serata, ma li ho visti per l'intera notte, nonostante il buio pesto.

È stato difficile addormentarsi con le sue parole che mi rimbombavano nella testa, vedendo sotto le palpebre abbassate la sua lingua che solletica le labbra e i denti pronunciando quella frase. E i suoi occhi, i suoi dannatissimi occhi nocciola, mi hanno seguita persino nel sonno.

L'arrivo di Morfeo non mi ha colta impreparata, era già notte fonda quando mi sono abbandonata alle sue braccia, ma la pace non mi ha raggiunto; anzi, tutt'altro. È stato un sonno frenetico e disturbato, fatto di sveglie di soprassalto e sospiri pesanti accompagnati da brevi momenti di tranquillità -una tranquillità tinta di caramello e nocciola.

Nei giorni successivi, conseguentemente, ho accusato i segni della stanchezza. Profonde occhiaie violacee mi accompagnano da quella notte, solcandomi il viso e donandomi un'aria che, insieme al mio pallore, mi fa apparire malata. Sono stata costretta a disubbidire a Melanie, che mi ha fornito delle medicine pregandomi di assumerle, e ha voluto a tutti i costi chiamare un dottore. La sua diagnosi, neanche a dirlo, è che sono sana come un pesce -si fa per dire ovviamente, dati i pregressi.

Tuttavia, Melanie non ha voluto sapere ragioni, con l'incombenza del primo giorno di scuola alle porte non avrebbe sottovalutato nemmeno un banale colpo di tosse. Lei e William hanno ripreso a lavorare regolarmente, Sebastian per il momento è a casa con noi ma da oggi andrà all'asilo. Zampetta tutto eccitato per il salotto, stringendo le fibbie dello zainetto sulle spalle piccine e biascicando che adesso è un bambino grande perché sta andando a scuola.

Mi fa una tenerezza immane osservarlo così, piccolo e felice, ignaro di quante pessime persone incontrerà a scuola. Non dovrei avere pensieri negativi in questo momento -il suo entusiasmo è contagioso- ma l'idea di ricominciare in una nuova scuola, conoscere nuove persone, doversi confrontare con loro, mi rende estremamente nervosa.

Penelope mi ha già istruita circa i posti da evitare, quelli frequentati più assiduamente e quelli in cui recarsi in cerca di tranquillità, mostrandomi anche dal suo profilo Instagram alcuni degli studenti. Benjamin, invece, si è raccomandato di chiamarlo per qualsiasi motivo, che sia trovare l'armadietto o raggiungere un'aula.

Spero solo di non incontrare Ander, confidando nella elevata quantità di studenti che sicuramente accoglie una delle scuole più grandi della città.

«Noi ci avviamo o non riusciremo a prendere Ander e arrivare in orario» decreta Benjamin salutando Melanie e sfilandole le chiavi dell'auto. William è già uscito, lui si reca in ufficio con i mezzi pubblici, mentre Melanie deve accompagnare Sebastian all'asilo prima di recarsi all'università.

Forse dovrei smetterla di sperare -e anche di fare previsioni. Ogni volta va tutto esattamente al contrario di come avrei voluto che andasse.

Ander, come Penelope ha sottolineato in auto, ha una moto, dunque mi chiedo perché non la usi per andare a scuola. La risposta mi viene fornita dal diretto interessato quando balza sul sedile posteriore rischiando di buttarmi il suo zaino addosso.

«Sono proprio un idiota, ho dimenticato di fare benzina» spiega mentre l'abitacolo si riempie di risate soffocate. In effetti solo Penelope sta cercando di nascondersi, coprendosi la bocca con una mano, mentre Benjamin lo deride apertamente.

«Saresti capace di dimenticarti la testa se non l'avessi attaccata al collo» lo schernisce allora Penelope, facendo ridere tutti e beccandosi una gomitata di approvazione dal fratello.

Il tragitto verso la scuola non dura molto. Ben entra con l'auto nel parcheggio adiacente, quello riservato agli studenti, dopodiché insieme ci rechiamo nel cortile antistante l'edificio principale. C'è un prato abbastanza vasto, contornato di panchine in legno su cui gli studenti siedono in gruppi, chiacchierando allegramente e ritrovandosi dopo l'estate.

Anche Loren e Jonas ne occupano una e sono impegnati in una fitta conversazione. In realtà Loren è impegnata a parlare, Jonas si limita ad annuire e intervenire quando interpellato.

Penelope, dopo aver salutato, si è allontanata in cerca delle sue amiche, mentre noi tre ci accomodiamo sulla panca; Ben e Ander, invece, discutono di qualche corso comune.

Io me ne sto in silenzio, guardandomi intorno e studiando la folla che schiamazza intorno a noi. Sono tutte facce sconosciute e nessuno presta attenzione a me. Non sono abituata a passare così inosservata, ma mi piace. Qui sono la figlia di nessuno, una studentessa di scambio come tanti altri già presenti, non vengo additata per il mio aspetto né per il mio nome. Caspita, nemmeno lo conoscono il mio nome!

Improvvisamente mi sento meglio, l'anonimato mi fa sentire meglio. Provengo da una scuola in cui il numero di studenti è talmente esiguo che spesso due classi condividono ore di lezione con un unico docente, qui dubito che i professori conoscano i nomi di tutti i propri alunni.

Aaron ci raggiunge proprio quando decidiamo di alzarci per raggiungere i nostri armadietti poiché manca poco al suono della campanella. Benjamin mi accompagna davanti al mio, la cui chiave è stata recuperata da Melanie nei giorni precedenti, quando mi ha tenuta segregata in casa temendo che fossi malata. Il suo, invece, si trova nel corridoio parallelo, per cui vi si dirige mentre io sistemo lo zaino e prendo i libri per la prima giornata.

Accanto a me c'è una ragazza, mi dà le spalle mentre è poggiata di lato su quello che presumo essere il suo armadietto. È impegnata in una conversazione telefonica piuttosto accesa.

«Non me ne frega nulla!» sbotta, alzando la voce e attirando la mia attenzione, nonché quella di un paio di ragazzi che passano di lì.

«Devo trovare un modo, non può lasciarmi così!» proclama adirata, abbassando il tono. Non si è accorta della mia presenza, quindi non lo abbassa abbastanza da impedirmi di sentire.

Sto per allontanarmi e restituirle la sua privacy quando dice qualcosa che mi spinge a fermarmi ed ascoltare nonostante io non sia mai stata una persona incline a spiare le conversazioni altrui.

«Tu parla con Lara Jin, possibilmente senza quella vipera di Natalie.»

Ora, per quanto possa essere immensa questa scuola, dubito che ci sia numero così elevato di Lara Jin, soprattutto che hanno un'amica di nome Natalie che non ha propriamente l'aria simpatica.

Mi soffermo a guardarla, studiando i movimenti del suo corpo. Il suo piede sbatte ripetutamente a terra, producendo un suono ovattato sempre più alto. Ha le gambe lunghe e nude, la vita fasciata da una gonna corta che le copre solo le cosce. Il braccio con cui non tiene il telefono si agita freneticamente, sollevandole la t-shirt e scoprendole una striscia di schiena. Ha i capelli bruni, lisci e perfettamente ordinati, che le arrivano poco sotto le spalle e sbattono ripetutamente su di esse a ogni movimento.

«È proprio un cane da guardia» sancisce infine, riferendosi suppongo a Natalie. Dopodiché chiude la chiamata e fa per voltarsi. In quel momento mi faccio prendere dal panico, non voglio essere colta sul fatto -anche se tecnicamente è vero che stavo origliando la sua conversazione- così decido di fare la cosa che mi riesce meglio: fuggire.

∽✵∼

Il primo giorno di scuola, fatta eccezione per la questione dell'armadietto, fila liscio come l'olio. Non ho alcun corso in comune con Ben o i suoi amici dato che frequentano quasi tutti le stesse lezioni e il programma di scambio impone che i nuovi studenti non siano in classe con i membri delle famiglie ospitanti, ma tutto sommato non è stato così tragico sedersi accanto a degli sconosciuti, presentarsi e imparare a fare amicizia. Ho scoperto di avere molti corsi in comune con Chris –una Christine che odia il suo nome completo almeno quanto io odio il mio-, così abbiamo trascorso quasi tutta la giornata insieme. Ben mi ha proposto di unirmi a loro per pranzo ma ho declinato, l'idea di mangiare in compagnia di Ander non mi entusiasmava molto, così io e Chris abbiamo pranzato con i suoi amici.

Alla fine delle lezioni posso ritenermi soddisfatta: non solo sono sopravvissuta, ma non mi sono persa, ho evitato Ander e ho persino conosciuto una persona. Una persona che mi sta simpatica e non ha fatto cenno al mio pallore, al colore dei miei capelli o alla mia statura esigua.

Quando sono davanti al mio armadietto, impegnata a riporre i libri al suo interno tirando un sospiro di sollievo per la buona conclusione del mio primo giorno in una scuola californiana, mi rendo conto che il mio entusiasmo è destinato a scemare.

«Ciao, fatina!» la voce di Ander mi fa sussultare. Non l'ho visto arrivare, ma ora è poggiato all'armadietto accanto al mio e mi sorride sornione. Ha un'espressione rilassata e le fossette gli solcano le guance, pronunciandogli maggiormente gli zigomi.

Decido di ignorarlo, non gli risponderò finché non si deciderà a chiamarmi col mio nome, ma punto gli occhi nei suoi per fargli notare che sì, ti ho sentito e sì, ho scelto di ignorarti.

«Com'è andato il primo giorno?» domanda, dunque, apparentemente ignaro delle occhiate truci che gli sto rivolgendo. In realtà se n'è accorto, altrimenti non avrebbe iniziato a mordicchiarsi l'interno delle guance per evitare di scoppiare a ridere, ma non dice nulla per farmelo notare.

Lo fulmino ancora, scegliendo nuovamente la via del silenzio. In fondo non è così difficile, non sono mai stata una di troppe parole e potrei persino abituarmi a questo mutismo forzato.

«Non ti hanno insegnato la buona educazione nel regno?» mi provoca a quel punto, schioccando la lingua sul palato e beandosi del cipiglio corrucciato che sicuramente hanno assunto i miei lineamenti.

«Lasciami in pace, Ander» sentenzio con voce ferma. Mi è costato uno sforzo enorme, soprattutto dopo il commento sui miei occhi diafani, dopo che ho avvertito il suo sguardo addosso per tutto il weekend, sentendolo impregnarmi il corpo fin dentro le ossa.

Lui sembra divertito dal mio atteggiamento restio, la sfida di sguardi che abbiamo iniziato nel disimpegno di casa non è giunta al termine, siamo entrambi combattivi, la scintilla che ha acceso la nostra miccia è rossa e ardente.

Sta per ribattere quando una voce alle sue spalle lo richiama, facendolo voltare.

«Ander?!»

È una ragazza ad aver pronunciato il suo nome. Ha una mano sul fianco, l'ombelico scoperto dalla t-shirt sollevata, una gonna corta a coprirle le cosce e un'espressione disorientata.

«Chi è questa?»

È la ragazza della telefonata.

Here we are! 🪐 Oggi introduciamo un nuovo personaggio, cosa ve ne pare di questa ragazza? Vi siete fatti un'idea su chi lei sia o quale sia la sua storia? Sono curiosa di conoscere le vostre supposizioni! Vi lascio anche un box su instagram (flyerthanwind_) per fare quattro chiacchiere al riguardo 🌸

La sua scheda personaggio l'avrete con il prossimo capitolo perché non voglio spoilerarvi nemmeno il nome, intanto vi ricordo che, prima del capitolo, ho postato quelle degli altri ragazzi 💫

Ci aggiorniamo a martedì 🧚🏻

Luna Freya Nives

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