VIII. L'importanza del nome

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Ho sempre ritenuto di avere un problema con i nomi. Forse, più che con i nomi, con un nome: il mio.

Il peso delle aspettative aveva iniziato a gravare sulle mie spalle in tenera età, quando ingenuamente avevo chiesto a mio padre perché mi chiamassi Mathilda. È un nome bizzarro per le orecchie di una bambina, non mi capacitavo delle motivazioni per cui me l'avessero affibbiato. Lui continuava a ripetere che è un nome molto bello, che aveva affascinato lui e la mamma e che insieme avevano deciso di donarmelo. Sì, ciò che io consideravo una condanna per lui era un dono.

Gli altri bambini non capivano, avevano difficoltà a pronunciarlo e lo storpiavano per il puro gusto di vedere i miei occhi velarsi di lacrime. In quei casi tiravo su con il naso, pulendomi con la morbida manica della giacca di velluto, e mi rifugiavo in bagno per non essere raggiunta.

Era stata la mamma a svelarmene il significato, in una sera d'estate in cui tutt'e tre ci stavamo godendo la brezza marina sul terrazzo. Mathilda viene dall'unione di due parole tedesche: mahti, che vuol dire forza, potenza, e hildjo, che vuol dire battaglia, combattimento.

Forte in battaglia, colei che combatte con forza, questo è il significato del mio nome. Quale delusione per me, che non mi sentivo forte per niente, che le mie battaglie le vincevo fuggendo e nascondendomi, trovando rifugio nei meandri più oscuri della mia mente.

Lì venivo attirata dalle rose, dai loro colori splendenti e i loro profumi delicati, ma per raggiungerle dovevo attraversare le spine. Grovigli di aculei appuntiti, arbusti intricati mi attendevano, pronte a ferirmi. E la mia pelle sanguinava. Rivoli di sangue si seccavano sul mio corpo pallido dopo essere usciti a fiotti a causa delle fenditure.

Volevo raggiungere le rose a tutti i costi, certa che quei colori avrebbero saputo consolarmi, avrebbero saputo lenire il dolore che provavo essendo nata candida. Volevo credere che quel profumo così attraente fosse in grado di infondermi la forza, quella forza che io vedevo in loro, che erano in grado di crescere belle e forti seppure circondate dalle spine.

Non ho mai smesso di cercare le rose, neppure un istante, in tutta la mia breve esistenza. Suscitano tutt'oggi un grande ascendente su di me, ma ho smesso di credere in loro. Se oggi cerco le rose è solo per strappare i loro petali uno ad uno e lasciare che vengano inghiottiti dalle spine, affinché li lacerino e non ne rimanga più nulla.

Oggi odio le rose perché un giorno, non troppo tempo fa, le ho amate troppo.

Le ho amate perché anelavo la loro potenza e lasciavo che quei piccoli aculei celassero la loro debolezza. Oggi le spine non mi fanno paura. Oggi non scavano nella mia carne, ormai non sanguino più per loro. La mia mente non si inebria più del profumo delle rose.

Ho smesso di amarle quando ho notato che tutti possono coglierle, facendo un po' di attenzione, quindi sono deboli. Chiunque può bearsi del profumo di una rosa, strappandola dal terreno con facilità e portandosela sotto al naso per annusarla.

No, è fin troppo semplice essere una rosa, crescere protetta da grovigli di spine e sbocciare lontano da loro, dove gli aculei non possono raggiungerle. Attirano le persone ignare del potere che possono esercitare su di loro, infondono il loro profumo e illuminano l'aria con i loro colori splendenti, per poi lasciare che le spine possano avere la loro parte.

Sangue, carne, brandelli di anima... queste le cose che più hanno rubato le rose, finché gliel'ho permesso. Questa è stata la prima battaglia che ho vinto, quella di cui vado più fiera. Il primo tassello di un puzzle che ho costruito con le mie mani, da sola, a mia immagine.

E la ragazza di fronte a me profuma di rose.

I suoi capelli sono ancora lisci e ordinati, proprio come stamattina, ma adesso le ricadono sul petto, incorniciandole il viso. La sua espressione sconcertata non la abbandona mentre fa scorrere i suoi grandi occhi lungo tutta la mia figura, studiando ogni centimetro del mio corpo e sottoponendolo a un test di cui nessuno mi ha avvertito.

Sono impreparata. Lo realizzo quando le sue labbra si arricciano in una smorfia studiando i miei jeans anonimi e la t-shirt un po' larga che mi fascia il petto, perdendosi sotto la cintura all'altezza dei fianchi.

Non sono all'altezza. Lo realizzo osservando la sua di t-shirt, attillata ma con una discreta scollatura da cui si intravede la linea dei seni, che si perde nella gonna corta, la quale copre le cosce, magre ma sode, e slancia le gambe lunghe.

«Ciao anche a te, Veronica» risponde educatamente Ander, ignorando le sue movenze nervose, la domanda e l'epiteto con cui si è rivolta a me.

«Io sto bene, grazie. E tu? Hai passato una buona estate?» rincara la dose mentre un abbondante quantità di sarcasmo si riversa su di lei, scuotendola.

Adesso non ha più la mano sul fianco in un atteggiamento altezzoso, ora il braccio le ricade lungo il fianco e la sua attenzione si sposta completamente su Ander.

«A che gioco stai giocando?» domanda irritata, gli occhi ridotti a due fessure.

C'è una battaglia in sospeso tra loro e io ne sono l'unica spettatrice. Gli altri studenti si muovono concitati verso l'uscita, affrettandosi a raggiungere la fermata dell'autobus o il proprio mezzo nel parcheggio. Non fanno caso ai due che si fronteggiano davanti il mio armadietto, scagliando dardi fiammeggianti l'una e frecce intrise di indifferenza l'altro.

«Non è sempre un gioco, Veronica» l'ennesima risposta tranquilla che ha il potere di farla capitolare. Veronica perde le tinte delicate e il profumo attraente per scoprire le spine, aculei pronti a graffiare, ed è evidente che c'è un sottotesto che io non posso comprendere.

«Non hai risposto alle mie chiamate» il repentino cambio di tono lo coglie alla sprovvista, ma Ander non si fa ammaliare. Forse anche lui ha visto le spine prima che le nascondesse di nuovo.

Ander non risponde, si limita a scrollare le spalle con aria diffidente, come se gli fosse costato parecchio non rispondere a quelle chiamate. Ma non l'ha fatto, quindi quel sottotesto di cui sopra esiste e probabilmente ha la profondità della fossa delle Marianne.

«Non mi hai mai dato la possibilità di spiegare» lei continua la sua recita, avvicinandosi di un passo. Adesso gli sta quasi attaccata, lo spazio di un solo pugno divide i loro petti che sembrano battere all'unisono. Veronica approfitta della sua momentanea confusione per sporgersi verso di lui, a un palmo dal suo naso, e sbattere i suoi grandi occhioni da cerbiatto.

Mi aspetto che Ander ceda a questo punto. Posso sentire il tonfo prodotto dal suo capitolare sul fondo di un burrone colmo di spine mentre la rosa sorride, soddisfatta dell'ennesima vittima finita nella sua trappola. Ma non è così.

Ander reagisce. Fronteggia la ragazza per un paio di istanti, occhi negli occhi, dopodiché fa un passo indietro e lascia che una risata gli faccia vibrare il petto. È bassa e roca, risentita.

«Non c'è molto da spiegare, i tuoi gesti sono stati piuttosto eloquenti» e con quell'ultima battuta la trafigge con i suoi stessi aculei.

Un sorriso lieve mi allieta il viso quando realizzo che Ander ha appena sconfitto la sua prima rosa, ma dura poco, perché adesso quella rosa vuole vendetta. E io so quanto possono essere minacciose e ostili le rose respinte.

Veronica si riprende dallo sconcerto non appena nota il mio sorriso, si ricompone e sboccia ancora una volta, nuovi colori a proteggerla insieme allo stesso profumo di sempre.

«Tu devi essere la nuova ragazza di Ander» si rivolge direttamente a me, guardandomi negli occhi. Ovviamente è più alta, per cui mi osserva da sotto le folte ciglia nere con aria di guardinga superiorità, come se io fossi la minaccia e lei sia migliore solo perché è quindici centimetri più alta. Dieci, contando i tacchi.

«La nuova cosa?!» biascico, colta alla sprovvista. Sono certa di aver storto il naso di fronte a quell'assurdità perché adesso Ander si morde l'interno della guancia per non ridere.

«Non serve fingere, dolcezza, io ti ho capita fin dal primo istante» mi ignora lei, puntando l'indice contro il mio petto con aria accusatoria. È così accecata dalla rabbia da non accorgersi delle eloquenti occhiate che le sto lanciando per smentirla.

«Mi dispiace dirtelo, ma ti spezzerà il cuore» continua, spostando lo sguardo su di lui per poi riprendere: «Ti farà sentire amata e apprezzata e al minimo errore ti lascerà, senza darti la possibilità di spiegare».

Ander si acciglia sotto il suo sguardo, stringe le labbra in una linea dura e serra la mascella -sento distintamente i suoi denti collidere sotto quelle accuse.

Che abbia ragione? Che Ander sia davvero una persona così spregevole?

La sua replica ci viene risparmiata da Natalie, che si dirige a passo di carica nella nostra direzione. I due non l'hanno notata, troppo impegnati a fronteggiarsi.

«Ronnie, che piacere vederti!» esclama, gettandosi tra di loro e aumentando la distanza. Veronica la osserva spaurita, poi indietreggia di alcuni passi.

«N-Natalie» biascica, tentando invano di modulare la voce, «Che ci fai qui?».

«Beh, Ronnie, studio qui da quattro anni» la sua voce è melliflua e continua a sbattere le palpebre con aria innocente, ma dal modo in cui Ronnie storce il naso ogni volta che la chiama in quel modo deduco che sia tutta una recita.

«Cosa vuoi?» modifica dunque la domanda, sperando di ottenere l'ambita risposta. Ma Natalie sembra estremamente divertita, come se avesse preso parte al suo show televisivo preferito e non avesse alcuna intenzione di decretarne la fine.

«Oh niente di che, le solite cose...» si guarda intorno con aria annoiata come a voler raccogliere le idee e quando riprende a parlare assume una postura rigida.

«Sai... un mese alle Hawaii, un milione di dollari, che lasci in pace Ander.»

La schiena è diritta, le labbra tese e gli occhi leggermente spalancati mentre si appresta a incenerire la sua interlocutrice con il solo sguardo. Non ho mai visto nessuno assumere un'espressione tanto seria quanto beffarda come quella che trionfa sul volto di Natalie in questo momento, quando Veronica sussulta appena nel sentire l'ultima richiesta.

«Stavamo solo chiacchierando, mi stava presentando la sua nuova amica, vero, Dudi?» lo apostrofa, ricordandosi improvvisamente della mia presenza e sperando di rigirarla a suo favore. Evidentemente non sa che io e Natalie siamo già state presentate e abbiamo persino dei trascorsi –battute mordaci che ci hanno fatto scoprire più simili di quanto non sembriamo.

«Ho notato come ti stava presentando la sua nuova amica» replica Natalie, il tono belligerante celato dietro un finto sorriso di assenso. Sottolinea la stessa parola di Veronica, pur liberandola dell'alone di disprezzo che la prima non ha mancato di aggiungere.

«Non sono affari tuoi quello che faccio con Ander» sbotta all'improvviso, come destata. Adesso le sue spine sono di nuovo visibili e io mi limito a sperare che Natalie non si lasci pungere da quegli aculei mentre non posso far altro che assistere al diverbio, silente.

«Davvero, Ronnie, non sono affari miei?!» esplode l'altra di rimando, facendo un passo in avanti. Ha abbandonato anche la finta cortesia e si tende verso la sua interlocutrice con atteggiamento apertamente ostile, gli occhi stretti ridotti a due fessure e le narici dilatate.

È Ander a intervenire adesso, intromettendosi per separare le due ragazze che, non saprei ben dire quando o come, si sono avvinate per affrontarsi faccia a faccia.

«Okay, adesso basta» sancisce, posando una mano sulla spalla di ognuna e facendo forza per distanziarle. Le due non sembrano intenzionate a collaborare, tuttavia sono costrette a indietreggiare a seguito di una seconda spinta, più vigorosa.

Ander dà le spalle a Veronica, parandosi di fronte a Natalie prima che possa oltrepassarlo e tornare a troneggiare sull'altra. Perché sì, persino per me, che non conosco i sottotesti e sono all'oscuro dei legami che ci sono stati, è evidente che Natalie stia vincendo quello scontro.

«Forza Natalie, ti do un passaggio a casa» le sussurra delicatamente, posandole le mani sulle spalle con una premura che prima non ha riservato a nessuna delle due. Così anche lui si è schierato, prendendo Natalie sottobraccio e allontanandola per farle sbollire la rabbia.

Adesso rimango solo io, ancora in piedi accanto al mio armadietto, a far saettare lo sguardo da Ander e Natalie -che si allontanano insieme- a Veronica -impassibile- che li fissa con astio.

Non fa caso a me se non quando le rivolgo le ultime parole prima di voltarmi per raggiungere Ben e gli altri, senza sapere come muta la sua espressione di fronte alla mia dichiarazione.

«Per la cronaca, il mio nome è Hilda.»

Vi presento la simpaticissima Veronica... Un angioletto, non trovate?

Sono curiosa di conoscere le vostre ipotesi: qual è il suo legame con Ander? In che modo è coinvolta anche Natalie?

Ma, soprattutto, per chi avete tifato nella discussione?

Vi lascio la scheda personaggio della cara Ronnie, che ve ne pare? Qual è la prima impressione che avete di lei?

Luna Freya Nives


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