IX. Fuoco e fiamme

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La scuola a San Francisco mi piace, nessuno nota il mio aspetto fuori dal comune, nessuno mi schernisce per la mia altezza, nessuno mi chiede se ho i capelli tinti o se il pallore deriva da qualche strana malattia. Forse potrei essere azzardata, ma anche i bambini qui fanno molte meno domande.

O, più probabilmente, qui non sono così fuori dal comune. Queste persone avranno visto centinaia di albini nella loro vita, probabilmente la città ne è gremita e potremmo fondare un club per combattere i pregiudizi e proclamare la nostra libertà.

Anzi, l'ipotesi più plausibile è che questa gente sia così presa dalla propria vita da non interessarsi minimamente alla mia, com'è giusto che sia d'altronde.

Se c'è una cosa che non ho mai tollerato del Regno sono i pettegolezzi, la falsa cortesia delle comari che sorridono davanti a un caffè esibendo tutte le informazioni che sono state in grado di captare -e travisare, ovviamente. Purtroppo, l'isola è un luogo talmente piccolo che le malelingue che lo abitano, probabilmente, sono più lunghe del viale brecciato che porta al Palazzo Reale.

Per mia fortuna non sono mai stata fautrice di un pettegolezzo, i miei genitori mi hanno educata al rispetto verso gli altri e verso me stessa, per cui non ho mai diffuso false voci sul conto di qualcuno per un tornaconto personale, né ho contribuito alla rete dei pettegolezzi soffermandomi ad ascoltare -e commentare- le faccende altrui.

A quanto pare, tuttavia, non sono tutti dello stesso avviso. Da quando Veronica e Ander hanno avuto quell'acceso diverbio in corridoio e poi lei e Natalie si sono fronteggiate, gli studenti sembrano avermi notata.

Il chiacchiericcio intorno al mio armadietto diminuisce quando mi avvicino e ho sorpreso qualcuno ad additarmi, prima che ritraesse la mano, colto sul fatto. È una situazione sicuramente più tollerabile di quella del Regno, dove una volta una mia compagna di classe si trovò una A scarlatta cucita sullo zaino di ritorno dall'intervallo poiché un ragazzo con cui si era intrattenuta aveva raccontato a tutti cos'era successo tra loro.

Nonostante l'idea di vedere una lettera scarlatta affissa al mio armadietto non mi sembri così plausibile, le occhiate che spesso accompagnano il mio cammino nei corridoi sono in grado di infastidirmi in egual modo. Anzi, se si limitassero ad appiccarmi una lettera all'armadietto, senza di tanto in tanto fissarmi di sottecchi, salvo poi distogliere lo sguardo dopo una mia occhiata particolarmente gelida, forse andrebbe persino meglio

«Dovresti smetterla di ghiacciare tutti sul posto, fatina, quello sguardo così freddo e tenebroso non ti dona.»

Come se mi avesse letto nel pensiero, Ander si materializza accanto a me dando voce ai miei intenti. È un vero peccato che non sia ancora in grado di freddare qualcuno con lo sguardo, se mai dovessi imparare penso che sarebbe proprio lui la prima vittima.

Probabilmente non si è davvero materializzato, ma negli ultimi minuti sono stata così impegnata a fissare di rimando persone che non conosco da non aver prestato attenzione al suo arrivo.

«Non sopporto che la gente mi fissi» mi limito a rispondere, dedicando a lui l'ennesima occhiata glaciale della mattinata. Per fortuna è venerdì ed è ora di pranzo, questo strazio sta per finire e spero che in questo weekend trovino qualcos'altro di cui parlare.

«Già, l'ho notato» risponde con una scrollata di spalle, affiancandomi mentre attraverso il corridoio per dirigermi in mensa. Il mio stomaco brontola, reclamando il suo pasto, e io non vedo l'ora di sfuggire a quegli occhi indiscreti.

Sull'isola non avrei reagito in questo modo, mi sarei limitata a sorbire gli sguardi in silenzio, com'ero abituata a fare da tutta la vita. A San Francisco mi stavo abituando all'anonimato, non voglio che essere stata spettatrice involontaria di quel siparietto da triangolo amoroso tra Natalie, Ander e Veronica mini le mie buone intenzioni e l'augurio che mi ha fatto Anya di lasciar brillare i miei colori. Non riuscirei mai a farlo con tutte queste attenzioni addosso.

«Temo che sia colpa di Ronnie» confessa Ander osservando le mie dita scrocchiare ripetutamente mentre i miei occhi guardinghi studiano l'ambiente circostante. Manca l'ultimo corridoio prima di essere in mensa, dopodiché dovrei essere salva.

«Cioè, di Veronica...» si corregge dopo un attimo di esitazione. Un lampo di consapevolezza gli attraversa le iridi, ora illuminate dal sole -nocciole condite di miele.

Sembra sul punto di aggiungere altro, poi scuote la testa, risentito. Qualsiasi cosa sia appena scemata è rimasta sulla punta della sua lingua e neppure con un profondo sospiro riesce a scacciarla.

Ho sempre considerato Ander irriverente, sfacciato, persino maleducato a tratti, ma in questa nuova veste non riesco a fare nulla, neppure biasimarlo. Qualsiasi parola sarebbe superflua, lo noto osservando lo sguardo con cui si sbircia intorno, grattandosi distrattamente la nuca.

L'unica cosa che faccio -che sento di dover fare, animata dallo spirito di benevolenza e dall'affetto che lo lega a Benjamin e a tutti i Budd- è passare le mie dita intorno al suo polso, stringendolo delicatamente per infondergli una parte della forza che sento di avere in questo momento.

Non saprei dire dove ho trovato il coraggio, l'unica cosa che so con certezza è che l'attimo prima pensavo a cosa fare per tagliare via quella parte di lei che gli è rimasta incastrata al palato e l'istante successivo mi trovo a maledire me stessa, le mie gambe corte e la sua altezza improponibile che mi rende impossibile guardarlo vis a vis.

«Non è colpa tua, Ander» provo a rassicurarlo, arrestandomi proprio davanti al grande portone da cui si accede alla mensa. Il vociare confuso degli studenti mi arriva ovattato, permettendomi di concentrarmi solo sulla scelta delle parole da utilizzare.

«Sì, beh, lo so...» biascica, senza però abbandonare l'aria colpevole. Il suo braccio -l'altro, non quello su cui sono avviticchiate le mie dita- è ancora sollevato sopra la testa per permettergli di grattarsi la nuca, come se lo sfrigolio delle unghie sul cuoio capelluto possa realmente giovare al suo umore.

«Smettila di grattarti o diventerai calvo» ordino con un ghigno derisorio. Ander si lascia sfuggire una risatina, dopodiché spalanca la porta e insieme ci dirigiamo verso il tavolo dove sono i suoi amici.

Oggi non ho visto Chris, non si è presentata a lezione per cui credo non sia proprio venuta a scuola, dunque mi accomodo al tavolo di Ben, prendendo posto accanto ad Ander. Ci sono ancora un paio di studenti che ci fissano curiosi, ma prima che possa lamentarmi Natalie mi sussurra qualcosa all'orecchio.

«Se vuoi che smettano di guardare dovresti lasciare la sua mano.»

Le sue parole sono poco più di un sussurro, giungono al mio timpano flebili e melliflue, come se provenissero da un altro universo. Mi rendo conto che non è così perché, in questo momento, le mie dita bruciano. Non so con esattezza quando la loro temperatura abbia raggiunto quella vicina all'autocombustione, ma le ritraggo di scatto, improvvisamente ustionata.

Anche Ander sembra accorgersene solo adesso, mi rivolge un'occhiata di sottecchi ma non fa domande, limitandosi a chiacchierare di una partita con Ben e Jonas. Se mi sono ustionata, i miei polpastrelli devono aver lasciato i segni di una scottatura sul suo polso -caramello non più ambrato bensì bruciato dal calore del ghiaccio.

«Non gli stavo tenendo la mano» replico stizzita nell'orecchio di Natalie dopo essermi ripresa. Un sorriso impertinente le curva le labbra rosate mentre solleva le sopracciglia in un'espressione di superiore consapevolezza.

«Non sono Veronica, non devi giustificarti con me» sussurra ancora, facendomi l'occhiolino.

«Anzi, non devi giustificarti nemmeno con lei, con nessuno» conclude, indicando con eloquenza le dita della mia mano incriminata che muovo frenetiche, tentando invano di spegnere le fiamme che provengono dall'interno, da sotto la pelle.

Questa conversazione di sussurri ed espressioni ingiustificate inizia a stancarmi, vorrei seriamente dirle di piantarla ma temo che ciò aggiungerebbe troppa carne al fuoco. E dal modo in cui mi osserva di sottecchi, forse volendo sorprendermi a lanciate occhiate guardinghe ad Ander, direi che Natalie ha già sfoggiato l'intero barbecue.

L'ultimo a raggiungerci al tavolo, distogliendo me e Natalie dal dialogo silenzioso che stavamo portando avanti con gli occhi, è Aaron. Indossa un pantalone blu attillato e una maglia bianca più larga di almeno due taglie su cui campeggia il logo della scuola. Le sue spalle, inoltre, sembrano più grosse del solito, come se avesse messo qualcosa all'interno.

«Ciao ragazzi, tutto confermato, la partita è alle tre e mezzo» asserisce, rubando un sorso di coca cola dalla lattina di Benjamin. Lui è pronto per replicare ma Aaron si allontana lesto, sparendo con la stessa andatura sicura con cui è arrivato solo pochi istanti fa.

Football, ecco lo sport praticato da Perkins. Ed ecco il motivo per cui si ha sempre l'impressione che da un momento all'altro i pettorali possano esplodergli sotto la t-shirt.

«È una partita importante, non possiamo perdercela» asserisce Jonas mentre manda giù un paio di bocconi del pasto che sta consumando. Gli altri annuiscono distrattamente, ognuno concentrato sul pranzo, ad eccezione di Loren.

«Io davvero non capisco come fate, non ci capisco mai nulla» sbuffa, parlando con nessuno in particolare. Nemmeno il suo fidanzato, infatti, le presta attenzione quando ricomincia a ciarlare amabilmente, gesticolando con le mani piccine.

«Per me sono solo ragazzi grandi e grossi che si rincorrono nel campo prendendosi a spallate. Insomma, qual è la differenza col rugby? Almeno non c'è fango, altrimenti col cavolo che sarei andata! Avrei rischiato di sporcare le scarpe che ho comprato ieri al centro commerciale, non quello grande dove andiamo di solito, quello che ha aperto da poco in cui c'è quel fantastico negozio di accessori dove ti ho comprato il regalo di compleanno e...»

Sul serio? Dal football a... di cosa sta parlando, esattamente adesso?

«... però la gonna l'ha presa mia zia a Los Angeles, ma è la stessa catena quindi suppongo...»

A fermarla è l'ennesimo colpo di mano, questa volta non andato a vuoto come i precedenti. Ha colpito la lattina di Fanta, già in equilibrio precario sul fondo del suo vassoio, che è rotolata di lato sul tavolo rovesciando tutto il suo liquido giallastro e appiccicaticcio.

«Diamine, Loren, sta' un po' attenta!» la redarguisce Natalie scattando in piedi, evitando per un millesimo di secondo che l'aranciata le macchi i jeans chiari che indossa oggi.

«Oddio! Scusa, Natalie, non l'ho fatto di proposito» biascica in risposta non appena si rende conto della tragedia che avrebbe potuto provocare con la sua azione. Non ho mai visto Natalie arrabbiata ma temo che possa iniziare a scagliare frecce infuocate dagli occhi.

«E ci mancherebbe!» le rivolge l'ennesima occhiata risentita mentre Loren si fa piccola piccola accanto al fidanzato.

«Dai, Natalie, non è successo nulla» la ammonisce Ben con l'intento di calmarla.

Pessima mossa. Adesso l'ipotesi che inizi a scagliare dardi con la punta infuocata non è più remota come mi appariva solo pochi istanti fa.

«Se la smettesse di ciarlare, di tanto in tanto, e guardasse dove mette le mani...» mastica a denti stretti, guardando solo Benjamin negli occhi. All'ennesima occhiata ammonitrice si abbandona ad uno sbuffo teatrale, di quelli che attirano anche un paio di sguardi dai tavoli vicini.

Poi prende un respiro profondo e torna a sedersi tra me e Loren, rivolgendosi proprio a quest'ultima: «Il football non è fatto solo di bei maschioni sudati che si denudano a fine partita» si accinge a spiegare con sguardo serio.

Ander quasi si strozza dopo quell'affermazione, sputacchiando un po' d'acqua nel tovagliolo che gli ho prontamente passato al primo accenno di tosse. Natalie lo ignora, come ignora anche le occhiate divertite degli altri ragazzi mentre continua la sua spiegazione senza distogliere gli occhi da quelli di Loren, che la osserva assorta e , miracolosamente, in silenzio.

Tuttavia, mi perdo l'arringa di Natalie poiché in quel momento Ander, che non è più in pericolo imminente di vita, allunga il braccio sul tavolo, accanto al mio. Si sfiorano appena, la sua pelle color caramello è tesa e dalla sua espressione divertita e assorta noto che non si è nemmeno accorto di quel gesto, è stato del tutto casuale.

Mi perdo ad osservare il polso ossuto, là dove mezz'ora fa si poggiavano i miei polpastrelli, e mi sembra di sentirli ancora ardere mentre cerco su di lui segni di una scottatura che non mi sovviene -nessun caramello bruciato sotto alle mie dita in autocombustione.

«E non ti azzardare mai più a denigrare il football!» sancisce infine Natalie, in una frase che sa di chiusura e di scherno, mentre i suoi grandi occhi azzurri sono ancora piantati in quelli piccoli e vivaci di Loren.

Adesso sorride anche lei, e io riprendo a respirare. Per questa volta l'incendio l'abbiamo scampato.

Scampato per un soffio, vorrei aggiungere... Ma, si sa, con Natalie si cammina sempre sul filo del rasoio. Sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensate di lei, è un personaggio a cui tengo tantissimo e vorrei che fosse compresa, anche se mi rendo conto che sia parecchio strana.

C'è un piccolo contatto tra Hilda e Ander e si è già scatenato il putiferio... Che mi dite? Quanto vorreste urlare addosso a Hilda di stare calma? Io tantissimo 😂

Penso che sia giunto il momento di passare agli aggiornamenti una volta a settimana, magari lasciando proprio il venerdì, siete d'accordo? Ovviamente quando farò brusche interruzioni ci sarà il doppio aggiornamento così non mi odierete troppo ahahah ❤️

Luna Freya Nives

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