XII. 𝘉𝘪𝘢𝘯𝘤𝘢

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Il pre-serata a casa di Natalie si è concluso con un'abbondante cena a base di spaghetti al sugo preparata da suo padre e lei che si lamentava di non riuscire più a entrare nel vestito che ha scelto di indossare. Ovviamente si sbagliava.

L'abito azzurro che indossa le avvolge alla perfezione il seno e l'alto ventre, ricade delicato sui fianchi e da lì si apre leggero fin sulle cosce. È bella, meravigliosamente bella, proprio come quei fiori di pesco che germogliano dopo un lungo inverno dimostrando di avercela fatta ancora, di aver combattuto il ghiaccio e le intemperie e sono pronti per essere baciati di nuovo dal sole.

Natalie è anche sole -il suo stesso sole-; illumina con raggi tiepidi, celati da nuvoloni passeggeri che, quando si scostano, rivelano tutta la sua brillantezza.

Lara Jin e Loren la ammirano estasiate, truccate dalle sue sapienti mani e intente a cambiarsi per uscire. La prima indossa una canottiera nera, semplice, dentro un paio di pantaloni a zampa d'elefante color pastello di un tessuto leggero e i sandali col tacco. La seconda, invece, indossa un corto vestito verde bottiglia e gli anfibi neri, i dreads che le fanno da mantello tempestati di perline colorate.

Io ho insistito parecchio per tornare a casa e cercare qualcosa da indossare ma Natalie me l'ha severamente proibito, asserendo che le sue amiche sarebbero state le più belle della festa e qualsiasi cosa volessi indossare doveva avere prima la sua approvazione.

Ha scosso la testa in segno di diniego di fronte alle mie richieste, storcendo il naso all'elenco del mio guardaroba troppo poco americano e decisamente non festaiolo. Mi ha promesso -forse minacciato è il termine più adatto- una giornata di shopping e liquidato con un cenno della mano mentre si tuffava a capofitto nel suo armadio. Ne è uscita una manciata di minuti dopo con una canottiera di un rosa tenue e me l'ha gettata in mano insieme a una gonna di jeans appartenuta a Lara Jin e dimenticata a casa sua tempo addietro.

Contro ogni previsione la gonna non mi sta poi così larga come mi aspettavo, basta utilizzare una cintura e si adatta perfettamente alla forma della mia vita. La canottiera scende morbida sul seno e sulla schiena, incastrata sotto la gonna per non far notare la sua eccessiva lunghezza.

«Era la mia preferita, peccato averla potuta indossare così poco dato che mi sono spuntate le tette» dice Natalie con una scrollata di spalle osservando la delicatezza con cui mi fascia il seno.

«A me le tette non spunteranno mai» è il commento sconsolato di Lara Jin, che si tocca il petto con aria afflitta osservando il seno prosperoso di Natalie.

Nemmeno a me, mi trovo a concordare pensando ai seni piccoli, prerogativa di famiglia. Avrei potuto ereditare tante cose da mia madre, come le gambe sode e il portamento fiero, invece mi è toccato solamente il fisico asciutto e con poche forme.

∽✵∼

La casa di Veronica è l'ultima villetta in fondo a un viale sterrato e male illuminato di palazzi in costruzione. Ci sono transenne e impalcature in ogni dove che coprono la vista del giardino illuminato dai faretti.

Abbiamo intercettato molti visi noti lungo il nostro viaggio in auto, tutti diretti verso quella zona residenziale della città dove è ubicata casa di Veronica con una tale sicurezza che mi domando se è usuale per lei dare quei party dopo le vittorie della squadra di football.

«I suoi genitori viaggiano parecchio per lavoro, così spesso invita un paio di amici a tenerle compagnia. Diverse volte le è capitato di perdere il controllo della situazione e trovarsi mezza scuola in giardino, ma questa credo sia la prima volta che invita apertamente tutta la platea» mi spiega Natalie mentre seguiamo, a qualche passo di distanza, Lara Jin e Loren. L'auto è parcheggiata poco lontano data l'esigua quantità di gente che è già arrivata.

Il giardino è verde brillante e perfettamente curato, un gazebo fisso in un angolo copre un tavolino in acciaio e le sedie lì intorno, tutto rigorosamente bianco. Bianche anche le pareti del salotto, al cui centro la gente si accalca in quella pista da ballo improvvisata. Bianche le tende, il divano in pelle addossato alla parete, la tovaglia adagiata sul tavolino in marmo su cui qualcuno ha poggiato dei bicchieri, bianchi anch'essi.

E poi mi manca il fiato. Mi sento risucchiare dalle mattonelle bianche, dal soffitto bianco, dalla gente bianca che mi vortica intorno mentre io vorrei solo accartocciarmi su me stessa e urlare che non è vero, io non sono bianca.

I malati sono bianchi. I cadaveri sono bianchi, e io sono viva: lo sento il cuore che mi scoppia nel petto, palpitazione dopo palpitazione in quella terribile corsa contro sé stesso; li sento i polmoni bruciare, pieni d'acqua, di quel mare che ho lasciato lontano e riesce comunque a tormentarmi; le sento le gambe molli, gelatina che si sgretola di fronte all'immensità di quel bianco che non mi appartiene.

Nemmeno io gli appartengo, non voglio appartenergli più. Voglio che sia un ricordo lontano, sbiadito, di un passato che non mi tange. Non voglio sentire le onde abbattersi sul fiordo con quel reverenziale timore che si riserva a chi è più autorevole. Voglio diventare tempesta -impervia, imprevedibile, forte- per abbattermi su tutto ciò che sono stata, spazzarlo via e non esserlo più.

E invece sono io anche se non voglio.

«Hilda, ti senti bene? Sei così... pallida» Loren mi scruta dal basso con i suoi occhietti vivaci colmi di tensione. Natalie le ha rivolto un'occhiataccia per l'aggettivo scelto ma non può biasimarla, anche io mi sento più pallida del solito.

Che tutto questo bianco stia lavando via anche le poche tracce di colore che con fatica ho racimolato, lottando con le unghie e con i denti, grondando sangue e accumulando aculei in quella lotta contro me stessa?

No, non glielo permetterò.

«Sì, sto bene, è solo che circola poca aria qui» invento sul momento, facendo accompagnare le mie parole da un sorriso per tranquillizzare le mie amiche.

«Andiamo a prendere un po' d'acqua» Lara Jin mi afferra delicatamente il posto conducendomi dietro di lei, mentre Natalie ci segue sorreggendomi per il braccio.

Vorrei dirle che non ce n'è bisogno, che sto bene, davvero, ma temo che se mi voltassi e vedessi nuovamente tutto quel bianco sarei risucchiata dal baratro.

Anche le pareti della cucina sono bianche, così come il soffitto e le mattonelle, ma i mobili sono di un nero lucido a cui posso aggrapparmi, avviticchiarmi con ogni spigolo ossuto e ogni angolo aguzzo per non precipitare ancora.

«Ecco, bevi» Lara Jin mi porge un bicchiere con un sorriso e io lo afferro distogliendo lo sguardo. È bianco anch'esso, tutto è bianco in questo posto.

«Non mi dire che stai ingurgitando della vodka con quella facilità, che cazzo bevete voi Europei?» la voce di Ander giunge alle mie spalle prima che possa accertarmi della sua presenza e dileguarmi.

Non mi piace il modo in cui mi sta vicino, sempre pronto a toccarmi, a fissarmi, a parlarmi in modi che io non capisco e che mi lasciano sveglia l'intera notte a rimuginare.

«È acqua, idiota, si è sentita poco bene» spiega Natalie con un'occhiata di sbieco mentre Lara Jin ride di gusto, forse dell'espressione risentita di Ander.

«Cosa? Davvero?» Ben si mobilita a quelle parole, parandomisi davanti con atteggiamento apprensivo. «Come stai? Vuoi che ti accompagni a casa? Chiamo mamma?»

Sorrido di quell'eccessiva premura -Benjamin è un fratello maggiore a tutti gli effetti: apprensivo, protettivo e affettuoso- poi nego con il capo.

«Sto bene, non preoccuparti, è che nel salotto circola poca aria» gli rifilo la stessa bugia e lui sembra crederci. Mi stringe le dita intorno al braccio in una presa che, in quel linguaggio che gli ho visto sfoggiare con i suoi fratelli, vuol dire "Andrà bene, sono con te, sii forte".

L'arrivo di Aaron distoglie l'attenzione dalla mia persona e tutti ci voltiamo. Entra in cucina con la schiena diritta e il viso fiero, i pettorali che sembrano sempre esplodergli sotto la t-shirt, bianca pure lei, e si bea con espressione compiaciuta della pioggia di applausi e fischi che gli riversano addosso.

«Bella partita, Perkins» Natalie gli tende il braccio battendogli il cinque mentre lui avanza nella nostra direzione. Loren saltella verso di lui piombandogli in braccio all'improvviso. La afferra per il rotto della cuffia, compiendo l'ennesimo passo prima che cada a terra, poi si lascia avvolgere dal suo mantello di dreads ridendo di gusto del volto terrorizzato di Jonas, il quale l'aveva già immaginata a terra con una gamba rotta.

La folla si dirada quando la padrona di casa fa il suo trionfale ingresso in cucina. È bella, molto bella con quell'aria da rosa appena sbocciata -colori sgargianti e profumo attraente- ma io so che milioni di aculei si nascondono appena sotto la sua corolla.

Veronica indossa un tubino attillato che le fascia perfettamente il corpo: risalta il seno prosperoso, la vita stretta, i fianchi asciutti e il sedere pronunciato. È sensuale, è bella.

È bianco. Bianco il vestito, bianchi i sandali col tacco, bianco l'ombretto che le affina lo sguardo, sguardo affilato che punta esattamente nella mia direzione.

«Che piacere vedervi» il suo sorriso cordiale è falso, aculei dipartono da angoli della bocca e seguono le sue parole calandosi su di noi, pur senza scalfirci. E sono bianchi.

«Grazie dell'invito» risponde Lara Jin gentile prendendo le redini della conversazione. Natalie, nascosta dalla spalla possente di Aaron, sbuffa e rotea gli occhi, incrociando le braccia sotto al seno.

Ander mi dà le spalle, appena una manciata di passi più avanti; la sua schiena si tende appena gli occhi di Veronica si posano su di lui, anche sotto la t-shirt nera che indossa si percepiscono i dorsali guizzare in un fremito di nervi.

Veronica si avvicina con passo felino, lentamente. Passa una gamba davanti all'altra incrociando le cosce e avanza come una pantera pronta a catturare la preda. Ander è la sua preda, un agnellino inerme che sta per finire nelle fauci del lupo.

«Dudi, sei venuto anche tu» pronuncia in tono mellifluo a un palmo dal suo naso, sbattendo i suoi occhioni da cerbiatto. Adesso non è più un lupo, né una rosa.

Ora è una strega e ha lanciato il suo incantesimo ad Ander -l'ha intrappolato come un pesce all'amo e lui ha abboccato, pende dalle sue labbra. Segue quei rossi boccioli a bocca socchiusa, anelando l'aria che lei espira e nutrendosi del profumo che emana.

Veronica ha stregato anche me. I miei occhi si levano dalla sua figura per posarsi sulle spalle di Ander e viceversa, a intermittenza. Vorrei reagire, farlo rinsavire, ricordargli che è colpa sua se ha sofferto -perché Natalie non l'ha detto ma è evidente che è così.

Faccio un passo avanti e, senza riflettere, allungo un braccio verso di lui. Le mie dita sottili afferrano la stoffa della maglietta chiudendosi a pugno e la tiro verso di me, senza sfiorarlo. La stoffa che gli aderisce alle spalle e al petto gli fa sbattere le palpebre un paio di volte, interdetto. Mi lancia un'occhiata di sbieco, girando appena il capo, e Veronica lo nota.

«Hilda» saluta sfoderando un sorriso da stregatto. E io dovrei essere Alice nel paese delle meraviglie?

«Ti senti bene, cara? Sei un po'... bianca» domanda, scrutandomi di sottecchi con quell'aura di superiorità che solo chi si sente realmente migliore può sfoggiare.

Ma io non sono più impreparata. Sono all'altezza, adesso. Anche se lei è più alta, più tonica, più bella, e nessuno reggerebbe il confronto di fronte a quell'evidenza -forse solamente Natalie, che tuttavia è incapace di fingere di essere chi non è, non cela le sue mancanze e i suoi vuoti bensì mostra la sua corazza con la fierezza di chi ha saputo cadere e rialzarsi.

E non so se abbia detto davvero bianca o pallida, non so se sia uno strafalcione o se sia voluto. Il tono con cui pronuncia quella parola, il modo in cui le sue labbra si aprono e la lingua accarezza i denti... non è casuale. Non ha la premura con cui le accarezza Sebastian, timoroso di ferire con la sua voce da bambino innocente. Non ha nemmeno le note di scherno degli altri bambini, quelli dell'isola, che mi tormentavano da piccola.

No, lei non conosce i miei precedenti col bianco, ha semplicemente constatato che sono pallida come un lenzuolo -perché tutta la sua casa è dannatamente bianca, lei è dannatamente bianca e io mi sento risucchiare nel vortice.

Voi lo vedete questo vortice? State attenti, trascinerà giù anche voi! No, vuole solo me, solo io posso mimetizzarmi. Io sono bianca, lui lo sa, e vuole portarmi con sé nell'occhio del ciclone –la quiete dopo la tempesta, che ti intrappola al suo interno in quel muro di venti tempestosi e letali, ti circonda con le sue mura di uragano e ti rinchiude, portandoti sempre con sé.

Ma io sto diventando tempesta -impervia, imprevedibile, forte- e posso fronteggiare l'uragano, sconfiggere il vortice, brillare e mostrare la mia luce.

«Mai stata meglio» anch'io fisso Veronica negli occhi senza tuttavia darle il potere di incantarmi. Poi faccio un passo avanti, poggio una mano sulla sua spalla, incurvando le labbra in una provocazione che le si plasma sul viso –confuso, turbato, nebbioso- e «Bella festa» concludo, sorpassandola con insolenza e uscendo dal suo regno, dal suo bianco.

No, non sono bianca. Non più.

Allora... che dire? Hilda sta combattendo una battaglia contro se stessa, deve imparare ad accettarsi e lasciare il passato alle spalle, nonostante sia parte integrante di lei. Ormai la stiamo conoscendo: sappiamo della sua battaglia con le rose e dell'effetto che le fa il bianco, prossimamente approfondiremo il rapporto con il mare.

Questo capitolo è fondamentale non solo perché scopriamo cosa significa la sua malattia per lei -anche se non menzionata direttamente-, ma anche perché è presente il titolo della storia. Chi ha visto il trailer già conosce la canzone e dunque aveva già chiaro il suo significato, chi non l'ha visto lo sta scoprendo solo adesso.

Dunque, cosa ne pensate? Siete d'accordo con Hilda che vuole lasciarsi il passato alle spalle o credete che debba assimilarlo per poter andare avanti? Come credete che farà?

E, soprattutto, vi piace la canzone? È stata la colonna sonora della stesura di questa storia insieme a tutto l'album in cui è contenuta e che vi consiglio di ascoltare perché di una bellezza inaudita 🦋

Luna Freya Nives

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