XVII. In vino veritas

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Oggi mi sento triste.

La nostalgia è un mantello che mi avvolge le membra e ottenebra i sensi. La malinconia è un copricapo -una tiara, come quella della principessa Anya- che grava sulla mia testa e monopolizza i miei pensieri. La paura si è insinuata sotto la mia pelle e mi fa vibrare gli organi.

Oggi mi sento triste e sola.

Non parlo con i miei genitori da cinque giorni. Domenica scorsa mio padre mi ha telefonato e abbiamo chiacchierato per un'ora. Io gli ho raccontato quanto è meravigliosa San Francisco; quanto sono gentili e premurosi William e Melanie, quanto è affettuoso Sebastian e quanto sono amichevoli Benjamin e Penelope; gli ho parlato della scuola, del test di storia in cui ho preso A e dell'esperimento di scienze che sto portando avanti in coppia con Chris. Lui mi ha aggiornato sulle novità dell'isola, sul suo lavoro che procede bene, sulle reclute che la mamma e i suoi subordinati hanno iniziato ad esaminare per una nuova compagnia.

Mi è parso tranquillo e contento di sentirmi, anche se mi ha confessato che gli manco, dopodiché silenzio stampa. Non una chiamata, non un messaggio, non un cenno di vita da parte loro. Nothing, nada, nisba, nulla.

Oggi mi sento triste, sola e adirata.

Ho discusso con Chris. Non ho idea di come sia successo, le dinamiche mi sono tutt'ora poco chiare. Stavamo pranzando solo io e lei nel giardino del liceo, senza i suoi amici. Il sole ci baciava la pelle e lei insisteva nel chiamarmi Mathilda. Le ho spiegato che non mi piace e l'ho pregata di non farlo ma lei mi ha ignorato. A un certo punto l'ho chiamata Christine per ripicca e lei se l'è presa. Mi ha messo il broncio, offesa, e ha terminato il pranzo in silenzio, senza rivolgermi più la parola per l'intera giornata. È piuttosto permalosa.

Oggi mi sento triste, sola, adirata e indisposta.

Melanie e William sono usciti a cena per festeggiare il loro anniversario di matrimonio e passeranno la notte in un hotel con SPA, ma questo Mel ancora non lo sa. Sebastian è stato affidato a noi per la gioia immensa -si fa per dire- di Benjamin. Ovviamente aveva altri programmi, come invitare i suoi amici a casa per vedere un film e consumare pizza sul sofà del salotto, ma non si è dato per vinto. Ha corrotto Sebastian con la promessa del gelato e organizzato la serata, coinvolgendo anche me.

Io ho solo voglia di stare nella mia stanza, sul letto, a fissare il soffitto in silenzio. E avevo intenzione di restarci per tutta la sera, ma a un certo punto Sebastian ha disobbedito al mio ordine di non entrare in camera e mi è piombato addosso con tutta l'eccitazione di un bimbo di tre anni lasciato alle cure dei fratelli maggiori a cui è stata promessa una serata a base di pizza e gelato.

Quindi adesso sono sul divano del salotto, schiacciata tra una chiacchierona Loren e un vigoroso Aaron, con Sebastian sulle mie gambe che si copre gli occhietti con le mani ogni volta che c'è una scena particolarmente cupa nel film che Natalie ha scelto.

Naturalmente dopo il falò ho evitato Ander come la peste. Lui mi ha lasciato fare, ridendo delle scuse che rifilavo a Benjamin per non passare del tempo con loro e regalandomi sorrisi irriverenti quando cambiavo improvvisamente direzione se lo incrociavo nei corridoi.

Stasera non ho nemmeno la forza di replicare, figurarsi di fuggire. Subisco in silenzio velate allusioni e malcelate frecciatine -Natalie ci lancia occhiate curiose con cadenza regolare- e sbuffo quando le sue parole divengono fin troppo chiare e pungenti.

Jonas ha portato una bottiglia di vino e mugola contro Loren, non volendo fargliela bere. Dice che siccome lui deve guidare e non può bere nemmeno lei per solidarietà dovrebbe farlo.

Lei è assolutamente contraria, sebbene Lara Jin cerchi di ricordarle com'è andata a finire l'ultima volta che ha toccato del vino -spoiler: malissimo.

Aaron gli strappa la bottiglia di mano facendo per bere, ma quando Ander fa l'ennesimo riferimento all'evidente gelosia della protagonista, nonostante lei cerchi di nasconderla ad ogni costo il mio braccio si muove automaticamente e rubo la bottiglia al nuovo proprietario.

Me la porto alle labbra con la stessa foga di un naufrago che imbocca finalmente la via di casa e mando giù due grandi sorsi sotto gli sguardi sbigottiti di Aaron e Loren. Sebastian, ancora sulle mie gambe, mi scruta curioso, stringendo tra le sue dita piccine il mio polso ossuto.

Nessuno protesta quando, anziché poggiare la bottiglia sul tavolino per condividerla con tutti, la tengo solo per me, limitandomi a tracannare vino ogni volta che Ander apre bocca. A un certo punto Natalie gli ha lanciato addosso un cuscino pregandolo di soffocarsi, così almeno avrebbe smesso di parlare, ma invano.

Alla fine del film ho scolato da sola quasi metà bottiglia e mi sento leggera. Non sono ubriaca ma abbastanza alticcia da parlare a sproposito e rendermi conto di ciò che succede intorno a me; per fortuna la prima l'ho evitata, limitandomi a pensare a sproposito.

Sebastian si è accoccolato sul mio petto quando nel film un uomo è spuntato da un vicolo buio, e io l'ho lasciato respirare sul mio collo finché si è addormentato. Adesso Benjamin saluta i suoi amici che stanno andando via e lo prende in braccio per metterlo a letto. Penelope è sparita non appena Aaron ha varcato la porta, probabilmente andando a comunicare alle sue amiche le due parole che le ha rivolto durante la serata.

Quando tutti i ragazzi se ne sono andati chiudo il portone alle loro spalle e, massaggiandomi le tempie, vado a prendere un bicchiere d'acqua in cucina. Mi poggio su una sedia per riprendere fiato, non ho mai bevuto così tanto vino tutto insieme in poco tempo.

A un certo punto penso di avere persino le allucinazioni quando una figura compare in cucina e viene verso di me con passo cadenzato e un sorriso irriverente tra due fossette.

«Che hai?» domanda Ander abbassandosi alla mia altezza, sussurrandolo direttamente al mio orecchio. Le sue labbra mi solleticano l'elice e il suo alito caldo mi provoca una scarica di brividi lungo la spina dorsale, spingendomi a chiudere gli occhi.

Sì, è decisamente un'allucinazione, il vero Ander non mi farebbe mai quest'effetto. Decido di provare a me stessa che mi sbaglio, che è tutto nella mia testa, così allungo un braccio verso il suo viso e lambisco con un dito la sua fossetta. Affondo nella carne, schiacciando la guancia e percorrendo il solco, e solletico con la punta dell'unghia la pelle rasata con minuzia.

«Tu non sei reale» soffio piano, come se pronunciando quelle parole lui possa scomparire in uno sbuffo di fumo e dissolversi sotto i miei occhi con la stessa velocità con cui si è materializzato.

La sua risata gli rimbomba nel petto, lo sento vibrare appena sopra la mia testa mentre abbassa il capo per scrutarmi divertito.

«Sono un sogno?» domanda con voce melliflua. Le sue labbra continuano a solleticarmi l'orecchio e adesso ha poggiato i palmi delle mani sul tavolo, circondarmi col suo corpo.

«Direi più un incubo» confesso, storcendo il naso. Lui ride ancora, questa volta sento che la vibrazione del suo petto si protrae fino alla mia schiena e rido con lui.

«Così mi ferisci, fatina» si lamenta, avvicinandosi di più. Il suo petto aderisce alla mia schiena e poggia il capo sulla mia spalla, accanto al corpo. Osservandolo di sbieco posso vedere il suo labbro inferiore sporgente in un'espressione da cucciolo bastonato.

Cosa succederebbe se adesso mi voltassi? Il suo viso è vicino, troppo vicino, probabilmente potrei baciarlo. Per fortuna non sono abbastanza ubriaca da scoprirlo.

«Spazio vitale, Ander, spazio vitale» professo in un momento di lucidità. Scivolo in avanti per allontanarmi dal suo viso, dopodiché mi raddrizzo e mi alzo in piedi.

«Non è giusto» si lamenta ancora, mettendosi diritto a sua volta e facendo un paio di passi nella mia direzione, «C'è chi si può attaccare al tuo collo e chi deve mantenere la distanza di sicurezza» sbuffa, intrappolandomi contro l'isola della cucina.

«Sebastian ha tre anni ed è un bambino affettuoso, tu ne hai diciotto e sei un ragazzo appiccicoso» borbotto, posandogli le mani sulle spalle e spintonandolo per allontanarlo. Non riesco a pensare lucidamente e non solo perché il vino mi ottenebra i sensi.

Ander ride, le fossette gli scavano le guance mentre le labbra si incurvano verso l'alto. Sono grandi e rosa e... non dovrei concentrarmi così sulle sue labbra! Distolgo lo sguardo avvampando furiosamente, ma sono stata colta sul fatto, il suo sguardo irriverente lo conferma.

«Però a te piace questo ragazzo appiccicoso» tenta, mordendosi il labbro inferiore per trattenere una risata. Questo non fa decisamente bene ai miei sensi, già obnubilati dall'alcol, che probabilmente in questo momento sono andati a soffocare l'ultimo neurone rimasto lucido che mi suggerisce di ribattere con qualcosa di intelligente.

«Perché non mi hai detto che Lucrecia è tua sorella?»

Ecco, anche l'ultimo neurone è andato. È stato bello convivere per questi diciassette anni, spero che ci rincontreremo presto. Magari dovrei fare voto di sobrietà, così non finirò mai più in situazioni ambigue.

«Non me l'avevi chiesto» risponde con una scrollata di spalle. «Per la cronaca, ne ho cinque di sorelle, quattro contando che io e Rocio non siamo ufficialmente parenti, suo padre è il secondo marito di mia madre» spiega mentre io affino lo sguardo per concentrarmi.

«Non mi toccare» mi lamento, sottraendo il viso dalla sua carezza quando allunga la mano per tracciare morbidi cerchietti sulle mie guance.

«Perché?» domanda, seriamente interessato. Ha ritirato il braccio e ha anche fatto mezzo passo indietro, permettendomi di riprendere a respirare -tra l'altro, quand'è che ho smesso?

«Perché mi bruci» convengo ovvia, come se la sua non fosse una domanda lecita. Ander mi guarda stranito, sollevando le sopracciglia. Forse la mia sincerità è sopraggiunta nel momento sbagliato, dovrei provare a rimediare. «E non mi piace essere toccata» concludo, indispettita.

A questo punto riprende a ridere, nei suoi occhi si accende una scintilla di malizia mentre si abbassa per replicare: «Forse non sei stata toccata dalla persona giusta».

Quell'allusione velata mi fa avvampare di nuovo. Sgrano gli occhi, puntandoli dritti nei suoi, e noto quell'irriverenza che si è posata delicatamente sui suoi lineamenti. Ander mi osserva con le sopracciglia sollevate e un ghigno malizioso a incurvargli le labbra.

«Idiota» biascico, colpendolo sul petto, «Non è ciò che intendevo» mi difendo sgusciando di lato e liberandomi dall'ingombrante tensione che ha gettato su di noi.

«Quindi ti piace essere toccata» insinua malizioso, seguendomi fuori dalla cucina. Il salotto è sgombro, Ben è ancora al piano superiore a sistemare Sebastian e si odono le risatine di Penelope provenienti dalla sua porta socchiusa, in cima alle scale.

Avvampo ancora -ormai credo di aver esaurito i vasi sanguigni del viso, pare che tutto il sangue confluisca sulle mie gote.

«Non so se l'hai notato» replico piccata, «ma non sono esattamente una persona amichevole».

Non so perché continuo a rispondergli, il vino mi rende più orgogliosa di quanto non sia in realtà e sento la necessità di smentirlo. Normalmente non avrei confessato un aspetto del mio passato a cuor leggero, ma l'alcol mi rende tutta leggera.

«In che senso?» domanda curioso seguendomi sul divano. Ci accomodiamo al centro, io mi abbandono contro le schienale e lui si poggia a una distanza tollerabile.

«Nel senso che non ho molti amici sull'isola» mi accingo a spiegare. Diamine, ma non sono io quella brilla? Forse anche lui aveva una bottiglia di vino ed è più ubriaco di me.

Lui pare non capire nemmeno l'evidenza.

«Dove per molti intendo nessuno» concludo con un occhiolino giusto per rendere il concetto più chiaro.

Oh, cazzo, l'ho detto veramente? Ho appena confessato ad Ander di non avere uno straccio di amico? Devo prenotare un volo per il Messico e comprare le attrezzature che mi serviranno per scavare la fossa in cui ho intenzione di seppellirmi. Possibilmente vicina al centro della terra, meglio ancora se piena di magma in cui possa sciogliermi all'istante.

Sospiro pesantemente all'evidenza di aver appena perso la dignità ed essermi rovinata la reputazione di fronte ad Ander. Proprio ad Ander, che cazzo. Non poteva essere, che ne so, Natalie? No, proprio Ander. Ander che adesso mi sorride quieto e mi brucia con quei suoi dannati occhi nocciola.

«Se avessi saputo che il vino ti avrebbe sciolto la lingua te ne avrei regalato una botte il primo giorno che ti ho visto» asserisce sicuro, sporgendosi verso di me. Poggia una mano sul mio ginocchio con fare amichevole, ma io lo ritraggo istantaneamente.

Non voglio che mi tocchi, si accorgerebbe che sono tutta spigoli ossuti e angoli appuntiti e non mi guarderebbe più in questo modo -con gli occhi allegri e un sorriso irriverente, scuotendo la testa ad ogni rifiuto e tornando all'attacco più determinato di prima.

«Non ti ci abituare, Dudiez, domani mattina tenterò di cucirmi la lingua pur di evitare che si ripeta di nuovo» affermo ironica ma non troppo. In fondo, le probabilità che domattina desidererò prendermi a sberle fino a perdere i sensi non sono così remote. Potrei fare qualcosa di scellerato e decidere di tagliarla per ovviare al problema in via definitiva.

L'alcol mi rende loquace e pure melodrammatica, ma almeno non sono più triste.

In questo capitolo avete visto Hilda come mai prima d'ora, con meno freni inibitori e i pensieri non più filtrati dalla sua personalità rigida e composta. È più simpatica, vero? Anche Ander è d'accordo... forse dovrei farla bere di più! 😂

Ovviamente è un'eccezione, non sia mai rendere le cose facili alle mie ragazze ahahahah 🙊

Cosa ve ne pare? Preferite questa versione più incline alle chiacchiere o il mutismo selettivo che adopera normalmente? Inoltre, cosa sarà successo sull'isola? Perché nessuno la chiama?

Ci vediamo venerdì per rispondere a questi interrogativi 🧚🏻‍♀️

Luna Freya Nives

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