XXII. Conflitti interiori

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Il principale quesito che sovviene dopo un'azione spinta da istinti primordiali è: perché?

E tu stai lì, ti scervelli, spremi le meningi e ti arrovelli per cercare una risposta, ma non esiste. Perché è su questo che si basano gli istinti: sono tali proprio in quanto non passano dal cervello, non sono sottoposti al suo controllo.

Non esiste un filtro per gli istinti, quando si manifestano lo fanno in tutta la loro essenza: prima come un torpore primordiale, assopito a causa del continuo inutilizzo; poi divampano e si impongono con forza; infine consumano tutto ciò che trovano lungo il loro cammino.

I miei istinti mi hanno consumata, hanno bruciato il mio cuore e la mia anima e li hanno trasformati in burro fuso, spalmato direttamente sul corpo di Ander.

I sentimenti di pancia non si curano di ciò che è giusto o sbagliato, di ciò che si dovrebbe o non dovrebbe fare. Non importa se il cervello si opporrebbe strenuamente a quell'azione, condannandola e repellendola persino; nel tempo in cui agisce l'istinto ormai il danno è fatto. E non si torna indietro.

Io e Ander siamo rimasti avvinghiati su quella sedia per un tempo che mi è parso infinito, a consumarci le labbra e il cuore e inspirare l'uno nella bocca dell'altra, soli. Il cielo è stato il nostro unico spettatore, cupo e oscuro come i miei sentimenti contrastanti.

Perché quando c'è Ander nelle vicinanze il mio cervello va in cortocircuito e ogni azione è dettata solamente dagli istinti, gesti meccanici che si imprimono sotto la pelle e fanno sperare di averne sempre di più - di più, non mi lasciare, Ander... Ti prego... Lasciami.

Anche adesso, che siamo in un salotto con altre persone, a debita distanza, me lo sento addosso. I suoi occhi bruciano il mio corpo, le sue parole solleticano le corde del mio cuore e le sue dita di caramello sono bollenti, lo so anche se non mi sfiorano.

Oggi è il compleanno di sua madre e Melanie ha voluto organizzarle una festa a sorpresa. Si conoscono da molti anni - praticamente da quando Ben e Ander hanno frequentato casualmente lo stesso corso di nuoto da bambini - e da allora sono sempre rimaste in contatto.

«Allora, io e Maricruz usciremo nel primo pomeriggio e, se tutto va bene, saremo a casa per le cinque. Se dovessimo tardare, riceverà una chiamata di Tasha in cui fingerà che le gemelle stiano litigando» Melanie riepiloga il piano per l'ennesima volta.

«Ben tu devi andare in pasticceria a ritirare i dolci e la torta, entro le cinque devono essere già lì» inizia a impartire ordini, assumendo un cipiglio serio. Ci tiene davvero a Maricruz e si sta impegnando molto affinché tutto vada per il meglio.

«William, per favore, accertati che Fernando torni in tempo da lavoro o lo uccido» promette con occhi stretti, e temo che lo farebbe davvero.

«Oh, no, ha solo finto di andare a lavoro stamattina» si intromette Ander per difendere il suo patrigno, «Lui e Lucrecia stanno cercando il regalo di compleanno perfetto».

«Ah però... Hai capito Ortega» Melanie si mostra sorpresa; probabilmente l'uomo non è incline a gesti del genere e vuole stupire sua moglie con l'aiuto della figlia.

«Rocio sta sistemando il barbecue, le gemelle rassettano la casa e Tasha sta addobbando il giardino» Ander ci informa dei compiti assegnati alle sue sorelle.

«Molto bene. Will, tu vai a ritarare i fiori e portali a Rocio, saprà dove posizionarli» ordina puntando il dito contro il marito. Sebastian, seduto accanto a lui con i riccioli biondi che gli incorniciano il viso da angioletto, sta disegnando indisturbato.

«Penny, tu finisci le sculture di palloncini e poi vai a prepararti, Hilda e Ander le porteranno a casa. Sei venuto in macchina vero Ander?» domanda poi, come destandosi improvvisamente. Spero davvero che dica di no, ma quando il suo sguardo si posa su di me non ho dubbi circa la sua risposta affermativa.

Non mi entusiasma l'idea di passare del tempo da sola in macchina con Ander, ma mi consola il fatto che almeno non sia in moto. Se non altro potrò tenermi a debita distanza.

«Io adesso passo a prendere Maricruz e andiamo in centro, voi sparite dalla mia vista e fate filare tutti liscio» ci ammonisce prima di prendere la giacca e varcare la soglia di casa.

William tira un sospiro di sollievo asciugandosi dalla fronte del finto sudore, poi la nostra attenzione viene catturata da Sebastian, che chiede: «Ander, secondo te a Maricruz piacerà il mio regalo?».

Gli mostra un disegno strampalato in cui c'è una donna raffigurata come una regina, con tanto di corona e vestito ampio. È circondata da fiorellini colorati e alle sue spalle campeggia uno striscione che reca le parole "Buon compleanno, Maricruz", sicuramente scritte con l'aiuto di Penelope.

«Ma è bellissimo, campione» Ander gli batte affettuosamente il cinque, poi prosegue: «Sicuramente lo appenderà in camera!».

Sebastian si apre in un meraviglioso sorriso che fa sciogliere tutti. Almeno lui è entusiasta della festa a cui sta per andare... Io vorrei solo passare meno tempo possibile con Ander.

∽✵∼

La casa di Ander è a meno di cinque minuti di auto dalla nostra. Un porticato bianco è la prima cosa che si nota quando svolta nel vialetto. Mi fa cenno di aspettare fuori poiché intravede la figura della madre da una finestra, così mi addosso contro un muro laterale della casa e attendo.

Spazzolo la camicia azzurra che indosso, infilandola meglio dentro i pantaloni neri; quando sento la voce di una donna allontanarsi da casa trattengo il fiato e per il timore di essere scoperta non mi sporgo nemmeno a osservarla da dietro.

Dopo un paio di istanti una piccola porticina alla mia sinistra si apre cigolando e ne esce Ander. Insieme prendiamo le sculture di palloncini e, passando da quella porta, le portiamo dentro. Il primo ambiente che si palesa ai miei occhi è la stanza di Ander.

È un seminterrato per cui è un po' cupo, ma sul soffitto ci sono decine di stelline luminescenti che rischiarano l'ambiente. Ci sono un divano e una tv al centro della stanza, con un tappeto e un tavolino a separarli, mentre alle spalle un soppalco in legno conduce direttamente al suo letto. Sotto c'è una libreria bianca e una scrivania totalmente in disordine dello stesso colore.

Dal soppalco sporge un cartellone che reca la scritta "Bienvenidos a mi reino" e mi domando perché parli poco lo spagnolo se è così importante nella sua vita.

Dopo una breve occhiata di ricognizione, Ander avanza verso le scale e io mi affretto a seguirlo verso il piano terra. La porta si apre direttamente sull'ingresso, dove un pavimento di marmo bianco ci conduce fino al salotto. Poggiamo al centro della stanza - tra i sofà schiacciati contro le pareti e il tavolo già apparecchiato - la prima composizione, poi scendiamo nuovamente di sotto per fare altri viaggi.

Melanie si è impegnata molto e ha voluto ricreare con i palloncini persino la scritta Happy birthday. Immagino che Penelope non sia stata molto contenta di dover realizzare tutti quegli addobbi, ma di fronte all'occhiataccia di sua madre ha taciuto e si è messa all'opera.

Ora sono di nuovo nel seminterrato a controllare che non abbiamo dimenticato nulla, ma la mia attenzione viene catturata da una foto appesa alla parete. Sono ritratti tre bambini: una femminuccia piccina con un gran sorriso e un maschietto di circa sette anni con indosso una salopette e una camicia a quadri che stringe tra le braccia un fagottino rosa neonato. Suppongo siano Ben e le sue sorelle Dudiez - Lucrecia e Tasha.

Sto per allontanarmi dalla foto per tornare in soggiorno quando sento una mano sfiorarmi il fianco sopra i jeans a vita alta. Deglutisco con forza e socchiudo gli occhi, ricordando gli insegnamenti di mia madre. In un istante tiro dietro il gomito aguzzo e ruoto in parte il busto, intercetto il piede della persona e lo pesto con forza, aiutandomi con un piccolo saltello.

«Auch» si lamenta il ragazzo, piegandosi su se stesso e tenendosi lo stomaco per il dolore. Solo adesso mi accorgo che è Ander - e che non poteva che essere lui, dato che sono nella sua stanza.

«Puoi aspettare almeno un po' per farmi fuori? Non voglio rovinare il compleanno di mia madre» mi rivolge uno sguardo piccato, storcendo il naso. Non è più piegato in due, ma continua a massaggiarsi la parte lesa con una smorfia.

«Tu mi sei arrivato alle spalle» tento di giustificarmi, studiando la sua reazione.

«E ti ho sfiorato a malapena... Volevo fare un gesto carino» si lamenta ancora con la voce impastata dal fastidio. Per quanto io appaia gracile, la difesa personale mi ha insegnato a sfruttare i miei spigoli ossuti come punti di forza.

«Adesso sei tu che mi devi un gesto carino» asserisce prima che io possa replicare. Sono intrappolata tra il suo corpo e la parete dietro di me, cercando una via d'uscita che non includa passare attraverso il suo corpo.

Deglutisco con forza mentre i suoi occhi nocciola mi scavano l'anima - in sua presenza mi sento trasparente come non mai, ma non invisibile, solo nitida e tersa. Diafana, come lui stessa mi ha definito ormai due mesi fa.

«N-no... non credo proprio» biascico spalmandomi contro la parete. Se non posso passare attraverso il suo corpo magari divento un fantasma e passo attraverso il muro.

«Secondo me sì» replica subito, la voce ferma e il sorriso irriverente che fa capolino sul suo volto, tra quelle fossette coperte da un filo di barba.

Si abbassa su di me, troneggia sulla mia altezza e schiocca la lingua prima di sfiorarmi appena il collo con le guance. Pizzica. È un fastidio leggero e piacevole che tuttavia somiglia più ad una tortura. Lui è il carnefice e sa esattamente come muoversi per farmi capitolare.

Lascia una scia di baci bollenti sul mio collo, risalendo sulla mandibola e arrestandosi all'angolo delle labbra. Sono gelatina, di nuovo. Sento le gambe molli e le cosce fremono fasciate dal tessuto dei jeans. Provo a regolarizzare il respiro ma ogni tentativo è vano dal momento che il mio cuore ha preso a palpitare come se stessi correndo la maratona di New York.

Forse la sto correndo per davvero, una maratona, ma non è fisica. È la corsa tra i miei pensieri e le azioni - il cervello che si strugge per controllare il mio corpo e gli istinti che prendono il sopravvento, inebriandomi i sensi e facendomi caracollare nella trappola di Ander.

Sono in sua completa balìa e non va bene, devo riprendermi. Il cuore scalcia nel petto e i polmoni anelano aria - la sua aria, quella che esala in uno sbuffo proprio sulle mie labbra.

Supplico il mio cervello di rinsavire, riattivare le sinapsi e acquistare nuovamente il controllo, perché questa situazione finirà male. È una sfida che nessuno dei due vincerà - ormai la certezza ce l'ho impressa sulla pelle, là dove brucia una scia di baci umidi - e per quanto mi costi sono pronta ad abbandonarla. Lo farò se avrò la garanzia di tornare ad essere me stessa, distaccata e rigida - perché i sentimenti rendono deboli e io non voglio essere debole, mai più. Io mi chiamo Mathilda e sono forte in battaglia.

Combatto contro me stessa per convincermi ad allontanarlo, a porre fine a quella lenta tortura che mi stordisce e scarica brividi lungo la schiena, al basso ventre, direttamente al cervello.

Poso delicatamente le mani sulle sue spalle e lo spingo via con forza. Non se l'aspettava, il suo cipiglio corrucciato ne è la conferma, e impiega un istante di troppo a comprendere la situazione e reagire. Io, intanto, sono già sulle scale.

Le salgo a due a due col fiatone, pregando affinché Ander e le sue gambe lunghe siano troppo confusi per raggiungermi in tempo. Balzo anche l'ultimo gradino, sfuggendo per un soffio alla sua presa sul mio polso, e mi rifugio dietro al divano per riprendere fiato.

È di fronte a me, mi osserva con aria di sfida e studia le mie mosse, le mie reazioni, i miei riflessi. Si sporge verso destra e calcola la velocità con cui scatto nella direzione opposta, muove un passo a sinistra e nota come quasi inciampo nei miei piedi per invertire la rotta.

Sorride, non ha mai smesso di farlo da quando ci fronteggiamo di nuovo, e la sua espressione buffa fa sorridere anche me, pur avendo sempre gli occhi sgranati e attenti di un animale in trappola.

Lui è la mia trappola, e mi trascina a fondo.

Mi fa l'occhiolino prima di fare la sua mossa. Scatta a destra e in un istante io corro nella direzione opposta. Nemmeno mi accorgo che invece lui vira immediatamente a sinistra, troppo impegnata ad allontanarmi, e quando provo a voltarmi incespico nei miei piedi e finisco dritta nelle sue fauci.

Ander ride di gusto mentre mi avvolge con le sue braccia, compattandomi in un cubetto di ghiaccio che brucia nelle sue mani, e mi solleva da terra con una facilità disarmante. Rimango a mezz'aria, schiacciata contro il suo corpo mentre i riverberi della sua risata mi scuotono la schiena.

Lui continua a ridere e a solleticarmi il collo con la sua barba leggermente incolta, incurante dell'eritema che di qui a pochi minuti si sfogherà sulla mia pelle pallida, finché un rumore di passi lo fa voltare verso il lato del salotto collegato con la cucina.

Lì una ragazzina si schiarisce la voce e ci osserva con espressione curiosa.

Chi li ha beccati?

Dai, sono buona, lo scoprirete già martedì! E prima ovviamente pubblicherò anche le schede personaggio delle ragazze 🦋

So di essere sparita sia da ig che da qui, infatti sono indietro con parecchie storie, ma l'ultimo esame della sessione e la vita sì sono messi di mezzo 🤦🏼‍♀️

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, non dimenticate di lasciare una stellina e qualche commento 🙃

Luna Freya Nives

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