XXI. L'esplosione

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Sangue. Questa la prima cosa che mi viene in mente quando Ander dice che dovremmo parlare. Vedo i cocci del cristallo sul prato verde che circonda la villa di Veronica e mi chiedo se affogherò nel mio sangue prima che lui possa aprire bocca.

Lo spero, sinceramente, almeno sarà veloce e indolore. E soprattutto non potrò ricordarlo. Preferisco che finisca in uno sbuffo di fumo repentino che si diradi presto piuttosto che trascinarmelo dietro per settimane.

Poi penso al cristallo, a quanto sia fragile, eppure viene considerato delicato. Si maneggia con cura, carezzandolo con le medesime accortezze che si riservano ad un neonato. Si ostenta come un premio, una coppa da mostrare agli accoliti per vantarsi della sua bellezza.

A nessuno pare interessare la sua fragilità, nessuno si preoccupa delle crepe invisibili che lo spaccano dall'interno, aspettando solamente quella goccia che faccia traboccare il vaso per mostrare i cocci ai commensali.

Come dite? Adesso nessuno vuole più ostentarlo? Nessuno vuole ammirarlo? Perché è rotto, e delle schegge nessuno vuole prendersi cura, hanno troppa paura di pungersi.

«Non hai niente da dire?» domanda Ander, interrompendo i miei pensieri. Peccato, non mi sono ancora dissanguata, avrò calcolato male i suoi tempi di reazione.

Tiene ancora il mio mento intrappolato tra le sue dita per costringermi a voltarmi nella sua direzione, ma le mie iridi rifuggono le sue, ostinate.

«Almeno hai detto a Natalie che sono un gran baciatore? Non vorrei che la mia reputazione sia rovinato da una bella e innocente europea» sghignazza per attirare la mia attenzione.

Gli rivolgo un'occhiata affilata ma, di fronte alla sua espressione divertita, non riesco a trattenere un sorriso. Mi sciolgo sotto i suoi occhi nocciola, così profondi che potrei farci un tuffo senza toccare il fondo persino con i tacchi che Natalie mi ha costretto a indossare.

«Non pensavo che ti sarebbe piaciuto così tanto il Wave Organ» inizia prendendola alla larga. Nella testa rimbomba ancora lo sciabordio delle onde che si infrangono contro le tube, i gorgoglii bassi e i sibili acuti che hanno cullato le mie membra e la melodia inedita che ha accompagnato la danza delle nostre labbra.

«È un posto magico» rispondo in sussurro, e lo penso davvero. La musica, il mare, la brezza, la salsedine... tutto di quel posto trasuda magia.

«Beh sei una fatina, immagino tu te ne intenda di posti magici» mi prende in giro lasciando finalmente andare il mio viso. Non distolgo lo sguardo, imprimo i miei occhi nei suoi per rimproverarlo, ma invano.

Il suo viso diviene serio e mi fissa insistentemente, ma ho l'impressione che gli costi molto fare questa domanda: «Tu... non avevi mai baciato nessuno, vero?».

Mi sferza la pelle e sento i cocci ai miei piedi frantumarsi in schegge di dimensioni sempre minori, a ricordarmi quanto io sia stata sola per la maggior parte della mia vita. Non c'è accusa nel suo tono, né scherno né rimprovero né altro, è una semplice insinuazione che tuttavia ha il potere di incatenarmi alla sedia su cui sono seduta.

D'un tratto mi sento nuda sotto il suo sguardo e non è per le cosce scoperte o per il vestito scollato, mi ha sfilato il cappotto e il cuore e li ha riposti con cura sul tavolo, scrutandoli con occhi attenti.

«Ci ho riflettuto dopo... Ho pensato a quel venerdì a casa in cui mi hai detto di non avere amici sull'isola. Però se non hai amici non è detto che non abbia mai baciato nessuno, ho pensato, ma poi... Sei troppo rigida per metterti a baciare gli sconosciuti» conclude con una risatina.

Non mi guarda negli occhi ma non rifugge il mio sguardo, suppongo che voglia lasciarmi il giusto spazio per metabolizzare e abituarmi alla sua maniera così schietta di parlare. Non sa che mi sono abituata da tempo, forse ho iniziato proprio il primo giorno che ci siano incontrati, tra una scintilla lanciata nell'aria e un sorriso irriverente.

«Era un giorno particolare» provo a giustificarmi, anche se non ho scusanti. Ho bevuto e mi sono esposta più di quanto avrei fatto da sobria e tutt'ora ne pago le conseguenze.

«Mi piacciono questi giorni particolari, anche oggi lo è?» domanda, osservando il liquido del mio bicchiere diminuire ogni volta che apro bocca. Cerco di tenermi impegnata così da evitare di pronunciare parole di cui potrei pentirmi una volta lontana da lui.

«No» replico con un'occhiata torva, colpendolo sulla spalla. Lui indietreggia fingendosi dolorante, ma sono consapevole di non averlo minimante scalfito.

Mentre ritrae il busto all'indietro e porta una mano a massaggiarsi la spalla, avanza l'altra nella mia direzione e mi afferra il polso. È un gesto così inaspettato che ho appena il tempo di avvertire la pelle bruciare che già mi ha attirata verso di sé. Sgrano gli occhi colta alla sprovvista e quasi perdo l'equilibrio, se non fosse per le sue mani che mi tengono diritta e poi mi adagiano sulla sua gamba.

Avvampo ancora –ma questo calore non finisce mai?– mentre una delle sue mani mi avvolge il fianco e l'altra si adagia sulle ginocchia. Cerco di ritrarle ma è impossibile allontanarsi abbastanza dal momento che si è insinuato sotto al cappotto e sono spalmata sul suo corpo.

Ander sembra intuire l'antifona perché non si avvicina più alle mie gambe, tuttavia usa la mano ora libera per circondarmi del tutto e schiacciarmi contro di sé. Ha il viso sul mio collo e lo sento ispirare profondamente la mia pelle mentre rabbrividisco.

Chiudo gli occhi e inarco istintivamente il capo. Non è un gesto voluto, ne prendo atto solo quando inspiro l'aria fredda di una serata qualsiasi e le labbra di Ander schioccano sul mio collo, lasciando un bacio rovente proprio sulla giugulare.

Non riesco a reagire, voglio solo rimanere immobile e bruciare sotto al suo tocco, bruciare dei suoi baci roventi e bruciare delle sue iridi nocciola. Ha lo sguardo adorante e gli occhi languidi, mi guarda dal basso forse per la prima volta da quando ci conosciamo e da questa nuova angolazione non posso che constatare che le sue ciglia così scure e folte sono perfette per contornare i suoi occhi tondi.

Sono completamente fuori di testa. Ma non riesco a formulare pensieri coerenti con la mia essenza se Ander lascia una scia di baci sul mio collo e crea su di esso un atlante astrale di brividi –imprime stelle con le labbra e poi traccia con le dita le loro connessioni.

«Perché non me l'hai detto?» chiede in uno sbuffo, constatando l'autocontrollo che si è reso necessario per arrestare l'azione precedente e modulare la voce. Non c'è bisogno che chieda a cosa si riferisce, so cosa vuole sapere.

«Non me l'hai chiesto» gli rifilo la sua stessa risposta, approfittandone per posare le mani sulle sue spalle e aumentare le distanze. Tuttavia, Ander mi anticipa –trovo le sue mani già allacciate dietro la mia schiena che mi impediscono di allontanarmi quanto basta per riprendermi dallo stordimento– e sorride sornione per quella piccola vincita.

Una sfida, è questo che è stato fin dall'inizio. La scintilla è scoccata al primo incontro, nel disimpegno di casa Budd. Lì Ander mi ha volutamente ignorato e schernito, suggerendo poi la somiglianza fantomatica con Daenerys Targaryen. Lì il suo atteggiamento sfacciato mi ha indispettito, tutto di lui trasudava –e trasuda tutt'ora– irriverenza. Tuttavia adesso la sua sfrontatezza mi appare solo uno dei molteplici aspetti che lo caratterizzano, sicuramente il più evidente ma non necessariamente quello prevalente.

«Anche al Wave Organ era una giornata particolare?» domanda, sondando il terreno. Ci sta arrivando gradualmente, vuole sfinirmi, stordirmi coi suoi baci roventi e confondermi con i suoi sorrisi sbilenchi, ma non ho intenzione di cascarci, non questa volta.

«No» mi trovo costretta ad ammettere, inclinando il capo mentre una smorfia di disappunto mi deforma il viso. Purtroppo ero nel pieno delle mie facoltà, più o meno.

«Quindi diciamo che sono stato io a renderla tale» esala compiaciuto, non riuscendo a trattenersi. Le sopracciglia si sollevano in un'espressione eloquente mentre un sorriso gli illumina il viso e si morde la lingua per trattenere una risata sguaiata.

Lo colpisco nuovamente alla spalla di fronte a quell'eccesso di superbia, ma nemmeno io riesco a trattenere una risatina quando un suono basso e roco gli fa vibrare il petto.

«Lo prendo per un sì» riferisce con un occhiolino, attirandomi nuovamente a sé.

Sono sempre seduta sulle sue gambe e non riesco ad oppormi per tempo a questa stretta, per cui mi ritrovo nuovamente spalmata su di lui, col viso sul suo collo e la mia spalla ossuta schiacciata contro il suo petto. Temo che sia abbastanza fastidiosa ma quando provo ad allontanarla mi stringe maggiormente, per cui rinuncio.

Ho la pelle glabra del suo collo proprio a portata di bocca e mi sovviene il ricordo delle mie labbra che vi si poggiano con la musica a fare da sottofondo ai nostri corpi roventi. Mi contengo, devo farlo perché voglio stare lontana da Ander.

Ma le sue braccia ancora mi stringono, sono seduta sulle sue gambe e la sua mano mi carezza la schiena da sotto il cappotto. Non fa particolarmente freddo questa sera, ma anche se fosse dubito lo avvertirei. L'unica cosa che riesco a percepire è l'incendio che divampa lungo la mia spina dorsale mentre Ander percorre le vertebre sporgenti sopra stoffa del vestito.

E quasi vorrei non indossarlo, questo inutile pezzo di stoffa che separa la mia pelle dai suoi polpastrelli. Nonostante tutto li sento roventi su di me, alimentano l'incendio che divampa e persino il cuore ha iniziato a pulsare al ritmo delle dita di Ander. E io brucio.

Brucio di un fuoco che non mi appartiene perché io sono fredda, sono glaciale, sono l'iceberg piantato nel bel mezzo dell'oceano che fa naufragare il Titanic. È suo il fuoco e non voglio che mi avvolga, se supera le meningi è finita perché non potrò mai scacciarlo da lì.

Ma qui c'è fumo e viene direttamente dalle mie membra. È troppo tardi. Io sono ghiaccio secco e sono finita direttamente sulla miccia, quella miccia che arde e risplende e che è terminata da tempo, in attesa dell'esplosione. Sono troppo fredda per non sciogliermi all'istante in quel fuoco che divampa e tra le sue fiamme io ardo e divengo fumo.

Infine accade, io esplodo. Guizzo tra le braccia di Ander e mi libero dalla sua prigionia, prendo le redini di questa sfida che, alla fine, nessuno di noi vincerà. Ne usciremo entrambi a pezzi, sfibrati, esausti, ma combatteremo fino a che l'ultimo briciolo di volontà ci farà rialzare e affinare le unghie per sferzare quello che speriamo essere il colpo finale. E non lo sarà mai.

Lo cerco con tutta me stessa: le gambe si intrecciano alle sue e non mi importa che il vestito sia corto e attillato, ci siamo solo noi in questo giardino; i miei occhi lo incatenano, è incapace persino di deglutire il groppo in gola che si è appena formato; le mie dita si avviticchiano al colletto della sua camicia, stringono la stoffa e la stropicciano come vorrei fare con i suoi capelli –mi servirebbe più coraggio per quello, e parecchio alcol in più.

Non se l'aspetta questa frenesia, ha colto impreparata persino me. Non è più il lume della ragione che guida i miei gesti ma un istinto primordiale che credevo sopito, seppellito sotto strati di compostezza e temperamento controllato.

Mi sento bollente come quando nel buio della mia intimità mi sfioro e godo di quel sentimento così intenso e totalizzante che manda piacevoli scariche fino al cervello e crea un blackout temporaneo, un reset di pensieri e azioni da raggiungere il nirvana.

Poso le labbra bollenti sulla sua carne di caramello e mi beo di quel contatto con tutti i sensi. Odo il sospiro rumoroso che sfugge dalla sua bocca e mi solletica il collo; annuso il profumo flebile ma pungente della sua pelle; osservo i muscoli irrigidirsi e tasto la cute contratta e rovente, che tuttavia non mi brucia.

Assaporo la pelle, lambisco la clavicola e la bacio succhiandola leggermente e inumidendola con la lingua. Quasi mi pare che sappia davvero di caramello tanto me lo ricorda il colore della sua pelle. Bacio il collo e la mascella e ogni lembo di pelle tra essi, infuocandomi a ogni contatto tra le mie labbra e la sua pelle rovente.

«Somos uña y carne» soffia appena quando ormai sono arrivata al lobo dell'orecchio, lì dove è presente l'orecchino a cerchietto scuro, e la sua voce non è più di un sussurro roco mentre la lingua gli carezza le labbra e i denti.

E poi capitolo. Precipito in fondo ai suoi occhi e mi fiondo sulle sue labbra. Le bacio, le stringo, le mordo, ne succhio l'essenza e mi unisco a esse fremendo mentre le braccia di Ander appiccano il fuoco ad ogni lembo del mio corpo che sfiorano.

È questa l'esplosione che avrebbe dovuto mandare tutto in frantumi. Ma i miei cocci sono già sul pavimento; li ha solamente spinti lontano, disperdendoli in questo giardino e tra gli anfratti del corpo di Ander. Le mie mani vagano su di lui alla ricerca di schegge di me, trovando solamente pelle bollente e sospiri roventi, occhi languidi e sguardi vacui.

I miei frammenti di cristallo sono spariti, liquefatti dalle fiamme di Ander.

Niente, mi piaceva troppo l'idea di inserire il ghiaccio secco... ma ve la immaginate la piccola e docile Hilda in un cubetto di ghiaccio che finisce tra le braccia di quel pezzo di manz- uhm, di quel caro ragazzo che è Ander e diviene fumo tra le sue fiamme?

Sì, è vero, il ghiaccio secco è in realtà anidride carbonica, ma insomma, dettagli! E comunque se non c'è ossigeno il fuoco non può alimentarsi, quindi ce lo facciamo andar bene :p

Comunque... finalmente ce l'ha fatta a limonarselo a dovere –brava Hilda, sei in tutti noi! Ander stava soffrendo fin troppo a tenere le mani a posto, ma l'ho tenuto buono per questo momento ahahaha

Che dire, ci aggiorniamo venerdì, intanto fatemi sapere cosa ne pensate e come sempre mi trovate su instagram (flyerthanwind_) per due chiacchiere e qualche estratto!

Luna Freya Nives

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