XX. Cristallo

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Ander mi ha baciato.

Queste le uniche quattro parole che mi vorticano in testa da quel momento. Si annidano negli oscuri meandri del mio cervello e lo avvolgono con nastri nocciola e miele, addolcendo i miei pensieri e facendomi palpitare il cuore.

Forse non dovrei dire così, non dovrei scaricare la colpa su di lui.

Ander mi ha baciato. E io ho ricambiato.

Ho lambito le sue labbra e le ho mangiate come se ne andasse della mia vita. Mi sono avvinghiata a lui, arrampicandomi sui miei dubbi e scavalcando le mie reticenze, dimenticando gli spigoli aguzzi che ha stretto nel suo abbraccio.

Non ne abbiamo parlato, io ero troppo stravolta per dire alcunché e tutt'ora mi sento stordita. Quando chiudo gli occhi sento la melodia prodotta dal mare che fa da colonna sonora al nostro dondolio.

Mi ha guardata come si guarda il cristallo -prezioso e fragile- e mi sento davvero cristallo. Sento le crepe che partono dal basso e stanno per raggiungere la testa, non potrò più rifugiarmi nella mia mente per proteggermi se andrò in frantumi.

Vedo già i cocci della mia anima riversi sul pavimento, immersi in una pozza di sangue rovente e con gli spigoli smussati dalla caduta. Sento le schegge conficcarsi sotto la pelle, nelle vene, macchiarsi di sangue glaciale e intorpidirmi le membra.

Sangue rosso come il vestito che Natalie mi ha fatto provare, praticamente chiudendomi nel camerino di quella che è forse la centesima boutique in cui mi ha costretto ad entrare. Ho dovuto comprarlo -ha minacciato di pagarlo lei stessa se non l'avessi preso- e adesso lo indosso davanti allo specchio di camera sua, lasciando che mi tratti con una bambola.

«Hilda ma... mi stai ascoltando?» domanda piccata, arrestandosi dietro di me mentre liscia la stoffa del suo vestito attillato sui fianchi.

«Sì» No. Sono distratta ultimamente, e solo perché ogni volta che sbatto le palpebre avverto le labbra di Ander posarsi delicatamente sulle mie.

«Ma che ti prende? Sei strana» sbuffa, alzando gli occhi al cielo. Non ho raccontato a nessuno ciò che successo quel pomeriggio a Wave Organ e deduco nemmeno lui. O se l'ha fatto Ben è un bravissimo attore, perché quando sono tornata a casa mi ha chiesto solamente se avessi passato una buona giornata a scuola, dopodiché si è dedicato alla tv.

«Nulla, è che non mi piace» tergiverso la sua domanda riportando l'attenzione sul vestito. Sul bellissimo vestito rosso troppo corto, troppo scollato e troppo attillato.

«Non dire idiozie, ti sta d'incanto» mi bacchetta riprendendo ad arricciare i miei capelli.

Quando Veronica ha annunciato che avrebbe organizzato un'altra festa a casa sua, Natalie ha insistito affinché facessimo shopping insieme in quanto, dopo una rapida occhiata al mio guardaroba, ha sancito che nessuno dei miei abiti è adatto per dislocare la mascella di quell'arpia e aprire un cratere che la conduca direttamente al centro della terra.

«Non mi sento a mio agio» mi lamento ancora mentre lei sistema i boccoli già finiti sulle spalle.

È un bel vestito ma non è nel mio stile. La gonna è corta, termina troppo sopra il ginocchio ossuto, e ho le cosce completamente scoperte –no, le calze non contano. È attillato, evidenzia le braccia sottili e i gomiti spigolosi, le scapole aguzze e i fianchi sporgenti. Ed è scollato, tremendamente scollato: avvolge le spalle e si apre sul petto, comprendo solamente il seno e i due lembi di stoffa si ricongiungono poco sopra l'ombelico.

Ovviamente non mi ha fatto indossare il reggiseno perché si sarebbe visto, «Meglio con lo sterno completamente scoperto, anzi ci mettiamo anche una linea di brillantini». Non mi spiego come ha fatto a convincermi, deve avermi drogato perché nel pieno delle mie facoltà non avrei acconsentito a lasciarle attaccare dei brillantini sul mio petto.

«Hai portato i tacchi?» domanda ignorando le mie lamentele. Rovista nella mia sacca e ne estrae un paio di ballerine leggermente rialzate.

Sbuffa, fissandomi con sguardo accusatorio mentre io tento di rimpicciolirmi sul posto. Esce dalla stanza e rientra pochi istanti dopo con un paio di decolté nere lucide.

«Mi andranno enormi» dico storcendo il naso osservando i suoi piedi lunghi.

«Sono un 37, erano di mia madre» liquida le mie affermazioni facendomele indossare. Mi sento alta anche se non arrivo comunque oltre il metro e sessantacinque e mi piace.

«Non è un problema prestarmele?» chiedo in un sussurro. Natalie non ha mai parlato di sua madre e non ho mai visto una donna in casa con lei e Greg.

«Figurati! Papà mette tutte le sue cose in un sacco ogni tre mesi ma poi non ha mai il coraggio di buttarle» confessa abbassando lo sguardo.

Siamo più simili di quanto sembriamo, io e Natalie. Noi fuggiamo, ostentiamo forza e ci mostriamo imperturbabili, ma in realtà siamo fragili come il cristallo. Il suo cuore è già in frantumi e il suo comportamento è lo specchio del malessere che ha dentro, prodotto di quelle schegge che lacerano la pelle e aprono ferite in cui il sangue ormai era rappreso.

Non accenno a fare domande perché non voglio essere indiscreta, anche se la curiosità mi consuma le membra. Non c'è nemmeno una foto di famiglia in questa casa, non una cornice nel corridoio o un vecchio disegno appeso sul frigo. Persino sul citofono sono presenti solo i nomi di Greg e Natalie.

«Lei se n'è andata diversi anni fa» spiega con mani tremanti. Non l'ho mai vista in questo stato, adesso è davvero fragile come il cristallo e io temo che, qualsiasi cosa dica o faccia, non riuscirei ad arrestare le crepe che la stanno dilaniando.

E non c'è bisogno di domandare, dalla sua reazione comprendo che se n'è andata volontariamente. Natalie non è triste, non ha gli occhi lucidi velati dal dolore e non è scossa dai tremiti. È arrabbiata, ma di una rabbia condita di abbandono.

Rimaniamo in silenzio per un po', lei a raccogliere i cocci del suo cuore e io a contare le mie crepe, pregando che non siano abbastanza da mandarmi in frantumi. Perché io non ho il coraggio di Natalie, non riuscirei a raccogliere le schegge dal pavimento ma preferirei annegare nel mio sangue lasciando che i frammenti di ciò che sono stata mi pungano la pelle.

«Sei uno schianto» afferma a un certo punto, ritrovando il sorriso, «Veronica si mangerà le mani... e pure Ander» scherza colpendomi una spalla.

Lei non sa, non lo sa. E allora perché mi sento avvampare mentre il suo sguardo da divertito diviene curioso e poi consapevole?

«Hilda Kofler Berger» mi richiama, puntandomi un dito sul petto scoperto, spingendo i brillantini più a fondo sulla mia cassa toracica, «Che mi nascondi?».

Ho negato. Ho scosso la testa, accusato Natalie di essere impazzita e sbattuto i piedi per terra come una bambina, ottenendo come unico risultato quello di insospettirla. Mi ha fissato con quei suoi occhi azzurri affilati e le sopracciglia sollevate finché sono capitolata.

«Anlermhabcto» dico tutto d'un fiato pur di farla smettere. È dannatamente inquietante, persino più di Loren quando si avvicina lentamente fissandoti dal basso.

«Cosa?!» domanda, storcendo il naso.

Sospiro, chiudo gli occhi e raccolgo l'ultimo briciolo di coraggio che deve essermi rimasto per esalare: «Ander mi ha baciato».

Natalie sbatte le palpebre un paio di volte, valutando le mie parole. Vorrei dirle che è tutto uno scherzo ma purtroppo non è così, e adesso lo sta comprendendo anche lei.

«AAAAAAAHHH» urla, aprendo le braccia e facendole scattare verso l'alto. Mi fissa con occhi sgranati mentre io indietreggio, timorosa che il suo entusiasmo possa contagiarmi.

Dei passi concitati si affrettano nel corridoio, poi Greg fa la sua comparsa in camera.

«Che è successo? Perché urlate? Vi siete fatte male?» domanda tutto trafelato osservando me e la figlia vestite di tutto punto, acconciate e truccate ma soprattutto integre.

«Sì, tutto bene» mi affretto a rispondere prima che Natalie possa dire a suo padre che ho baciato Ander. In effetti non mi sorprenderei troppo se la trovassi ad affiggere manifesti in tutta città visto il suo eccessivo entusiasmo.

«Ander ti ha baciata» ripete con voce più controllata dopo qualche istante, quando per fortuna il padre è ormai lontano e non può udire i miei lamenti sconsolati.

«Ti prego non dirlo a nessuno» biascico con cipiglio corrucciato. Non avrei dovuto dirglielo, non perché non mi fidi di Natalie ma perché non è qualcosa che riguarda solamente me, Ander ne è invischiato fino alla punta dei capelli.

«Ma tu hai ricambiato?» ignora le mie richieste, tornando a scrutarmi con occhi curiosi. Loren non ha gli occhi azzurri, per questo è meno inquietante quando fissa in questo modo.

«Mmhpfi» biascico, torturandomi le mani. Continuo a guardare la punta delle scarpe con aria interessata pur di evitare il suo sguardo.

«AAAHH» urla di nuovo, questa volta modulando la voce. Il suono che ne esce è comunque molto acuto, ma perlomeno stavolta Greg non corre in nostro soccorso terrorizzato.

«Ti prego non dirlo a nessuno» le chiedo di nuovo con voce supplicante. Ho gli occhi socchiusi e le sopracciglia aggrottate in un'espressione laconica nella speranza che possa darmi ascolto

«Sta' tranquilla, honey, non lo dirò a nessuno» mi rassicura con un sorriso sincero. Deglutisco un gruppo di saliva bloccato in gola e sospiro per l'ennesima volta.

«Stasera lo farai impazzire» batte le mani come una bambina, saltellando sul posto e biasciando parole a caso come una ragazzina di fronte alla sua prima cotta.

Invece sono io quella ragazzina, sono io l'inesperta che prima d'ora non aveva mai baciato nessuno, a cui nessuno aveva carezzato le guance, che non aveva mai abbracciato il ragazzo che le piace. Mi sento piccola e incapace tra le braccia di Ander, lui che sembra così consapevole delle sue azioni, con le sue spalle larghe da giovane uomo, il sorriso irriverente da perenne Peter Pan e gli occhi dolci da bambino.

Sono cristallo nelle sue mani e attendo solo il momento in cui andrò in frantumi.

∽✵∼

La festa è noiosa. Veronica non ha fatto trapelare la notizia per cui non c'è mezza scuola nel suo giardino ma solo qualche dozzina di persone, tra cui noi.

Io e Natalie siamo passate a prendere Loren e Jonas mentre Ben e Ander sono venuti in auto con Aaron. Lara Jin era già qui con Mike e sua sorella Kate, l'amica di Veronica.

Mi sono guardata bene dall'entrare in casa anche se ci sono molte meno persone dell'ultima volta, non voglio rischiare che tutto quel bianco mi faccia crollare di nuovo. Nell'ultimo periodo non mi sento più trasparente, la nitidezza persiste ma avverto una punta di colore nel mio limpido pallore.

Ho preferito accomodarmi su una delle sedie d'acciaio sotto al gazebo fisso all'angolo del giardino. Per fortuna questa sera non fa particolarmente freddo e non c'è il vento, anche se il cappotto è comunque necessario per ripararsi dalla nebbiolina che scende ogni notte e avvolge la città nel suo candore.

«Hey, mamacita» mi saluta Ander, prendendo posto accanto a me. Sorrido di rimando e mi sento avvampare a quell'appellativo. Sull'isola c'era un mio compagno di classe che era fissato con l'omonima canzone di Travis Scott, così una volta avevo cercato il significato della parola: termine vezzeggiativo per indicare qualcuno di sensuale e attraente.

«Davvero, Dudi? Non sai fare di meglio?» Natalie si materializza al nostro fianco in pochi istanti con due bicchieri di birra. Me ne porge e uno e si porta l'altro alle labbra, fa un lungo sorso e poi prosegue: «Asciugati la bocca, ti sta colando un rivolo di bava».

Tossisco animatamente a quelle parole, anche se preferirei di gran lunga soffocare per non dover affrontare Ander quando Natalie sparisce con la stessa velocità con cui è apparsa pochi istanti fa, lasciandoci di nuovo soli.

Mi fiondo sul bicchiere con entrambe le mani pur di tenermi impegnata in un'attività che mi coinvolga il più possibile e mi impedisca di osservare Ander. Da sotto le ciglia noto solo le gambe fasciate nei jeans scuri che si muovono ritmicamente.

«L'hai detto a Natalie?» domanda a un certo punto, e non c'è bisogno che specifichi di cosa si tratta perché lo comprendo benissimo.

Tossisco di nuovo, questa volta sputacchiando birra e innaffiando il giardino, voltandomi per non farmi vedere da Ander. Sono arrossita di nuovo, adesso le mie guance saranno di un allegro color corallo e non voglio che mi veda così.

«Conoscendola potrebbe anche averlo capito da sola... o averti torturata» ridacchia tra sé e sé mentre io mi ostino a dargli le spalle, «Però le stai simpatica, quindi deduco che non ti abbia fatto del male».

Rimane in silenzio un paio di istanti, gli unici suoni che giungono alle nostre orecchie sono la musica ovattata e il vociare confuso degli altri ospiti. Non lo sento alzarsi né avvicinarsi a me, per cui sussulto quando mi posa con delicatezza una mano sulla spalla.

«Hilda...» dice in un sussurro, prendendomi il mento con l'altra mano e costringendomi a voltarmi. Indugia qualche istante sul mio viso pallido, «Dovremmo parlare» conclude, fissando i suoi occhi nei miei -nocciole su cristallo.

E io vado in frantumi.

L'ho già detto che amo i cliffhanger? È più forte di me, non ce la faccio proprio ahahaha

Purtroppo non posso promettere che il prossimo capitolo arriverà già martedì perché ho un esame a breve e non riesco proprio a revisionare, ma vi assicuro che varrà la pena aspettare 😈 A buon intenditor, poche parole 😇

Luna Freya Nives

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