XXXI. La battaglia delle rose

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Silenzio. Questa è l'unica cosa che recepisco dopo aver aperto gli occhi. C'è un silenzio innaturale in questo corridoio.

Gli schiamazzi della mensa giungono alle mie orecchie ovattati al punto da farmi domandare se esistano davvero o se sia tutto frutto della mia immaginazione. Esiste la mensa? C'è gente che in essa sta consumando il proprio pasto?

Non lo so, non so più niente da quando Ander si è allontanato da me. Per lo meno il mio corpo non è collassato, sono riuscita a sbrogliare il groviglio in cui si erano accartocciati i miei organi interni e il sangue ha ripreso a fluire ovunque.

Veronica è qui, davanti a noi, e fronteggia Ander con un sorriso tronfio che non le si addice. Crede di essere vincitrice, ma qui ci sono solo vinti e lei dovrebbe saperlo bene.

Nella sfida tra lei e Ander ne sono usciti entrambi vinti – l'una smascherata dei suoi sentimenti falsi e l'altro oppresso dai suoi sentimenti veri.

Nella sfida tra me e Ander ne usciremo entrambi vinti – l'una schiacciata dalle convinzioni e l'altro arreso all'impossibilità del divenire.

Dopo quel suo esordio così malevolo Ander si è staccato da me, parandomisi davanti come avrebbe fatto se al mio posto ci fosse stata Lucrecia. Adesso sta proteggendo anche me da Veronica, ma io non ne ho bisogno.

Se c'è lei nelle vicinanze io voglio supportarlo, finanche se pochi istanti prima lo stavo allontanando malamente da me, intimorita dalle sensazioni che provo in sua presenza.

Perché sì, io ho davvero paura di Ander e del modo in cui mi fa sentire quando i suoi occhi scrutano il mio corpo e le sue mani bramano la mia pelle; temo le sue labbra che lambiscono le mie e la sua bocca che anela il mio respiro.

Un timore differente da quello avvertito mentre in mensa sbandierava a tutti ciò che eravamo stati, che in realtà era più un fastidio insidioso che sfrigolava sotto la pelle, attenuato dalla consapevolezza che non avrebbe mai rivelato la nostra intimità con quella leggerezza, pena la perdita della mia fiducia per l'eternità.

Eppure, la vicinanza di Veronica fa squillare in me una serie di campanelli d'allarme il cui suono cadenzato scaccia ogni scrupolo nei confronti di Ander per catalizzare la mia apprensione su di lei.

Lei, luminosi capelli bruni che le incorniciano il volto; lei, occhi grandi che paiono scovare le debolezze altrui; lei, sorriso tronfio che deturpa i lineamenti.

Lei, lupo che ringhia; lei, rosa che affascina; lei, strega che irretisce.

«C'è voluto poco, meno di quanto sperassi in realtà» sputa velenosa, spostando lo sguardo dalla figura di Ander per posarlo su di me. Sorride, sorride sempre.

E mi chiedo cos'abbia da sorridere quando Ander sembra sul punto di esplodere. Ander, pelle caramello e spalle larghe; Ander, fossette e sorrisi irriverenti; Ander, occhi furbi nocciola e miele.

«Veronica... che diavolo vuoi?» le domanda in un ringhio, un suono gutturale e tetro che la fa sussultare, incredula. Evidentemente non si è mai rivolto a lei in questi toni, ma finora non aveva la forza necessaria per giocarsi il tutto per tutto.

Adesso è pronto, sta per combattere l'ultima battaglia e vuole uscirne vincitore a tutti i costi – finanche rinunciando a pezzi di sé, lasciando che gli aculei riducano la sua anima in brandelli.

«Nulla» soffia appena, aprendosi in un ghigno sardonico e mostrando i suoi affilati denti da lupo, pronti a ghermire la preda e squartarla. «Mi chiedevo solamente quand'è che io e te potessimo finalmente parlare, da soli» aggiunge infine, scoccandomi l'ennesima occhiata.

«Non abbiamo nulla da dirci» replica immediatamente Ander, anche se colto alla sprovvista dalla sua bizzarra richiesta non lo dà a vedere. Non vuole parlarle, gliel'ha detto diverse volte, eppure lei continua a insistere, lancia incantesimi e spera che vadano a segno.

«Secondo me sì» pronuncia con voce melliflua, inclinando il capo per guardare il ragazzo da sotto le folte ciglia scure. Sbatte le palpebre con casualità, avvicinandosi di un passo e sfiorando con le unghie smaltate di rosso il braccio di Ander, compiacendosi della pelle d'oca che gli rizza la peluria e del respiro spezzato in gola.

Io, invece, mi compiaccio dell'autocontrollo che esercito per non saltarle al collo e azzannarla come il lupo che è lei, dopo averle strappato tutti gli aculei delle rosa che è stata, prima che possa divenire strega e scagliarli su di me come pioggia.

Le mie viscere si accartocciano di nuovo a quella visione, ma questa volta il respiro mozzato non è imputabile alla vicinanza di Ander. Adesso ardo di ghiaccio, l'acqua che mi anima si è congelata e sta distruggendo il mio corpo, organo dopo organo.

Lo stomaco si contrae, serrando in gola il groppo e impedendomi di deglutire; i polmoni si sfaldano sotto i fendenti del ghiaccio; l'intestino si sbroglia dal suo intreccio fisiologico, annegando nel liquido che scorre in me.

E il cuore... corre. Pulsa, si arresta, riprende, si blocca. Manca battiti e pompa sangue.

Faccio un passo in avanti, stagliandomi al fianco di Ander. I sentimenti di pancia mi sono piombati addosso come una pioggia di acqua gelata, ridestandomi dal mio torpore familiare. Se non sono io a scuotere Ander, chi lo farà? Se non sono io a concedergli un appiglio, chi glielo donerà? Se non sono io a rimanergli accanto, chi ci sarà?

Non Veronica, questo è certo. Non Veronica che fa saettare lo sguardo su di me, investendomi con una pioggia di fulmini; non Veronica che pare immobilizzarsi alla nostra vicinanza; non Veronica che ha il respiro accelerato mentre nota l'ascendente che io esercito su Ander.

Un ascendente a cui lui si piega, affidandomi il controllo dei suoi movimenti; da cui si lascia plasmare senza remore, concedendomi la padronanza dei suoi pensieri; di cui si fida come non si è mai fidato di lei, a cui non si è mai lasciato andare fino in fondo.

«Tu dovresti starne fuori» si rivolge direttamente a me, la sua voce incrinata tradisce il fastidio che le provoca la visione di me e Ander così vicini, così uniti.

«Perché?» spiccico finalmente parola, deglutendo assieme alla saliva il malessere che mi attanaglia le viscere.

Veronica respira, chiude gli occhi, serra la mascella. Ogni sua azione denota l'irritazione crescente che le sto provocando.

«Perché non ti riguarda» sbuffa, mordendosi le labbra per poi abbassarsi leggermente alla mia altezza per potermi guardare negli occhi.

Ho sempre creduto d'essere bassa, invece a San Francisco mi sono resa conto che avevo solamente pochi termini di paragone. Qui ci sono persone molto più basse di me a cui non importa minimamente della loro scarsa altezza, che se ne disinteressano.

Anch'io ho imparato a farlo, incurante delle differenze che spesso noto con i miei coetanei, ma questa volta li percepisco tutti quei centimetri che separano me e Veronica, quella manciata di ossa, muscoli e tendini che mi avrebbero decisamente fatto comodo.

«Vattene» prorompe con un falso sorriso cortese. «Vattene prima che cambi idea e decida di farti andare via io, rispedendoti da dove sei venuta.»

Rimango impassibile, non voglio darle la parvenza di avermi scosso anche se è così. In effetti è un eufemismo, data la battaglia che si è scatenata nel mio ventre, combattuta tra l'istinto di fuggire a gambe levate e il desiderio di farle provare dolore.

«Stai esagerando» interviene a quel punto Ander, comprese le mie intenzioni di rimanere impassibile e di non proferire parola. Temo che qualunque cosa io dica possa utilizzarla contro di me poiché non sono del tutto padrona delle mie parole.

«Smettila di difenderla!» ribatte lei piccata, sbattendo il piede a terra in uno schiocco che risuona per il corridoio ancora deserto. Nemmeno i suoni della mensa si odono in questa bolla isolata in cui ci siamo rifugiati per non coinvolgere gli altri.

«E tu smettila di rivolgerti a lei in questo modo» è la sua pronta risposta, sporgendosi leggermente col busto in avanti per far valere le proprie affermazioni.

Veronica è meno brava di Ander a nascondere lo sconvolgimento: le sue labbra si schiudono mentre la fronte si aggrotta in un cipiglio contrariato.

«Non hai mai preso le mie difese con i tuoi amici...» biascica in un sussurro, talmente contrariata da aver esaurito persino le forze per attaccarlo.

«Evidentemente sapevo che avevano ragione, in fondo... nonostante fossi accecato dall'infatuazione per te» ormai Ander non si cura dei lineamenti del suo volto che si contraggono ad ogni parola, della sua espressione che muta e del suo corpo che si irrigidisce.

Sembra che l'unica cosa di cui gli importi sia io, sapere di avermi ancora al suo fianco. Tiene gli occhi fissi su Veronica ma il suo braccio – lo stesso su cui lei ha posato gli artigli – si piega per cercare il mio, le dita si avviticchiano sul mio polso, come a volerne tastare la consistenza, dopodiché si intrecciano e si stringono alle mie.

«I-infatuazione...?» adesso Veronica ha perso il suo atteggiamento austero. Pare fatta di cartapesta che si piega ad ogni nuova affermazione di Ander, lo sguardo è perso nella sua figura e le iridi lo fissano ma non sono più in grado di osservarlo.

Guarda Ander e non lo riconosce, constata di non esercitare più alcun potere su lui e non si capacita di come ciò sia potuto accadere.

E io mi beo di quella debolezza, sfrutto il suo cedimento per riacquisire forza e compostezza, per scacciare le sue insinuazioni dal mio corpo e riprenderne il controllo. Niente più visceri accartocciati, niente più polmoni sfaldati, niente più fendenti nel ventre.

Solo il cuore continua la sua maratona, una corsa contro il tempo per rincorrere pulsazioni e battiti mancati prima che l'ennesima ammissione di Ander ne provochi l'arresto.

«Sì, infatuazione, è questo quello che nutrivo nei tuoi confronti... E me ne rendo solo adesso che ho provato qualcosa di nuovo, di totalmente diverso e libero» sorride Ander, sincero.

«Tu hai pilotato persino i miei sentimenti, dicendomi cosa dovevo e non dovevo sentire, mi hai irretito con i tuoi modi ammalianti e ci sono cascato come un pesce lesso... Ma l'amore non è questo. Amore è volersi sempre, non solo quando ti fa comodo e come più ti aggrada. È rincorrersi e trovarsi. È fermarsi e aspettarsi» termina mentre la ragazza di fronte a lui sembra sul punto di spezzarsi.

Per alcuni istanti si odono solo i nostri respiri: quello di Veronica, accelerato a causa di quell'evidenza di cui non ha mai voluto farsi capace; quello di Ander, regolare al termine di una confessione che aspettava di fare da tempo; il mio, mozzato, interrottosi quando lui ha iniziato a parlare a cuore aperto.

«Io e Hilda non stiamo insieme e beh... probabilmente non ci staremo mai» soffia infine, un ultimo alito di anima che fuoriesce dalle sue labbra, «ma preferisco di gran lunga soffrire standole accanto piuttosto che tornare insieme a te ed essere condannato all'infelicità eterna» chiosa, lasciando la mia mano mentre Veronica cerca di ricomporsi, dandosi un tono.

Soffrire... vicino... libero.

Le parole di Ander mi rimbombano nella testa, imprimendosi nel cervello e tra le ossa del cranio. Non abbandoneranno mai i miei pensieri, cucite assieme alle meningi all'interno del capo, lì dove saranno razionalizzate, accettate... internalizzate.

Lì dove potrò rimuginarci, perdermi tra i ringhi di belve che sussurrano e se dai cui denti aguzzi sgorgano rimpianti come stille insanguinate.

Veronica è impassibile, ha ripreso a respirare regolarmente e ci scruta senza più il sorriso tronfio con cui ci ha sorpreso. I suoi lineamenti sono tesi ma non rigidi, gli occhi grandi appaiono spenti e persino i suoi capelli non sono più luminosi come al solito.

Non posso vedere Ander perché sono accanto a lui, ma percepisco il suo braccio immobile e deduco sia un intero fascio di nervi, irrigidito dalla reazione inaspettata di Veronica. Ha il capo ritto e il portamento fiero, ma lo conosco abbastanza da sapere che, nonostante tutto, non avrebbe voluto darle questo dolore.

«Io... Non... Tu...» biascica lei, incapace di replicare.

La rosa è appassita, si è spenta, trafitta dai suoi stessi aculei. Ha finalmente compreso la sua debolezza, la facilità con cui può essere colta da chiunque non tema di essere punto. Ander si è fatto pungere, i suoi aculei gli hanno graffiato la pelle e sta ancora grondando sangue, ma adesso la rosa non esercita più alcun potere su di lui, che è divenuto immune alla sua malia.

«Non fartelo scappare» soffia infine Veronica, posando per un istante lo sguardo su di me. Sorride con occhi spenti, guardandoci finalmente con mestizia. Infine, si volta e se ne va, lasciandoci lì inermi di fronte a quella reazione così placida.

Ander respira rumorosamente quando lei volta l'angolo, ormai certo che non tornerà indietro. Inarca la schiena in avanti e piega il busto per inspirare più aria. È sconvolto almeno quanto Veronica, ma ha avuto la prontezza di non farglielo notare.

Finalmente mi volto verso di lui, carezzando i suoi polsi con le mie dita sottili e soffermandomi a solleticare le vene bluastre sul versante palmare che risalgono lungo le braccia. Le seguo con le dita, carezzando la cute con delicatezza e beandomi della regolarità che riacquista il suo respiro al mio tocco.

«Grazie» sussurra infine Ander, abbassando il capo per sfiorare il mio con la fronte e attirandomi a sé, circondando la schiena con le sue mani.

È un abbraccio caldo, familiare, che non ha secondi fini.

E quindi passo le mani sul suo dorso, carezzandogli la schiena e lasciando scorrere le dita lungo le sporgenze della colonna vertebrale.

È un abbraccio di cui lui ha bisogno e che io non mi sento di negare.

E quindi lo stringo.

Non avete idea della liberazione che sto provando in questo momento... questo capitolo si era pensato da solo, ma scriverlo... beh, è stato difficile! Spero di essere riuscita a rendere al meglio questa resa dei conti e a far trapelare i sentimenti di ognuno. 🦋

Insomma, che ve ne pare? Pare sia davvero finita con Veronica... Ormai avete capito che tipo è, contenti di esservi liberati di lei? 🙊

E che mi dite di Hilda e Ander? Chiariranno? L'hanno già fatto? Le cose saranno più semplici adesso?

Si ascoltano teorie 💅🏻

Luna Freya Nives

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