XXXIV. Diamante

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Abbiamo impiegato un paio di ore per mettere in ordine la stanza di Natalie. I vestiti spiegazzati vengono riposti ordinatamente negli armadi, la scrivania riportata al suo posto, i cassetti di nuovo colmi degli oggetti che si trovavano nel pavimento. Abbiamo anche cambiato le lenzuola del letto, sostituendo quelle stoffe lilla con nuove coperte candide, ripescate da Greg in qualche anfratto della casa.

Lui ha preferito starne fuori, lasciando che Natalie sbollisse ancora la rabbia assieme alle sue amiche; infine ci ha portato tre tazze di cioccolata calda con panna, ha baciato la figlia sul capo e ha annunciato che sarebbe andato a dormire.

Pilucchiamo le tazze con tre sguardi assorti: Natalie ancora persa nei meandri della sua mente; Lara Jin praticamente dormiente, con le palpebre quasi completamente abbassate; io incredibilmente nervosa, avvertendo di nuovo quel senso di inutilità che mi lacera dall'interno.

Cosa si può fare per riparare il cristallo? Io sono cristallo, dovrei saperlo. E allora perché non scorgo analogie tra i frammenti dell'anima della ragazza accanto a me, china sulla tazza in una posa scomposta, e le schegge di me che ho perduto negli anni?

La calma viene improvvisamente interrotta dalla vibrazione del cellulare di Natalie, il cui schermo si illumina mostrando a caratteri cubitali un numero registrato sotto il nome di Mamma. L'ennesimo fremito la scuote, riportando a galla quei sentimenti che ha scacciato a fatica mentre le lacrime riprendono a zampillare dai suoi occhi.

La proprietaria afferra il cellulare in un impeto e lo getta con violenza alle sue spalle, facendolo atterrare sul letto dove le coperte ne attutiscono il suono.

«Vado a fare un giro in macchina per calmarmi» annuncia, alzandosi di scatto e facendo stridere la sedia sul pavimento.

Io e Lara Jin ci guardiamo un momento immobili, poi la seguiamo a ruota, quasi correndo dietro i suoi passi veloci. Afferra il cappotto all'ingresso prima di uscire sul pianerottolo, dove punta i suoi occhi azzurri, di nuovo rossi e gonfi, su di noi.

«Honey, tu stai praticamente dormendo in piedi, va' a casa» Natalie inclina il capo, indicando con un cenno l'androne delle scale che probabilmente conduce all'appartamento della mora.

Lara Jin tenta di protestare, ma quando le viene fatto notare che potrebbe collassare per le scale si rassegna a tornare a casa, non prima di essersi assicurata che Natalie le invii un messaggio quando rincasa.

Le due si salutano con un abbraccio, poi Lara Jin si avvia per un'altra rampa di scale mentre noi scendiamo i gradini a due a due, il ticchettio del portachiavi come unico suono ad accompagnarci.

In auto regna un silenzio innaturale per un tempo indefinito, la radio è spenta e Natalie si concentra sul suono dei suoi respiri, percorrendo la strada sgombra a lei ben nota a velocità moderata. Solo quando sembra aver ritrovato l'equilibrio interiore pare ricordarsi della mia presenza all'interno dell'abitacolo.

Volta il capo un solo istante per accertarsi che non stia dormendo, poi ritorna a fissare la strada e si schiarisce la voce per attirare la mia attenzione, come se in questo momento io possa davvero essere concentrata su qualcosa che non sia la ragazza al mio fianco.

«Allora... che sta succedendo tra te e Ander?»

Silenzio. Come potrei rispondere se non so nemmeno io cosa stia succedendo? Non lo so, vorrei solo che finisca presto perché il solo sentir pronunciare il suo nome è in grado di provocarmi spasmi nel basso ventre.

«E non dire "nulla" perché l'ho visto il modo in cui ti ha guardato prima di andare via» mi anticipa, parando le mani avanti e impedendomi di utilizzare l'unica scappatoia a me nota.

«Non succederà nulla» mi limito a rispondere, pensando in questo modo di porre finire a quello che aveva tutta l'aria di starsi tramutando in un interrogatorio.

«Che vuol dire non succederà nulla?» incalza invece Natalie, un cipiglio corrucciato a plasmarle i lineamenti. A ogni domanda sento il macigno sul petto appesantirsi, pressando sulla mia anima di cristallo. Temo che presto ci saranno le mie, di schegge, riverse a terra.

«Qualsiasi cosa ci sia stato, adesso non c'è più» dico in un sussurro. Mi rendo conto di essere enigmatica, ma davvero non voglio coinvolgerla più di quanto abbia già fatto da sola.

«Hilda, cosa c'è stato esattamente?» domanda curiosa, privando però le sue parole di quell'inflessione maliziosa che mi avrebbe fatto certamente sprofondare nel sedile, «So solo che vi siete baciati prima della festa di Veronica».

«E poi di nuovo alla festa» confesso, rammentando le sue mani ovunque sul mio corpo e il mio desiderio di eliminare quella stoffa per sentirlo addosso, «E poi una volta a casa...» avvampo, ma decido di non aggiungere altro. Non ho intenzione di raccontarle qualcosa di estremamente privato come ciò che è accaduto in camera, anche se in effetti già lo sa.

«Hilda! E quando avevi intenzione di dirmelo?!» mi rifila un sorrisetto di traverso, finalmente con gli occhi sgombri dalle lacrime. Per quanto possa farmi piacere che si concentri su di me, dimenticando seppur temporaneamente ciò da cui sta scappando, temo davvero di non riuscire a sopportare oltre.

«Finisce qui, non può andare avanti» taglio a corto, facendole spuntare uno sguardo interrogativo.

Non mi comprende, chi potrebbe, d'altra parte? Non ha idea di quanto io abbia impiegato a costruire la mia corazza, rifugiandomi nella prigione dorata da cui poi sono scappata. Lontana da casa ho testato la mia resistenza, scoprendomi molto più forte di quanto io mi sia sempre reputata, ma per quanto la mia gabbia sia resistente non può proteggere il cristallo, non è in grado.

«Cosa intendi dire? Ha fatto qualcosa che ti ha infastidito?» domanda apprensiva, timorosa che io possa aver frainteso qualche gesto di Ander.

Ah, se solo sapesse che in realtà ho fatto tutto da sola... Le mie stesse mani l'hanno cercato, tradendomi pur di avvicinarsi a lui, anelando ogni brandello della sua pelle, ogni bacio, ogni suo tocco che mi rende nulla più di cenere e fumo, ogni carezza che brucia.

Nego con il capo, traendo un profondo respiro prima di dire a voce alta ciò che ho sempre pensato, rifiutandomi di ammetterlo persino a me stessa. È tutto più semplice se i dubbi rimangono rintanati nella mia testa, perché non pronunciandoli non devo impegnarmi per trovarvi una soluzione.

«Io e Ander siamo troppo diversi. Mentirei se dicessi che quei baci non hanno significato nulla, ma preferisco troncare sul nascere piuttosto che rimanere scottata» e mentre lo dico mi rendo conto che sono già irrimediabilmente scottata, in ogni brandello della mia pelle lambito dalle sue labbra, ogni carezza lasciva sul corpo, ogni occhiata che mi ha incendiato dall'interno.

«Sai che questa scusa non regge, vero? È una grandissima stronzata» mi interrompe Natalie, le ciocche rosa che le ricadono sulle spalle e si muovono allo stesso ritmo con cui lei scuote vigorosamente il capo.

«Invece è così!» replico ostinata. «Non dureremmo due giorni perché abbiamo due visioni completamente diverse... E poi io a fine anno devo tornare a casa, non avrebbe senso instaurare un legame per poi doverlo recidere tra sei mesi.»

Natalie per tutta risposta ride, lasciandomi di stucco per quel suono così cristallino che sembra scuoterla dall'interno, riverberandosi sul petto fasciato dal cappotto. È bella quando ride - è bella sempre, ma felice un po' di più - e quasi dimentico che poche ore fa era accasciata scompostamente sul pavimento della sua stanza in preda ai singulti.

«I sentimenti non vanno trattati a compartimenti stagni, i legami non sono qualcosa che puoi decidere di formare o meno» inizia con voce melliflua, carezzando le parole con una dolcezza che pare stia riservando esclusivamente a me. «Al massimo puoi assecondarli, lasciarti trasportare... ma non avrai mai il loro completo controllo.»

Ha ragione, le emozioni non si possono governare, ho avuto modo di rendermene conto in più occasioni, quando i sentimenti di pancia hanno preso il sopravvento e mi hanno trascinata a picco, rendendomi completamente in balìa del cuore senza possibilità di reversione.

Natalie interpreta il mio silenzio come un invito a continuare, a illustrarmi la sua personale visione dell'amore che, ovviamente non avrei mai condiviso.

«Non puoi privarti della felicità solo per il timore di rimanere scottata, sono due facce della stessa medaglia e non avrebbero senso di esistere l'una senza l'altra. Non potresti conoscere la felicità se non avessi conosciuto l'afflizione» è l'ennesima stoccata che centra il bersaglio, distruggendo la gabbia in cui ho racchiuso il mio cuore.

Non ho più l'armatura, la mia anima di cristallo è completamente scoperta, proprio come la sua. Tuttavia, la sua è già in pezzi, frammenti scheggiati riattaccati malamente e posizionati al centro del petto o direttamente nel capo, dove si pensa possa trovarsi l'anima.

«Non esisterebbe l'amore senza il dolore e non puoi pensare di risparmiartelo allontanando Ander» termina infine, dandomi il tempo di assimilare le sue parole nel silenzio di cui necessito.

E temo davvero di non avere più speranze ormai, attendo solamente l'istante in cui lo scricchiolio che avverto nel petto si tramuti in uno squarcio, lacerando la mia anima di cristallo una volta per tutte. Ma non accade.

Il petto scricchiola ma regge, mi impedisce di andare in frantumi, ancora. Sono davvero più forte di quanto mi sia reputata o le parole di Natalie hanno meno potere di quanto sembri?

«Ormai è tardi comunque...» biascico, in un sussurro talmente flebile da non ritenerlo udibile. In effetti non sono certa di averlo pronunciato finché non noto la ragazza al mio fianco agitarsi sul sedile di guida.

«Che intendi dire?» domanda implacabile, accelerando i respiri come se ne andasse della sua stabilità.

Sospiro, rassegnata al fatto che, volente o nolente, sono costretta a raccontarle la conversazione di poche ore fa, poiché quell'affermazione enigmatica è sfuggita al mio controllo. O forse sono stati i neuroni del sistema enterico - di pancia - a parlare, consapevoli che, senza il loro zampino, non avrei mai raccontato a Natalie dell'ultimatum impostomi da Ander.

«Mi ha fatto chiaramente intendere che non farà un altro passo verso di me» confesso dopo un silenzio infinito carico di aspettative.

Natalie inchioda all'improvviso, causando un colpo di frusta che spinge entrambe in avanti verso il parabrezza. Per fortuna guidava velocità moderata ed entrambe indossiamo la cinta o saremmo state sbalzate, rischiando persino di travolgere qualcuno se la strada non fosse stata sgombra.

«E che cazzo stai facendo in questa macchina con me? Devi andare da lui. Adesso!» mi intima, e i suoi occhi ancora rossi e gonfi a causa del pianto appaiono quasi spiritati.

Mi sorprendo a boccheggiare diverse volte, incapace di respirare figurarsi articolare un discorso di senso compiuto. D'altronde Natalie non può dire sul serio, non mi sta davvero suggerendo di andare da Ander adesso, in piena notte, cosa dovrei dirgli non mi è poi del tutto chiaro.

No, impossibile, non posso farlo, non riuscirei a spiccicare parola perché di fatto non ho nulla da dire... e mi va bene così, mi è sempre andato bene così.

«Ti proibisco di condannarti all'infelicità solo perché avete una scadenza designata» dice, puntandomi addosso un dito e rivolgendo a me la sua completa attenzione mentre la strada per fortuna è sgombra.

«Adesso ti porto da Ander e vedete di chiarire questa situazione una volta per tutte, se non volete che mi impicci» sancisce, innescando la marcia e riprendendo a guidare diretto a casa Dudiez-Ortega.

A questo punto non ho davvero più dubbi, non posso far altro che andare in frantumi, e a ogni metro macinato con l'auto avverto una pressione maggiore, uno scricchiolio sinistro che mi avverte di andarci piano perché sono vicina al punto di rottura.

Eppure, questa rottura non sopraggiunge. Non mi sorprende quando Natalie accelera, finalmente guidando con una meta precisa, e inizia a blaterale qualcosa sul fatto che sono un'idiota e ogni tanto dovrei staccare il cervello. Non sovviene quando la mia amica praticamente mi spinge fuori dalla sua auto, costringendomi a barcollare un po' prima di ritrovare l'equilibrio, e mi minaccia con un dito puntato. Non mi investe quando mi ritrovo davanti la porticina laterale del seminterrato di Ander, una mano chiusa a pugno sollevata a mezz'aria e l'altra abbandonata lungo il fianco.

Mi volto verso Natalie, la quale mi scruta dal parcheggio in cui è appostata, in attesa, cercando nelle sue iridi finalmente brillanti quel coraggio che non credo di avere.

«Non hai scampo, aspetto qui finché non ti apre.»

Inizio a bussare contro quella porta con delicatezza, in maniera così lieve che nemmeno che se fosse stato sveglio avrebbe potuto sentirmi. Avverto degli scricchiolii sconquassarmi il petto ma si placano quando, sotto lo sguardo vigile di Natalie, aumento la forza.

Adesso sono i cardini a scricchiolare, non più il mio corpo. I visceri si aggrovigliano al pensiero di ciò che sto facendo - una pazzia, non conosco un altro modo per definirla - eppure ogni pulsazione del cuore mi infonde nuovo coraggio, ogni contrazione dei polmoni mi dona una forza inaudita, ogni brivido che mi agita mi regala adrenalina.

Acquisto una nuova consapevolezza, una cognizione di causa che mai avrei pensato di raggiungere. Ho sempre creduto d'essere tersa, trasparente, invisibile, e poi Ander mi ha definito diafana. Mi sono sempre paragonata al cristallo: fragile, delicata; Ander mi ha fatto sentire anche preziosa come il cristallo.

Eppure, mentre i passi concitati si susseguono dietro la porticina da cui io non accenno a staccarmi, comprendo che non sono mai stata davvero cristallo. Io non fuggo più, sono forte in battaglia, e quando finalmente la porta si apre, rivelando la figura di Ander ancora avvolta dal sonno - una mano tra i capelli e l'altra a strofinarsi gli occhi socchiusi - comprendo che definirmi cristallo è l'errore di valutazione più grave che io abbia mai commesso.

«Hilda... che ci fai qui?»

Ho sempre creduto d'essere cristallo... E invece sono diamante.

Una considerazione importante, quella di Hilda... d'altronde il cristallo e il diamante sono in apparenza simili, ma in realtà uno è fragile e l'altro estremamente resistente.

È cresciuta la nostra ragazza, ormai inizia a capire cosa vuole e, soprattutto, fa ciò di cui necessita per averlo. Quasi mi chiedo come sia possibile se penso alla ragazza che è atterrata a SF cinque mesi prima... Spero che il suo cambiamento sia percepibile!

A questo punto bisogna solo chiedersi: come reagirà Ander? Beh, lo scoprirete martedì 💅🏻

Luna Freya Nives

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