XXXV. Ferro

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La figura che mi si para davanti è quanto di più bello io abbia mai visto.

Ander ha gli occhi socchiusi – le palpebre pesanti faticano a rimanere alzate – e se li puntella con il dorso di una mano. L'altra, invece, è persa nella chioma corvina di ricci, completamente spettinata e appiattita su un lato.

Indossa un pigiama sui toni del grigio e mi scruta da sotto le folte ciglia, come per valutare se io sia reale o solo un'allucinazione. Prima che possa decidere che non sono altro che un sogno – un incubo magari, uno scherzo malevolo della sua coscienza – poggio una mano sul suo petto e lo spingo delicatamente all'interno della sua stanza, chiudendomi la porta alle spalle.

Finora non mi ero accorta di quanto freddo si percepisse all'esterno, ma il calore della stanza di Ander mi avvolge come una coltre di fumo, senza però quell'odore sgradevole. La camera è buia, solo le stelle attaccate al soffitto regalano una flebile luce che permette a malapena di distinguere le nostre figure.

«Hilda... Che ci fai qui?» domanda quando pare aver deciso che non posso essere un'allucinazione. Sbatte le palpebre ancora un paio di volte prima di mettermi definitivamente a fuoco, infine raggiunge l'interruttore accanto alle scale.

«Che ore sono?» continua mentre io persisto nel mio mutismo. All'improvviso tutto il coraggio è scemato, non so più cosa ci faccio qui e perché non sono ancora scappata a gambe levate.

«È notte fonda, lo so» tento infine di giustificarmi, «Ho cercato di dire a Natalie che era una pessima idea, ma non ha voluto sentire ragion-»

«Aspetta, che?! Natalie? Dov'è?» mi interrompe allarmato, dirigendosi a passi concitati verso la porta, trattenendo il respiro pensando di trovare la sua amica lì fuori.

«È tornata a casa, mi manda un messaggio appena arriva» spiego, sollevando il telefono che stringo tra le dita in attesa di quella comunicazione.

«Che ci fai qui?» domanda ancora, questa volta inchiodandomi al centro della stanza con quelle sue iridi nocciola, frenando sul nascere qualsiasi tentativo di darmela a gambe.

Che ci faccio qui? La verità è che non lo so nemmeno io cosa ci faccio qui, non so perché ho lasciato che Natalie mi portasse qui con la forza, non so perché mi sono fatta trascinare dal suo entusiasmo e non so assolutamente cosa dire al ragazzo di fronte a me, che attende una risposta con le braccia incrociate al petto.

«Hilda, tutto bene? Dov'è Benjamin?» dal tono della sua voce comprendo che inizia a preoccuparsi, per cui convengo che non sia il caso di persistere nel mio mutismo se non voglio che gli venga un infarto.

Devo armarmi di quel coraggio che ho mostrato aggrappandomi alla porta e parlargli a cuore aperto, anche se non ho idea di come si faccia.

«Ben è a casa, io avrei dovuto dormire da Lara Jin, ma poi... beh... Io e Natalie eravamo in macchina, stavamo parlando e mi ha fatto un bel discorso sui sentimenti e quindi... sono finita qui» cerco di riassumere la situazione, notando come ad ogni frase il suo sopracciglio salga sempre di più.

La suoneria del mio cellullare ci distrae per un momento, lo schermo illuminato annuncia che Natalie è giunta a casa sana e salva e mi incita a fare ciò sento, non ciò che penso di dover fare.

«Che sta succedendo?» domanda Ander, abbandonandosi a un lungo sospiro di frustrazione mentre prende posto sul divano, accasciandosi su di esso senza grazia alcuna.

Deglutisco a vuoto un paio di volte, incapace persino di respirare quando, dopo aver annullato i filtri del mio cervello, vedo Ander esattamente come chiede il mio cuore.

«Ti devo parlare» annuncio più a me stessa che a lui, poiché se non l'avessi detto ad alta voce probabilmente avrei trovato l'ennesima scusa e me la sarei svignata, questa volta sul serio.

«Ti ascolto» risponde semplicemente, allargando le braccia per invitarmi a prendere posto sul divano.

Lo stesso divano da cui io sono fuggita, lo stesso divano da cui lui mi ha rincorso ancora, lo stesso divano dove l'ho baciato promettendo che sarei rimasta. Quanto sarebbe sottile l'ironia se adesso fosse lui ad allontanarmi, intimandomi che è troppo tardi?

Ander mi osserva in silenzio mentre io raccolgo le idee, incerta sulle parole da utilizzare, sull'intonazione con cui pronunciarle, sui gesti con cui accompagnarle. Incerta su dove guardare, dove puntare i miei occhi mentre parlo per la prima volta a cuore aperto.

E se lo stomaco è il cuore di chi ha il cuore congelato, decido finalmente di lasciare il controllo alla pancia, perdendomi in balia di questi sentimenti da cui spesso rifuggo poiché li ritengo onde indomabili, ma che sono il porto sicuro in cui attraccare per far breccia nel suo cuore.

«Non sono brava coi sentimenti, non li comprendo e non li so provare. Fuggo da tutto ciò che non è razionale e ho paura di tutto ciò che non riesco a controllare» esordisco, rispondendo finalmente alle due domande che mi ha posto nella cucina di casa Perkins.

Sono visibilmente agitata e ho difficoltà a continuare, per cui Ander mi afferra le mani tra le sue, disegnando ghirigori invisibili sui miei palmi con l'obiettivo di calmarmi. Tuttavia, ottiene l'effetto contrario perché il suo tocco per me è scossa elettrica che mette tutto in movimento, è brivido di adrenalina, è fuoco che arde e scoppietta e si alimenta di me.

Ritraggo immediatamente le mani, cercando di non soffermarmi sulla smorfia di delusione che ho notato dipingersi sul suo volto. Ho bisogno del mio spazio se voglio concludere questo discorso.

«Tu una persona bellissima, non solo nell'aspetto. Sei sensibile, intelligente, passionale, divertente, romantico, spiritoso, irriverente... Sei bello, sei incredibilmente bello» confesso, riuscendo così a strappargli quell'espressione contrita per vedere un accenno di sorriso.

Eppure, non si azzarda a fare altro, rimane immobile nella sua posizione, se anche stia gongolando non lo dà a vedere perché si aspetta che ci sia un ma. Invece i ma li ho abbandonati insieme agli e se, decidendo per una volta nella vita di concentrarmi esclusivamente sul presente, tralasciando il passato e rimandando il futuro.

«Quando sono con te mi sento bruciare dall'interno, ogni volta che mi sfiori divampa un fuoco nel mio petto che mi irretisce i sensi e inebria tutto ciò che c'è di logico e controllato. Il mio corpo risponde solo a te, come se fossi una calamita e io una dannatissima bacchetta di ferro. Non posso resisterti, il mio destino è segnato, inesorabile... So di non avere scampo, per questo sono qui» spero che riesca a seguire il filo logico dei miei pensieri perché non saprei spiegarlo in altro modo e temo che, dopo averlo detto una volta, non avrei abbastanza coraggio da ripeterlo ancora.

Finalmente alzo lo sguardo, puntando gli occhi nei suoi e scoprendo le sue iridi nocciola luccicare di un sentimento inedito. È piacevole ritenersi causa di una luce così brillante, che illumina il suo viso e si irradia all'ambiente che ci circonda.

Per questo lo fisso negli occhi, perché voglio vedere come cambia il suo sguardo di fronte all'ammissione che sto per fare e per renderlo consapevole che ciò che sto per chiedergli corrisponde a ciò che voglio davvero.

«Eppure... ci ho provato a sfuggirti, ho lottato con tutte le mie forze, fin da quando ho accolto il tuo guanto di sfida nel salotto di casa, poco dopo essere atterrata a San Francisco. Ma sono stanca di lottare... Sono sempre stata consapevole che non ci sarebbero stati vincitori ma solamente vinti, per cui sono disposta ad arrendermi, se lo vuoi anche tu.»

A questo punto vorrei davvero baciarlo ma devo trattenermi con forza, infilzando la carne delle cosce con le unghie per impedire loro di scattare e fiondarmi su quelle labbra leggermente dischiuse, che mi osservano stupite e incredule.

Per alcuni istanti non si ode alcun suono, solo lo sbuffo dei nostri respiri regolari che, seppure a distanza, comunicano quanto sia in realtà stabile il legame che ci unisce.

«Tu sei stata un enigma» esordisce infine, senza distogliere lo sguardo e allungando le mani nella mia direzione. Le afferro prontamente, adesso posso resistere al suo tocco di fuoco perché non sono io a dovermi mettere a nudo.

«Mi muovevo sul filo del rasoio, non sapendo fin dove potermi spingere per farti capitolare né quanto mancasse al punto di non ritorno, in cui non mi avresti più rivolto la parola... Penso di esserci andato molto vicino, l'ultima volta, ma ho preferito rischiare piuttosto che abbandonarmi alla rassegnazione, e credo di aver fatto bene» le sue labbra si aprono in un sorriso ampio, disegnando due fossette superficiali ai lati delle guance che vado subito a riempire con le mie dita.

Non è più necessario frenarsi, posso utilizzare tutto lo slancio di cui dispongo per scattare sulle ginocchia e tuffarmi su di lui, lambendo le sue labbra tra le mie in un bacio che anelo dal momento in cui ha aperto la porta, assonnato e confuso come un bimbo spaurito.

Le sue braccia mi accolgono nonostante lo stupore, avvolgendo il mio corpo esile e accompagnandomi piano nella sistemazione sopra di lui, che intanto è crollato sul bracciolo laterale a causa del mio eccessivo entusiasmo.

«Non ti facevo così intraprendente» biascica tra un bacio e l'altro, mentre con le mani vaga sulla mia schiena. Sfila il maglioncino dal jeans in cui l'ho infilato, sfiorando con le dita gelide la pelle nuda del dorso e provocandomi una serie di brividi.

«Nemmeno io» confesso a denti stretti, inarcando il mio corpo e modellandolo sotto il suo tocco, facendo aderire ogni spigolo ossuto al suo petto, incurante di quanto i miei angoli aguzzi possano essere fastidiosi.

Il suo tocco alimenta il fuoco che sento nel petto, le fiamme divampano avvolgendo il cuore che pulsa incontrollato, mentre il fumo avvolge i polmoni, impedendo loro di ventilare con regolarità, affannandomi il respiro.

Intreccio le dita tra i suoi ricci scuri, accompagnando il movimento della sua mano, ora posata sul gancetto del mio reggiseno, con languidi baci sull'angolo della bocca, lungo la mandibola, fino a giungere al lobo dell'orecchio. Quando lo mordicchio dalle sue labbra sfugge un gemito roco, un respiro più pesante degli altri che ha il potere di farmi vibrare le membra.

Lo slaccia con una sola mano, impaziente, mentre con l'altra scende a tastare il fondoschiena. È stufo di essere solamente in mia balia e vuole capovolgere la situazione, lo leggo dalle sue iridi dardeggianti e dal sorrisetto irriverente che è spuntato sul suo viso.

Infila la mano sotto il jeans, insinuandosi lì dove prima c'era il maglione, e la apre a coppa su una natica, stringendola tra le dita e spingendomi ad aderire maggiormente al suo corpo. L'eccitazione crescente ci avvolge, irretendo i nostri sensi e facendoci percepire solamente lo spasmodico desiderio che abbiamo l'una dell'altro.

Un nuovo gemito sfugge alle sue labbra quando mi spingo maggiormente contro di lui, piegando le gambe ai lati del suo bacino e scendendo a baciargli il collo mentre lui mi sfila il maglione e il reggiseno. La maglietta che indossa li segue a ruota sul pavimento mentre io mi abbasso nuovamente su di lui, per lasciare una scia di baci umidi e roventi sul suo petto.

Lo ammetto, questa è anche una strategia per non mostrare del tutto il mio corpo, per celare quegli spigoli ossuti e quegli angoli aguzzi che credevo di aver dimenticato, seppelliti sotto strati di accettazione. Ma sono sempre gracile e senza i vestiti addosso è più che evidente.

Ander mi avvolge la schiena, circondando completamente il mio corpo con le sue braccia vigorose e annusando il profumo delle mie ciocche dorate prima di ribaltare le posizioni. Stesa sotto di lui sono inerme, preda dei suoi occhi famelici e incapace di proteggermi.

Non mi concede il tempo di abituarmi, si avventa sul mio collo regalandomi una scia di soffi e baci che mi fa sospirare mentre con le mani lambisce i seni, portandomi alla pazzia. Non saprei dire se il cuore abbia smesso di pulsare o lo faccia talmente veloce da sembrare fermo, fatto sta che lo sento sprofondarmi nel petto assieme ai polmoni, i quali ardono in preda alle fiamme di quell'incendio che ha appiccato in me.

E assieme a loro ci sono i visceri: lo stomaco accartocciato, l'intestino sciolto, i reni divelti... ogni organo anela la presenza di Ander su di sé, mi strapperei la pelle assieme ai jeans se servisse per avvertirlo più vicino, se ciò mi permettesse di percepire ogni angolo del corpo di Ander fin dentro le ossa. Perché è fin lì che avverto la sua presenza, ben oltre le ossa, si mischia al midollo e risale sino al cervello, inebriandomi i pensieri e scacciando la lucidità.

Tutti i miei organi, tutti i tessuti... ogni singola cellula del mio corpo anela Ander.

All'ennesimo movimento del suo bacino fasciato dai boxer, assieme a un gemito mi sfugge una supplica, una preghiera silenziosa e nota che lo invita a spingersi oltre, a rischiare per l'ennesima volta, con la garanzia che io non sarei più scappata.

«Ander» mormoro tra un movimento e l'altro, una mano a graffiargli la schiena e l'altra persa tra i suoi capelli, a guidare il movimento del suo capo in avanscoperta sul mio petto.

Tutto si ferma quando pronuncio il suo nome, il bacino immobile esattamente sul mio, gli avambracci tesi ai lati del mio capo per non schiacciarmi completamente; stacca le labbra dalla mia pelle per alzare il volto e far incrociare i suoi occhi nocciola con i miei. Le sue iridi sono luminose, quasi luccicano nonostante la luce parzialmente soffusa del lampadario, brillano nel sentire il suo nome fuoriuscire dalle mie labbra, mordicchiate per placare i gemiti.

Mi stampa un bacio su di esse, impedendomi di torturarle ancora, poi balza in piedi e si dirige verso la scrivania, suppongo per recuperare un preservativo. Avvampo quando mi rendo conto di indossare solamente gli slip, e lo prego di spegnere la luce prima di tornare da me.

Siamo di nuovo in penombra quando con una scia di baci raggiunge la mia intimità, invitandomi a sollevare il bacino per sfilare con facilità le mutandine scure che indosso, dalle quali non si nota la mia eccitazione. È tuttavia evidente quando Ander vi passa un dito, massaggiando dapprima delicatamente e poi con più vigore, finché l'ennesima supplica lo fa capitolare.

Strappa con i denti la bustina di plastica, soffiando leggermente sul preservativo per individuarne il verso, poi lo indossa senza difficoltà e si piega nuovamente a sovrastarmi, lambendo le mie labbra quando con delicatezza affonda in me.

La prima cosa che avverto è un dolore lancinante nel basso ventre che mi porta a grugnire di disappunto, ma le sue dita che continuano a muoversi all'esterno mi distraggono presto da quella sensazione. Provo a concentrarmi su quelle, distogliendo l'attenzione dal resto e passando le mani tra i suoi capelli per intrecciare i ricci lungo le dita.

Il secondo affondo è meno doloroso perché avverto il fuoco divamparmi dentro e ogni organo in preda alle fiamme. Brucio, brucio di una autocombustione mai provata prima e ogni nuova spinta risulta meno fastidiosa, finché io stessa muovo il bacino per accompagnare i suoi movimenti e quel ritmo incalzante.

Se fossi lucida penserei che sono completamente nuda, che sto sudando e le goccioline mi impregnano i capelli. Penserei che ho spigoli ossuti e angoli aguzzi conficcati nella carne di Ander e che probabilmente gli sto arrecando un fastidio non indifferente.

Per fortuna non lo sono e mi concentro solamente sul suo tocco rovente, sui suoi baci languidi, sulla lingua che mi avvolge e mi invita a dettare il ritmo che più mi aggrada. Mi concentro sulle spinte cadenzate, sul braccio posto a lato del mio capo per sorreggersi e sulla mano che vaga nella mia intimità, accompagnando l'amplesso.

Non mi curo del divano che di tanto in tanto cigola al ritmo dei nostri movimenti, del tessuto su cui siamo stesi e che si sta inumidendo con i nostri umori, del mio corpo gracile e del suo animo irriverente, che sicuramente lo porterà a fare qualche battuta che mi metterà in imbarazzo.

Nella penombra riesco a osservare a malapena i suoi muscoli, coperti da sottili goccioline di sudore che gli scivolano addosso facendogli luccicare la pelle caramello, ora immobile e statuaria contro il mio corpo esile e candido. I miei occhi, timori e imbarazzati, rifuggono il suo sguardo mentre i suoi, luminosi e lucidi, mi osservano come fossi la creatura più bella dell'universo.

«Non scappare, Hilda, ti prego» dice infine, accoccolandosi tra le mie braccia e stringendomi a sé.

Ander mi sta chiedendo un salto nel vuoto, ma questa volta io sono pronta.

«Non scappo, Dudi, non scappo più.»

"Lo stomaco è il cuore di chi ha il cuore congelato" è una frase del brano Sono umano dei granadiosi The zen circus, nel caso non li conosciate è giunto il momento di recuperare!

È un capitolo più lungo di ciò a cui siete abituati, me ne rendo conto, ma non ho potuto fare altrimenti... Considerando che ieri sera ho meditato di darmi alla macchia pur di non pubblicare, è una vittoria che sia qui 😂

Hilda si sta fidando di Ander – anzi, addirittura è lei a prendere l'iniziativa! – e lo fa sotto la spinta del discorso di Natalie e di fronte all'evidenza di un Ander buono e bello che le apre il cuore per l'ennesima volta. ♥️

Detto ciò, spero di non essere stata volgare, la mia politica con scene del genere è: alludere, sempre! Mi auguro che tra un'allusione e l'altra si sia capito cosa è successo ahahah Nel dubbio potete immaginarlo dal contenuti per adulti 🙄

Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate, sono apertissima alle critiche perché aiutano sempre a migliorarsi e sarebbero di grande aiuto in questo caso, perché mi reputavo totalmente incapace di scrivere una scena del genere e, contro ogni aspettativa, ce l'ho fatta 🙈

Luna Freya Nives

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