XXXVIII. Epilogo

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Ander
Sei mesi dopo

Perché è così difficile annodare una cravatta? Non potevano, che ne so, inventarne una con il nodo che non si scioglie nemmeno per lavarle e stirarle? Che poi io le odio le cravatte, mannaggia a me che ho detto a mamma che l'avrei indossata!

Se la scorsa estate mi avessero detto che mi sarei messo in tiro per la cerimonia dei diplomi, probabilmente avrei riso a crepapelle asserendo che Ander Dudiez non indosserebbe mai una cravatta di sua sponte.

D'altra parte, avrei riso anche se mi avessero detto che avrei conosciuto una bella europea che mi avrebbe letteralmente mandato in pappa il cervello.

E invece...

Mentre continuo a combattere contro questo nodo del cazzo, mi ritrovo a sibilare insulti e imprecazioni a mezza voce. «Nudo de mierda» biascico quando, per l'ennesima volta, mi ritrovo i due estremi della cravatta sciolti tra le dita.

«Mamma dice che mierda è una brutta parola!» sobbalzo sentendo la vocina acuta di Marisol che mi riprende dalla cima delle scale. Lei e Josefina appaiono al mio cospetto dopo alcuni istanti con due sorrisi enormi e i visini furbi di chi è pronto a ricattarmi a meno che non voglia che la mamma sappia che ho detto una parolaccia in loro presenza.

Passare troppo tempo con Tasha le ha condizionate irrimediabilmente, devo ricordarmi di far presente a mamma che ha cresciuto una piccola manipolatrice che sta traviando anche le due princesas.

Sono vestite di tutto punto, i due abiti bianchi che indossano si differenziano solo per il colore del fiocco – verde per una e giallo per l'altra, che poi sono i colori della mia scuola – e hanno i capelli raccolti in due trecce ai lati del capo.

Sembrano molto più entusiaste di me all'idea che sia giunto il momento di avviarsi verso scuola per evitare di rimanere imbottigliati nel traffico e fare tardi. Io, invece, al solo pensiero di ciò che mi aspetta sento un peso enorme depositarsi all'altezza dello stomaco che mi impedisce persino di respirare.

Come si fa a liberarsi di qualcosa di così opprimente che in realtà non dovrebbe esserci? Esiste un manuale che insegni come affrontare ciò che ci spaventa maggiormente?

«¿Ander, qué pasa?» la voce di mia madre mi distoglie dai miei timori, districando se non altro il groviglio di pensieri che hanno iniziato a vorticarmi nel capo.

«Es pésimo» mi lamento indicando il nodo della cravatta che, di fatto, non esiste.

Mamma mi sorride dolcemente, afferrando con le dita smaltate di rosso i due lembi di stoffa e iniziando ad attorcigliarli con maestria. Cerco di non perdermi una mossa così da poterlo fare da solo la prossima volta, ma a malapena riesco a distinguere i movimenti tanta è l'agitazione che mi fa annebbiare la vista e palpitare il cuore.

«Perché sei così nervoso? Non ti ho mai visto così... alterado.»

A Maricruz Ortega non sfugge mai niente, specialmente quando si tratta dei suoi figli. Se poi si tratta del sottoscritto, che ha fatto della noncuranza uno stile di vita, è logico comprendere perché le sembri così anomalo il mio comportamento.

«Non sono agitato» provo a negare, sperando che le voci di Rocio e Lucrecia dal piano superiore possano farla desistere dal guardarmi così intensamente per spingermi a vuotare il sacco.

«Ander» sospira invece, facendomi sapere che non ha intenzione di passare sopra l'argomento. «Non riesci a tenere ferme la mani più di cinque secondi, ti sei martoriato le labbra a furia di morderle e hai persino dimenticato di indossare i tuoi orecchini preferiti.»

In realtà non l'ho dimenticato, ho scelto di non indossarli affatto. So che sono solamente degli stupidi orecchini e che non mi definiscono, ma ho il terrore di passare per ciò che non sono e, se per migliorare la situazione basta non indossarli, sono disposto a non farlo mai più.

«Mamá, dejame en paz» mi lamento, scansandola e voltandomi perché non voglio essere guardato negli occhi. Non voglio che noti quanto mi sento insicuro, inadatto, quando lei ha passato la sua intera esistenza a insegnarmi che io non sono inferiore a nessuno – «Anche se il tuo papà non è qui a fare il tifo per te, questo non ti rende meno bravo degli altri bambini» mi ripeteva sempre quando partecipavo alle gare di nuoto e lui non veniva mai a vedermi.

Mamma mi carezza un braccio sopra la stoffa della camicia immacolata e fa per andarsene, ma io mi rendo conto che, se non ne parlo con qualcuno, non riuscirò ad affrontare questa giornata.

«Mercoledì sono atterrati i genitori di Hilda» dico a bruciapelo, sentendo il macigno sullo stomaco vacillare. Non credevo bastasse così poco per alleggerirlo, ma il sorriso intenerito di mia madre ha il potere di farmi addirittura fluttuare, leggero come non mi sento da giorni.

«Li hai incontrati?» domanda curiosa mentre i suoi occhi si illuminano di aspettative.

«No, Hilda doveva parlargli di una questione importante e vuole presentarmeli oggi» ammetto, dando finalmente un senso a quei timori che mi hanno accompagnato per l'intera settimana, disturbandomi il sonno e inondandomi di paranoie.

«Per questo sei preoccupato? Hai paura di non fare una buona impressione?»

«Beh, la madre ricopre la più alta carica dell'esercito e il padre è praticamente il braccio destro del re... Se pensassero che non sono all'altezza? Se volessero qualcuno di migliore al fianco della figlia? S-»

«Ander Dudiez» mi apostrofa mia madre prima che possa andare avanti. «Non azzardarti mai più a dire una cosa del genere! Tu sei un ragazzo d'oro e nessuno, nessuno, può sminuirti. Come l'ha capito Hilda, lo capiranno anche loro.» dice perentoria con un tono che non ammette repliche

«Lo spero proprio» biascico infine mentre lei mi prende sottobraccio e ci avviamo verso l'auto.

∽✵∼

Il campo da football non è mai stato così gremito di gente. Noi studenti siamo tutti radunati dietro il palco che è stato allestito al centro mentre gli ospiti sono già accomodati. Sembrano tutti a proprio agio, lieti che finalmente sia terminato l'anno e felici di poter frequentare il college con gli amici o con il partner o di iniziare una nuova avventura da soli.

Tutti sorridono quieti, tranne me.

Loren e Jonas sono abbracciati e hanno l'aria tranquilla mentre si sussurrano parole dolci all'orecchio; Ben, Aaron e Natalie stanno chiacchierando di qualcosa che li fa ridacchiare mentre Lara Jin è con Mike da qualche parte; Hilda, invece, sta parlando con Chris.

Sono talmente impegnato a controllare il mio respiro – che si fa più profondo e cupo ogni istante che trascorro in questa stupida toga che si stringe intorno al collo e mi ruba tutta l'aria di cui ho bisogno – da non accorgermi che in realtà Chris ha raggiunto gli amici e una testolina bionda fa capolino sotto i miei occhi.

«Perché sei agitato?» domanda, posando le sue mani piccole e delicate sul mio petto, sotto la toga e la giacca scura che indosso.

«Non sono agitato, fatina, ti sbagli» mento, rifilandole un sorriso sbilenco per convincerla delle mie parole.

Hilda sorride a sua volta e per un attimo mi lascia credere di essersela bevuta. «Allora perché il tuo cuore batte come se stessi correndo una maratona?»

Ridacchio mentre le avvolgo le braccia intorno al corpo minuto e la stringo a me, posando la testa sul suo capo. Lei ricambia l'abbraccio carezzandomi con delicatezza la schiena. Anche attraverso la stoffa della camicia posso sentire le sue mani gelide e avverto un brivido scuotermi la colonna al passaggio delle sue dita.

Grazie a quella vicinanza la tensione pare sciogliersi, come se davvero Hilda fosse una fatina e le bastasse un solo tocco per farmi sentire incredibilmente bene. Prende le distanze solo per appuntare il mento sul mio petto e attirare la mia attenzione, invitandomi a guardarla attraverso quei suoi occhi diafani.

«Hai parlato con i tuoi genitori?» domando a bruciapelo. A questo punto via il dente via il dolore, voglio sapere subito se le presentazioni ufficiali saranno terribili e mi accuseranno di aver allontanato Hilda da loro o se filerà tutto liscio.

Un sorriso ampio e lucente si fa strada sul suo viso candido. «Sì, non vedono l'ora di conoscerti» risponde con ironia facendosi scappare una risatina.

«Non prendermi in giro, sai a cosa mi riferisco» mi lamento, tirandole una ciocca dorata e facendole inclinare la testa di lato, chinandomi poi per rubarle un bacio a fior di labbra. So che non apprezza particolarmente le effusioni in pubblico, ma ho bisogno di sentire il suo respiro contro il mio anche solo per un istante prima di affrontare ciò che sta per dirmi.

«Mamma era molto preoccupata, ha voluto sapere cosa avrei studiato, com'è organizzata l'università, gli alloggi, gli esami... ogni cosa! Papà invece è stato entusiasta fin da subito, non appena ho pronunciato le parole San Francisco State University i suoi occhi hanno iniziato a brillare» racconta, e adesso sono le sue di iridi a risplendere.

È ancora più bella quando parla di ciò che le sta a cuore e i suoi occhi diafani prendono a luccicare, illuminandola per intero.

«Quindi è un forse?» domando, un velo di preoccupazione a incrinarmi la voce.

Sapere di dovermi allontanare da Hilda non è stato un problema finché non è spuntata la concreta possibilità per lei di rimanere a San Francisco. Di rimanere con noi, con me.

Non ci siamo mai curati del fatto che lei a giugno sarebbe ripartita perché abbiamo preferito goderci ogni istante assieme. Siamo stati sciocchi, probabilmente, ma alla lunga siamo stati anche molto fortunati.

«Era un forse» confessa Hilda mentre le sue mani scivolano lungo il mio dorso per allacciarsi intorno al collo.

Quando il rappresentante della SFSU – dopo aver visionato il suo curriculum europeo e i punteggi raggiunti durante l'anno scolastico in California – le ha proposto di sostenere il test per la borsa di studio destinata a studenti internazionali, Hilda ha accettato immediatamente pur mantenendo il segreto con tutti.

Mi ha confidato di essere stata presa solo quando io avevo già iniziato a compilare tutti i moduli per iscrivermi in quella stessa università; ha taciuto per non condizionare le mie scelte e io mi sono sentito al settimo cielo sapendo di poter avere una persona del genere accanto.

Tuttavia, la possibilità che i suoi genitori le chiedano di tornare in Europa per completare gli studi anche lì è tangibile al punto di impedirmi di trascorrere la cerimonia dei diplomi in tranquillità.

«Poi Melanie ha spiegato a mamma che con un bachelor's degree in biologia avrei ottime possibilità di ottenere un dottorato di ricerca all'università della California, magari anche con lei» spiega ancora mentre con le dita sottili giocherella con i riccioli dietro il mio capo, impegnandosi a non guardarmi negli occhi per concentrarsi sui ciuffi di capelli che si nascondono sotto il colletto della camicia.

«Quindi?» domando, siccome ormai pare ci abbia preso gusto a girare intorno ai concetti per farmi ribollire nel mio brodo. È la sua vendetta per tutti i miei tormenti, lo so, ma me la pagherà ugualmente questa fatina!

«Quindi è diventato un probabilmente sì» ammette infine, regalandomi uno dei suoi magnifici sorrisi. Sorride spesso, Hilda, ma quando si lascia davvero andare ha la capacità di contagiare chiunque si trovi a posare lo sguardo su di lei anche solo per sbaglio.

Ha un animo luminoso che le permette di risplendere e di inondare con un arcobaleno di colori tutto ciò che la circonda, rendendola preziosa come l'oro. Anzi, come i diamanti che riflettono la luce e di cui sembra impreziosita la sua pelle, come le gemme rare che ha nelle iridi e che le fanno brillare gli occhi.

Dopo lo sbigottimento iniziale rafforzo la presa sulla sua schiena e la sollevo senza sforzi, facendola volteggiare come una piuma. Il macigno che avverto sullo stomaco inizia a cedere, alleggerito dalle sue rassicurazioni.

I capelli fluidi e lucenti di Hilda sferzano l'aria e volteggiano con leggiadria insieme alla toga scura – differente dalla mia solo per il colore dei laccetti – mentre la sua risata cristallina infrange l'aria e il suo respiro caldo si deposita contro il mio collo.

Penso di non averla mai amata come in questo momento. Penso di non aver mai amato nessuno come amo lei. Penso di non aver mai visto nulla di più bello degli occhi di Hilda che mi guardano come se avessi il potere di renderla la persona più felice dell'universo.

L'unico motivo per cui ci separiamo è che la cerimonia sta per iniziare e i docenti ci invitano a metterci in fila dato che verremo chiamati uno per uno sul palco a ritirare il diploma.

Benjamin è il primo tra noi a salire e viene accompagnato da una serie di fischi e applausi per cui probabilmente dopo ci riempirà di scappellotti.

Quando chiamano il mio nome succede lo stesso: già dalle scale i miei amici iniziano a fare baldoria e poi, da quell'altezza, riconosco chiaramente le gemelle battere le mani con tutta la forza che hanno; mamma invece sta piangendo sulla spalla di Fernando mentre Lucrecia, Rocio, e Tasha tengono le mani a coppa sulle bocche per contribuire al baccano già presente nel campo.

Per fortuna è una cerimonia molto veloce, senza discorsi e parole sterili, giusto il tempo di ritirare il diploma e stringere la mano alla commissione che il successivo già è pronto per salire.

Hilda ha la schiena ritta e il portamento fiero mentre cammina sul palco, i capelli sempre sciolti a incorniciarle il volto candido baciato dal sole. Sorride agli insegnanti e si volta verso il pubblico solo per individuare qualcuno tra la folla, suppongo i suoi genitori dato che abbassa leggermente il capo prima di scendere per venire a sedersi in mezzo a noi – pare un cenno di ringraziamento, come a volergli dire grazie per avermi dato la possibilità di essere qui.

Loren, al contrario, inciampa per le scale e quasi cade di faccia a terra davanti alla commissione, con grande stupore di tutti ma senza alcuna meraviglia da parte nostra che conosciamo la sua goffaggine fin troppo bene.

Quando siamo stati chiamati tutti il preside ringrazia le nostre famiglie per aver scelto la sua scuola e noi per essere stati – chi più chi più meno – degli studenti diligenti, dopodiché ognuno corre dalla propria famiglia.

Sfortuna – o forse dovrei dire fortuna? – vuole che la mia famiglia e i Budd siano seduti vicini, di conseguenza anche i genitori di Hilda sono insieme a loro.

Adesso lo sento di nuovo in tutto il suo peso quel macigno sullo stomaco, sento che schiaccia il mio corpo e mi impedisce di pensare lucidamente, di agire, persino di mandare giù il groppo che si è appena formato nella mia gola.

È troppo tardi per scappare?

Mentre Hilda viene intercettata da Sebastian prima di raggiungere i suoi genitori, io vengo catturato dall'abbraccio di mia madre. Mi stringe sussurrandomi quanto sia orgogliosa sia di me e che io posso davvero fare qualsiasi cosa io voglia, che sia studiare le stelle o affrontare i genitori della mia ragazza.

La mia ragazza. È così strano pensare a lei in questi termini... Nonostante facciamo coppia fissa ormai da sei mesi, non sono ancora abituato a pensare che lei abbia voluto me.

Ha voluto me. Stava bene da sola, ma ha voluto me.

«Quando vai al college posso avere la tua stanza?» domanda Tasha, interrompendo quell'idilliaco momento madre-figlio.

«No, sarà sempre mia» rispondo facendole la linguaccia prima di stritolare in un abbraccio Lucrecia, che si lamenta e mi intima di lasciarla andare ma in realtà continua a stringermi.

Dopo aver terminato di ringraziare i famigliari è Sebastian ad afferrarmi la manica della toga, richiamando la mia attenzione per congratularsi. È un bambino davvero dolcissimo e di sicuro non ha preso da quello stronzo di Benjamin, come gli faccio notare non appena scioglie l'abbraccio con Rocio.

Ben, di rimando, mi tira uno scappellotto dietro il collo – «Te lo sei meritato, amico, così impari» – e poi va a salutare qualcuno alle mie spalle.

Hilda, intanto, sta salutando Lucrecia la quale, strano ma vero, non sembra intenzionata a ucciderla. Non so cosa sia cambiato tra loro né quando sia successo dal momento che entrambe rifiutano di parlarne con me, ma sono contento che mia sorella abbia deposto l'ascia di guerra e si stia impegnando per avere un rapporto civile con la mia ragazza.

Quando mi avvicino a loro lei si defila facendomi l'occhiolino mentre Hilda mi sorride, rubandomi un bacio sulla guancia.

«Sei pronto?» domanda prendendomi la mano e, sebbene il panico torni a impossessarsi di me, le sue dita fredde e candide che stringono le mie mi impediscono di cedere alle paure, mantenendomi ancorato in questo campo e scacciando i miei timori.

Rispondo con un cenno del capo perché non sono certo di riuscire ad articolare una risposta e voglio conservare il fiato per parlare con i suoi genitori, evitando il rischio di fare scena muta davanti a loro.

Non appena volto le spalle li individuo a pochi metri da noi, impegnati a chiacchierare con Penny e Will. Quest'ultimo mi fa un occhiolino di incoraggiamento quando si accorge che siamo diretti verso di loro, poi si allontana insieme alla figlia.

«Mamma, papà, lui è Ander» Hilda ci presenta in inglese così che anch'io possa capire ciò che sta dicendo.

«È un piacere conoscerla, signora Berger» porgo la mano alla donna di fronte a me compiacendomi per la voce ferma che riesco a modulare.

Lei ha i capelli chiari raccolti in una crocchia ordinata, la schiena diritta e rigida, il mento sollevato e lo sguardo fiero; stringe la mia mano di rimando in una presa forte e decisa. La sua figura nell'insieme non fa che ricordarmi che è un Generale Maggiore dell'Esercito.

Tuttavia non risponde, si limita a stirare le labbra in una linea sottile che suppongo voglia essere un sorriso – di certo non uno di quelli gioiosi. Suppongo sia da lei che Hilda abbia ereditato il mutismo selettivo.

Il suo portamento rigido, la staticità, il controllo che esercita su se stessa... tutto di lei non fa che urlare che io non sono all'altezza, aggravando i miei timori.

«Così tu sei il famoso Ander» si intromette il padre, un uomo distinto ma all'apparenza meno austero della moglie; ha la cadenza nordica molto più accentuata rispetto alla figlia e il suo modo di parlare mi distrae dal macigno che ha iniziato a pesare sempre di più.

Ha detto famoso? Cosa gli ha raccontato esattamente Hilda? Quanto mi sono divertito a darle il tormento? Quanto sono insistente? Quanto sono simpatico? Cosa?

«Non sapevo di essere famoso, signor Kofler. Piacere, Ander Dudiez» rispondo prontamente mentre la tensione accumulata con sua moglie va scemando, scoprendo però la mia voce meno decisa. Lei, intanto, ci osserva con occhi attenti celando dietro il disinteresse lo studio che sono certo stia conducendo di me.

Sto superando il suo test? Che aspettative aveva su di me?

«Papà, ti prego, adesso si monterà la testa» lo rimbecca Hilda, ma il lieve rossore che le dipinge le guance mi suggerisce che abbia fatto cenno a ciò che c'è tra noi. Inoltre, siamo arrivati da loro mano nella mano, dubito che questo sia fraintendibile.

«Congratulazione per il diploma. Adesso cosa farai?» domanda mentre io mi chiedo se il suo interesse per la mia carriera sia pura cortesia o se anche lui mi stia studiando, seppure in maniera più velata rispetto alla moglie.

«Sono entrato alla San Francisco State University» rispondo con orgoglio, sorridendo in modo così ampio che Hilda si volta a guardarmi e mi stringe la mano. Dice sempre che adora affondare le dita nelle mie fossette e immagino che adesso stia soffrendo per non poterlo fare.

«Che casualità» interviene la signora Berger in tono austero ma... ironico? Il suo accento è fortemente europeo e ha la cadenza tipica di chi non ha mai studiato inglese con una persona madrelingua, al contrario di Hilda e del padre.

Scocca alla figlia un'occhiata con un sopracciglio sollevato e l'angolo della bocca leggermente tirato; nonostante sembri severa, Hilda le sorride di rimando e abbassa lo sguardo con finta aria innocente.

«Già, proprio la stessa di Hilda» il signor Kofler imita la moglie ma non riesce a trattenere una risatina, subito mascherata da un colpo di tosse quando gli occhi glaciali di Edna Berger si posano su di lui.

Questa donna mette davvero i brividi. In confronto a lei, Hilda non sembra nemmeno schiva.

Hilda e il padre si scambiano qualche occhiata di sottecchi, parlandosi attraverso le iridi di qualcosa che non mi è dato comprendere; almeno non hanno iniziato a parlare tedesco, dovrà pur significare qualcosa, giusto? Posso dedurre di non aver fatto proprio una pessima impressione?

I battiti del mio cuore sembrano essersi placati, anche se continuo ad avere le mani sudate e il peso che avverto sullo stomaco non scomparirà tanto facilmente.

Prima che uno di noi possa replicare, una chioma rosa ci piomba addosso, rompendo il silenzio in cui siamo caduti da qualche istante.

«Salve signori Kofler-Berger, io sono Loren» ci travolge la piccoletta, insinuandosi in mezzo a noi per stringere la mano dei genitori di Hilda mentre l'uragano Natalie avvolge entrambi con le sue braccia sinuose.

«Io invece sono Natalie» si presenta lei subito dopo attirando l'attenzione della madre. «Vi rubiamo Hilda e Ander per qualche minuto, il tempo di fare alcune foto.»

L'espressione della signora Berger è impassibile, ma credo abbia vacillato un istante nel passare dai dreadlock di Loren ai capelli rosa di Natalie. Dopo aver conosciuto loro, l'innocuo e comune Ander non può che passare inosservato, giusto? Non ho nemmeno indossato gli orecchini oggi!

«Torno subito» Hilda si congeda dai suoi genitori e insieme ci incamminiamo dietro le nostre amiche che corrono verso Aaron, Ben e Jonas.

«Come sono andato?» domando a bruciapelo rivolgendole un'occhiata di sottecchi. Non mi azzardo ad avvicinarmi o a toccarla di più perché sento ancora i loro sguardi sulla schiena.

Potrebbe essere solo suggestione, ma meglio non rischiare.

«Benissimo» risponde la mia fatina sorridendo, stringendosi al mio braccio per poggiare il capo contro la spalla e rafforzare il concetto.

«Sicura? Tua madre non sembrava molto entusiasta» replico, concentrando la mia attenzione su Natalie che recluta Rocio per scattare le fotografie pur di non guardare Hilda negli occhi e scoprire che mi sta mentendo.

Sono davvero intimorito da quella donna e voglio fare una buona impressione a tutti i costi, ma al contempo non voglio scoprire che lei mi odia.

«Ma dai? A me sembrava che stesse distribuendo fiori e arcobaleni» mi rimbecca, tirandomi un pungo leggero contro il petto per costringermi a guardarla negli occhi. «Quella è la sua espressione di repertorio. Fidati di me, è andata bene.»

Non è di Hilda che non mi fido. Non è dei suoi occhioni diafani che mi scrutano da sotto le ciglia lunghe e mi trasmettono sicurezza, non è della sua mano candida che stringe la mia in una presa ferrea, non è del suo corpo che si modella contro il mio in un abbraccio ristoratore.

Il solo averla accanto mi fa stare bene, poterla stringerla mi rigenera, vederla mi acquieta.

«Dai, muovetevi» la voce di quell'impaziente di Natalie ci richiama, invitandoci a metterci in posa insieme a loro, già pronti per la foto ricordo poco seria.

Lei e Aaron hanno sollevato le maniche della toga e mostrano con fierezza i bicipiti; Benjamin, in mezzo a loro, ha un'espressione scanzonata e sminuisce i muscoli mostrati; Loren è sulle spalle di Jonas e lo stringe talmente forte che a momenti credo che possa strozzarlo; Lara Jin, lì accanto, si assicura che l'amica non cada a terra.

Io raggiungo proprio lei, avvolgendo un braccio intorno alle sue spalle mentre con l'altro spingo Hilda davanti a me, facendo aderire la sua schiena al mio petto mentre la bacio sulla guancia.

Non sarà la foto più bella mai scattata, probabilmente Loren sarà sfocata e Hilda avrà gli occhi chiusi come ogni volta che le mie labbra si posano sulla sua pelle, ma di certo traspare tutta la nostra felicità, la gioia di aver raggiunto questo traguardo insieme, di lasciarci alle spalle un anno scolastico intenso e di essere finalmente pronti a volare, chi dall'altra parte del Paese, chi a pochi passi da casa.

Alla fine, mentre i genitori di ognuno si avvicinano per congratularsi con noi, decidiamo di scattare anche un paio di foto con una posa decorosa, giusto per dare una parvenza di normalità a coloro che ci hanno messo al mondo.

No, scherzo, in realtà lo facciamo perché foto del genere sono quelle che possono essere condivise con le nuove persone conosciute al college per far vedere i vecchi amici, le altre è bene che non divengano di pubblico dominio.

Il padre di Hilda sembra perfettamente integrato tra gli altri – o almeno, da bravo diplomatico, dà l'impressione di esserlo –, chiacchiera con tutti e dispensa sorrisi anche per la moglie, la quale, d'altra parte, si limita a piegare le labbra. Dubito si senta a suo agio in questo marasma di persone, da quel che mi ha raccontato Hilda è alquanto solitaria e tendente alla misantropia.

I suoi occhi si posano su di me un solo istante, quasi per sbaglio, mentre sono impegnati a cercare la figlia che ride insieme a Natalie e Greg, e mi sento raggelare di nuovo. Non mi ha sorriso, è vero, eppure non mi ha nemmeno osservato torva, dunque non capisco perché debba incutermi tutto questo timore.

Certo, è la madre della mia ragazza ed è anche leggermente inquietante, ma dovrei davvero darci un taglio e fidarmi di Hilda, che mi sorride amabilmente mentre viene verso di me

«Tu sei sicura che tua madre non voglia, la butto lì, uccidermi nel sonno?» le sussurro, abbassandomi alla sua altezza per non farmi udire da nessuno. Magari ha anche le orecchie bioniche oltre che lo sguardo gelido, che ne so.

Hilda mi rivolge un'occhiata intensa; è tremendamente simile alla madre in questo frangente e me ne sto rendendo conto ogni istante di più, eppure lei non mi incute timore. Lei fa solo tenerezza quando prova a guardami truce.

«Come puoi esserne certa?» tento ancora, avvolgendole un braccio intorno alle spalle e camminando nel prato senza alcuna meta, solo per stare ancora vicino a lei prima che ognuno torni dalle proprie famiglie.

«Perché ha detto che pochissime volte mi ha vista sorridere come quando parlo di San Francisco.»

Oh. Beh, questa è quasi una sicurezza. Quasi solo perché con la signora Berger dubito esista la certezza assoluta. Sorriso con fierezza mentre Hilda si accuccia contro il mio fianco senza distogliere lo sguardo.

A un tratto credo che stia sollevando la mano per infilare le dita nelle fossette, invece scosta i capelli per scoprire il lobo dell'orecchio.

«Dove sono i tuoi orecchini?» domanda curiosa non avendomi mai visto senza.

«Non li ho messi» confesso, sentendo il sangue fluire sulle guance per quell'ammissione che mi costa parecchio. Non sono abituato a cambiare per gli altri – non più almeno, non da quando mia madre mi ha aperto gli occhi su Veronica. «Sai, io... ehm... volevo fare una bella impressione sui tuoi genitori»

«Sei proprio sciocco, tu sei perfetto così come sei» mi rimbecca, dandomi l'ennesima prova dell'amore che nutre nei miei confronti.

E io mi ci sento davvero perfetto quando sono accanto a lei. Solo accanto a lei, anche se Hilda è perfetta sempre.

«Lo so, per questo ti piaccio» rispondo sagace, guadagnandomi un'occhiataccia da parte sua. Dice sempre che l'irriverenza sarà la mia rovina, però poi ride e io dimentico qualsiasi cosa abbia detto prima.

«Il tuo ego cresce in maniera preoccupante, forse dovresti darci un taglio» mi rimprovera mentre ci infiliamo dietro agli spalti, al riparo da occhi indiscreti, dove ne approfitto per rubarle il primo bacio vero della giornata.

Rafforzo la presa sulla sua schiena e la sollevo di nuovo, stringendola contro il mio petto, mentre lei allaccia le gambe intorno al mio bacino e posa le sue mani gelide sulle mie guance.

«Oggi sei particolarmente bella» sussurro a fior di labbra, godendomi il lieve rossore che affiora sulle sue gote. Spero che non si abitui mai ai complimenti perché vederla avvampare è uno spettacolo bellissimo.

«Anche tu non sei male» mi sorride, carezzando con le dita fredde le fossette sulle guance prima di posare la fronte contro la mia, osservandomi dall'alto. Fa sempre così prima di baciarmi, come a volersi assicurare che sia proprio io la persona di cui è innamorata.

Hilda non è una persona che dimostra l'amore a parole, piuttosto preferisce agire. Preferisce tempestarmi di baci sulle guance fino a farmi ridere quando sono triste, accoccolarsi contro il mio fianco mentre guardiamo un film, infilarmi le dita nelle fossette, intrecciare le nostre mani sotto le coperte, respirare sul mio collo perché sostiene che lì si senta bene il mio profumo.

Preferisce baciarmi con quella delicatezza inaudita che mi fa sentire unico, lasciarsi guardare anche quando non vorrebbe, quando la sua vulnerabilità la mette a dura prova e, nonostante ciò, mi concede la possibilità di descriverle come la vedono i miei occhi.

E nemmeno mi interessa che non abbia mai detto "ti amo", cosa me ne faccio di una confessione così comune quando lei mi chiede com'è andata la giornata e ascolta con interesse la mia risposta; mi scrive un messaggio per domandarmi se sono arrivato a casa quando esco con la moto; mi attende all'ingresso di scuola con la colazione quando faccio tardi e non riesco a mangiare a casa; mi presta la sua totale attenzione quando inizio a vaneggiare di costellazione e universi.

Quando Hilda posa delicatezza le labbra sulle mie, lenendo i tagli che mi sono procurato con i denti e provocandomi una scarica di brividi che dalla schiena si irradiano in tutto il corpo, chiudo gli occhi per godermi ogni istante di quel contatto.

Amo avvertire i suoi capelli che avvolgerci come un manto, celando il nostro amore al resto del mondo; amo sentire le sue mani fredde che sfiorano delicate il mio viso; amo inspirare il suo profumo fresco; amo carezzarle la pelle e sentire i brividi scatenati dal mio tocco.

E sapere che potrò amarla così da vicino ancora per molto tempo è ciò che più si avvicina alla mia personale definizione di felicità.

Fine

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