XXXVII. Ogni volta che voglio

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San Francisco indossa magnificamente il Natale. Il clima temperato impedisce a temperature eccessivamente rigide di avvolgere la città, permettendo così ai pendolari frenetici di attendere i mezzi che li porteranno al lavoro senza congelare sul posto.

Le abitazioni sono abbellite da ghirlande di pino e lucine colorate, con babbi Natale di gomma che si arrampicano sui balconi e calze appese ai camini che si intravedono dalle vetrate. Per le strade uomini vestiti di rosso distribuiscono volantini di negozi di giocattoli con le offerte invernali, perfette per il periodo di regali.

Anche casa Budd è abbellita a festa. Benjamin, Penelope e Sebastian hanno allestito l'albero di Natale, coinvolgendo anche me nelle loro lotte per la supremazia a chi si accaparrasse il pezzo più grande da addobbare, sotto lo sguardo vigile di Melanie. Lei e William, invece, si sono occupati delle decorazioni esterne, rendendo il giardino antistante un tripudio di ghirlande imbiancate e lucine colorate.

«Hilda, secondo te Babbo Natale mi porterà la pista con le macchinine che gli ho chiesto?» domanda Sebastian, seduto con le gambe sulle mie e la schiena poggiata al bracciolo del divano su cui ci troviamo.

«Dipende... hai fatto il bravo?» chiedo di rimando, catturando i suoi occhietti scuri nei miei. Da quando Melanie lo minaccia di comportarsi bene se non vuole che Babbo Natale casualmente dimentichi il suo regalo, sembra piuttosto preoccupato che questa eventualità possa avverarsi.

«Seh, quando mai. È stato un diavoletto» lo provoca Ben spaparanzato su una poltrona, un orecchio teso verso il film natalizio che stiamo guardando e l'altro alla nostra conversazione.

Sebastian si rabbuia a quelle parole, timoroso che i suoi incubi peggiori possano avverarsi. Se solo sapesse che io e i suoi fratelli gli abbiamo comprato molte più macchinine di quelle che ha chiesto impazzirebbe dalla gioia.

«Ignoralo, è solo geloso perché lui non troverà niente sotto l'albero» lo tranquillizza Penelope, seduta tra me e il padre, passandogli un dito sul nasino che lo fa ridere di gusto.

«Nessuno di voi due troverà nulla sotto l'albero se non la smettete di punzecchiarvi a ogni occasione» li riprende William, scoccando loro due identiche occhiate rassegnate. Avere due figli quasi coetanei porta inevitabilmente a dover sedare conflitti del genere.

Qualunque replica viene immediatamente sedata dall'arrivo di Melanie. Indossa un grembiule da cucina su cui si evidenziano macchie d'olio e qualche schizzo di sugo, imprime le mani sui fianchi in una posa autorevole prima di prendere la parola.

«E nessuno di voi mangerà se non venite a darmi una mano con la cena» minaccia, soffermandosi su ognuno di noi. Will e Sebastian sono i primi a scattare, il primo baciando la moglie prima di precederla in cucina e il secondo aggrappandosi al suo grembiule.

Io e Penelope ci alziamo subito dopo, richiamate dalle risate che provengono dal trio e seguite a ruota da Benjamin, che tra uno sbuffo e un'imprecazione a mezza voce ci aiuta a sistemare.

Il Natale è una di quelle feste di cui ho sempre avvertito la mancanza sull'isola, poiché anche se i miei non lavoravano in quel periodo era sempre impegnati a sistemare qualcosa o a gestire le pratiche arretrate. La solitudine che mi avvolgeva il cuore l'ho lasciata nel mio letto a baldacchino perché qui non ho tempo di stare sola, circondata dalle risate roboanti di Ben e William, dai rimbrotti di Melanie, dalle richieste di Penelope e dagli abbracci di Sebastian.

Qui il Natale è esattamente come l'ho sempre visto nei film.

∽✵∼

È il campanello a distrarci dal riassettare la cucina, dove vi sono i rimasugli della cena appena consumata tutti insieme. Benjamin ne approfitta per sfuggire ai suoi doveri e andare ad aprire, riapparendo pochi istanti dopo con una figura ben incappucciata al seguito.

Eppure, potrei riconoscere quelle iridi nocciola in mezzo a tante, non ho bisogno di scorgere il sorriso irriverente che gli arriccia le labbra né la sua pelle caramello per comprendere chi sia.

Ander fa un saluto generale a tutti, poi si china per battere il cinque a Sebastian come suo solito. Questo bambino pende dalle sue labbra, non mi sorprenderei se decidesse di passare un pomeriggio in sua compagnia piuttosto che con Benjamin, che lo tormenta con le sue solite provocazioni.

«Ti si vede più spesso del solito ultimamente, inizio a pensare che Maricruz ti abbia cacciato di casa» lo provoca Melanie, rifilandogli un'occhiata inquisitoria da sotto i ciuffi corti che le ricadono sulla fronte.

Non c'è stata l'ufficializzazione del rapporto tra me e Ander – nessuno dei due ha mai avuto intenzione di rendere il rapporto così formale –, ma il fatto che passiamo la maggior parte del nostro tempo insieme è bastato affinché tutti si siano fatti un'idea di come vanno le cose tra noi.

«Che ci vuoi fare, il mio migliore amico abita qui» tenta di sbrogliarsi dalla trappola della donna, beccandosi uno spintone da parte del suddetto migliore amico.

«Non ci provare proprio a mettermi in mezzo» rimarca Benjamin, ghignando del rossore sulle gote del ragazzo.

Ander non è ciò che si definisce un ragazzo timido ma, nonostante ciò, subire un interrogatorio del genere non lo fa sentire a proprio agio, specialmente sapendo quanto io tenga alla mia privacy, talvolta persino con i nostri amici.

«Vado a prendere il cappotto, vieni con me?» mi intrometto dunque, afferrandogli un braccio e trascinandolo senza difficoltà fuori dalla cucina, dove l'ennesima battutina di William si perde tra le mura del salotto.

«Grazie per avermi salvato» biascica, circondandomi la schiena con un braccio e chinandosi per lasciarmi un bacio appena accennato sulle labbra. Ci sarà tempo, quando saremo soli, per un saluto come si deve e un bacio degno di questo nome.

Ben ci segue a distanza, affrettandosi a recuperare anch'egli il cappotto per infilarsi in macchina prima che Melanie cambi idea e decida di trattenerci finché non avremo messo in ordine la cucina.

Il tragitto fino a casa Perkins è breve e trascorre per lo più in silenzio, salvo qualche nota stonata di Ben e Ander che canticchiano le canzoni passate in radio. Mi rigiro tra le dita il pacchettino incartato che ho nascosto nella tasca del cappotto, tastando la scatolina rigida in contenente il regalo che ho preso al mio ragazzo.

È strano pronunciare queste parole, sembra che la lingua accarezzi i denti con una delicatezza inaudita, e non riesco a non sorridere al pensiero di come suonino bene pronunciate dalla sua bocca.

Quando Ander parcheggia di fronte la villa lancio un'occhiata a Benjamin, il quale intuendo le mie intenzioni annuncia che si avvia verso casa e ci attenderà dentro. Ander storce il naso a quelle parole, ma vedendomi ferma accanto alla portiera da cui sono uscita si avvicina per chiedermi se vada tutto bene.

«Volevo darti il mio regalo di Natale prima di entrare» annuncio, mostrandogli la scatolina incartata con motivi natalizi e beandomi dei suoi occhi luccicanti. È proprio come un bambino che si stupisce di un regalo inaspettato e si fa prendere dalla foga.

Lo scarta strappando la confezione con un impeto che lo porta a graffiarsi le dita tra loro, facendomi ridere e luccicare gli occhi di aspettativa, sperando che possa apprezzarlo.

Non è stato difficile sceglierlo dopo essere stata nella sua stanza, il cui soffitto è ricoperto di stelline fluorescenti.

«Che cos'è?» domanda, rigirandosi la scatolina scura tra le mani e passando un dito sull'obiettivo che sporge da un'estremità.

«Il cielo stellato» rispondo enigmatica, sfilandogliela dalle mani per puntarla contro la sua auto. Calco sul bottoncino laterale, da lui completamente ignorato, e l'obiettivo scatta, illuminandosi e proiettando contro la fiancata la costellazione dell'Orsa Maggiore.

«No lo creo...» biascica, socchiudendo le labbra e spalancando gli occhi nel vedere la sua auto scura illuminata da puntini luccicanti e linee chiare che li uniscono, formando le figure mitologiche da cui le costellazioni prendono il nome.

Rimane in silenzio ancora un paio di istanti, poi mi ruba la scatolina dalle mani e continua a premere, osservando sbalordito il cielo imprimersi sulla fiancata dell'auto. Infine, mi attira in un abbraccio inaspettato, con il mio petto schiacciato contro il suo e le sue braccia intorno alla schiena, le labbra arricciate in un sorriso sincero e le narici dilatate per assimilare il suo profumo pungente.

Se le labbra di Ander sono ciò che più anelo, morbide e bollenti, in grado di riscaldare il ghiaccio di cui sono composta, i suoi abbracci sono quanto di più tenero e familiare esista, in grado di avvolgermi completamente e insinuarsi sotto la pelle, donando un lieve tepore che è rifugio dal temporale, porto sicuro nel nubifragio, occhio del ciclone durante l'uragano.

Sono totalizzanti, come lo è l'oceano. Sono veri, come lo è Ander.

«Grazie, fatina, è un regalo bellissimo» mormora, posando ripetutamente le sue labbra morbide contro la mia guancia e facendomi ridere per l'infinità di baci che mi sta donando.

«Dai, andiamo dentro, ci staranno aspettando» sorrido infine, separandomi da lui e invitandolo a seguirmi oltre il cancelletto.

Percorriamo insieme il vialetto brecciato e troviamo la porta di casa socchiusa, lasciata così da Ben che si aspettava lo seguissimo dopo pochi istanti.

«È qui la festa?» domanda subito Ander, sollevando le braccia verso il cielo mentre entra nel salone, dove gli altri sono già radunati e, come previsto, ci stavano attendendo.

«Oh, finalmente!» ci accoglie Natalie, una bottiglia di birra in mano e gli occhi lucidi di chi ha già bevuto più di quanto dovrebbe. «I piccioncini hanno finito di fare gli innamorati noiosi e sono pronti a movimentare questa serata?»

«Vaffanculo» è la pronta risposta di Ander prima di scagliarsi su di lei, accomodata sul divano tra Aaron e Ben, e rubarle la bottiglia dalle mani.

«DUDI» è la vana protesta di Benjamin, che si ritrova le ciocche rosate di Natalie sul petto e parte della sua birra rovesciata sui jeans, mentre Aaron impreca e intima loro di non distruggergli il salotto.

Lara Jin, comodamente seduta sulla poltrona, isolata da loro, mi invita a prendere posto accanto a lei. «La serata di Natale finisce sempre male, meglio tenersi a distanza da quei tre» consiglia, appiattendosi su un lato per farmi prendere posto sul bracciolo.

Ander, Ben e Aaron adesso sono in piedi, con Natalie in mezzo a loro che regge in maniera precaria tra le mani tre bottiglie semivuote. Stanno discutendo animatamente su chi dovrebbe aprire una lattina fresca e chi, invece, dovrebbe bere la birra ormai riscaldatasi.

«Io sono appena arrivato» rimarca Ander, mentre Natalie sbatte il piede a terra per attirare la loro attenzione ma colpisce il povero Aaron, che si ritrova il tallone della ragazza conficcato sul dorso.

«Anch'io» replica Benjamin, mentre il terzo ragazzo prende a saltellare su una sola gamba, una smorfia dolorante dipinta sul volto.

«Oddio scusa» una Natalie già parecchio brilla si aggrappa alle sue spalle, facendogli prendere l'equilibrio e capitolando sul divano addosso a lui.

La risata cristallina di Loren risuona nella stanza quando la sua bocca si stacca da quella di Jonas. Sono seduti sul tappetto, oltre il tavolino, ed entrambi indicano i poveri malcapitati che cercano di tirarsi in piedi tra le risate.

«Natalie, ma quanto hai bevuto? Mi ricordi proprio mia sorella Gwen che l'anno scorso si è ubriacata al pranzo di Natale con i parenti e ha iniziato a insultare zia Polly. Che poi se l'è pure meritato, quella è una grandissima stronza, oltre che omofoba e razzista. Pensa che una volta si è rifiutata di farsi visitare da un medico solo perché era nero. Ma dico sei fuori di testa? Peccato che non lo sia per davvero, la perizia psichiatrica è risultata negativa ma in compenso hanno scoperto ch-»

Grazie al cielo non sapremo mai cos'ha zia Polly perché Jonas le ha ficcato di nuovo la lingua in bocca. Inizialmente non comprendevo perché quei due passassero tutto il tempo a baciarsi, – non gliel'ho mai fatto notare perché insomma, chi sono io per dire a qualcuno come comportarsi? – ma adesso credo che lo faccia per zittire la povera Lory.

Spesso mi sono sentita a disagio in loro presenza, un terzo incomodo che non dovrebbe assistere a qualcosa di privato, ma ho notato che gli altri si limitano a ignorarli quando si rinchiudono nella loro bolla d'amore, così faccio come loro.

«Prendetevi una cazzo di stanza!» urla invece Natalie, a cui oggi pare proprio non vada a genio l'amoreggiare dei suoi amici. Non si è mai lamentata del modo inusuale di Jonas di zittire Loren e anche adesso credo che stia solamente scherzando, ma ciò non impedisce alla diretta interessata di voltarsi indispettita.

Loren si alza in piedi, sbrogliando con un colpo del capo il groviglio di dreadlock che si apre sulle sue spalle, e si avvicina a Natalie, nettamente più alta di lei.

«Per tua informazione, ce l'abbiamo una stanza e ci andremo a fine serata, ma adesso vogliamo trascorrere del tempo in compagnia dei nostri amici perch- AAH.»

Questa volta a interromperla non è Jonas bensì Natalie stessa, che la abbraccia con uno slancio e la fa precipitare addosso al suo ragazzo che, ancora a terra, si ritrova sepolto tra i corpi delle due.

«Threesome!» urla immediatamente Aaron, scansando Ben e Ander che stanno ancora discutendo di non saprei esattamente cosa per poi allungarsi addosso a Natalie e Loren, facendo mugolare il povero Jonas.

A quel punto ci alziamo anche io e Lara Jin, temendo che il poveretto finisca asfissiato se non gli togliamo il groviglio di dreadlock e ciocche rosa dal viso. La mora tira da un lato Natalie, facendola rotolare sul tappeto e provocandole un attacco di risa che contagia anche Loren, la quale la segue a ruota. Io, invece, provo a puntellare il corpo di Aaron per spostarlo dal torace di Jonas, ma l'unica cosa che ottengo è essere afferrata di peso dal suddetto giocatore di football e finire direttamente addosso a lui, aggravando la posizione del povero biondino.

Solo adesso attiriamo l'attenzione di Ander e Benjamin, i quali pensano giustamente di buttarsi nella mischia piuttosto che aiutare me e Lara Jin.

«Hey, bello, quella è la mia ragazza» esclama il primo, afferrando la mia mano incastrata sotto le braccia di Aaron e cercando di tirarmi in piedi, invano. Il risultato finale è che Aaron rotola su un lato, io scivolo assieme a lui – liberando finalmente il povero Jonas, soccorso da Lara Jin – e Ander atterra addosso a noi.

«Dudi, vaffanculo, quanto cazzo pesi...» mugola Perkins, sul cui petto sono saldamente poggiate entrambe le mani di Ander, che si è sorretto al suo amico per non franarmi addosso.

«Scusa, bello, volevo evitare di romperle qualcosa» è la sua placida risposta, prima di spostare un braccio per avvolgermelo intorno al ventre e lanciarsi su un lato, facendomi rotolare con sé.

«Ander...» mi lamento, tossicchiando mentre lui mi stringe da dietro e mi impedisce di liberarmi dalla sua presa, avvolgendomi il busto con entrambe le mani e incastrando le mie gambe tra le sue cosce.

«Capisco la devozione alla Khaleesi, ma potresti evitare di uccidermi» si lamenta ancora Aaron, rimettendosi a sedere aiutato da Lara Jin, che intanto ha lasciato Jonas e riprendersi; Benjamin, invece, è stato catturato dalle risate di Loren e Natalie.

Non avrei mai pensato di poter avere un rapporto del genere con una persona, figurarsi addirittura un gruppo di amici. Sull'isola non esiste nessuno così, nessuno brutalmente sincero, estremamente leale, divertente e presente.

Questa è forse la caratteristica che più apprezzo di questo strampalato agglomerato di individui: la loro capacità di esserci sempre e comunque, talvolta persino rimanendo a distanza per concedere la giusta privacy, ma garantendo il proprio supporto nonostante tutto.

Sono cambiate moltissime cose dal mio atterraggio a San Francisco, sono cambiata io, o meglio ho scoperto parti di me che credevo sopite. Ho svelato i miei colori, li ho fatti brillare e ora risplendono tra le braccia del ragazzo che mi tiene stretta a sé.

E non mi importa se forse tra sei mesi dovremo lasciarci, se io tornerò in Europa e una relazione a distanza non sarà sostenibile. Non importa se lui al college e conoscerà qualcun'altra, se mi dimenticherà...

Non voglio pensare al dolore perché quando sopraggiungerà saprò di essere stata felice, di non avere rimorsi, di essermi sentita completa. Non mi curo del resto, mi godo i suoi baci, le sue carezze, le sue premure.

E forse è vero che abbiamo troppi spigoli per non stare scomodi, ma a chi importa della comodità se posso avere lui ogni volta che voglio.

Io sono vivo solo se mi tocchi
Solo quando ti guardo negli occhi
Sono io quando mi sbaglio
Quando rido, quando piango
Quando mi sveglio, quando mi spoglio
Sono io anche se non voglio

E quando vengo, quando mi accendo
Quando mangio, quando mento
E quando canto
E quando mi arrendo
Quando mi pento
Quando mi spengo

"Abbiamo troppi spigoli per non stare scomodi" appartiene agli Amandla e alla loro bellissima canzone intitolata Febbre. Questa frase mi ha ricordato molto Hilda e le sue paturnie sul corpo, su come Ander possa non apprezzarlo, addirittura possa fargli male. 🥺

Il brano finale, invece, è Anche se non voglio di Dente – come le strofe del prologo –, il cui album omonimo mi ha accompagnato per tutta la stesura di questa storia. Ormai sapete quanto questa canzone mi piaccia e quanto mi abbia ispirato nella costruzione di Hilda. 🥰

So che siamo un po' fuori tempo per Natale, ma è la mia festa preferita e dovevo inserirla a ogni costo! Spero che questo ultimo capitolo sia all'altezza delle aspettative e che possa essere la degna conclusione di questo percorso – che non riguarda solo la crescita di Hilda ma anche la mia, perché entrambe abbiamo superato tanti timori e ostacoli che ci siamo autoimposte. ✨

Siccome gliene ho fatte passare di ogni a questi due, non potevo proprio esimermi dallo scrivere un epilogo per farvi sapere cosa succederà adesso e vi avverto che sarà una roba mastodontica e – spero – per niente smielata. 💅🏻

A venerdì! 🧚🏻‍♀️

Luna Freya Nives

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