54. Inerme

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Forbidden Forest, 20th November 1992

Le gambe di Newt si piegavano e distendevano meccanicamente, instancabili. Il ciuffo ribelle che normalmente gli ricadeva sul viso era quasi scomparso, sconvolto dalle gelide folate di vento. La mano destra stringeva con forza la maniglia della valigia magica, fin quasi a far sbiancare le nocche.

I colori gli sfuggivano alla vista e gli occhi arrossati gli prudevano. I muscoli del viso erano contratti senza che neanche lui sapesse esattamente perché.

La testa gli pulsava come se qualcuno stesse bussando insistentemente alla sua porta. I denti battevano velocemente, mentre attraversava a grandi passi la Foresta. Sapeva di starlo facendo perché ogni volta che il suo piede toccava terra sentiva le lievi vibrazioni dell'urto.

Non poteva fare a meno di camminare, era come se ne andasse della sua stessa vita. Muoversi era tutto ciò a cui riusciva a pensare.

Perché la sua mente straripava di ansie, timori e preoccupazioni, che non lasciavano spazio a pensieri sensati. Era incredibile come il suo corpo riuscisse ad andare avanti, tanto più contenendo tutte quelle emozioni avverse. O forse era proprio quel caos che dava forza ai muscoli delle gambe perché andassero ancora più veloci.

Erano successe troppe cose, tutte insieme, e sebbene fino ad allora fosse riuscito a reprimere gran parte dell'ansia e della confusione, tutte quelle novità lo stavano schiacciando come la volta celeste sulle spalle di

Atlante.

Con un tale fardello, si era reso conto che proprio non riusciva a non preoccuparsi, contro le sue stesse raccomandazioni.

Non riusciva a non preoccuparsi per Alison chiusa lì sotto nella valigia, per i suoi amici e quello che avrebbero detto o pensato di lui vedendolo andare via in quel modo, per Tina, ovviamente, e per qualche strano motivo anche per se stesso. Che gli stava succedendo? Che cosa stava cambiando in lui? Che cosa l'aveva spinto a abbandonare tutto? Perché aveva camminato fino a quel punto?

E cosa gli impediva di tornare indietro adesso, cosa lo spronava a quella folle marcia?

Si sentiva impotente, cosa non nuova al suo essere, ma in un modo insolito, si sentiva come un burattino delle mani di un ignoto burattinaio.

Tutto era confuso attorno a lui e il suo corpo continuava a

camminare in quel caos infinito come un automa.

Ma il problema era che lui era umano e al contrario di qualsiasi automa o burattino sentiva dolore. Un dolore che in quel momento, oltre a tormentargli il cuore, gli stava lacerando ogni muscolo del corpo.

Pensava che andando nella Foresta e trovandosi in un luogo amico avrebbe gestito meglio i suoi crescenti sentimenti, ma ora la vista gli mostrava solo parte della sua realtà e tutto ciò lo faceva sentire solo. Più solo del solito.

Doveva fermarsi. Il suo fisico non avrebbe resistito a lungo, sentiva gemere i muscoli mentre le sue mani sudate iniziavano a perdere la presa intorno alla valigia. Si chiese se con tutta quell'energia e tutta quella stanchezza insieme il suo corpo non potesse implodere.

Doveva fermarsi. Era abbastanza lontano adesso, non l'avrebbero raggiunto. Sempre che qualcuno lo avesse seguito. Anche perché solo un folle l'avrebbe seguito nella Foresta Proibita. Vero? Voleva e allo stesso tempo non voleva saperlo.

Non sapeva nemmeno se voleva essere seguito. Non intendeva però farsi divorare dalla rabbia e dai rimpianti in un posto che per lui era speciale.

Doveva fermarsi. Voleva fermarsi. Era padrone di se stesso e questo non gliel'avrebbe potuto togliere nulla e nessuno. Chiuse gli occhi e prese un bel respiro.

Si sforzò di guardarsi intorno e mise lentamente a fuoco l'ambiente.

Il vento frusciava dolcemente tra le fronde e la luce del sole illuminava le chiome degli alberi di un bagliore dorato.

In lontananza si poteva udire, seppur a fatica, lo scorrere dell'acqua, probabilmente di un piccolo ruscello. Newt se lo immaginava limpido e cristallino.

Il profumo di muschio permeava il bosco mentre il tappeto di foglie scarlatte tingeva il terreno.

Lentamente, meravigliato da quello spettacolo come se lo vedesse per la prima volta, Newt rallentò fino a fermarsi.

Si chinò, posò le mani sul terreno e chiuse nuovamente gli occhi.

Le sue dita penetrarono il tappeto di foglie fino ad affondare nella terra umida. Newt ne poteva sentire l'energia. Lasciò che quel mondo si animasse dietro le sue palpebre, di colori e lievi sussurri, di zampettii lesti e aria pura, di sapore di selvatico sulla punta della lingua.

Poi riaprì gli occhi e sospirò di sollievo.

Era difficile capire da dove venisse la luce del sole calante, là dentro, ma era abbastanza sicuro di starsi muovendo verso di essa.

Non mancava molto prima che facesse buio, ma sapeva di poter uscire dal bosco in tempo.

E poi, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe sempre potuto trovare un rifugio nascosto ed entrare nella valigia, dove Alison lo aspettava. Già, Alison...Cosa le avrebbe detto? L'aveva portata con sé senza chiederle il suo parere. Però non avrebbe potuto abbandonarla. Glielo aveva promesso con il mignolino. Non si può rompere una promessa fatta col mignolino.

Per parlare con Al ci sarebbe stato tempo dopo. Probabilmente sarebbe stata lei ad aiutare lui, come sempre, del resto.

Aveva appena formulato questo pensiero quando sentì un calore improvviso sprigionarsi dalla tasca del giubbotto.

Estrasse la pietra magica che gli aveva dato Amber, il Fiammagranchio, e che lui aveva cesellato fino a darle la forma di un drago. Un lieve bagliore la illuminava dall'interno, proiettando l'immagine di una graziosa farfalla in volo.

"Tina" pensò istintivamente.

***

A Hogwarts, quattro pietre magiche sembravano prendere vita nelle tasche dei proprietari, scaldandosi e illuminandosi come per un fuoco interno.

-Cosa succede?- chiese uno.

Gli altri risposero in coro, dicendo prima -Tina- ma poi anche, con tono sconsolato: -Newt.-

***

Indietreggiò, vedendo quell'essere uscire dai cespugli.

Tina si sforzò di non emettere un suono, ma non poté evitare di mettersi una mano davanti alla bocca.

Che cosa diavolo era quello?

Era una bestia abnorme, di un colore grigio-giallastro e...disgustosa. Era impossibile vedere una testa in mezzo a quell'accozzaglia di arti, la maggior parte dei quali zampettava di continuo sul terreno, con un ticchettio che le faceva accapponare la pelle. Sembrava quasi lo facesse solo per il gusto di inquietarla, visto che comunque si trascinava a terra come una lumaca.

La sua lunga coda arcuata si agitava per aria, minacciosa.

Restò davanti a lei per qualche istante, ondeggiando grottescamente da un lato all'altro come se si voltasse per annusare l'aria.

Tina abbassò il capo, continuando però a tenerla d'occhio, e cercò di indietreggiare molto lentamente. "Forse è cieco" si disse, speranzosa.

La creatura puntò la coda verso di lei, emettendo scintille che atterrarono a qualche centimetro dai suoi piedi.

"O forse no" concluse l'Auror, sforzandosi di mantenere la calma. "Di sicuro non ha problemi a capire dove sono e cosa faccio."

Cercò di riportare alla mente le lezioni con Newt, e tutti gli animali che le aveva insegnato a conoscere e domare, anche i più pericolosi. Nulla di quel che aveva visto poteva anche solo assomigliare alla bestia che aveva davanti adesso.

"Cosa potrebbe calmare o distrarre un animale qualunque?" si chiese. La prima risposta che le venne alla mente fu "cibo", ma respinse violentemente l'idea visto che, in questo caso, il cibo era probabilmente lei.

Mosse gli occhi da un lato all'altro, cercando di trovare una via di fuga. Ma quello non era il suo ambiente: la vegetazione fitta e monocolore della Foresta per lei era incomprensibile, tanto più ora che il buio stava calando.

In quel momento, la Foresta era una ragnatela. Lei era la mosca che ci era rimasta invischiata. La bestia era una vedova nera. Scappare, combattere o morire. Semplice e naturale.

A quel punto lasciò perdere la razionalità. L'istinto animale prese il sopravvento e cominciò a correre.

***

Newt avvertì l'odore di quell'essere prima di vederlo, e ciò gli diede un minimo sollievo.

Era sottovento, quindi aveva un vantaggio.

Quando però ne sentì il verso, la sua sicurezza vacillò istantaneamente. Non assomigliava a nulla che avesse mai sentito. Era una specie di gemito strozzato, accompagnato dal ticchettio di sei enormi zampe di cheratina.

Afferrò la pietra che ancora fluttuava a mezz'aria, se la rimise a forza in tasca e accelerò per raggiungerlo, sguainando la bacchetta.

Sgusciò agilmente tra le piante, seguendo i sentieri tracciati nell'erba dal passaggio degli animali, e finalmente riuscì a vedere la creatura.

Gli dava le spalle, o meglio, il pungiglione. Sembrava un ibrido tra un'aragosta e uno scorpione, lungo almeno un paio di metri e ricoperto da una corazza opaca. Il corpo allungato terminava appunto in un pungiglione da scorpione, che al momento crepitava di scintille.

Non poteva vederne il muso, ma capì subito che quella creatura non figurava in nessun trattato di zoologia che avesse mai letto, magica o no, e non assomigliava a nessun animale che avesse mai visto.

Tina era lì, a pochi metri. Aveva i capelli arruffati e ansimava, i muscoli in tensione, probabilmente reduce da una corsa, e la creatura la stava mettendo alle strette. Lei lanciava Schiantesimi e Bombarda, cercando di difendersi dallo strano essere che, però, sembrava a mala pena infastidito.

I loro sguardi si scontrarono.

-Newt!- lo chiamò lei, scorgendolo. La sua espressione affaticata si sciolse in un sorriso di sollievo.

Chissà perché, la fiducia rendeva quel viso tirato più bello che mai. Fu lì che Newt capì quanto era stato idiota.

E fu da quel sorriso che iniziò la catastrofe.

Fu un istante, ma bastò. Lei si era distratta, lui esitò, ma l'animale non perse tempo.

Agitò la coda in uno scatto fulmineo, e il pungiglione, di una trentina di centimetri, si staccò, inaspettatamente, come un dardo affilato scagliato da un arciere.

Newt restò a guardare mentre il sorriso scompariva dallo sguardo di Tina, e non poté fare niente mentre lei cercava istintivamente di scostarsi, senza successo, e il pungiglione la colpiva di striscio. L'attimo dopo, svenne e cadde a terra.

Newt non restò a guardarla mentre si afflosciava inerte al suolo. Non poteva permetterselo.

Il mostro ora era disarmato. La coda emetteva ancora scintille, che però si estinguevano a poca distanza da essa.

Newt gridò, e scagliò uno Stupeficium. Attirarne l'attenzione in questo modo gli avrebbe impedito di ammansirlo, ma ormai non ne aveva più l'intenzione. Si mosse rapido, non sapeva quanto tempo aveva. Tutto quello che contava era Tina, e il resto del mondo poteva anche sparire purché bastasse a salvare lei.

Eppure temeva di essere arrivato troppo tardi.

Studiò la belva mentre questa si voltava con un sibilìo di rabbia, trascinandosi sul terreno. La parte anteriore del corpo terminava senza una testa, senza antenne né organi sensoriali visibili.

Era cieca, e probabilmente anche sorda. Eppure pareva percepire ogni suo minimo movimento.

"Il suolo" pensò Newt. Ma certo. Era come una lucertola, o un serpente. L'addome toccava continuamente terra perché, così come le estremità delle zampe, era abbastanza sensibile da percepire le vibrazioni del terreno. E questo perché era libero dal guscio, e quindi scoperto.

Questa volta, Newt si impedì di tentennare. Chinandosi per colpire il punto giusto, lanciò un Diffindo verso il ventre della creatura che, finalmente, sembrò leggermente ferita, anche a giudicare dal verso furioso.

Quindi aveva un punto debole. Ottimo. Restava da capire come usarlo.

Come rispondendo alla domanda, una manina bussò dall'interno della valigia. -Papà? Che succede?- domandò una vocina impaurita che non avrebbe dovuto avere niente a che fare con quella situazione.

L'idea prese forma in un istante nella testa di Newt. Un'idiozia, ma poteva funzionare. E poi, era l'unica soluzione che aveva.

-Manda Fierobecco e andrà tutto bene! Veloce! Poi ti spiego!- gridò per sovrastare i rumori della lotta e della propria stessa corsa mentre cercava di aggirare la creatura. Sperò che la figlia l'avesse sentito.

Continuò a lanciare incantesimi verso l'animale, anche se lievi. Del resto, non era neanche facile colpire un punto che era per la maggior parte del tempo a contatto con il terreno. Il mago fece del suo meglio per disorientare l'essere, facendo levitare qualunque oggetto si trovasse davanti - sassi, rami, persino foglie - solo per farle cadere tutto attorno alla bestia, che si girava ora da una parte ora dall'altra, non capendo da dove provenisse la vera minaccia.

Aveva avuto ragione allora, era così che percepiva la sua presenza.

-Al?- provò a chiamare.

-È pronto- dichiarò la bambina, con la voce ferma nonostante lo spavento.

"Quando saremo al sicuro, le comprerò una scorta di macarons per tutto l'anno" pensò Newt.

-Conto fino a tre- disse, continuando a muoversi tutt'attorno alla creatura.

-Uno...-

Un altro Diffindo colpì l'addome del mostro.

-Due...-

Newt afferrò Tina per la vita e la sollevò, senza osare controllare in che condizioni fosse.

-Tre!-

Fece scattare i ganci della valigia e l'Ippogrifo uscì, in tutta la sua possente bellezza. Spiegò le ali e guardò Newt, facendo un cenno con il capo come a dire "Sì, mi fido di te, lascia perdere le formalità, filiamocela".

Newt non se lo fece ripetere. Stringendo Tina in un braccio e la valigia richiusa nell'altra mano, saltò sulla groppa di Fierobecco, cercando in qualche modo di reggersi senza lasciare andare nessuna.

Il nobile animale corse per qualche metro tra gli alberi, cercando un punto dove le chiome si aprissero, mentre la belva ancora li inseguiva nel bosco ormai in ombra.

Poi, finalmente, lo videro. Un pezzo di cielo, di un blu che stemperava nel rosso.

Fierobecco decollò, con una lieve esitazione per il notevole carico, e uscì all'aperto, sfiorando con le ali le fronde circostanti. Newt dovette fare appello a tutto il suo equilibrio per non cadere, con Tina che gravava a peso morto tra le sue braccia.

Ma erano fuori, il sole calante rischiarava nonostante tutto l'orizzonte di un bagliore arancio dorato e a est si accendevano le prime stelle.

In lontananza tra gli alberi pareva esserci una piccola radura, e lì si diresse l'Ippogrifo.

Newt avrebbe voluto abbandonarsi sul suo collo, ma tenne duro.

Stargli aggrappato era difficile: si reggeva con un braccio solo, affondando le dita tra le piume soffici. Con l'altro braccio circondava Tina, stringendola a sé anche più forte di quanto avrebbe voluto per riuscire a mantenerla seduta sul dorso della loro cavalcatura, abbandonata contro di sé, perché la mano era occupata a tenere il manico della valigia.

Fu sollevato quando, pochi minuti dopo, Fierobecco atterrò delicatamente sull'erba, chinandosi per farlo scendere.

Osservò l'ambiente circostante. Lo trovò un vero sollievo, un posto sicuro dopo la brutta avventura.

Nonostante fosse ormai quasi buio, l'apertura tra le chiome degli alberi diffondeva ancora un bagliore che arrivava fin nel sottobosco. Gli animali più aggressivi erano alcuni passerotti che cinguettavano sulle fronde.

Newt lasciò andare la valigia e si accasciò a terra, riverso a pancia in su, stringendo forte Tina per attutire la sua caduta.

-Papà?- chiamò la voce di Alison.

-Sto bene- rispose Newt, ansimando. L'adrenalina era ancora in circolo, e si sentì incredibilmente euforico per quel che stava dicendo. Ce l'avevano fatta. -Sei stata fantastica, Al, ora siamo sal...-

Solo in quel momento si accorse di quanto erano vicini lui e Tina e arrossì violentemente. Si girò di fianco, posandola delicatamente sull'erba.

Lei non si mosse.

La donna era immobile, con gli occhi chiusi. La camicetta strappata si apriva sul fianco sinistro, dove un'intricata ragnatela di vene annerite si diramava a partire dalla ferita che doveva averle procurato il contatto con il pungiglione.

Newt trattenne un gemito di disperazione. Tina non era salva. Non ancora.

E di nuovo, lui non sapeva cosa fare.


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💫SPAZIO AUTRICI💫

Cosa? Volevate un capitolo ogni anno? Ma che pretenziosi...

Non vi allargate.

E poi ci piace lasciarvi con un po' di ✨suspance✨ e alla fine di questo capitolo ce n'è parecchia nell'aria.

Odiateci ❤

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