40•capitolo -Un altro giorno-

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Marco

Vorrei che tu mi amassi, Siria, come quell'adolescente che eri, che non si preoccupava degli sbagli fatti da entrambi, l'importante era sempre stare insieme. Vorrei che tu mi vivessi ancora senza tutte quelle insicurezze che la vita adulta ci ha messo dinanzi, fregandosene se l'amore tra noi esiste ancora, adesso la paura riesce a farci rimanere fermi mentre la vita ci scorre davanti.

I miei pensieri sono questi mentre guardo il letto spoglio dove ha dormito Siria. E sì, ammetto che un po' ci avevo sperato di trovarla qui ad aspettarmi, un po' avevo creduto di sentirle pronunciare le parole che aspetto da mesi, ovvero che non ci può stare neanche lei senza di me, ma è chiaro che non è così e questa volta ho intenzione di accettare la sua volontà. Le ho lasciato un messaggio in segreteria, infondo non so neppure io per quale motivo, non mi aspettavo di certo di vederla tornare da me, eppure ne avevo bisogno; avevo bisogno di farle sapere che la speranza è l'ultima a morire. La mia che in questi mesi non è mai stata seppellita, ci ho provato con ogni fibra del mio corpo a lottare, a restare, a convincerla, niente è stato sufficiente. Non sono arrabbiato con lei, capisco il suo punto di vista, comprendo che ormai la paura che io possa farle del male ha superato l'amore che nutre nei miei confronti.

Con questa consapevolezza, guardo un'ultima volta il telefono, mi rendo conto che non c'è neanche un messaggio di risposta e non sono neanche tanto deluso, me lo aspettavo che non l'avrebbe neppure preso in considerazione. Dunque, per cercare di lasciare in qualche modo il suo pensiero alle spalle, mi siedo davanti alle carte per il progetto che mi ha offerto Sonia, una società tra noi che mi permetterebbe non solo di aver più tempo, ma anche di salvare il mio lavoro visto che ormai le spese erano più dei guadagni. Mi gratto la fronte davanti a quella carte, non riesco a concentrarmi, tutto in questa casa sa di lei da quando ci ha messo piede. Il suo odore si è impregnato tra i muri.

Il mio cuore aumenta i battiti quando il telefono comincia a squillare, mi rendo subito conto che non può essere Siria e che è inutile che continui a farmi illusioni. Eppure una strana una sensazione mi serpeggia sulla pelle, da una scossa al mio corpo, mi fa fare un salto dalla sedia per precipitarmi al telefono. Quando lo stringo tra le mani e vedo di riflesso il nome di Siria comparirmi sullo schermo, quasi non ci credo, quasi stento a crederci, quasi credo di star sognando e un sorriso si imprime sulle mie labbra.

«Siria» è più un urlo il suo nome che esce dalle mie labbra, me le mordo così forte per sopprimere lo stato di ansia mista a felicità che pervade tutto il mio intero corpo nel saperla al di là del telefono, nel sapere che neanche io sono fuori dai suoi pensieri, che entrambi possiamo scappare tutte le volte ma ci ritroviamo a pensarci e non ci riusciamo a separare nemmeno se vogliamo.

«Marco... giusto?» al di là però non è la voce che spero a farmi eco, ma piuttosto qualcuno che non conosco, una voce maschile che non ho mai sentito. Stringo il telefono così forte che quasi riesco a romperlo, il respiro mi si mozza e gli arti tremano in maniera inesorabile nell'aspettare di capire chi è questo tizio.

«Sì» rispondo, «tu chi sei?»

Silenzio, uno di quelli assordanti, che fai fatica a gestire, che non riesci a resistere nell'attesa.

«Ho trovato questo numero tra le ultime chiamate... la ragazza... la proprietaria di questo telefono ha appena avuto un'incidente nello svincolo per Casoria, non so...»

Il mio mondo crolla, è proprio come se cadessi da un grattacielo, mi schiantassi e sentissi tutto il male che questo procura, ma restassi vivo.

«Che... che cosa si è fatta?» non lo so neppure come ho il coraggio per pronunciare questa domanda, so solo che neanche lo conto più il tempo ad aspettare una sua risposta, non riesco più a reggere il peso del mio corpo, crollo inesorabilmente sul pavimento, sento il tonfo ma non il dolore. Non sento niente.

«Non lo so, la ragazza è svenuta» mi racconta, «la stanno caricando in ambulanza per portarla al policlinico» metto giù il telefono, tremo così tanto che neanche capisco che diavolo sto facendo, prendo le chiavi della macchina e a passo svelto mi dirigo sulla mia auto.

Solo quando sono per strada, sorpasso le macchine e corro senza mettermi un limite, chiamo Sam per dirle quello che è successo e per chiederle di avvertire la sua famiglia.

Arrivo all'ospedale, quando finalmente metto piede dentro cerco qualsiasi persona che possa dirmi come sta la ragazza che amo.

Perché se non sta bene, se... se la perdo, io perderò anche me stesso.

E adesso li vorrei poter contare le ore, i giorni, i mesi che sono stato con lei.

Vorrei poter dimenticare i giorni, le ore, i mesi che sono stato senza di lei.

E vorrei che non fossero gli ultimi, vorrei soltanto un altro giorno. Uno solo con lei.

«Marco...» sento chiamare il mio nome in lontananza, le voci si sono silenziate, non riesco più a capire nulla, perché è come se fossi con lei. «Marco» il mio nome lo sento ancora richiamare, stavolta mi appaiono due occhi verdi davanti a me, un viso che sta piangendo e solo dopo una manciata di minuti riesco a metterla a fuoco, riesco a capire che si tratta di Sam. «Come sta?» chiede, «che è successo?» tira su col naso, mi strattona dalle spalle e cerca di avere una risposta da me, ma che non arriva.

«Non... lo so... non... non mi hanno detto niente!» le mie gambe le sento divenire molli, non mi reggono in piedi, le lacrime nemmeno lo so quando hanno cominciato a scorrermi sul viso.

Due occhi scuri li vedo in lontananza, quelli del mio migliore amico e che sono gli unici a darmi un conforto, soprattutto quando si avvicina e senza chiedermelo un permesso, come se ci fossimo abituati a queste effusioni, mi stritola in un abbraccio e mi aiuta a svegliarmi da questo stato catatonico in cui ero caduto.

Nel frattempo arrivano anche i genitori di Siria, i quali sono altrettanto preoccupati, sicuramente più di me e mi viene spontaneo andare a dare loro conforto, lo faccio per Siria, ma non so effettivamente dove io trovi le forze adesso.

Arriva il dottore dopo una manciata di minuti, neanche riesco a guardarlo in faccia, la paura mi atrofizza le ossa mentre vedo solamente i suoi piedi avvicinarsi verso i genitori di Siria.
«stiate tranquilli, la ragazza sta bene, ha solo preso una botta e dovrà fermarsi per qualche ora. Tra poco vi faremo entrare»

Ed è come se liberassi tutta l'ansia, tutto lo stato d'inquietudine e solitudine che mi hanno assalito, ci riesco solo in questo momento quando odo queste parole.

Perché nessuno può capire come si ci sente a pensare di avercela una vita davanti, a credere di avere sempre un nuovo giorno per aggiustare le cose, ad essere un superficiale senza speranze nell'osservare il mondo come se mai potesse cambiare o crollarti addosso; e poi arrivano giorni come questi, in cui ti rendi conto di quanto tempo hai perso senza fare niente, di quanto tempo avresti avuto per recuperare, senza aspettare che la vita ti desse l'occasione ma prendendotela tu stesso, eppure non hai mosso neanche un muscolo perché ciò accadesse. E io la stavo perdendo, un incidente mi poteva far perdere il grande amore della mia vita, e nessun nuovo giorno avrebbe potuto aggiustare le cose. Adesso l'ho capito, adesso so che non sprecherò mai più un solo giorno aspettando di avere le mie occasioni, ma me le prenderò costi quel che costi; la riavrò, anche solo per un attimo, un sorriso, o qualsiasi cosa lei sia disposta a darmi, ma non posso più stare un altro giorno senza che ciò accada.

Dopo mezzora che mi è sembrata interminabile, finalmente, mi fanno entrare nella stanza di Siria. Sta dormendo e non ho alcuna intenzione di svegliarla, probabilmente visto la botta presa, sarà stordita. Potrei tornare dopo, ma l'ho promesso a me stesso che non mi perderò neanche un solo minuto di lei, dovessi stare anche tutta la giornata ad aspettare che si svegli. Mi siedo sulla sedia, la guardo nella sua bellezza e ringrazio Dio per poterlo fare, per non doverla vedere svanire, per poterle accarezzare la mano così come sto facendo e sfiorarla per toglierle una ciocca castana che le è ricaduta sul viso bianco pallido.

Solo dopo un po' i suoi occhi cominciano a socchiudersi, sono sulla sua visuale eppure non so se mi stia guardando, ma quando con sforzo alza il braccio e posa la sua mano sulla mia, è come se mi stesse accarezzando l'anima.

«Hai finito di avere quella faccia?» mormora a fatica e abbozza un sorriso, «togliti quella faccia preoccupata, sono viva!»

«Non prendermi in giro, sai cosa si prova ad essere da questa parte?»

Lei ridacchia, ancora con fatica, mentre chiude totalmente gli occhi.

«Ci vuole molto di più per farmi fuori!» Dice aprendo gli occhi, che incontrano i miei, facendo avere un mancamento al mio cuore. «Vieni qui, avvicinati» nel frattempo che lo dice, si alza di poco affinché io possa starle più vicino possibile. Mi accarezza il volto in maniera inaspettata, «devo... devo prenderlo come segno del destino che venendo da te ho avuto un incidente?» rimango sbalordito nel sentirle dire ciò.

«Davvero stavi venendo da me?» la guardo, «e perché?»

«Volevo parlarti...» ammette in un sussurro e abbassa gli occhi in imbarazzo, se posso mi avvicino ancora di più, mescolando i nostri respiri, «dirti che vorrei ricominciare e lasciarci tutto alle spalle» si mordicchia il labbro e io sorrido, «vorrei, ma non posso, Marco!» ed ecco che mi dà la stoccata finale.

«Siria...» tento di dire, ma mi mette a tacere mettendo una mano sulle mie labbra per zittirmi.

«Fammi... fammi finire» prendo un lungo e profondo respiro, anche perché ammetto che è complicato rimanere in silenzio dopo che per l'ennesima volta mi ha detto che non vuole stare con me. «Non posso dimenticare tutto ciò che è successo, perché è stato doloroso, ci ha portato a soffrire e a perderci. Non voglio che accada più, ho paura Marco, una paura fottuta di tornare a fidarmi di te e scoprire che avrò l'ennesima delusione. Ma sai di cosa ho paura ancora di più!?» scuoto appena la testa, «di rimanere ancora senza di te. Di non provarci neanche, non a ricominciare, ma a ricostruire, sapendo quello che c'è stato prima e dopo, ma provando questa volta a non ricommettere gli stessi errori»

Siria incredibilmente scoppia a piangere nel riuscire a dire tutte queste parole, e io non le vedevo scorrere delle lacrime per me da troppo, come se avesse fatto un patto con se stessa affinché questo non accadesse.

«Che... che stai dicendo, Siria?» ho paura a sbilanciarmi e sperare tutte le volte, è una delusione capire di aver sbagliato nel comprenderla.

«Che voglio che me lo dimostri che posso fidarmi prima di tornare insieme a te, che ho bisogno, con tutta me stessa, di provarci perché anche io... anche io come hai detto tu ti cerco ogni volta e non ti trovo, e non so per quanto potrò resistere»

«Faccio... faccio tutto quello che vuoi, Siria. Ti farò capire in ogni modo che sono diverso adesso, che ho capito, basta... basta che mi dai...» accarezzo il suo viso, annuso il suo profumo che mi è mancato così tanto, «un altro bacio, un altro domani, un altro giorno!»

«Ho paura da morire, Marco!» un singhiozzo le strozza la voce, le lacrime finiscono per bagnarle le labbra carnose, finiscono per prosciugare le mie parole, per farmi annegare nel senso di colpa per aver recato alla ragazza che amo così tanto dolore. «...paura di non saperla gestire, di rovinare tutto non riuscendo ad eliminare tutto il male che ci siamo fatti, ho paura di sbagliare e così cancellare anche tutti i bei momenti insieme» ammette, ormai a fior di labbra perché le sono così vicino che le sue hanno preso lo stesso colore delle mie, mimetizzandosi. Le sto accarezzando il viso per toglierle le lacrime, sto cercando in ogni modo, disperatamente, di farle capire che sono consapevole di aver fatto così tanti errori da spezzarle il cuore, io non lo farò più e mi prenderò cura delle sue insicurezze, delle sue paure, lottandoci ogni giorno se è necessario per annientarle.

«Per quello non preoccuparti: sono io quello specializzato a rovinare tutto!» ride, quel sorriso che le toglierei dalle labbra a forza di baci e farle perdere il fiato, «...mi prendo le mie responsabilità... una volta nella vita!» ridacchio, «perché lo so che stavi per rinfacciarmelo!»

«Cercherò di essere migliore anch'io, nonostante la mia perfezione, ho anch'io dei difetti» sorride, punzecchiandomi.

«Ce la faremo insieme, promesso! Questa volta sì!» e la bacio sulle labbra piano, in una carezza che spazza via le parole, tutte le parole superflue, che aggiungerebbero soltanto confusione a tutto, soltanto paure che noi ancora non ci siamo tolti del tutto di dosso.

Ma lei si ferma, mi guarda negli occhi e mi fa perdere la cognizione del tempo, come sempre.

«Non dovevamo andarci piano?» ridacchia, umettandosi le labbra.

«Si, ma domani è un altro giorno e ci penseremo, adesso devo baciarti!»

E la bacio, senza delicatezza, questa volta atto a cancellare tutto il male che ci siamo fatti non capendoci, non ascoltandoci, permettendo al tempo di allontanarci, di farci perdere un altro giorno di noi. E io lo prometto, questa volta non a lei, ma a me stesso in un atto di fede, che non me la perderò per strada, che sarò più bravo a comunicare e che nel momento in cui i miei pensieri diventeranno più forti delle parole che pronuncio, le urlerò a lei e tenterò tutte le strade che mi permettono di rimanerle accanto.

Perché io non ci starò più un altro giorno senza l'unica persona che non avrò mai il coraggio di perdere!

E... siamo alla fine 🥺
Spero che vi sia piaciuto!🤞

Manca ancora l'epilogo che lo pubblicherò tra domani e dopodomani. 😘😘😘

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