Capitolo 1:Eloise

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Ero nel mio letto che dormivo, sapevo che dormire era il modo migliore per fuggire dai miei pensieri e sapevo che una volta uscita da quell' ospedale sarebbe stato peggio: gli investigatori mi avrebbero fatto domande delle quali non conoscevo la risposta. Compagni di scuola che si sarebbero finti dispiaciuti per quello che mi era successo e abitanti del luogo a cui avrei ricordato che quel posto non era tanto sicuro quanto pensavano, ma invece c' era un inaspettato assassino che si nascondeva tra di loro.

Fui svegliata da una donna, un'infermiera, che entrò nella stanza, con un vassoio pieno di cibo tra le mani.

Aveva i capelli biondo scuro, era alta e magra, inoltre sembrava molto giovane, non dimostrava più di venticinque anni e pensai subito che avesse un fisico da ballerina o da modella.

<<Non ho fame>> dissi prima ancora che provasse a farmi mangiare, in risposta lei mi sorrise complice.

<<Fuori dalla porta c'è un ragazzo che chiede di vederla, quando mangerà lo faremo entrare>>

<<Non voglio vedere mio fratello>> mi ribellai, Asher era l' ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento.

<<Non è suo fratello>> sorrise <<mangi dai, si deve mettere in forze, signorina, e se non mangia non scoprirà mai chi la vuole vedere.>>

<<Non mi dia del lei>> sbottai subito, sapevo che era una forma di gentilezza, ma mi dava l' orticaria sentirmi chiamare ''signorina'' o di sentirmi dare del lei, specialmente da una ragazza di pochi anni più grande <<e poi, che importanza ha essere forte se tanto non posso più camminare?>>

<<Eloise, se non mangi rimarrai qua per sempre>>.

<<Lei non capisce>>

Qual'era la cosa peggiore delle infermiere giovani? Ti conoscevano, ti capivano: erano anche loro giovani; dunque, non ci pensò due volte a usare l' unica carta che aveva in mano per convincermi a mangiare.

<<Forse non ti capisco. Ma so che, se non mangi, di certo non migliorerai e lasceresti un ragazzo misterioso ad aspettarti dietro la porta. Cosa ti costa mangiare qualcosa?>>

Non mangiai tutto, ma quanto bastò per convincere l' infermiere a far entrare il ragazzo ''misterioso'',  dentro di me non mi stupii di trovarmi il ragazzo con cui non condividevo il sangue, ma era come un fratello.

Chi altro avrebbe potuto fare tutta quella strada per vedermi, se non lui?

<<Cedric?>>

<<Buongiorno>> mi salutò mentre sedeva accanto a me, era sempre il solito ragazzo, ma  non aveva il suo normale sorriso felice e spensierato sul volto, sembrava incredibilmente teso e preoccupato, due aggettivi che era la prima volta che associavo al suo nome.

Cedric era il migliore amico dei gemelli da quando erano nati: aveva la loro stessa età ed era cresciuto insieme a noi. Le nostre madri erano migliori amiche da sempre, poichè le nostre nonne erano a loro volta molto amiche, inoltre, nostra madre e sua madre lavoravano in società, quindi spesso ci lasciavano tutti insieme.

<<Che ci fai qua?>>

<<Pensi che sia troppo piccolo per fare un paio di ore di treno da solo?>> domandò con un sopracciglio alzato e un sorriso che nonostante mi sembrasse un po' forzato, gli illuminava il viso.

Cedric, al contrario dei gemelli, aveva una carnagione molto pallida, gli occhi erano di un colore difficile da definire in quanto cambiavano in base al suo umore: alle volte erano di un verde acquoso, mentre più frequentemente erano grigi. I capelli erano castano chiaro, anche se alla luce del sole assumevano una leggera tonalità rossiccia.

Perciò, nonostante non fosse biondo, gli bastava sorridere per sembrare un angelo senza le ali.

<<Sono cinque ore di treno>> lo corressi.

<<Vabbè... guarda cosa ti ho portato>>

Mi porse una rosa rossa e quasi scoppiai a piangere, per la prima volta dopo tanto tempo, dalla gioia. 

Le rose erano il mio fiore preferito: belle e profumate, mi ricordavano che tutte le cose piacevoli avevano le spine, e se non si faceva attenzione nel prenderle o nell' avvicinarsi, ci si pungeva.

Non bisognava essere frettolosi, perché si rischiava di ferirsi e basta.

<<Grazie>> dissi rimandendo a bocca aperta e lui mi sorrise.

<<Era il minimo che potessi fare... con quello che stai passando>>

Scossi la testa:<<Non voglio parlarne, come va a casa? A scuola?>>

<<Bhe, tutta l' ira dei tuoi genitori si sta riversardo sulla St Julien Accademy>> mi sorrise <<non si parla d' altro.>>

Sbuffai al pensiero, capivo bene il modo di comportarsi dei miei genitori: nei panni di mia madre avrei fatto la stessa cosa. Quale madre ricca e famosa, con tutti gli appoggi giornalistici al mondo, non avrebbe scatenato la sua ira contro la scuola e i docenti non abbastanza attenti a chi passava dalla porta, con tutte le risorse di cui disponeva?

Tuttavia mi infastidiva l' idea di essere sulla bocca di tutti.

<<Come vanno le gambe, fanno male?>>

<<Come se non le avessi... letteralmente>> dissi e sentii nuovamente gli occhi pizzicarmi.

<<Tutto si sistemerà>> mi disse in tono consolatorio.

<<Domani torno a casa>>

<<Vedi, già le cose si stanno sistemando>> in quel momento avrei voluto dirgli che non era per nulla vero, ma alla fine decisi che era meglio tenere quel commento per me.

<<So che non ci credi, ma ti racconto una storia... c' era una volta, in un castello di ferro, una fanciulla molto bella. Fu chiusa là dentro dalla famiglia perchè si era innamorata di uno stregone. Pensava che ormai sarebbe morta in quel castello, quando improvvisamente arrivò un vampiro che la salvò e la portò di nuovo dal suo stregone: la famiglia nobile della fanciulla venne rinchiusa e lasciata a morire nel castello di ferro>> con mia sorpresa riuscì a farmi ridere per come aveva storpiato un racconto citato nel libro che gli avevo regalato a Natale, Signora della mezzanotte di Cassandra Clare.

Una parte di me era anche fortemente stupita che lo avesse veramente letto, conoscendo la sua avversione alla lettura.

<<Perché ridi?>>

<<Non c' è nessun vampiro che la salva dal suo destino. Lei viene lasciata a morire, murata viva dalla famiglia provocando l'ira dello stregone>> lo corressi.

<<Ma quella è la storia della Signora della Mezzanotte. Tu verrai portata via dal tuo destino, tu sei destinata a brillare. Signora del Mezzogiorno>>

Sorrisi mentre lui si sedeva accanto a me, era da molto che non sorridevo e per un momento mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, a quando il mondo girava per il verso giusto.

Mi passò una mano tra i capelli scompigliandoli, anche se sapeva che odiavo quando lo faceva e immaginai si stupì che non gli dissi nulla.

<<Posso rimanere un po' qua con te?>> chiese e io annuii.

<<Tutto il tempo che vuoi>>

Non so per quanto tempo parlammo,  probabilmente restò con me fin quando non mi addormentai.


Il mattino dopo mi svegliai nel mio letto d' ospedale per la ventesima volta nelle ultime ventiquattro ore, proprio pochi minuti prima che arrivassero i miei genitori per riportarmi a casa.

La mia camera d' ospedale aveva la finestra con vista sulla città e notai che nonostante ormai fosse quasi estate, e il cielo avrebbe dovuto risplendere di mille colori illuminando le giornate dei cittadini, quel giorno il meteo andava a braccetto con il mio umore: cupo e grigio.

In un certo senso fui grata di ciò a Madre Natura, non sarei riuscita a sopportare il sole splendente mentre io vedevo tutto in bianco e nero nella mia vita.

Mi ero talmente persa nei miei pensieri che mi resi conto di non essere più sola unicamente quando i gemelli mi avevano quasi messa sulla sedia a rotelle, e appena me ne resi conto rabbrividii, vedermi lì sopra faceva sembrare il mio stato così... definitivo, come se non ci fosse più speranza per me.

<<Non posso camminare con delle stampelle?>>

<<Piano piano... dopo un po' di esercizio potrai farlo>> mi rassicurò Asher <<non sarai sempre bloccata qui sopra. Te lo assicuro.>>

<<E da quando sei un dottore?>> sputai acida e lui sospirò, non mi ero mai rivolta in quel modo. Ma stavo reprimendo troppe emozioni e avevo bisogno di sfogarle su qualcuno.

<<Di chi è?>> domandò Ashley appena notò la rosa, che tenevo in un bicchiere pieno d' acqua accanto al letto, ancora non era appassita ma si stava iniziando a rovinare e il colore non era più lucente come il giorno precedente.

<<Ieri è venuto Cedric a trovarmi>>

<<Wow, non pensavo fosse tanto tirchio, te ne poteva portare almeno due>> Asher cercò di alleggerire la tensione, ma capì subito che aveva sbagliato il metodo.

Se ne avessi avuto la possibilità, gli avrei tirato un bel calcio, ma dato che non potevo mi limitai a usare la bocca per ricordargli la frase scritta a caratteri cubitali sulla porta di ogni stanza: ''Vietato introdurre piantine o fiori all'interno della stanza'', anzi era strano che gli avessero permesso di portare quella rosa.

<<Stavo scherzando>> mi fece notare seccato, per poi rivolgersi a i miei genitori <<Non la possiamo lasciare qua qualche altro giorno?>>

Mio padre gli lanciò un occhiata glaciale: <<Magari dovremmo lasciare te qualche giorno qua>>

Io mi estraniai quasi subito dagli altri e mi persi nel mio mondo, per fortuna non provarono nemmeno a parlarmi. 

Dopo cinque ore di viaggio, ero di nuovo nella mia città e i miei occhi si riempirono di lacrime appena passai davanti alla mia vecchia scuola, dimora di terribili ricordi.

Trovavo uno scherzo del destino che con tante cose che mi potessero succedere, avevo proprio perso l' uso delle gambe, io che ero quel tipo di ragazza che non stava fermava un secondo. Da bambina la nostra babysitter si stancava pure di inseguirmi per casa e si limitava a controllare che non mi facessi male. 

Poi avevo scoperto la danza: avevo iniziato ballando a casa, ma poi avevo deciso di frequentare i corsi, avevo capito che quello era il mio destino.

Con il tempo sono iniziate le gare, le invidie tra le ballerine, le vittorie e le sconfitte e avevo sempre accettato tutto, perché sapevo che qualsiasi cosa mi sarebbe accaduta avevo sempre la danza e tutto il resto non mi importava.

Adesso invece cosa mi era rimasto?

<<Eloise, va tutto bene?>>

La domanda di Ashley mi sembrò ridicola, ma mi sforzai di essere gentile.

<<Si, perchè?>>

Non mi rispose, mi accarezzò il viso e mi asciugò una lacrima di cui non sapevo nemmeno l'esistenza.

<<Sono qui, non posso dire se va tutto bene, o va tutto male. Posso solo sperare che andrà tutto meglio>> sussurrai.

Mia sorella mi passò una mano tra i capelli, un gesto materno che faceva spesso, nonostante lei avesse meno di due anni in più di me.

Ashley era sempre stata in quel modo, infatti al contrario di quello che poteva sembrare dai suoi capelli che tendevano a cambiare tonalità più del consueto facendola sembrare una ragazzina, era davvero molto matura. 

<<Tu sei più forte di quello che pensi, supererai anche questo>>

Non potevo fare altrimenti, se non sperare che avesse ragione.

Nota Autrice

Signora della mezzanotte: è un libro di Cassandra Clare, il primo della trilogia The Dark Artifice, il racconto della fanciulla è inserito nel libro.

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