Capitolo 10

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Grace is just weakness

Or so I've been told

I've been cold, I've been merciless

But the blood on my hands scares me to death

- Jaymes Young


La prima volta che aveva picchiato seriamente qualcuno era stata a undici anni, quando Jake aveva preso in giro sua sorella Iris per lo spropositato fiocco che aveva accostato alla divisa scolastica delle elementari. Quel ragazzino sarebbe poi divenuto il suo migliore amico. Avevano litigato molto spesso, in seguito, anche con gli altri del loro gruppo, e a quel punto venire alle mani era diventato il suo modo abituale per risolvere qualsiasi contrasto. Ogni volta, dopo averci fatto pace, non si era mai pentito di aver fatto loro del male: semplicemente se lo erano meritato.

Con Adam era diverso. Tutto era diverso, a partire dal genere di amicizia che li univa. L'espressione ferita con cui l'aveva guardato gli aveva scavato nel profondo, rimanendogli ben impressa nella mente. Al suo interno aveva potuto leggere chiaramente l'incredulità derivata dal fatto che mai si sarebbe aspettato una reazione tanto violenta da parte sua. Era una persona ineguale a quelle che era abituato ad avere intorno; così puro e innocente da averlo fatto sentire un vero incivile per il gesto che aveva compiuto.

Riaprì gli occhi per uscire dal turbinio di pensieri che lo stavano assalendo e incontrò il grigio opaco del cielo nuvoloso che minacciava di gettargli di nuovo addosso tutta la sua collera da un momento all'altro. In lontananza si udivano dei tuoni, ma il tempo avrebbe retto ancora per un po', forse.

Non era riuscito a trovare un posto che accogliesse la sua cupezza, si era fatto guidare dall'istinto. Si era inoltrato in corridoi sconosciuti finché non aveva avuto il via libera per passare dalla porta principale. Da lì aveva ripercorso tutta la strada che quella mattina aveva scoperto con Adam e si era rifugiato nel giardino di rose, l'unico luogo in cui sentiva di non poter essere scovato. Si era riparato dietro il nascondiglio della fontana centrale, laddove aveva abbandonato la propria sedia e si era steso sul più alto dei tre gradini che la rialzavano, incurante del fatto che fosse ancora lucente per la pioggia che lo ricopriva.

Chiuse di nuovo gli occhi. Probabilmente, era stato lì a pensare e ripensare per ore. Non era più stato in grado di calcolare il tempo dopo un po', ma aveva cercato di regolarsi in base a quanti tuoni aveva sentito esplodere. Aveva perso il conto, ma erano stati parecchi. Era convinto che avrebbe ricominciato a piovere a momenti, ma anche in quel caso non si sarebbe mosso. Non aveva nessuna voglia di tornare dentro e affrontare ciò che si era scatenato, che lui aveva scatenato; aveva esaurito la carica iniziale e ora nel suo petto restava solamente un vuoto stanco, dettato dalla solitudine.

«Sapevo che eri qui» lo interruppe una voce.

Quando rialzò le palpebre, nella sua visuale era presente un elemento di troppo. Corrucciò le sopracciglia nel trovare il volto di Adam che, sdraiato com'era, vedeva al contrario. Si alzò di scatto per mettersi seduto e si piegò per guardarlo meglio, dato che era alle sue spalle. Aveva un'espressione seria, ma non sembrava arrabbiato con lui. L'occhio che gli aveva colpito era appena gonfio, ma si era colorato di un viola scuro, tendente al nero. Alec poteva quasi avvertire la sua pelle morbida sotto le nocche che si frantumava e contundeva. Rabbrividì al pensiero.

«Come lo sapevi?» fu tutto ciò che riuscì a dire.

L'altro fece il giro della fontana e attese di essere faccia a faccia con lui prima di rispondere, in modo che Alec non fosse obbligato a storcere schiena e collo. Si poggiò con i gomiti sullo scalino più alto e il suo corpo rimase leggermente curvo, in equilibrio. «Non lo so.»

Da quella vicinanza le tonalità innaturali che contornavano la palpebra sinistra di Adam erano fastidiose, quasi gli stessero urlando quanto era stato insensibile e senza cuore. Pareva che una mano inesperta avesse dipinto male quel viso, rovinandone la purezza naturale, tanto per condannarlo. Ma gli stava bene, sentirsi in colpa era ciò che meritava.

Allungò le dita verso il volto dell'amico, titubante, finché non lo sfiorò piano, proprio dove iniziava a scurirsi.

«Fa male?» chiese con rimorso in quel preciso istante.

L'altro sussultò e si ritrasse, ma poi fece spallucce e sorrise. «Oh, no, il tuo destro fa davvero schifo. Non mi hai nemmeno fatto il solletico.»

Alec ci mise qualche secondo per trovare la risposta. Sapeva che non era vero, lo vedeva, tuttavia Adam aveva deciso di scherzarci su in modo da non alimentare la sua mestizia. E la cosa lo disarmava ancora di più.

Gli costò un'immensa fatica, ma alla fine stette allo scherzo. «Mi stai dando del debole?» rise.

«Sono pienamente in diritto di affermarlo dopo averlo testato sulla mia pelle.» Adam assunse un'espressione saccente che lo mise a suo agio, eppure Alec non se la sentì di dimenticare l'accaduto come l'altro stava cercando di fargli fare. Era incredibile che non fosse arrabbiato con lui dopo ciò che aveva fatto, avrebbe dovuto riservargli come minimo lo stesso trattamento.

Alzò il braccio, quasi desiderasse toccarlo ancora sullo zigomo ferito, poi lo ritrasse ricordandosi la sua reazione, una manciata di secondi prima. Prese un gran respiro e lasciò uscire le parole che premevano contro le sue labbra. «Mi dispiace.»

Adam si rialzò in posizione eretta e per un attimo parve riflettere, poi riacquisì la neutralità di sempre e scrollò le spalle. «Eri fuori di te. Lo capisco. Non devi scusarti con me, è Mya quella furibonda.»

Una smorfia nacque spontanea sul viso di Alec. Non aveva fatto che peggiorare le cose con lei. Non ci sarebbe voluto molto prima che Louise ed Eleanor si accorgessero della verità: i loro figli si detestavano e le avevano solo prese in giro.

«Devo fare qualcosa. Non posso permettere che mia madre realizzi che quella di ieri era una messinscena. Firmerei definitivamente la mia condanna a morte.»

Adam si mosse rapido, studiando per un momento la casa. Poi tornò a guardarlo con una nuova luce nelle iridi azzurrine, come se si fosse improvvisamente ricordato qualcosa di importante. «A proposito di messinscena. Tuo padre è qui» lo informò.

Gli ci volle qualche istante per elaborare tale sentenza, poi spalancò gli occhi, stupito. «Lui è... qui?» cercò conferma.

Adam annuì. «Lui e Iris sono partiti in anticipo. Non ce l'hanno detto perché volevano farci una sorpresa.»

Si portò una mano al volto. Ora sì che era nei guai. Aveva due persone da ingannare ed era in rapporti del tutto negativi con Mya. Sua madre era furba, ma era accecata dal desiderio di accoppiarlo a quella ragazza. Suo padre no, quindi sarebbe stato più difficile manipolarlo.

Ripensare a Louise gli fece di nuovo ribollire il sangue nelle vene, ma si rendeva conto che forse doveva smettere di rimuginare sul passato, che non poteva cambiare. Aveva un presente da ingannare, ed era su quello che si sarebbe focalizzato.

«D'accordo. Andiamo.»

Gli sarebbe servita una sostanziosa dose di fortuna.

*

«Papà!» Non riuscì a trattenere l'esclamazione non appena lo vide, una volta entrato nel salotto.

L'uomo abbronzato che gli sorrise subito sapeva di sole e di casa, infatti aveva ancora addosso l'odore caratteristico di Phoenix, che Alec non aveva mai notato davvero ma che adesso portava alla sua memoria i momenti vissuti nella sua città natia. Nonostante i suoi genitori fossero un po' distanti, Stephen era colui che più cercava di stargli dietro tra i due, sebbene sembrasse per lui uno sforzo troppo difficile da compiere. Ma comunque si impegnava come poteva.

Il silenzio cadde mentre sua madre, sull'uscio, gli rivolgeva uno cipiglio severo e disgustato, che lui ignorò. Aveva già raccontato al marito cos'era successo? A giudicare dall'allegria di lui, non aveva fatto in tempo. Forse la novità l'aveva distratta, ed era proprio ciò che la stava trattenendo dallo sfogare tutta la sua indignazione su di lui.

«Alec!»

Quando lo raggiunse, l'uomo si chinò per abbracciarlo, e la sua barba pizzicò contro la tempia del figlio. Poi si distanziò e fece per aprire bocca, ma si zittì per studiare il suo volto, soffermandosi prima sulle occhiaie e poi, sorpreso, sulla testa rasata. «Come stai, ragazzo mio? Hai tagliato i capelli!»

Al bordo del suo campo visivo, scorse Louise sparire verso l'atrio delle scale, forse per andare incontro a Eleanor e Iris, che non erano presenti. Alec era ansioso di rivedere sua sorella e condividere con lei la situazione attuale, ma doveva attendere. E comunque anche suo padre gli era mancato, ammise tra sé.

Annuì e distolse lo sguardo per incrociare quello tagliente di Mya, che pareva volerlo ridurre in mille pezzettini.

«E tu devi essere Adam» sentì dire. «Iris era così impaziente di conoscerti! È andata con Eleanor a posare le sue valigie in camera, ma tornerà presto.»

Alec dubitava fortemente che sua sorella fosse felice di qualcosa in quel momento, men che meno di conoscere Adam, ma decise di non peggiorare le cose e tenerlo per sé. Ci avrebbe pensato lui a rassicurarla, a dirle che stava andando tutto bene e che i Brass non erano male come si aspettavano. Avrebbe desiderato farlo subito, ma purtroppo doveva attendere; la sicurezza prima di tutto.

«Molto piacere» rispose Adam pacatamente, avvicinandoglisi. Nel momento in cui entrò nel cono di luce, il signor Callaway si congelò nella sorpresa.

«Santo cielo, ragazzo. Cos'hai fatto all'occhio?»

Lo sguardo di Alec guizzò da Mya a Stephen, e il giovane si ritrovò a sperare che qualcuno dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non far parlare lui.

La voce della maggiore dei Brass irruppe nella conversazione, e Alec si pentì di aver aspirato a tanto. «È stato Alec» rivelò freddamente.

Tutti si girarono all'unisono verso di lui, aspettandosi che prendesse parola. Stephen sembrava deluso, ma cercava di nasconderlo perché forse voleva spiegazioni prima di condannarlo. Peccato che stavolta meritava quello e altro.

«È acqua passata» intervenne Adam, accostandosi ancora di più all'uomo, come per attirare la sua attenzione. Alec notò che la sua spalla raggiungeva quella di suo padre, che aveva sempre considerato molto alto.

Mya osservò tagliente Alec, poi si ravvivò la chioma castana e cambiò atteggiamento. «Mio fratello era geloso di me e al primo diverbio Alec si è vendicato» inventò. «Spero l'abbiate capito che non c'è nulla per cui combattere. Alec non mi sta portando via, Adam. E Adam non si vuole mettere tra noi, Alec.»

Tutti e tre la fissarono scioccati. I ragazzi per un motivo, l'uomo per un altro, che era facilmente intuibile: non credeva che Alec si fosse avvicinato tanto a Mya in così poco tempo, nonostante quel comportamento gli si addicesse fin troppo.

Alec non comprendeva il motivo della sua finta, ma pensò che in fondo anche a lei interessasse ingannarli. Incrociò il suo sguardo e lei gli rivolse una smorfia poco carina.

Il padre gli poggiò una mano sulla spalla. «Sono contento per te, Alec, ma devi ricordarti le buone maniere!» gli disse, cercando di apparire severo. Alec sapeva che in realtà non gli importava nulla che avesse picchiato Adam o del perché, l'unica cosa che gli interessava era che il piano di Louise riuscisse: in questo modo non avrebbe avuto la tristezza del figlio a pesargli sulla coscienza perché lui non voleva opporsi alla moglie.

«Lo so, papà. Ho già chiesto scusa a Adam.»

Mya lo guardò come se avesse appena detto che il cielo era rosso. Era evidente che fosse arrabbiata nera con lui, ma che comunque si stesse sforzando per nasconderlo davanti al signor Callaway.

«Mya, posso parlarti un momento?»

La ragazza si trattenne dallo sbuffare e acconsentì, avvicinandosi per carezzargli con finzione l'avambraccio. Dopo essersi scusati con Stephen, attraversarono la sontuosità di un arco intagliato e si rifugiarono sulla balconata del soggiorno adiacente, lontani abbastanza da orecchie indiscrete. Le nuvole li sovrastavano donando un senso di soffocamento che Alec contrastò perdendosi in piccoli dettagli della figura che aveva di fronte: il braccialetto d'argento quasi invisibile che circondava il polso sottile; il minuscolo neo sulla clavicola, proprio sotto il mento; le labbra a cuore, piene e rosee come una ciliegia di mezza estate; il viso pulito e libero dal trucco pesante che altre ragazze erano solite avere. Lei non ne aveva bisogno, era già bella così.

Si schiarì la voce e iniziò, dacché era stato lui a chiamarla. «Non era mia intenzione fare del male a Adam. Non me ne sono reso pienamente conto.» Con le scuse era veramente pessimo.

«Però l'hai fatto» lo accusò lei, portandosi le mani ai fianchi. Aveva un'espressione minacciosa, che le gonfiava le guance morbide ancor più del solito.

«Non complicare le cose! Sto cercando di dirti che mi dispiace.»

La ragazza alzò gli occhi al cielo. «Sai che me ne faccio del tuo dispiacere. Credi che basterà a sistemare ciò che hai fatto a mio fratello?»

Alec venne colto in fallo da quella domanda, la cui risposta era parecchio ovvia. Il senso di colpa tornò a bruciare ardente nel petto, tuttavia non gli permise di mostrarsi debole davanti a Mya.

«Beh, magari lo fai bastare per te, visto che dobbiamo continuare questa farsa insieme.»

Strinse le dita intorno alle ruote tastandone le irregolarità, un gesto che qualche volta lo aveva aiutato a calmarsi. Prese un gran respiro e ascoltò ciò che seguì.

«È per questo che prima ho provato a difenderti. Adam pare non condannarti sebbene ti sia comportato da stronzo con lui. Non capisco cosa ci trovi in te, ma lui non sbaglia mai. Se vuole fidarsi, non mi resta che farlo a mia volta.»

Alec si morse un labbro e si preparò a pronunciare frasi che considerava molto scomode. Ma ce la fece, anche per via di ciò che aveva appena udito riguardo Adam; parole che era convinto di non meritare. «Grazie.» Non gli uscì più di così, tuttavia Mya fece silenzio, in modo che lui potesse avere tutto il tempo per proseguire. «Devo scusarmi anche per ieri. Non credevo che per te fosse così importante.»

La sorpresa passò nelle iridi cristalline di lei, molto simili a quelle del fratello, ma al contempo diverse. Erano più chiare e nascondevano meno profondità al loro interno, nonostante le sfaccettature luminescenti che assumevano alla luce. La vide insicura sulla risposta da dare, colta alla sprovvista.

«Ok» sussurrò solo alla fine, ma la durezza nei suoi lineamenti si era un po' attenuata. Si girò verso il parapetto e accarezzò con lo sguardo l'orizzonte color cenere. Cercava di mantenere un'apparenza dura, ma Alec sapeva che in realtà anche lei era stanca di tutto ciò.

«Quindi... ora siamo definitivamente alleati?» le propose. Per quanto gli costasse ammetterlo, aveva bisogno di lei per superare, almeno per il momento, tutto quell'impiccio.

Mya tornò rivolta verso di lui e lo folgorò con la sua espressione furba e attenta. Lo scrutò a lungo, poi alla fine gli porse la mano. Solo quando lui allungò la propria per stringerla fu soddisfatta.

«Alleati» confermò, annuendo.

Alec sorrise e con la coda dell'occhio scorse Louise e Stephen che, insieme alla madre di Mya, stavano entrando nel salone per cercarli. Li avrebbero individuati da lì a pochi istanti.

«Allora devi baciarmi, Mya» disse con aria di superiorità davanti al suo volto indignato.

Lei aprì bocca per opporsi, le sopracciglia contratte quasi in una linea retta, poi alcune voci la notificarono degli intrusi che li stavano guardando, e finalmente li notò. Strinse i denti, fissando Alec come se non avesse scelta, poi gli si avvicinò di un poco, portando con sé il profumo femminile a malapena percepibile per via del vento autunnale.

Alec si ritrovò sulle spalle le dita sottili della ragazza e non poté credere che lo stesse facendo davvero. Le ciocche castane gli ricaddero intorno al viso, solleticandolo con una carezza. Quando lei si chinò alla sua altezza, si tenne pronto a gustarsi la scena, tuttavia qualcosa non andò come aveva previsto.

Tutto ciò che ricevette fu un bacio sulla guancia, e nell'attimo di un secondo Mya era tornata distante.

Alec gettò una fugace occhiata alla combriccola di spettatori al di là della finestra aperta; li avevano visti, ed era bastato loro quel breve contatto, anzi ne erano stati entusiasti.

Mya si allontanò da lui e gli riservò una breve linguaccia che i testimoni indesiderati non ebbero modo di scorgere. «Guai a te se tratti di nuovo male mio fratello» gli intimò a bassa voce, mascherando le parole taglienti con un sorriso impeccabile. Si voltò e i capelli le svolazzarono sulle spalle, ricomponendosi una volta che fu rientrata.

La vide fermarsi a parlare con Eleanor e i suoi genitori. Sua madre sembrava essersi ammorbidita dopo quell'accaduto. Suo padre la guardava felice e soddisfatto.

Aveva un nemico in più con il suo arrivo, ma ora aveva anche una nuova alleata. Un'alleata che non avrebbe esitato a fargli pagare il primo sbaglio, ma era fiducioso di saperla tenere a bada. Almeno così sperava.

(Revisionato)

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