Capitolo 12

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Niente testo, ma... beccatevi questa bellissima gif degli Evak u.u

Adam guardò fuori dalla finestra il sole sorto da poco, dopo aver sistemato il letto quanto bastava per sentirsi soddisfatto. Si era svegliato un po' in anticipo rispetto al solito, ed era già pronto per affrontare la nuova settimana di scuola, quindi ingannò l'attesa risistemando alcuni volumi di medicina e ortopedia che custodiva sulle mensole al di sopra della scrivania. Era una passione che aveva sempre avuto, fin da quando, da bambino, per via di un infortunio aveva dovuto passare più di un mese in una clinica ospedaliera. Era stata la dottoressa assegnatagli che aveva fatto nascere in lui l'amore per quelle scienze attraverso le quali si potevano aiutare gli altri in forma diretta e immediata. E da quel momento, pur essendo molto piccolo, non aveva mai smesso di accumulare tomi e conoscenza, i primi nella stanza della sua casa e la seconda in quella della sua mente.

Dacché l'ordine regnava già di per sé ovunque, si ritrovò ben presto a non avere nulla da fare, perciò rimase semplicemente seduto sul bordo del letto, cercando di non sgualcirlo. Gli tornò alla memoria la loro vittoria del giorno precedente, ma anche stavolta aveva un sapore agrodolce che non si spiegava.

Non era mai stato il tipo di fratello iperprotettivo: si fidava di Mya e del suo buon giudizio, e in ogni caso sosteneva che eventuali sue frequentazioni non fossero fatti suoi. Però aveva avvertito una punta di fastidio per via di ciò che era successo, come se non fosse giusto o come se qualcosa a cui teneva gli era stato sottratto. Non si era mai sentito così per via di Grisam, ma era pur vero che lui non l'aveva baciata, come invece Alec aveva fatto. L'immagine dei due avvinghiati lo assalì quasi istantanea a quel pensiero, e non riuscì a reprimere una smorfia.

Sapeva che non doveva avercela con Alec, specie perché era stato un piano ideato da lui, ma non poteva fare a meno di rifletterci, e la cosa lo portò distante dagli altri anche quando si furono riuniti per il tragitto verso scuola.

Questa volta Iris era con loro, e tra i quattro era sceso un silenzio tangibile, interrotto solamente nel tempo che servì loro per aiutare la nuova arrivata a ritirare il suo orario e la chiave dell'armadietto. Adam condivideva ben due delle sue ore con lei: pur avendo un anno meno di lui, aveva frequentato un programma di studi che le aveva permesso di raggiungerlo, in quanto sia genitori che insegnanti avevano notato che era in grado di eguagliare, se non superare, studenti più grandi di lei.

La cosa l'aveva sorpreso in positivo, poiché Alec, pur essendo intelligente, sembrava essere tutto il contrario di lei, ovvero poco diligente, pigro e disinteressato.

Dopo essersi separato da Mya e Alec in modo piuttosto silenzioso, la sua prima ora con Iris era stata un disastro. La minore dei Callaway l'aveva guardato storto e aveva pronunciato: «Non credere che mi siederò accanto a te solo perché sei l'unico che conosco.»

Al che Adam si era ricordato della sua sfacciataggine del sabato precedente nel dirgli che mai si sarebbe fatta sfiorare da lui anche solo con un dito, a costo di ferirlo. A primo impatto aveva creduto che fosse maleducata, forse più sfrontata di Alec, ma ora iniziava a capire che quel trattamento era riservato solo a lui.

Le rivolse uno dei suoi sorrisi di circostanza che era tanto bravo a improvvisare. «Puoi metterti dove vuoi, Iris. Se ti serve una mano col programma, sono disponibile.»

Le fece l'occhiolino e si allontanò da lei senza attendere che replicasse. Si sistemò al suo solito posto e salutò Miles, il suo vicino di banco con il quale – assieme anche a un altro loro amico, Caden – passava la maggioranza delle ore scolastiche.

Iris si girò più volte per sbirciare nella sua direzione, e Miles non mancò di farglielo notare. Adam si accorse che la sua espressione era meno fredda e diffidente rispetto a prima, ma comunque lontana, quella di chi non si sarebbe avvicinato senza un ulteriore incentivo.

Alla fine dell'ora, la sorprese a guardarsi intorno spaesata, e rimase per un attimo stupito della fragilità, fino a quel momento nascosta, che si intravedeva attraverso quegli occhi color del mare. Erano completamente diversi da quelli di Alec, così come quelli dei genitori. Non sapeva da chi avesse preso il maggiore, ma continuava a pensare che le sue iridi fossero di un colore unico e raro, così come il suo animo complesso. Iris invece si era rivelata più facile da leggere, per questo fu sicuro di sé quando le si avvicinò per aiutarla a trovare la prossima classe. Lei si fece guidare senza dire nulla, la diffidenza sul viso da bambina, e alla fine lo ringraziò a mezza bocca, rivolta altrove.

Rifletté sul fatto che era sicuramente un passo avanti, ma non così lungo. Fu per questo che si stupì nel vederla al suo fianco nella loro successiva ora in comune, specie perché lei non l'aveva avvertito e non si era annunciata. Gli nacque sul volto un sorriso al quale lei indirizzò un'occhiata rovente.

Fu così che comprese che Iris voleva dimostrarsi molto più arrogante e scontrosa di quanto non fosse, e che sotto quel primo strato celava una dolcezza e un timore di cui non andava fiera.

Adam era deciso a far crollare la finzione tra loro, poco a poco, così come aveva conquistato la fiducia di Alec.

Ripensare ad Alec gli fece capire che stava sbagliando. Gli era stato distante per tutta la mattina senza neanche farlo apposta, ma forse aveva un modo per rimediare a quella momentanea svista.

Annuì tra sé e sé. Gli sarebbe di sicuro piaciuto.

*

Il viaggio di ritorno da scuola era stato più difficoltoso di quello dell'andata. Mya aveva continuato con il suo chiuso mutismo, probabilmente imbarazzata per il loro bacio di ieri, e Iris aveva lanciato occhiate curiose a Adam per tutto il tempo. I due ragazzi, dal canto loro, se ne erano rimasti in una tacita contemplazione del panorama alberato fuori dei finestrini.

Per quanto lo riguardava, Alec non aveva avuto alcuna fantasia di parlare con il giovane Brass, che per qualche motivo l'aveva ignorato per l'intera mattinata. Forse ce l'aveva ancora con lui per ciò che era successo il pomeriggio precedente, anche se era una teoria che non era riuscito a confermare poiché Adam non era parso adirato; solo riflessivo. Forse, invece, aveva finalmente deciso di odiarlo per il pugno che gli aveva sferrato, ma anche stavolta gli sembrava improbabile, visto soprattutto che i segni iniziavano già ad alleviarsi.

In ogni caso, aveva imparato a odiare quei tratti in macchina per via dell'avversione verso sé stesso per i problemi che creava davanti a tutti con la sedia a rotelle. Il silenzio e l'imbarazzo lo avevano quindi portato a decidere che da quel giorno sarebbe tornato a casa senza auto, tanto la scuola non era lontana.

Dal momento che i genitori non erano presenti e quindi non era obbligato a stare con gli altri a pranzo, si volatilizzò con mezza fetta di pane tra i denti.

Il fresco della sua stanza fu un toccasana per la sua pelle stranamente riarsa in quella giornata più calda del normale. Trovò tra quelle mura non una prigione, bensì una via di fuga. Prese il romanzo che aveva lasciato in sospeso e viaggiò con la mente per gli ultimi due, inaspettati capitoli. Stentava a crederci: la storia finiva male. Niente morti tragiche e dichiarazioni d'amore, no, quelle non le avrebbe sopportate. Semplicemente i due personaggi principali prendevano strade differenti, con la consapevolezza di non poter sfidare chi e cosa era più grande di loro.

Con l'amaro in bocca, lanciò il libro sul comodino, indispettito dall'arrendevolezza dei protagonisti. Provò a immaginare un finale diverso, ma lui non era dotato di molta fantasia e non credeva di essere la persona adatta per giudicare quei due capitoli, dacché gli avevano comunque regalato quella strana sensazione di angoscia non del tutto negativa, come se tanti piccoli spilli gli stessero carezzando il cuore.

Proprio mentre stava per riprendere il volume e leggere i dettagli riguardo l'autore, sempre che questi fossero inclusi, il suo telefono emise uno squillo. Lasciò perdere ciò che stava facendo e lo tirò fuori dalla tasca, incuriosito. Aveva due messaggi in entrata; il primo era di suo padre, che si era preso il disturbo di dirgli che lui e le ragazze stavano uscendo per tornare verso le cinque e mezza. Il secondo proveniva di nuovo da quel numero sconosciuto che in passato aveva associato a Adam.

Ti va un bagno in piscina?

Rimase a fissarlo, ormai sicuro che si trattasse del giovane Brass. Aveva ipotizzato che ce l'avesse con lui, ma forse si era sbagliato, visto che lo aveva appena invitato come se niente fosse. Senza pensarci due volte, inviò una risposta affermativa e si affaccendò per trovare qualcosa di adatto nell'armadio. Si disse che avrebbe immerso nell'acqua solo i piedi, ma un costume lo voleva comunque.

Sua madre non sarebbe stata felice della sua decisione. Oltre al resto, le sue manie di tenerlo sotto una campana di vetro raggiungevano anche stupide situazioni come un "bagno" in piscina, che lei riteneva così tanto pericoloso da non permettergli nemmeno di avvicinarvisi. Ma la donna non era attualmente in casa; a detta del capostipite Callaway, sarebbe rincasata tra più di un'ora, quindi Alec avrebbe avuto tutto il tempo di rilassarsi un po' e poi allontanarsi da lì prima che lei facesse ritorno.

Dopo aver indossato il costume – l'intero guardaroba messo a soqquadro – uscì dalla porta senza cambiarsi la maglietta, e quasi si scontrò con Mya, la quale si bloccò in mezzo al corridoio, sorpresa. La osservò perplesso, focalizzando la sua attenzione sul suo abbigliamento insolito. Indossava dei pantaloncini aderenti molto corti, che le lasciavano scoperte le gambe dalla coscia fino al ginocchio. Da quest'ultimo in giù partivano dei calzini lunghi che poi si perdevano nelle scarpe da ginnastica. La t-shirt era in tinta con il rosso e il nero dei vestiti, e raffigurava un simbolo bianco che non aveva mai visto.

«Vuoi venire in piscina con noi?» sì sentì in dovere di invitarla dopo averle fissato a lungo le forme che il completo metteva in risalto.

Lei parve quasi uscire da uno strato di trance, e scosse la testa prima di rispondere. «Mi dispiace, sto andando via.»

Quelle parole fecero scattare qualcosa nella memoria di Alec, che ricordò la passeggiata delle quattro donne di casa.

Alzò un sopracciglio. «Credevo che le altre fossero già uscite.» Questo significava che per poco non era stato colto sul fatto, e la cosa lo inquietò. L'idea del bagno l'aveva attratto così tanto da impedirgli di pensare. Era davvero così poco attento?

«Mi stanno aspettando fuori al cancello. Ho dovuto prepararmi perché dopo vado a fare volley.»

Solo in quell'istante Alec riconobbe nel vestiario una tuta da pallavolo. Si diede dello stupido per non esserci arrivato prima, benché non avesse la minima idea che Mya praticasse sport.

«Non sapevo facessi volley» si scusò, più con sé stesso che con lei.

La ragazza si strinse nelle spalle, un po' a disagio. «È da quando sono piccola che lo faccio. Se ti va puoi venire a vedere una partita qualche volta.»

Alec non replicò subito, si soffermò invece sulla sfumatura più saturata che avevano preso le guance di lei. Riusciva a scorgerla benissimo grazie alla luce che entrava dalla finestra in fondo al corridoio, sebbene non fosse troppo accecante. Ipotizzò che Mya fosse ancora imbarazzata per il bacio del giorno precedente.

«Certo» acconsentì infine, un po' incredulo del fatto che l'avesse invitato.

«Ok! Allora vado» si congedò lei, girandosi e lasciandogli la visuale migliore che avesse potuto chiedere in quel momento. Un sorriso nacque sulle sue labbra un attimo prima di richiamarla.

«Mya.»

La giovane si bloccò e si girò lentamente. I capelli sciolti le svolazzarono attorno al collo coprendole in parte il rossore sulle gote. «L'abbigliamento da volley ti dona» ammiccò, facendole un occhiolino provocatorio.

Il sorriso gli si allargò ancora di più quando lei reagì impacciata, quasi come se avesse perso le parole che mai le mancavano. Poteva anche mostrarsi superiore e saccente, ma lui aveva scoperto il suo punto debole e lo stava usando a proprio vantaggio. Non solo perché l'attacco era la miglior difesa, ma anche perché si divertiva a vederla così.

«Grazie» mormorò lei infine, girandosi di nuovo per raggiungere le scale. Non gli disse altro e sparì al piano di sotto, facendo rimbombare i propri passi finché il ritmo non venne concluso dalla porta d'ingresso che si chiudeva.

Alec si concesse un'ultima, breve risata prima di rendersi conto di essere in ritardo.

Le sue ruote su quei pavimenti pieni di cera emettevano un rumore diverso da quello che era abituato a sentire a casa. Se ne era accorto fin dal primo giorno, ma solamente in quell'occasione, solo e libero dai pensieri, ci rifletté a fondo. Era più silenzioso, meno strascicato, e tutto sommato non gli dispiaceva. Fu quel suono basso e costante ad accompagnarlo fino alla stanza di Adam, dietro l'angolo.

Quest'ultimo gli aprì subito, segno che lo stava aspettando. Tutto ciò che indossava era un costume a pantaloncino, più corto di quello di Alec, il quale si era premurato di coprire la cicatrice più grande, quella che gli attraversava la coscia partendo dall'anca per arrivare poco sopra al ginocchio.

Adam non lo invitò a entrare. Afferrò due asciugamani dal letto e lo raggiunse fuori, sorridente.

«Ci voleva proprio un bagno, oggi!» esclamò, dando inizio a una conversazione poco impegnativa dalla quale Alec si fece trascinare solo in parte. Continuava a riflettere sull'atteggiamento di Adam, che durante quella mattina gli aveva appena rivolto la parola mentre ora era allegro e raggiante.

Il caldo lo colpì come un pugno quando attraversarono il giardino sotto al sole. Stentava a credere che solo due giorni prima aveva diluviato in quel modo. E che si era fatto portare su per le scale da Adam. Il pensiero lo spinse a fissare le sue spalle solide e i suoi bicipiti tonici, e quello se ne accorse. Gli rivolse un'espressione interrogativa ma amichevole, alla quale non rispose. Accelerò l'andatura e raggiunse in pochi secondi la piscina.

L'acqua era una tavola piatta, di un azzurro trasparente che rifletteva i raggi del sole così intensamente da illuminare il volto di entrambi. Il desiderio di immergervisi fu innegabile per Alec, che però sapeva di non poterselo permettere perché non aveva mai provato a nuotare con la sola forza delle braccia. Era possibile, specie per uno come lui che era abituato a compensare il deficit fisico, ma Alec non era sicuro di poterlo fare.

Restò a guardare l'amico che si gettava con un tuffo invidiabile, poi si tolse scarpe e calzini e si calò dalla sua sedia con poca grazia, atterrando sulle mattonelle color panna. Da lì, si trascinò con cautela sul bordo. L'impatto dei piedi con il liquido fresco lo fece sospirare di piacere, e desiderò ancora più ardentemente di lasciarsi trasportare e fluttuare come se non avesse peso. Il peso era diventato l'elemento fondamentale della sua vita, che lo incollava al pavimento impedendogli di spiccare il volo. Era ancorato a catene invisibili che gli graffiavano corpo e animo.

Un considerevole sciabordio lo richiamò alla realtà, e si rese conto che Adam stava nuotando. Guizzava veloce come un pesce nell'acqua, nella quale sembrava trovarsi a suo agio almeno quanto sulla terra ferma. Lo specchio si apriva sotto le sue bracciate e lasciava passare la sua abilità, sospingendolo nella corsa contro il lato opposto. Quando vi arrivò, si fermò un solo istante a riprendere fiato, poi ripartì per raggiungere rapidamente il bordo sul quale era seduto Alec.

Una volta tornato, si scrollò le gocce dal viso e dai capelli, mettendo in risalto le sfumature nero-blu che li caratterizzavano, poi non ebbe occhi che per lui, il capo piegato appena verso destra in una posa curiosa.

«Non entri?» chiese senza nascondere una nota di disappunto.

Alec scosse la testa e increspò le labbra. «Meglio di no» si limitò a dire. Non gli andava di annoiarlo su quanto sua madre non sarebbe stata d'accordo e tutto il resto.

«Hai paura?» lo sfidò l'amico.

Alec corrucciò le sopracciglia e si sporse un po'. Non poteva non raccogliere una provocazione. «No che non ne ho! Ho solo detto che è meglio di no.»

L'altro alzò le spalle e gli si avvicinò di più. «E io dico che è meglio di sì. Togliti la maglietta e tuffati. Ti reggo io» lo incoraggiò, quasi ordinandoglielo, ma lui continuò a pensare che fosse una pessima idea. Per quanto odiasse Louise, forse stavolta aveva ragione. Forse non era il caso di entrare, specialmente perché sarebbe stato un peso per Adam, visto che gli avrebbe impedito di nuotare. E poi non aveva nessuna intenzione di esporre le cicatrici intricate che gli segnavano il petto...

Mentre ci rifletteva su, si sentì stringere i polsi, ma quando si rese conto di cosa stava succedendo era troppo tardi. Fu trascinato verso il basso da una forza che, preso alla sprovvista, non riuscì a contrastare, e il suo cuore fece una capriola. Le mani bagnate di Adam lo tirarono a sé con risolutezza, finché non si ritrovò del tutto sommerso a fluttuare, cosa che calmò per un attimo i suoi timori. Ammirò l'acqua scintillante solo per qualche secondo, poi venne riportato in alto e poté riprendere aria.

Lasciò andare dei profondi respiri, scacciando via la sorpresa che l'aveva pervaso, dopo aver individuato Adam ed essersi aggrappato a lui. Le gambe erano un peso che lo spingeva giù come un'ancora, e lui non aveva idea di come nuotare senza di esse.

«Sei impazzito?» inveì, stringendo convulsamente le spalle del ragazzo. Tentò di tenersi a distanza facendo forza sulle braccia. Si sentiva invaso nei suoi spazi personali nell'accostarsi troppo all'altro, specie se era in costume. Lui, per fortuna, aveva mantenuto la maglietta, in modo da nascondere il proprio torace intarsiato di graffi e solchi.

Adam non parve cogliere appieno la sua agitazione, anzi rise spensierato, reggendolo per i polsi e muovendosi per trascinarlo con sé. Alec premette con le dita fino a far sbiancare la pelle.

«Hai paura che ti lasci?» scherzò il giovane Brass, ma Alec scorse una punta di serietà in quella domanda.

Si fidava di lui, ma così stava mettendo completamente la propria sicurezza tra le sue mani. Eppure non provava timore, sapeva che Adam non avrebbe mai fatto niente per ferirlo.

«No» rispose infine, lasciandosi trasportare. Socchiuse le palpebre e si concentrò sul liquido fresco che gli avvolgeva il corpo immerso. Poi la sua attenzione venne attratta dal calore di Adam sotto i propri palmi. Si stava ancora tenendo troppo forte. Allentò la stretta e si guardò intorno, scoprendo che si erano mossi parecchio. Adam aveva aumentato la velocità fino a correre, per quanto l'acqua glielo permettesse. Gli sfuggì una risata per l'euforia, e vide sorridere anche l'altro.

«Sei velocissimo» osservò in riferimento a poco prima.

«Ho frequentato diversi corsi di nuoto in passato. Poi ho smesso per continuare da solo, mi alleno spesso» spiegò, rivelandogli un'altra parte di sé che lui non conosceva.

Si fermarono, e per lui fu più complicato tenersi a galla, non più sorretto dalla corrente. Rischiò di perdere la presa e fu costretto ad avvicinarsi a Adam. Quest'ultimo si accorse che faceva fatica e accorciò ulteriormente la distanza, portandogli le mani ai fianchi per sostenerlo meglio. Quando percepì il contatto trasalì, ma forse l'amico non se ne rese conto per via dell'ondeggiare che li circondava. Doveva ammettere, suo malgrado, di trovarsi più comodo.

«Ti va di nuotare ancora?» gli propose all'improvviso. Desiderava vederlo destreggiarsi di nuovo tra le piccole onde, quasi come se in quel modo potesse immaginare sé stesso al suo posto. Era magnetico e, per certi versi, affascinante.

«Vuoi che nuoti?» gli chiese lui confuso.

«Sì, ti aspetto al bordo.»

Adam sorrise e non se lo fece ripetere due volte, come se non volesse farsi scappare un'occasione per coltivare la propria passione.

Alec passò un lasso di tempo sconosciuto a fissare l'agilità esperta con cui l'amico fendeva la superficie, increspandola appena per poi sparirne al di sotto. Cambiava stile a ogni vasca, passando spesso da sopra a sotto l'acqua, ma manteneva sempre una velocità impressionante. Quando lo vide finalmente fermarsi, notò che aveva il fiato corto.

«Scusa, mi sono fatto prendere un po' dall'entusiasmo» boccheggiò il giovane. Lo strinse sui fianchi e lo allontanò di nuovo dalla sicurezza del bordo al quale si era aggrappato fino a quel momento.

Non era da Alec fare complimenti, specialmente se aveva già espresso la sua opinione positiva, quindi disse soltanto che non c'era problema e che era stato interessante.

Intanto il calore del sole gli aveva asciugato la testa quasi priva di protezione, e ora picchiava su di essa come un martello.

«Voglio andare sott'acqua» comunicò, avido di quella sensazione di leggerezza che aveva sentito prima, per un attimo.

«Ok» sorrise Adam, e lui pensò che solo quel ragazzo poteva prenderla così seriamente ma alla leggera al tempo stesso. Aveva saputo cosa stava facendo quando l'aveva trascinato lì dentro, non l'avrebbe fatto se fosse stato rischioso.

«Al tre» avvertì Adam, per poi iniziare a contare. Aveva ancora il fiatone per la nuotata, ma non gli chiese di aspettare. Quando diede il via, entrambi presero un gran respiro, e Alec si lasciò portare giù. Osservò ammaliato i capelli dell'altro che volteggiavano verso l'alto. Lì sotto erano completamente neri, e sembravano così morbidi che gli veniva voglia di toccarli. Quando anche Adam lo guardò, i due si fissarono a lungo. Gli parve di essere precipitato in un mondo rallentato da una gelatina trasparente, che attutiva ogni suono e lasciava solo tranquillità. Il bruciore nei polmoni si faceva sempre più esteso, ma aveva un'importanza quasi relativa in quel piccolo spazio di loro due e nessun altro.

Peccato che la sua autonomia durò poco, e ben presto ebbe bisogno di aria. Proprio a tal proposito, Adam gli si avvicinò impercettibilmente e gli afferrò le braccia per tirarlo verso l'alto.

Il mondo normale tornò a scorrere come al solito, l'aria gli riempì il petto in automatico. Alec si riaggrappò all'amico, che trovò vicinissimo. Le sue mani furono di nuovo sulle sue spalle bagnate, mentre Adam gli stringeva i fianchi più forte di prima. I loro respiri si fondevano rapidi; i loro occhi si cercarono ancora e rimasero così, zaffiri dentro diamanti, a comunicarsi cose che probabilmente nemmeno erano consci di pensare.

«Potresti nuotare anche tu. Come me» se ne uscì Adam all'improvviso, parlando piano per via della vicinanza.

Alec alzò un sopracciglio. «No, non posso» sentenziò secco.

«Non devi rinunciare. Puoi riprovare a muovere le gambe.»

Ammutolì, colto alla sprovvista. Più di un medico gli aveva riferito in passato che sarebbe stato in grado di camminare di nuovo con una terapia adatta, ma lui si era sempre rifiutato. Sua madre non aveva insistito più di tanto, forse perché in tal modo aveva più controllo su di lui. Ma Adam come faceva a saperlo?

Proprio nel momento in cui stava per chiederglielo, una voce di donna urlò qualcosa ripetutamente. Ci mise qualche istante a capire che era il suo nome, ma quando se ne rese conto si sentì sbiancare. La sua giornata stava per finire molto male.

*Revisionato*

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