Capitolo 17

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If you feel so empty, so used up, so let down

If you feel so angry, so ripped off, so stepped on

You're not the only one refusing to back down

You're not the only one, so get up

Let's start a riot

- Three Days Grace


Era rimasto a parlare con Mya finché non si era fatta ora di andare a dormire. Doveva ammettere che non era poi così male come aveva pensato all'inizio, e con sua grande sorpresa aveva trovato piacevole scambiarci quattro chiacchiere. Inoltre era stato un modo in più per avere informazioni su Adam.

Gli aveva ribadito una volta ancora quanto suo fratello fosse sempre tranquillo e pacato; in situazioni problematiche faceva solo quello che era necessario, e non si era mai fatto prendere dall'ira o dall'ansia. Per questo la sua reazione le era parsa strana, spinta da una furia che lei di rado aveva visto in lui.

«Vuoi dare la risposta, Callaway?»

Sentendo il proprio nome, Alec alzò gli occhi verso il professore e poi fissò per un secondo gli intricati simboli presenti alla lavagna. Per un attimo sembrarono attorcigliarsi su sé stessi nel medesimo modo in cui lui e Adam si erano quasi picchiati il giorno precedente, poi Alec batté le palpebre e si diede dello stupido per un pensiero tanto assurdo. Possibile che non riuscisse a tirarsi fuori da ciò che era accaduto?

«Per stavolta ne faccio a meno» provò a divagare.

I suoi compagni risero, ma il docente gli dedicò uno sguardo critico che non prometteva nulla di buono. La cravatta di seta lucidissima che indossava parve quasi cambiare colore sotto la luce delle lampade quando lui si mosse.

«Non compilerai il prossimo compito in classe "facendone a meno", lo sai?» si limitò a dire, scrivendo poi qualcosa sul registro con noncuranza.

Alec alzò le spalle con uno sbuffo, ignorando il sorrisetto di Annie, a un banco di distanza. Non era proprio la mattina giusta.

La sua giornata peggiorò ancora di più all'uscita, quando sgattaiolò via dagli altri per non tornare con loro. Il fatto era che non voleva più solo scongiurare problemi in auto, ma anche diminuire il rischio di incontrare Adam. Se avesse messo insieme le due situazioni, avrebbe rischiato di affogare nel disgusto verso sé stesso, quindi era meglio evitare. Allo stesso modo, era fuggito da ogni conversazione con Brianne quel giorno, specialmente quando questa aveva cercato di parlare del pomeriggio precedente.

Percorse a malapena una decina di metri al di fuori dell'istituto e dovette fermare le ruote della propria sedia per non andare a sbattere contro tre ingombranti individui che gli bloccavano la strada.

Erano alti e grossi, tanto che la loro ombra lo copriva totalmente, e portavano uno zaino su una spalla, segno che erano appena usciti da scuola a loro volta. Quello al centro sembrava il più robusto tra i tre e aveva un'aria da leader. Tutti e tre avevano i capelli tagliati a spazzola che li facevano quasi apparire gemelli, anche se guardandoli bene si notavano abissali differenze, come il colore della pelle più olivastro di quello a sinistra, le orecchie a sventola di quello a destra, oppure le enormi sopracciglia che aveva quello al centro.

«Callaway, la tua nomina ti precede, anche se non mi aspettavo di dover spezzare le gambe a qualcuno che non le ha» iniziò il leader. Gli altri due si misero a ridere alle frasi cariche di idiozia davanti alle quali Alec rimase impassibile.

«Mi fa sempre piacere trovare ammiratori, ma non ho tempo per te, ora» ironizzò, muovendosi verso un lato per sorpassarli.

Il ragazzo di sinistra si avvicinò e gli bloccò una ruota con il piede. L'adrenalina dilagò nelle sue vene quando si accorse che stava andando incontro a un imprevisto che non poteva evitare.

Attorno a loro, un mucchietto di studenti cominciava a radunarsi incuriosito, come se stesse per assistere a uno spettacolo di cui Alec era protagonista ma del quale non conosceva le battute. Bene, avrebbe improvvisato.

«Tu, razza di mezzo uomo! Devi stare lontano da mia sorella» gli intimò quello al centro. Gli si era avvicinato, e ora gli puntava un dito contro con fare minaccioso.

Gli spettatori abbassarono sempre più i toni, finché il silenzio che cadde non mise Alec in soggezione. Decise di non darlo a vedere e alzò un sopracciglio.

«Tua sorella?» chiese, ma poi capì. Quello era Grant Harrison, il fratello del quale Brianne l'aveva avvertito. «Oh, Brianne?» fece con fare innocente, poi scoppiò a ridere. «Beh, devo ammettere che da una ragazza così carina non mi sarei mai aspettato uno scherzo della natura del genere come fratello.»

La folla emise un sospiro teso. Probabilmente così non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione non favorevole già di suo, ma non aveva saputo trattenersi. Siccome quello pareva fare sul serio nonostante le sue condizioni, iniziò a valutare l'eventualità di una rissa, ma anche in tal caso non avrebbe tenuto a freno la lingua tagliente che aveva. Era un Callaway e doveva essere rispettato.

Studiò i suoi interlocutori per stimare le possibilità che aveva di batterli. L'insegnamento che aveva ricevuto dopo aver perso l'uso delle gambe sembrava fatto apposta per combattere con persone più ingombranti di lui. Più grosso è, più rumore fa quando cade era il motto del suo vecchio maestro; tuttavia erano in tre contro uno, e tutti e tre avevano capacità motorie che invece lui non possedeva.

Il ragazzo davanti a lui digrignò i denti e strinse i pugni, pronto a partire all'attacco. Alec annotò mentalmente che se gli bastava così poco per perdere il controllo poteva essere un bersaglio manovrabile con facilità.

I due che lo accompagnavano lo tennero un attimo per le spalle e si calmò, dopodiché parlottarono tra loro e uno dei due se ne andò, facendosi largo tra la folla finché non venne inghiottito da essa. Forse lo stavano sottovalutando.

L'energumeno gli si avvicinò, questa volta senza essere interrotto, e lo prese per la camicia. «Allora, chi è lo scherzo della natura, se non riesci neanche ad alzarti?» lo derise, e il suo compagno scoppiò a ridere come un idiota.

«Non toccarmi» fece Alec, minaccioso.

Il fratello di Brianne si fece più serio che mai. «Perché, altrimenti?»

«Grant, lascialo stare.» Una nuova voce li interruppe, precedendo l'arrivo del possessore, che Alec avrebbe riconosciuto tra mille.

Adam fuoriuscì dalla folla come se fino a quel momento essa l'avesse inglobato, e raggiunse senza timore l'amico, che era stato rilasciato per la sorpresa del suo avversario.

«Brass, non t'immischiare» lo avvertì il gigante, ma Adam non gli diede retta. Si guardò intorno come fosse incredulo che tutti si limitassero a osservare da una distanza di sicurezza, poi scosse la testa con espressione decisa.

«Lascia perdere Alec! Non aveva cattive intenzioni con tua sorella» provò a dirgli per mitigare la situazione, ma l'altro non volle sentire ragioni.

«Stanne fuori, non c'entri niente» sputò, ormai privo di pazienza, e lo spinse con tanta energia che gli fece perdere l'equilibrio, prima di tornare verso Alec. Gli spettatori arretrarono simultaneamente di un passo.

Alec visse quella scena come se avvenisse a rallentatore, ma quando vide Adam cadere il suo cervello corse a una velocità inaspettata e lo fece agire d'istinto. Quel tizio non doveva azzardarsi a toccare Adam, nemmeno sfiorarlo con un dito!

Frenò la sedia per non arretrare e con uno slancio di bicipiti si diede la spinta sui braccioli, scagliando il proprio corpo contro quello di Harrison. Sfruttò la forza d'inerzia per fare leva sul suo ginocchio con la mano destra, mentre con l'altra gli teneva ferma la gamba in modo che non potesse indietreggiare.

Era una tecnica infallibile per buttarlo a terra, infatti ben presto il nemico si ritrovò a battere con il fondoschiena sul marciapiede con un tonfo. Alec non perse tempo: l'impatto con l'asfalto gli aveva arrecato sicuramente qualche sbucciatura, ma l'adrenalina gli impediva di sentire dolore, quindi approfittò del momento per protendersi verso l'avversario e colpirlo in volto con un pugno, che emise un rumore sordo.

Grant non era l'unico a essere sorpreso: tutta la folla era attonita per ciò che era appena successo, addirittura il compagno del ragazzone era rimasto come paralizzato. Poi però quest'ultimo si ridestò e partì in carica verso Alec, tuttavia venne bloccato da Adam, che a quanto pareva aveva deciso di coprirgli le spalle.

«Che diavolo fai?! Va' via» ordinò all'amico. Non avrebbe sopportato di vederlo ferito ancora a causa sua.

Quello però lo ignorò, e il suo opponente lo buttò di nuovo a terra. Alec temette per il peggio, ma notò che Adam si stava difendendo come meglio poteva, talvolta persino prevalendo.

La distrazione gli costò non poco. Avrebbe dovuto sbrigarsi e contare sulla velocità per bloccare le braccia al nemico, e invece si era fatto sopraffare da ciò che aveva visto. Un pugno lo colpì poco sopra al sopracciglio sinistro, e per un attimo lo stordì, tanto che le orecchie gli fischiarono; ma, sebbene l'intorpidimento generale, Alec non si lasciò andare.

Con una spallata sbatté Grant in una posizione svantaggiosa, poi fece leva sulle sue spalle fino a farlo capovolgere con la faccia verso l'asfalto. Cercò di immobilizzarlo nonostante fosse fisicamente in svantaggio per l'incapacità di fermargli le gambe con le proprie, ma non si diede tempo per pensare a cos'altro fare, o quello si sarebbe liberato a forza di scalciare. Era molto più potente di Adam: quest'ultimo aveva saputo tenerlo a bada il giorno precedente, ma contro Harrison poteva fare poco senza l'aiuto degli arti inferiori.

Il sangue gli colò dalla ferita sulla fronte, annebbiandogli la vista, quindi sferrò alla cieca una raffica di pugni dietro la nuca dell'avversario, in preda all'istinto. Le percosse rimbombarono sulla testa fin troppo spigolosa del gigante, finché non lo sentì lamentarsi con quello che pareva un gorgoglio.

Grant fece la mossa più errata che in quel momento potesse compiere: si voltò per sferrargli un montante allo stomaco, ma l'attacco gli costò caro. Alec si lasciò piegare in due dal dolore solo dopo aver fracassato il naso del tizio. L'urlo del nemico si affievolì quasi subito, quando quello iniziò a contorcersi su sé stesso. L'ultima botta ben assestata sul cranio lo rese finalmente inoffensivo.

Ora che l'imminente minaccia era scemata, Alec percepì tutta la stanchezza e la sofferenza che l'adrenalina aveva schermato: aveva incassato solo due colpi, ma il suo corpo era di fin troppo magra costituzione in confronto alla forza prorompente che possedeva Grant. In più non mangiava, non dormiva, e si sentiva debole; quello che una volta avrebbe classificato come minimo sforzo ora era qualcosa che a malapena riusciva a sopportare. Però Adam era in pericolo, quindi alzò la testa e obbligò i polmoni a riempirsi di aria, nonostante facesse male. Qualche macchiolina gli impedì di guardare bene, ma gli bastò sbattere più volte le palpebre per liberarsene.

L'amico non l'aveva lasciato per un attimo, era ancora a terra con le braccia a proteggere il viso. La maglia chiara della divisa si era sporcata di chiazze grigie e marroncine, e nei capelli gli si erano incastrati residui d'asfalto. Il suo avversario era più o meno nelle stesse condizioni, e come lui non sembrava essersi accorto della sconfitta di Grant.

Con sollievo constatò che Adam non presentava danni gravi, solo qualche gocciolina di sangue gli colava dal labbro superiore, sporcandogli anche quello inferiore.

Erano vicinissimi, ma contrarre gli addominali per strisciare fino a loro gli mozzò di più il fiato. Con una mossa fulminea agguantò il collo del nemico, che in quel momento si trovava con la schiena a terra, e fece cenno a Adam di fermarsi. Tutti rimasero immobili mentre gli ultimi due constatavano la disfatta di Grant.

Alec inspirò quanto gli bastava per far sì che la voce non gli tremasse. «Va' via e portati appresso il tuo amico, se non vuoi che ti spezzi le ossa.»

Adam parve stupito dal suo atteggiamento minaccioso, che forse aveva preso sul serio, ma in realtà non sapeva che Alec possedeva a stento la forza per alzare un dito. Gli lanciò un'occhiata che gli intimava di restare in silenzio, poi attese la reazione dello sconosciuto, che continuava ad agitarsi sotto la sua stretta.

«La pagherai, Callaway» lo minacciò, già sconfitto.

«Non sei nella posizione di fare minacce.» Il tono che aveva sorprese persino lui stesso, che non si era mai sentito parlare in quel modo. Probabilmente era dovuto al fatto che anche l'ultima goccia di energia stava svanendo.

Strinse di più la presa e vide la smorfia sul viso dell'altro.

«Lasciami andare, farò come hai detto» piagnucolò quello, e lui lo liberò, sicuro che non avrebbe continuato a opporsi, solo contro due.

Infatti mantenne la promessa, caricandosi Grant sottobraccio per poi sparire insieme a lui lontano dal suo raggio visivo. Solo in quel momento Alec si lasciò cadere a terra, distrutto. Non riuscì a tenere nota di ciò che accadde dopo intorno a loro. Percepiva solo vagamente Adam che gli stringeva le spalle e un chiacchiericcio sempre più alto di sottofondo.

«Alec, stai bene?» La voce del giovane Brass lo raggiunse un po' ovattata mentre l'espressione preoccupata del ragazzo entrava sfocata nella sua visuale. Fece cenno di sì, ma non si azzardò ad aprire bocca.

«Stai perdendo sangue! Chiamo un'ambulanza.»

A quell'affermazione Alec riguadagnò le forze per bloccarlo, convinto che Louise gli avrebbe fatto passare l'inferno se si fosse fatto trovare in un ospedale. «Sei impazzito? Sto benissimo» mentì.

Adam scosse il capo, ma per fortuna non insistette. Lo aiutò a risalire sulla sua sedia e si pulì le gocce che gli colavano dal labbro.

«Andiamo a casa» gli assicurò con tono urgente.

Alec alzò la testa quando fu sicuro di poterla sostenere e guardò a brutto muso quelli che ancora erano lì a osservarli. La folla iniziò a dileguarsi: non c'era più niente di interessante da vedere. I pettegolezzi però non scemarono, e Alec colse i loro nomi più e più volte, insieme a tutta la storia appena accaduta.

Ancora gli risultava difficile credere di aver vinto; senza l'aiuto dell'amico non l'avrebbe mai scampata.

Adam aveva deciso di aiutarlo pur essendo arrabbiato con lui. Probabilmente il giorno precedente aveva anche pensato che meritasse una punizione del genere, eppure ora non aveva esitato a prendere le sue difese contro due tizi apparentemente impossibili da battere.

«Andiamo a casa» ripeté a fatica, e non poté essere più felice di così nel pronunciare quella frase. Con Adam era riuscito a superare anche una difficoltà simile; al suo fianco si sentiva imbattibile.

*

Tenne ben chiuse le palpebre e arricciò il naso per contrastare il senso di svenimento e l'odore pungente scaturito dal disinfettante. Il ragazzo davanti a lui la prese come una giusta reazione al bruciore che gli stava provocando e non vi badò più di tanto.

Artigliò le mani contro il materasso del letto di Adam per sostenersi quando le orecchie iniziarono a fischiargli, ma alla fine riuscì a ristabilirsi con alcuni profondi respiri. Si rilassò appena e la luce proveniente dalla finestra trapassò la scura barriera che lo proteggeva dal mondo esterno.

Riaprì gli occhi e incontrò quelli concentrati di Adam puntati sulla sua tempia ferita. Era seduto di fronte a lui e tra le dita teneva un batuffolo di ovatta imbevuto per pulirgli via il sangue incrostato sulla pelle. Certo, faceva male, ma il problema più grande era la forte debolezza che pareva averlo colpito dopo gli sforzi fatti e i danni subiti.

«Adam» lo chiamò flebilmente, con una punta di indecisione. Non si erano detti quasi nulla da quando erano tornati, tra loro era caduto un fastidioso silenzio che voleva interrompere. «Grazie per essere stato al mio fianco. Probabilmente credevi che me lo sarei meritato, eppure sei rimasto a difendermi.»

Il giovane si fermò un istante, come se pensare potesse intaccargli la quiete necessaria per dedicarsi alla ferita. «Non ho fatto nulla, ma ti sei visto? Hai messo al tappeto due di loro da solo! Erano già partite le scommesse facili contro di te» replicò con esuberanza, prima di continuare nel suo lavoro meticoloso.

Alec strinse per un momento i denti nel sentire di nuovo quel bruciore sulla fronte. Tentò di distrarsi guardandosi intorno e l'ordine impeccabile di quella stanza gli fece venire in mente che forse doveva mettere un po' a posto la propria.

«Non ce l'avrei mai fatta senza di te» concluse. «In ogni caso, grazie.»

Adam lo fissò negli occhi e si avvicinò senza rendersene conto. «Non ti avrei mai lasciato lì da solo, anche se non mi aspettavo di vincere.»

Nel silenzio che calò subito dopo, il ragazzo finì di medicarlo e gli fece cenno che poteva andare. Avevano deciso di ripulirsi e darsi una sistemata, poi avrebbero pranzato insieme, anche se Alec progettava già di saltare quella seconda parte.

Si allungò verso la propria sedia, ma nell'attimo in cui provò a trascinarcisi sopra, ebbe un altro capogiro e le orecchie fischiarono più forte di prima. Tanti puntini neri gli annebbiarono la vista e cadde a terra con un tonfo che a malapena percepì, troppo scosso dai brividi. Nemmeno l'impatto delle ginocchia sbucciate con il pavimento si fece sentire.

Quando riacquisì il controllo dei propri sensi dovevano essere passati pochi istanti, eppure era stato spostato senza accorgersene. Era su qualcosa di morbido ora, e poggiava la testa sul cuscino del letto di Adam. Quest'ultimo era accanto a lui e lo chiamava in agitazione.

«Sto bene» tentò di dire, ma il debole suono che gli uscì dalle labbra somigliava più a un lamento, quindi si schiarì la gola e ritentò per non far preoccupare l'amico. «Così ti sporco le coperte.»

Adam ignorò totalmente quell'ultima frase e si sporse verso di lui. «Mi hai fatto prendere un colpo! Cosa è successo? Ti prendo una bustina di zucchero.»

Alec distolse lo sguardo e fece spallucce. Non era il caso di discutere riguardo tutto ciò.

Adam gli prese il mento tra pollice e indice e indagò più a fondo, osservandolo con gesti professionali. Era attento, il ragazzo, e sapeva molte cose, o perlomeno questo era ciò che lasciava intendere mentre gli scrutava gli occhi e gli toccava fronte e polsi.

«Quand'è stata l'ultima volta che hai mangiato?» gli domandò a bruciapelo, mettendolo a disagio.

Provò ad alzarsi per svignarsela, ma non appena si mise seduto la testa gli vorticò di nuovo, facendogli sentire il corpo pesante. Gemette, ma fu subito sorretto dall'altro, che pian piano lo riportò sdraiato.

«Rispondimi» udì a malapena.

«Ieri sera» disse in tono ovvio, ma non riuscì a ingannarlo. Sapeva benissimo che la sera precedente Adam l'aveva scrutato con attenzione.

«Seriamente, Alec. Intendo un pasto vero» specificò infatti lui, corrucciando le sopracciglia in disappunto.

Alec si alterò. Non gli piaceva essere messo alle strette in quel modo. «Lasciami in pace, cazzo! Non lo so» inveì, spingendo via Adam per il petto, non solo per interrompere quell'interrogatorio, ma anche per prendere aria che non fosse pregna del suo profumo. La debolezza, tuttavia, non glielo permise.

Il suo interlocutore si allontanò da sé e scosse il capo, contrariato. «Lasciamo perdere lo zucchero. Porto qualcosa per pranzo e mi aspetto che tu lo finisca. Intesi?»

Alec fuggì dal suo sguardo e fece cenno di no. Non aveva voglia, se si fosse forzato avrebbe vomitato di nuovo, lo sapeva.

«Non muoverti da qui» ordinò Adam, ignorandolo.

Alec lo bloccò per il polso, aveva ancora una cosa da dirgli. Non insistette per farlo restare, tanto non poteva vincere contro la sua cocciutaggine. Si focalizzò su un altro argomento.

«Ti ho mentito» esordì. Adam assunse un'espressione interrogativa, ma non lo fece parlare e continuò. «Non sono andato a letto con quella ragazza» specificò. Non aveva idea del perché avesse avvertito il bisogno di rivelarglielo, e non era in grado nemmeno di spiegarsi la punta di sollievo che illuminò il viso dell'amico nel sentire quelle parole. Sapeva solo che, per qualche motivo, tutto ciò lo fece felice.

«E perché mi hai mentito?» chiese piano il giovane Brass, dopo qualche istante di ragionamenti.

Alec fece spallucce. «Volevo farti arrabbiare di più, probabilmente.»

Adam scosse la testa sorridendo. «Sei un idiota, Alec» gli disse mentre si alzava in piedi. «Ma grazie per avermi rivelato la verità» aggiunse a voce più bassa. Non gli diede neanche un attimo per replicare e annunciò: «Torno entro dieci minuti.» Poi sparì al di là della porta.

Alec passò quel lasso di tempo riflettendo sul comportamento di Adam. Sembrava quasi fosse geloso, ma era troppo strana come ipotesi da prendere in considerazione: da come aveva potuto vedere a scuola, Adam aveva tanti amici, perché mai avrebbe dovuto ingelosirsi dell'ultimo arrivato? Inoltre, lui era quello che gli arrecava più grattacapi di tutti. Era già un miracolo che non si fosse ancora stancato della sua vicinanza e non l'avesse mandato a quel paese. Proprio in quel momento si stava giusto occupando per lui, andando a preparare del cibo che lui non avrebbe consumato.

Quello era un altro, grosso problema. Aveva sottovalutato la cosa poiché non gli aveva arrecato troppi danni, ma la situazione si stava aggravando. Il suo stomaco pareva non reggere più il peso del cibo, e il solo pensiero di ingerirne un po' gli faceva venire la nausea.

Quando Adam tornò, infatti, Alec rimase a osservare il vassoio di omelette senza toccarne una. Avevano un bell'aspetto ed emanavano un profumo niente male, ma il suo corpo le rifiutava.

«Avanti, Alec, prendine una» insistette l'amico, sedendosi vicino a lui.

Alec provò a tirarsi su e l'altro lo sostenne. Ebbe un lieve capogiro, ma riuscì a contrastarlo.

«Non posso. Se mi forzo finisce come ieri mattina.» Non voleva rivelarglielo, ma era stato costretto.

Adam non apparì sorpreso dalle sue parole, come se ancora una volta avesse anticipato i suoi pensieri. «Devi mangiare, Alec. I disturbi legati all'alimentazione sono qualcosa di grave, con cui non si scherza. Se continui così sarà più difficile, poi. Sii forte e prendi una dannata omelette.» Disturbi legati all'alimentazione? Cosa stava insinuando?

Nonostante quell'espressione l'avesse contrariato, si accorse che Adam era serio nella sua preoccupazione per lui. Non si stancava mai di aiutarlo e stargli appresso, ma perché? Per questo voleva compiacerlo, ripagare i suoi sforzi e dargli almeno qualche soddisfazione, ogni tanto.

Afferrò titubante il suo piatto. Tagliò un boccone e lo ingoiò a forza, quasi senza masticare. Il sorriso che scatenò in Adam gli fece scaldare il petto, e la sensazione gli permise di continuare fino ad arrivare a metà.

«Più di così non posso» stabilì infine, e all'amico parve bastare.

«Un passo alla volta» gli sussurrò, poggiando i piatti sul vassoio che aveva portato. «Stasera cenerai. Me lo prometti?»

Incrociò di nuovo le sue iridi, che ultimamente sembravano essere diventate magnetiche per lui. Era come se il blu così intenso richiamasse quel grigio per donargli un po' di colore, allo stesso modo in cui Adam stava facendo con la sua vita a rotoli. Davanti a quei zaffiri non se la sentì di dire di no. Desiderava vedere il sorriso che, ne era sicuro, sarebbe sbocciato su quel viso alla sua risposta positiva, e fissare lo sguardo in quegli occhi sorridenti per poi passarlo sulla fossetta che avrebbe decorato la guancia sinistra di Adam.

Quindi, suo malgrado, acconsentì.

*Revisionato*

Koa

Siccome il prossimo capitolo è uno dei miei preferiti, ho deciso, per questa volta, di lasciarvi una piccola anticipazione con la prossima gif ** provate a indovinare cosa succederà~!

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