Capitolo 16

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Sii te stesso, me l'hanno sempre detto

Ma si sono dimenticati di informarmi del prezzo


Se sono me stesso, è come dire che ho un difetto

E vorranno cambiarmi, e io ormai non lo accetto

- Red Sky


Dopo un discorsetto da parte di Iris, il pomeriggio tardi, era persino imbarazzato da ciò che aveva fatto, però l'orgoglio gli impediva di rivelarlo. Aveva il sospetto, tuttavia, che sua sorella l'avesse capito, perché a un certo punto la vide ammorbidirsi e fare addirittura un mezzo sorriso.

«Basta parlare di Brianne» sentenziò, scuotendo la chioma bionda come per togliersi di dosso i brutti pensieri. La luce tagliata in gocce scintillanti dal lampadario di cristallo danzò su quei fili dorati, prima che questi venissero raccolti su una spalla. «Entrambi abbiamo problemi con mamma, Alec, e a quanto pare per Adam e Mya non è molto diverso: Eleanor a volte mi mette i brividi.» Si interruppe per dare vita a una risata, e Alec le si accodò con leggerezza. Discutere con lei non era come con Louise, e già si era ripreso dalla pesantezza del loro discorso. «Capisco però che per te sia più difficile. A volte pare che lei lo faccia apposta a infastidirti.»

«Sul serio?» chiese, un sopracciglio alzato, senza spostare le mani dalla posizione rilassata sul materasso. Credeva fosse un'impressione solo sua.

«Lei ti vuole bene» precisò Iris, al che lui sbuffò. «Penso solo che non sappia come comportarsi con te, proprio come tu non sai come comportarti con lei.»

«Io so come...»

«No, Alec. È per questo che vorrei che ti confrontassi con noi prima di agire. Non sarebbe stato meglio se ne avessimo discusso in gruppo? Adam avrebbe saputo come risolvere la situazione.»

Di nuovo quella sua fiducia nei confronti di Adam. Anche stavolta si trovò infastidito da ciò, ma lo tenne per sé.

«Sembri confidare molto in Adam. Quand'è che hai cambiato idea?» non poté fare a meno di chiedere.

La sentì emettere una risatina nervosa e scorse un rossore appena accennato sulle sue guance. Un comportamento decisamente non da lei.

«Ci ho parlato... svariate volte. Adam non è quello che credevo, avevi ragione.»

Avrebbe voluto chiederle di più, ma si rese conto che non gli era dato sapere tutto ciò che Adam faceva mentre non era con lui. La conversazione si spostò quindi su toni più allegri, e i due fratelli spaziarono sui più vari argomenti, a partire dai vecchi ricordi fino ad arrivare a un confronto della nuova situazione. Non aveva ancora discusso con Iris così a fondo riguardo tutto ciò che stava capitando loro, e gli fece piacere vederla positiva. Cercò solo di non pensare al suo rapido attaccamento verso Adam, poiché la cosa lo turbava.

*

Venne obbligato a presenziare a cena, e finalmente mise qualcosa sotto i denti. La nausea tuttavia lo assalì ben presto, perciò dopo qualche morso al suo salmone condito con una strana salsa lo lasciò quasi integro a giacere nel piatto, che per sicurezza allontanò da sé.

«Non mangi più, Alec?» gli chiese il padre, seduto alla sua sinistra, come se il loro fosse il lato dei "meno eleganti". Il signor Callaway infatti pareva desiderare la comodità tanto quanto lui, e spesso sacrificava lo stile per essa. Inutile dire che la moglie non apprezzava il comportamento di nessuno dei due.

Da quando c'era Stephen, le serate erano più allegre, e ad Alec era risparmiata la fatica di dover stare vicino a Louise, che si era spostata accanto a Iris. La donna non l'aveva ancora tormentato quel giorno, anche se appariva visibilmente contrariata. Sembrava quasi che il marito le avesse suggerito di lasciarlo in pace, anche se era più fantasia che realtà: difficilmente il signor Callaway prendeva iniziativa con sua moglie, e in ogni caso lei non lo ascoltava.

«Non ho fame.» Scosse la testa facendo spallucce. Involontariamente, il suo sguardo finì in quello di Adam e ne rimase catturato. Non si aspettava lo stesse osservando. Il suo viso era più calmo rispetto a quel pomeriggio, ma lo fissava assorto e critico.

Si distolse dai suoi occhi, in soggezione, rifugiandosi in quelli color cioccolato del padre, appena impensieriti. Forse doveva accampare una giustificazione.

«A pranzo ho mangiato troppo» mentì, imitando un sorriso, ma Adam sapeva che non era vero, poté leggerlo nella sua espressione severa quando lo guardò di sottecchi.

«Non ho fame neanche io» se ne uscì all'improvviso Mya, una volta che la situazione si era fatta eccessivamente silenziosa. Lei aveva consumato più della metà del suo piatto ormai. Alec era sicuro che nessuno le avesse detto di Brianne. Era fin troppo tranquilla per essere a conoscenza del fatto che lui aveva quasi sabotato il piano.

«Vorrei fare due passi con Alec, se non vi dispiace. Oggi non siamo stati insieme per niente, avevo da studiare.»

A tavola cadde nuovamente un silenzio teso, interrotto quasi subito da Eleanor. «Potete andare, se non avete più appetito. Alec, spero di vederti più soddisfatto in futuro. Cosa c'è, non ti piace la nostra cucina?»

«È tutto buonissimo, ho solo lo stomaco chiuso» rispose, intimorito di dover discutere su quell'argomento; era una cosa che lo innervosiva. Anzi, era Adam che l'aveva innervosito, con quel suo fare indagatore e l'aria di chi sapeva sempre tutto.

Quando finalmente uscirono, si concesse un profondo respiro. La brezza fresca sotto i flebili raggi lunari gli carezzò la fronte, e Alec notò che il buio non riusciva a impossessarsi del giardino: l'illuminazione soffusa lo manteneva affascinante anche di notte, gli donava quella nota misteriosa che lo faceva apparire quasi magico.

«Grazie per avermi portato fuori di lì» disse alla ragazza che camminava sul vialetto al suo fianco.

Lei sospirò. «Queste cene sono più sfiancanti di una partita di semifinale.»

Rise appena, ma non permise al sorriso di estendersi. Le occhiate di Adam gli erano entrate dentro e continuavano a perseguitarlo senza dargli pace.

Dopo qualche altro passo, Mya rallentò fino a fermarsi. «Dove vuoi andare?»

Alec osservò i dintorni, riconoscendo il punto in cui aveva iniziato a correre con Adam e quello in cui aveva ignorato il padre, dopo il bagno in piscina. Più giù di tutto ciò era presente anche la rientranza tondeggiante nella quale aveva baciato Mya. La indicò.

«Voglio andare lì» la informò con un'espressione beffarda.

Mya alzò lo sguardo innocente e ben presto una punta di ironia lo macchiò. Si concesse un mezzo sorriso anche lei, poi iniziò a camminare in quella direzione senza dire nulla.

Raggiunsero il muretto della nicchia e Alec si issò su di esso con le braccia, sentendo sotto le dita i freddi mattoncini che lo componevano. Vedendo che Mya rimaneva ferma, le porse una mano come per invitarla, e lei accettò.

L'amica gli si sedette accanto, così vicina che gli sfiorò il viso con i capelli castani, solleticandolo. Alec aveva scoperto che gli piaceva l'impercettibile sfumatura naturale originatasi probabilmente con gli anni, che aveva reso le punte più chiare.

Sporse la schiena all'indietro ma non trovò appoggio, così si addentrò nella nicchia fin quasi a sparirci del tutto. Mya lo seguì e poggiò le spalle al muro, chiudendo gli occhi con aria stanca.

«Non credevo fosse così profondo qui. L'ultima volta sono stato troppo distratto per accorgermene» la punzecchiò e, sebbene la luce lì non fosse delle migliori e la penombra riempisse l'ambiente, poté giurare di vedere le guance della ragazza arrossire.

«Ti piace?» domandò inaspettatamente lei.

«Sì.»

Mya sorrise. «Quando ero piccola era il mio rifugio. Portavo qui un cuscino e ci giocavo con le bambole. Mia madre doveva trascinarmi indietro a forza, ogni tanto.»

Rise e Alec si unì a lei, la sua mente che creava l'immagine di una bimba con il volto di Mya che scalciava per restare lì dentro. Probabilmente era uno dei capricci più grandi che avesse mai fatto, mentre lui da bambino era stato uno dei peggiori figli che i genitori avrebbero potuto avere.

«Io da piccolo facevo dispetti ai nostri dipendenti fino a farli scappare. Prima il cuoco, anche se poi ho deciso che mi era simpatico e ho smesso. Poi ho iniziato con il postino e il giardiniere. Forse è per quello che noi non abbiamo un giardino bello come il vostro» considerò.

Udì la risata di Mya e si voltò verso di lei per osservarla. Aveva i denti bianchissimi e perfettamente allineati, e una fossetta le si formava a sinistra. Come quella di Adam, rifletté, ma scacciò il pensiero perché lo turbava.

«Combinare guai è un vizio che non hai mai perso, eh?» gli chiese giocosamente, ma in quel momento non aveva idea a cosa si stesse riferendo. Da quando stava in quella casa erano gli altri – anzi Louise – che avevano portato guai a lui e non il contrario.

«Sto parlando di oggi pomeriggio» specificò lei.

Lo stupore non gli permise di replicare. Rimase a guardarla in silenzio, domandandosi come potesse essere al corrente di tutto ciò e non adirarsi con lui; lei che fino a poco prima gli aveva dato contro.

«Te l'ha detto Adam?» volle sapere, anche se la risposta era più che ovvia.

Lei però lo sorprese. «Me l'ha raccontato Iris.»

Il disappunto crebbe in Alec. Perché sua sorella aveva spifferato tutto ciò a Mya? Poi però realizzò che se non l'avesse fatto lei, sarebbe stato Adam a dirle com'erano andate le cose, e non l'avrebbe fatto nel migliore dei modi.

«E... non sei arrabbiata?» Provò, titubante, a tastare il terreno. Aveva bisogno di capire che cosa ne pensava prima di parlarne apertamente.

La ragazza serrò le labbra in una linea. Lo fissò alcuni secondi, assorta, aumentando la sua curiosità, poi esordì: «Non credo di essere nella posizione di poterti giudicare, Alec.»

Tutto ciò lo confuse ancora di più. Provò a formulare diverse domande, ma ogni volta che apriva bocca gli morivano in gola. Fortunatamente lei comprese che doveva spiegarsi meglio.

«Non posso...» iniziò con tono diverso, più altalenante di prima, come se stesse per emettere delle parole molto complesse. La vide in difficoltà e la incoraggiò con lo sguardo, promettendole silenziosamente che qualsiasi cosa avesse detto, lui l'avrebbe presa sul serio. «Sarò sincera con te quanto basta da non mettere tutti nei casini, ok?»

Alec annuì, ancora più stranito.

Mya si convinse e proseguì. «Non posso negare che la cosa mi abbia dato fastidio. Io e te ci siamo baciati due giorni fa, e so che è tutta finzione, lo so benissimo, molto meglio di quanto non lo sappia tu e...» Cominciò a straparlare, ma a un certo punto si fermò, prese un respiro e continuò. «Insomma, per me un bacio è comunque una cosa molto importante, quindi, ecco... è la situazione che mi ha infastidita, non tu. Perché dovresti infastidirmi tu, se per me non sei niente, e mai lo sarai?»

Alec non poté impedire agli angoli delle labbra di alzarsi un po'. Vederla imbarazzarsi in quel modo lo faceva sorridere. Sprigionava una tenerezza che in passato aveva solo intravisto.

Mya sbuffò esasperata davanti alla sua reazione e ricominciò. «Comunque, è per questo che non ti condanno. Sì, hai rischiato di mandare a monte il piano, ma è tutto ok ora. Inoltre...»

Si interruppe, come se stesse riflettendo, e si sporse in avanti. Alzò gli occhi verso la luna e le sue iridi azzurre si illuminarono di riflessi argentati, perdendo colore.

Alec le diede il tempo necessario per permetterle di riorganizzare le idee. Gli aveva già dato parecchie informazioni, prima tra tutte – e anche quella che meno si aspettava – il fatto che fosse stata stizzita dalla situazione ma non volesse lasciare spazio a quel sentimento. Come darle torto? Lui stesso non si sarebbe mai permesso di affezionarsi a Mya a tal punto da essere irritato dalla presenza di un ragazzo nella sua vita.

«Inoltre» proseguì lei, «ti ammiro per quello che hai fatto. Cioè, sei stato un idiota e hai quasi distrutto la nostra precaria "tranquillità", se così vogliamo chiamarla, però hai avuto la forza di ribellarti, seppur a modo tuo, e questo per me è un esempio che mai riuscirei a seguire.» Sospirò.

Le si avvicinò un altro po', captando il profumo particolare dei suoi capelli che tanto gli piaceva. «Perché no, Mya?» sussurrò.

Lei si irrigidì per la vicinanza, ma non si scostò. «Perché non ho un'indole ribelle come la tua. Fin da piccola sono stata abituata a obbedire a mia madre, qualsiasi cosa dicesse. Non ho il coraggio, Alec. Non ho il coraggio di far valere i miei diritti e non lo avrò quando servirà. È così che ho sempre pensato, ma ora, vedendo te e Iris così agguerriti, forse posso imparare anche io a farmi forza.» Concluse la frase come se avesse finito tutto ciò che aveva da dire, e Alec pensò a quel Grisam, il tizio per il quale si era arrabbiata così tanto quando non l'aveva fatta stare al banco con lui. Da quel giorno l'aveva lasciata fare come le pareva, e l'aveva vista con lui in più occasioni. Era ovvio che era cotta come una pera, eppure non aveva l'intraprendenza necessaria per ribellarsi a tutto ciò e far valere il suo amore, la sua infatuazione o quello che era.

«Quando sarà il momento giusto, Mya, ce la farai. Tutti quanti dobbiamo lottare per i nostri diritti, e tutti quanti saranno lì ad aspettare che abbassiamo la guardia. Non solo i nostri genitori, chiunque incontreremo vorrà approfittarsi di noi, quindi dobbiamo essere pronti.»

La ragazza lo guardò sorpresa, poi la fiducia raggiunse i suoi occhi. Si fidava di lui, e l'avrebbe preso addirittura come esempio. Essere un modello per qualcuno fu una sensazione nuova per Alec, che lo riempì di orgoglio verso chi era davvero. Non sempre si piaceva, ma non si sarebbe cambiato con nessun altro, difetti compresi. Lo inducevano a fare azioni sconsiderate e spesso rischiavano di rovinargli la vita, tuttavia senza di quelli non sarebbe mai stato pienamente sé stesso.

*Revisionato*

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