Capitolo 15

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Keep quiet no longer

We'll sing through the day

Of the lives that we've lost

And the lives we've reclaimed

- Rise Against


Il suono fastidioso della sveglia s'intromise nella beatitudine del sonno, riportandolo alla realtà. Aprì le palpebre a stento in cerca dell'oggetto maledetto per poterlo spegnere, ma quando guardò verso destra vi trovò qualcosa che lo sorprese.

All'improvviso si ricordò di Adam, del film che non era riuscito a concludere e della sensazione di confusione che l'aveva assalito la sera prima. Sbarrò gli occhi per lo stupore nel rendersi conto che aveva passato più di dieci ore a dormire. Ricordava vagamente che i suoi sogni carichi d'ansia l'avevano perseguitato anche quella notte, ma non erano stati abbastanza potenti da svegliarlo.

Adam però non c'era. Invece, sul comodino giaceva un vassoio con latte e cereali, biscotti e, come se non bastasse, una fetta di crostata. Si avvicinò di più e scorse un bigliettino, decorato dalla grafia elegante di Adam. Accanto ad esso, una penna.

Colazione per te. Divorala o farò in modo che lei divori te.

Questa è una minaccia.

Poco più in basso, a caratteri più piccoli, era stato aggiunto:

Guarda che controllo.

Sbuffò e valutò quanto avrebbe potuto mangiare, cercando di reprimere il disgusto scatenato dalla sola presenza del dolce. In meno di un secondo realizzò che il suo stomaco, abituato a essere costantemente vuoto, non avrebbe retto se avesse provato a finire tutto. Era più di quanto avesse ingerito in tre giorni.

Prese la penna e scrisse con poca eleganza sotto alle parole di Adam:

Fottiti.

Sapeva che l'amico non l'avrebbe letto, ma voleva almeno la soddisfazione di rispondere per le rime.

Fissò il cibo e immaginò il viso sorridente di Adam mentre portava quel vassoio. Storse il naso. Non aveva alcuna voglia di fare colazione, e il solo pensiero gli dava la nausea, ma quel ragazzo ci aveva messo tutta la buona volontà, e l'aveva fatto per lui. Doveva quantomeno provare.

Riuscì quasi a finire il latte e diede un morso a un biscotto, ma non toccò altro. Si sentiva pieno come non lo era da molto, e non era una bella sensazione.

Vedendo che non era troppo tardi, si fece una doccia e si vestì. Osservò con occhio critico il modo in cui la polo bianca gli sbiadiva ancor di più la carnagione, facendolo risultare cinereo. Siccome era un'occasione importante, decise di cambiarsi nonostante le regole della scuola. Iniziò a frugare nell'armadio, ma in quel momento qualcuno bussò.

«Avanti» invitò, sicuro che sua madre non si sarebbe presentata a quell'ora per dargli fastidio. E infatti aveva ragione. Dalla porta entrò Adam, fresco e in perfetto ordine anche di prima mattina, la divisa accuratamente stirata e senza una singola piega.

«Buongiorno, bell'addormentato» lo salutò raggiante.

Alec ignorò il modo in cui l'aveva chiamato, rispondendo con un cenno. Un senso di malessere gli stava risalendo dallo stomaco, ma tentò di distrarsi e si fece vedere ancora indaffarato a cercare una maglia decente. Forse avrebbe dovuto riordinare il guardaroba, da quando era lì aveva trovato difficoltà con la nuova disposizione dei vestiti.

«Non hai finito i biscotti» gli fece notare Adam, sorvolando per sua fortuna sulla crostata.

Alec non ribatté. Sapeva che il giovane Brass era caparbio e non aveva alcuna voglia di mettersi a discutere per una tale stupidaggine. Si focalizzò sulle proprie dita e si rese conto che tremavano. Le strinse in un pugno, ma poi continuò a rovistare tra i capi.

«Che stai facendo?» sentì chiedere, insieme a dei passi che si avvicinavano.

Sbuffò, ancora sulla difensiva per la colazione. Qualcosa gli diceva che l'insistenza di Adam si era fermata solo momentaneamente. «Cerco una maglietta da mettere.»

«Ma stiamo andando a scuola...»

«Non mi va la divisa oggi» tagliò corto.

Adam lo scrutò per qualche istante prima di constatare: «Per me stai bene così.»

Alec cessò la propria ricerca e si osservò, emettendo una smorfia. O l'altro era cieco, oppure lui stesso era daltonico dalla nascita e non l'aveva mai saputo.

«Avanti, lascia perdere» disse Adam, e l'aveva quasi convinto quando avvicinò la mano al suo viso. «Pensa piuttosto a finire i biscotti.» Lo colse alla sprovvista, tirandone fuori uno dal pugno per ficcarglielo tra i denti prima che se ne accorgesse.

«Adam!» replicò adirato, ma il suono uscì distorto per via della bocca piena. Ormai non poteva fare altro che masticare, ma il sapore dolciastro e zuccheroso che ricordava quello della mandorla gli fece venire la nausea. Inghiottì il boccone nonostante avesse la gola chiusa, ma in un attimo lo scosse un conato, che lo spinse a correre in bagno, per quanto veloce potesse avanzare con le sue ruote.

Cadde sul pavimento e rigettò l'intera colazione nel gabinetto, percependo vagamente la fronte imperlarsi di sudore e le braccia tremare mentre tentava di reggersi. Non ci riuscì più e si accasciò a terra con lo stomaco sottosopra.

Dopo qualche brivido, si sentì toccare una spalla e inorridì nel ricordare che Adam era ancora lì.

«Alec... io... scusami.» Alzò lo sguardo verso di lui e colse nei suoi occhi il senso di colpa più devastante che avesse mai visto. Persino sua madre non aveva lasciato trasparire un dispiacere del genere per l'incidente che aveva subito.

Adam si inginocchiò accanto a lui. «Scusami, davvero. Non sapevo stessi male.»

Interruppe quel contatto visivo che aveva il potere di sconvolgerlo più di quanto non fosse. Provò a risalire sulla sedia e Adam corse ad aiutarlo, poi quest'ultimo rimase a guardarlo mortificato mentre lui raggiungeva il lavandino, basso appositamente per lui, per sciacquarsi la bocca.

«Non sto male» rispose infine. In effetti stava meglio ora, più leggero. Era come se vomitando si fosse liberato del peso: non sembrava un malessere legato a qualche virus, piuttosto era il suo stomaco a rifiutarsi di contenere tutto il cibo ingerito.

Osservò allo specchio il proprio viso spigoloso, bagnandolo ripetutamente prima di chiudere il rubinetto e asciugarsi.

«Forse è meglio se oggi resti a casa» suggerì l'amico, impacciato, ma lui scosse la testa e ribadì il concetto: «Sto bene. Ho solo mangiato troppo, credo, ma ora sto bene.»

Si scambiarono un lungo sguardo con il quale Alec cercò di infondere tutta la sicurezza di cui disponeva. Non poteva mancare a scuola, aveva una vendetta da compiere. Inoltre, non era una scusa, stava bene sul serio, era stato probabilmente solo il sapore dei biscotti che in quel momento l'aveva disgustato. E poi era stata una colazione troppo abbondante, si disse, anche se una vocina continuava a ripetergli che non era vero.

«Mi dispiace molto» lo distrasse Adam, continuando più di una volta. Ma lui lo mise sempre a tacere dicendogli che non era colpa sua, e lo pensava davvero.

*

Alla terza ora si sedette accanto a una certa Brianne, e il profumo dolce di lei gli impregnò le narici. Era per quello che aveva perseverato nell'andare a scuola nonostante il malessere iniziale. Aveva valutato di adescare Annie, che sembrava ancora stravedere per lui e che quindi sarebbe stata una preda facile, ma sapeva che in quel caso Mya si sarebbe messa in mezzo, e questo non poteva permetterlo.

Aveva mirato, pertanto, a quella ragazza, che già dal giorno precedente aveva inquadrato quando, insieme a una sua amica, si era fermata al suo banco per parlargli della lezione appena finita. Il discorso era rimasto su quell'argomento per ben poco, e si era protratto per un po' su affari più personali di tutti e tre. Da lì aveva compreso che si sarebbe concessa senza troppe cerimonie: indifesa, ingenua e probabilmente vergine, cercava qualcuno con cui passare la sua prima avventura da adolescente un po' troppo cresciuta, e il destino aveva voluto che restasse affascinata da lui. L'unico problema era suo fratello maggiore – o gemello, non l'aveva capito –, colosso temuto dai più, anche lui studente in quell'istituto ma in quei giorni assente per via della febbre. Ma ciò che gli interessava in quel momento era prendersi la sua vendetta, a quello avrebbe pensato dopo.

Non poteva andargli meglio di così. Sua madre l'avrebbe pagata cara per tutto quello che gli aveva fatto, vedendo sgretolarsi il piano di una vita davanti ai suoi occhi.

«Hai sentito, Alec?» lo chiamò Brianne, ancora seduta vicino a lui sebbene la classe si stesse svuotando per l'intervallo.

La guardò spaesato, tentando di elaborare le parole che lei gli aveva rivolto mentre era sovrappensiero. Le aveva appena chiesto di andare a casa sua dopo scuola, avrebbe dovuto ascoltare la risposta!

«Scusami, mi faceva male il ginocchio e mi sono perso nel dolore» mentì con una faccia da cucciolo che, vista la sua situazione, fece ammorbidire la ragazza più di quanto già non fosse.

Con lei aveva deciso di giocare la carta del povero malato. Aveva capito subito che con la sua personalità affettiva sarebbe stata l'idea vincente. E dacché quel giorno non stava neanche troppo bene, fingere si era rivelato ancora più facile. Dopo aver rigettato la colazione, lo stomaco aveva continuato a lamentarsi, ma non si era più sentito male come quella mattina. Molto bene, aveva un piano da compiere.

Le labbra rosee della giovane si incurvarono verso il basso. «Oh, poverino! Mi dispiace tanto! Se vuoi rimandare non c'è problema...»

«No, no. Va benissimo oggi, sempre se vuoi venire.»

«Certo che voglio!» La sua interlocutrice gli saltò al collo con le braccia e i suoi capelli gli solleticarono le guance. Già era passata a eliminare le distanze, perfetto.

Un po' gli dispiaceva usarla per i propri scopi, ma in fondo era ciò che aveva sempre fatto, e lui non voleva perdere di vista chi era, era stata Mya a farglielo ricordare. Aveva usato le ragazze a suo piacimento per una vita intera, e nulla gli avrebbe impedito di farlo ancora. Né la madre né l'incidente, né il trasferimento né... Adam. Adam non avrebbe approvato tutto quello.

Ripensare a lui fece nascere il desiderio di annullare tutto. Aveva scoperto di poter essere una persona migliore con lui, di non doversi mostrare spietato e crudele come invece aveva percepito il bisogno di fare con i suoi vecchi amici. Il modo in cui quella mattina l'aveva guardato, pieno di ansie e sensi di colpa, gli era impresso nella mente come una fotografia.

Ma gli bastò non rifletterci per non sentirsi nel torto, era una vita che agiva solo per il proprio tornaconto e non sarebbe stata una settimana a Newcastle a fargli cambiare principi.

All'uscita schivò i Brass, avvertendo solo Iris che sarebbe tornato a casa a piedi. Aveva studiato le vie su mappe virtuali per sapere il percorso più comodo. Ovviamente, Brianne andò con lui, lo seguì come un cagnolino richiamato dal padrone, guidando la sua sedia come di solito non permetteva di fare a nessuno. Odiava essere spinto come se non avesse nemmeno le mani, ma fece un piccolo sforzo di volontà con lei, dopotutto doveva apparire debole e bisognoso di attenzioni.

Cercò di evitare le chiacchiere futili che la ragazzina gli propinava, rispondendo con sorrisi e cenni del capo. A volte si sforzava di usare monosillabi, altre addirittura di comporre frasi sensate, seppur brevi.

All'arrivo alla villa sgattaiolò al piano di sopra. Di solito i genitori erano impegnati a quell'ora, ma sarebbero rincasati presto. Avrebbe aspettato volentieri, magari intrattenendosi privatamente.

Brianne non smetteva di guardarsi intorno con aria estasiata. Alec doveva ammettere che villa Brass faceva un certo effetto, molto più di quanto non accadesse con la sua casa a Phoenix. Forse era il giardino curato o l'aria un po' antiquata, tuttavia era fin troppo sontuosa per i suoi gusti.

Trascinò la sua vittima in camera e trattenne a stento una risata vittoriosa nell'immaginare la sua attesa.

«Che bella la tua stanza, ti si addice» osservò lei, e Alec non riuscì a reprimere una smorfia a quella vuota frase di circostanza. Lei non lo conosceva affatto, come poteva affermare una cosa del genere?

«Sono felice che ti piaccia» sorrise in maniera finta.

Lei continuò a studiare i dintorni ancora un po', poi si sedette sulla trapunta bordeaux, affondando appena nella morbidezza del materasso. «Mangiamo qui?» chiese piegando il capo di lato. I capelli castani tagliati corti arrivarono a sfiorarle la spalla in quella posizione. Il cerchietto rosso che la giovane indossava per tenerli fermi ricordò ad Alec quelli che era consueta usare Iris, e per un attimo si pentì di tutto quello che stava per fare: quella ragazzina non era poi tanto diversa da sua sorella, era solo meno saggia.

Tentò di scacciare quei pensieri dalla testa, odiando quella parte rammollita di sé che stava prendendo sempre più spazio.

Si concentrò sulla domanda di lei e venne colto alla sprovvista. Abituato com'era a saltare i pasti, aveva completamente dimenticato che le persone pranzavano. Ci mise poco però a riprendersi, afferrando velocemente le redini della situazione.

Accese il televisore per eliminare il silenzio e poi improvvisò: «Certo, ci faccio portare qualcosa in camera. Cosa desideri?»

Biranne rimase a pensarci più di quanto potesse sopportare, quindi chiamò Irina dalla porta socchiusa pregando che si presentasse.

«Signor Callaway!» Lo raggiunse dopo qualche istante.

«Irina, puoi portarmi finger food per due?» le chiese, cercando di essere gentile. Aveva imparato che con quella donna non c'era da scherzare.

La governante lo osservò con aria critica e provò a sbirciare attraverso lo spiraglio nella stanza. Alec spinse appena per ridurre il più possibile lo spazio.

«Per favore» pregò sotto voce, adottando un'espressione implorante. Era l'unica cosa che gli restava da fare.

«Certo, signor Callaway» rispose lei con un sorriso ironico, e Alec lasciò andare un sospiro di sollievo. Non capiva perché, ma Irina aveva deciso di aiutarlo.

La donna consegnò poco dopo pizzette, toast e piccole bruschette in un vassoio che poggiò con grazia sul comodino. Dopodiché, tirò fuori una bottiglia di champagne.

«Questa è per la coppia» annunciò con aria divertita, versando il liquido ambrato in due calici davanti allo sguardo sbalordito di Alec.

«Da che parte stai?» le domandò piano una volta che l'ebbe riaccompagnata fuori. Nonostante l'incredulità, mentre scuoteva la testa era rallegrato.

«Da quella dei miei ragazzi, è ovvio. Non mi sei mai piaciuto per Mya, non sei adatto a lei» ribatté con aria di superiorità facendogli un occhiolino.

Alec non seppe se prenderla come un'offesa o una cosa positiva, tuttavia accolse volentieri la novità promettendo a Irina che avrebbe taciuto la loro conversazione.

«Spero sia di tuo gradimento» disse a Brianne con tono suadente, una volta rientrato. Si avvicinò con noncuranza e valutò di prendere una pizzetta, poi però ricordò il malessere di quella mattina e lo stomaco gli si chiuse. Stava bene, ma non aveva alcuna voglia di mangiare. Strano, considerato il fatto che il giorno precedente era stato quasi a digiuno e la colazione di quella mattina l'aveva rigettata.

Prese un bicchiere e osservò le bollicine che correvano verso la superficie prima di buttare giù un sorso. La gola gli bruciò, ma non ci fece caso.

La sua ospite, che dapprima era parsa un ciocco di legno pronto per essere levigato, si sciolse man mano che continuavano a parlare e bere, accompagnati dal ronzio di sottofondo della tv. Alec la raggiunse sul letto e lei prese a ridere spesso, forse anche per via dell'alcol. Gli piaceva il modo in cui i capelli le svolazzavano in soffici onde quando scuoteva la testa. Si concentrò su quel dettaglio e sul suo sorriso, avvicinandosi sempre più a lei. Si ritrovò a ridurre la voce a un sussurro senza nemmeno rendersene conto, poi avvertì il respiro di lei sul viso. Sorrise a sua volta. Era stato così facile che quasi non ne fu soddisfatto dopo aver cominciato a baciarla. Come se fosse tutto troppo meccanico, troppo artefatto. Eppure non c'era niente di diverso dal solito.

La ragazza era inesperta e iniziò a irrigidirsi quando le poggiò le labbra sul collo, ma non era certo la prima, quindi sapeva come comportarsi.

Le passò una mano dietro la schiena e l'accarezzò dolcemente finché non la sentì più a suo agio, poi la spinse con delicatezza per farla sdraiare. Avrebbe voluto posizionarsi sopra di lei, ma per comodità fu costretto a rimanerle accanto. Scese sempre più verso il petto, e nel frattempo le sue dita si insinuarono sotto l'orlo della polo bianca. Brianne sussultò ma non si ritrasse, sospirando profondamente di piacere. Ormai era sua.

Le slacciò il primo bottone della gonna che indossava, poi passò alla zip che scese via con naturalezza. Vicino com'era al suo seno morbido, poteva percepire il battito del cuore che correva inesorabile, solo per lui. Il suo corpo che reagiva in quel modo al tocco e ai baci lo eccitò maggiormente, inducendolo a premere il proprio bacino contro il fianco di lei.

Brianne ebbe un fremito e si girò verso di lui. Alec approfittò del movimento per sfilarle via la maglietta. Si intrufolò sotto al reggiseno e le fece dimenticare di essere in imbarazzo. Sorrise vittorioso.

Tre colpi secchi fecero trasalire entrambi. Alec si voltò in direzione del suono udendo il proprio nome chiamato dall'ultima persona con cui avrebbe voluto parlare in quell'istante.

Si mise seduto vicino alla figura immobile di Brianne e fissò la porta in silenzio, quasi in trance.

«Avanti, Alec! Se non rispondi significa che è successo qualcosa» gli disse Adam al di là del muro.

«Ignoriamolo» sussurrò alla ragazza, ma un attimo dopo si aprì uno spiraglio, obbligandolo a prestare attenzione al nuovo arrivato. Perché diamine non chiudeva mai a chiave?

«Che cazzo, Adam! Possibile che devi sempre entrare senza permesso?»

Accanto a sé, sentì la sua ospite che cercava rapida di coprirsi con una felpa che Alec aveva lasciato sul letto la sera prima, dal momento che la sua polo era finita un po' troppo lontano. La ignorò e incrociò i due familiari occhi blu che ora lo guardavano confusi mentre tentavano di mettere a fuoco la situazione. Non appena comprese, Adam assunse un'espressione sbalordita, gelida e dura.

«Cosa sta succedendo qui? Si può sapere cosa diavolo ti è venuto in mente? Sai che...» Si trattenne a stento dall'urlare e strinse i pugni per contenere l'ira che minacciava di esplodere in lui.

«Porca puttana, Adam, vuoi andartene?» si lamentò lui, cercando di celare il nodo che gli si era formato in gola nel vederlo così adirato.

Il giovane Brass lo penetrò con zaffiri che ora bruciavano come braci vive, e pronunciò un solo ordine per concludere quel monologo. «Esci subito.» Girò su sé stesso e si richiuse la porta alle spalle, probabilmente aspettandolo dall'altra parte.

Alec non se la sentì di ignorarlo, nonostante ciò a cui stava andando incontro apparisse altrettanto spaventoso. Capiva perché Adam se la stesse prendendo in quel modo. Stava infrangendo il piano, e così avrebbe messo a rischio tutti quanti, maggiormente Mya. Ci aveva pensato, anche se solo per un attimo, poi il desiderio di vendetta aveva prevalso.

Tornò sulla sua sedia senza degnare Brianne di un'occhiata e uscì in corridoio.

«Smettila di strillare come un matto.» Tentò di mostrarsi infastidito, ma in realtà non poteva nascondere a sé stesso di esser stato intimorito dalla sua sfuriata. Adam era sempre stato tranquillo e posato, un attacco d'ira del genere da parte sua lo intimidiva.

«Stai scherzando, vero? Dimmi che tutto questo è uno scherzo.» Il ragazzo allargò appena le braccia intorno a sé e gli si avvicinò di un passo. La sua espressione non prometteva bene.

«Faccio quello che mi pare della mia vita» replicò Alec a denti stretti. Percepiva dentro di sé il bisogno di chiedere scusa e riconoscere l'enorme idiozia che aveva compiuto, ma l'orgoglio superava ogni altra cosa, persino il dolore nel vedere Adam guardarlo in quel modo. E poi aveva paura. Paura che si sarebbe sentito di nuovo debole e impotente se avesse ammesso la sconfitta contro Louise; se non avesse potuto avere la sua vendetta.

Il suo interlocutore gli si accostò con uno scatto e gli prese la maglietta, avvicinandolo a sé. «Puoi anche buttarla al vento la tua vita, ma qui c'è di mezzo anche la mia e quella delle ragazze.»

Il cuore gli mancò un battito e non seppe replicare subito. Mentre cercava le parole per mantenere la sua maschera di menefreghismo, una domanda severa li interruppe.

«Cosa sta succedendo qui?»

Adam lo lasciò andare, ed entrambi si voltarono. Lo sguardo austero di Iris si estese su loro due come un monito, soffermandosi prolungatamente su Adam, quasi ad avvertirlo. La giovane incrociò le braccia al petto e rimase in attesa di spiegazioni.

Il silenzio sorpreso di Alec fece sì che Adam prendesse iniziativa. Era accaduto tutto così in fretta che non aveva avuto neanche il tempo per elaborare una risposta.

«Tuo fratello sta mandando a monte il piano, con una ragazza in casa.» Utilizzò un tono basso per non farsi udire da orecchie indiscrete.

La minore dei Callaway inarcò le sopracciglia per lo stupore, assumendo subito un'espressione piccata. «Alec, ma che ti prende? Sei stato tu a dirmi della strategia di Adam!» esclamò a bassa voce, controllandosi alle spalle con fare furtivo.

Alec fu contrariato dal suo repentino cambio di opinione. Quando era successo? Da ciò che ne sapeva, lei non sopportava nemmeno sentir nominare il suo promesso. «Credevo che non ti piacesse come idea» asserì, sinceramente colpito, mentre Adam stringeva i pugni per l'ira che non era riuscito a smaltire.

Iris gettò un'occhiata a quest'ultimo e scambiò con lui uno sguardo d'intesa che fu capace di calmarlo un po'. Alec restò lì impalato ad alternare la sua attenzione tra i due, e una strana emozione dilagò in lui. Gelosia? No, affatto. Non era geloso di Iris, era stato lui a suggerirle di andare d'accordo con Adam! Però il modo in cui sembravano intendersi di punto in bianco con così poco scatenò in lui un po' di fastidio. Quando erano diventati così intimi?

«Ci ho ripensato» disse solamente sua sorella, sistemandosi dietro le orecchie ciocche di capelli sfuggite al fiocco. «E non ti permetterò di mandare a monte tutto.»

Al contrario di quanto era stato con Adam, con lei riusciva a essere più ragionevole. La vide combattere per quella causa e capì che aveva rischiato di distruggere la tranquillità di tutti. Di sicuro quella di Mya, ma forse così anche Adam e Iris ci sarebbero andati di mezzo.

Mentre rifletteva, la più piccola parlò di nuovo. «Adesso vai dentro e dici a quella ragazza di andarsene. L'accompagno io fuori.»

Alec alzò gli occhi al cielo davanti al suo tono imperativo, ma non si mise a discutere, tanto ormai la sua occasione era saltata definitivamente: con il clima che si era creato, Brianne non gli avrebbe concesso una seconda opportunità, ne era consapevole. Inoltre, Iris e Adam gli avrebbero impedito di continuare ad agire in modo sconsiderato, e lui non si sarebbe opposto a Iris quando era così ferma nelle sue considerazioni. Non erano mai stati quel tipo di fratelli che litigavano per qualsiasi cosa, anzi lei era sempre stata un tipo schematico e autoritario. Sapevano accordarsi bene. In quel caso lui non era ancora affatto concorde, ma iniziava a riconoscere che stava rovinando tutto per un capriccio.

«Va bene. Dammi un minuto.»

Rientrò in stanza e si soffermò per qualche istante a fissare Brianne, che nel frattempo si era riappropriata dei suoi vestiti. Non provava rammarico nel mandarla via, sebbene fosse stato interrotto sul più bello. Tempo addietro non avrebbe perdonato gli altri per una cosa del genere, e mai si sarebbe fatto sfuggire una preda in quel modo.

Stava cambiando.

Ormai era impossibile negarlo, e altrettanto impossibile contrastarlo. Non poteva farci niente, non era più quello di prima e mai lo sarebbe stato ancora. Il vecchio Alec era rimasto a Phoenix, quando quella parte della sua vita era terminata.

«Mi dispiace. Devi andare via» le disse con poco rimorso, osservando che aveva persino raccolto le sue cose, come se si aspettasse qualcosa di simile.

«C'è qualche problema?» chiese ingenuamente la sua ospite.

Alec sospirò senza farsi sentire. L'apparente disagio di lei stava incrinando le distanze che lui aveva preso. Gli dispiaceva per lei, non lo negava. Ciò che più lo sorprendeva però era che non gli dispiaceva per sé.

«Qualche problema in famiglia.» Si mantenne sul vago, ma provò a darle comunque una spiegazione. La vide esitare, così insistette. «Ti accompagnerà mia sorella fuori.»

Brianne non si oppose ulteriormente. Gli si avvicinò con aria mesta e lo salutò abbracciandolo, promettendogli che si sarebbero rivisti il giorno dopo a scuola. Alec non si dilungò, tanto ormai era inutile. La lasciò alla porta nelle mani di Iris, che ci si allontanò confabulandovi a bassa voce. Forse si stava inventando qualche scusa, lei era una ragazza dalle mille risorse e anche ora si era dimostrata per quello che era davvero: intelligente e sveglia.

Rimase solo con Adam, poteva percepirne la presenza al suo fianco come se bruciasse. Non aveva voglia di parlare con lui, non dopo ciò che gli aveva detto. Puoi anche buttarla al vento la tua vita. L'aveva pronunciato a cuor leggero, come se non gliene importasse nulla. E un po' gli stava bene.

Non voleva pensarci, tanto quanto non voleva innescare di nuovo l'ira dell'amico, quindi si volse e rientrò in camera. Per sua sfortuna, Adam lo seguì.

Lo avvertì alle proprie spalle, a indagare la stanza quasi come se si stesse accertando che fosse tutto vero e non uno scherzo come aveva sperato prima. Il suo silenzio pesava sulle spalle di Alec più di quanto avrebbero fatto mille parole.

«Cosa avete fatto?»

La sorpresa gli impedì di rispondere subito a quella domanda. Il piano contro i loro genitori era importante, certo, ma aveva l'impressione che Adam stesse diventando fin troppo invadente.

«Tutto ciò che puoi immaginare» replicò beffardo, sapendo che con una bugia del genere l'avrebbe fatto adirare di più. Doveva farsi i fatti suoi.

Adam strinse i pugni così forte che si sentirono le sue nocche scrocchiare, poi non riuscì più a trattenersi e lo raggiunse con due grandi falcate, fronteggiandolo di nuovo faccia a faccia. Dovette abbassarsi per arrivare ad Alec, ma ci mise pochi istanti.

«Devi imparare a non pensare solo per te, idiota. Hai messo in pericolo me, hai messo in pericolo le ragazze! Hai anche solo una minima idea di cosa potrebbero fare le nostre madri se scoprissero di essere state prese in giro?! Puoi davvero essere così infantile da mandare all'aria tutto?!» Esplose contro di lui come una furia, sorprendendolo ancora di più. Gli afferrò di nuovo la maglia, e questa volta lo strattonò così forte che quasi lo sollevò.

«Non toccarmi» sibilò Alec tra i denti, stringendogli il polso, unica cosa che da quella prospettiva era in grado di fare.

«Sei in torto, Alec. Non sei nella posizione di dare ordini a me» ribatté l'altro. I suoi occhi si erano trasformati in due pozze gelide e non c'era più traccia di tranquillità in loro.

«Tu dici?» chiese con tono di sfida. Si liberò del bracciò dell'altro e si diede lo slancio con le mani per gettarsi addosso all'avversario.

Precipitarono tutti e due a terra e si ritrovarono a rotolare per prevalere sull'altro, finché non intrupparono contro la parete. Alec approfittò dell'occasione per incastrare il rivale tra sé e il muro, facendo forza sugli addominali per tenerlo fermo con il suo stesso peso. Dovette ringraziare il suo vecchio maestro per tutto quello: odiava essere indifeso solamente per il fatto di non poter muovere le gambe, perciò si era impegnato molto nel corpo a corpo.

Questo Adam lo sapeva, ma non era al corrente delle sue potenzialità, quindi si era fatto cogliere alla sprovvista. Si agitò sotto la sua presa, ma ormai era tardi. Si morse un labbro e non aprì bocca; restò semplicemente lì, con la guancia sinistra rivolta contro le fredde mattonelle, ad attendere che il respiro di entrambi si regolarizzasse.

«Perché l'hai fatto, Alec?» gli domandò dopo un po', sconfitto. Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, con voce mesta e arrendevole, gli procurò un vuoto all'altezza del petto.

«Volevo vendicarmi di Louise.» Lo disse lo stesso, nonostante ormai gli suonasse sciocco.

«Ma in questo modo hai rischiato di far soffrire tutti.»

Alec, il viso contro la spalla dell'altro, inspirò a fondo l'odore intricato di Adam. Chiuse gli occhi in un momento di debolezza e lo lasciò andare, privo di forze. La stanchezza morale gli aveva tolto la voglia di continuare quella lite, ma non era solo questo. Era come se lo sforzo improvviso l'avesse privato delle poche energie che aveva, fino a fargli girare la testa e sentire i muscoli molli come gelatina.

Ruotò su sé stesso fino a stendersi sul pavimento, e lì rimase, vinto. Aveva sbagliato e non poteva far altro che ammetterlo, ma mai l'avrebbe detto apertamente davanti a quel ragazzo.

*Revisionato*

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