Capitolo 19

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Can't you see that you're smothering me?

Holding too tightly, afraid to lose control

'Cause everything that you thought I would be

Has fallen apart right in front of you

- Linkin Park


Adam si risvegliò in preda a un brivido. Era stato uno sconsiderato a non portarsi un maglione come invece aveva fatto Alec, ma non si era aspettato di dormire fuori. Non era in programma, era successo e basta.

Quando abbassò lo sguardo trovò il corpo caldo di Alec, al quale si accostò ancora di più per condividere il suo tepore. Era quasi l'alba e avrebbe dovuto svegliarlo se non voleva che qualcuno li vedesse lì a quell'ora, però gli dispiaceva strapparlo da quello stato di beatitudine che sembrava avvolgerlo quando dormiva. Ma non voleva nemmeno innescare le urla di Louise, quindi iniziò a scuoterlo piano.

«Alec» lo chiamò ad alta voce, e il ragazzo corrucciò le sopracciglia, infastidito.

«Alec, svegliati» insistette, tremando per il gelo che riempiva quelle ore.

«Cinque minuti» bofonchiò l'amico, strascicando le parole.

«Non possiamo, dobbiamo sbrigarci o ci vedranno.»

Lo vide aprire un occhio quel tanto che bastava per guardarsi intorno, e il mondo di cristallo che questo conteneva lo risucchiò per un attimo. Quando Alec riconobbe il luogo in cui erano, rabbrividì.

«Che ore sono?» domandò.

«Non lo so, ma manca poco all'alba. Stanno per svegliarsi tutti, e noi dobbiamo andare a scuola. Abbiamo bisogno di una doccia.»

Dalle labbra chiuse di Alec uscì un lamento che venne enfatizzato dalla sua espressione contrariata, ma alla fine si diede la spinta con le mani e si mise seduto. La coperta scivolò via dalle loro spalle, e la pelle di Adam si congelò quasi all'istante.

Lo sguardo di Alec scorse sul suo torace esposto, soffermandosi per qualche secondo sul suo ombelico, forse ricordando il momento in cui l'aveva sfiorato la sera prima. Non era a conoscenza del brivido che gli aveva procurato, e lui non gliel'avrebbe detto. Il modo in cui il proprio corpo aveva risposto al suo tocco gli era parso troppo esagerato, quasi fuori luogo.

Alla fine il giovane Callaway si riscosse e si guardò attorno. «Non hai niente per coprirti?» gli chiese, forse preoccupato di saperlo in quello stato. Quell'eccessiva premura gli fece piacere.

«No, ma se ti sbrighi entriamo e mi cambio.»

Alec assunse un'aria insoddisfatta, ma poi si concentrò sugli asciugamani e li tirò via dalle loro gambe. Si sporse verso di lui e gli passò le braccia intorno, come se volesse abbracciarlo, ma alla fine gli adagiò il tessuto spugnoso sulle spalle e tornò alla distanza solita.

«Meglio di niente» commentò.

Adam sorrise per ringraziarlo e si alzò mentre il ragazzo al suo fianco si arrampicava sulla sedia a rotelle, stando attento che i freni fossero inseriti per non rischiare di finire nella piscina. Raccattò rapidamente ciò che avevano portato e insieme percorsero il breve tratto per rientrare. Dall'interno dell'abitazione non proveniva alcun suono, per fortuna.

Dopo una doccia bollente e una rapida colazione era già ora di andare a lezione. Scoprì con dispiacere che Alec era partito da solo, come aveva fatto la mattina precedente. Avrebbe dovuto parlarci riguardo ciò, magari accompagnarlo, se non fosse riuscito a convincerlo a usare l'auto di famiglia.

Una volta a scuola si assicurò che Grant Harrison e i suoi non stessero tendendo un agguato. La voce della loro disfatta si era diffusa e sapeva che la questione avrebbe bruciato loro non poco. Fortunatamente, però, sembrava tutto a posto: Grant non era presente. Forse andarsene in giro con un occhio nero era troppo umiliante per lui, o forse le aveva prese davvero fino al punto di non poter uscire.

A ricreazione non si incontrò con Miles e Caden, i suoi amici, ma schivò la folla di ragazzi euforici finché non raggiunse Mya davanti al distributore automatico. Accanto ad esso, da una finestra entrava il grigiore di quella mattinata. A quanto pareva il tempo aveva deciso di guastarsi proprio quel giorno. Aveva fatto bene a proporre ad Alec di fare il bagno insieme la sera precedente: probabilmente sarebbe stata l'ultima occasione per quell'anno di usare la piscina esterna.

«Adam!» esclamò Mya in un urletto quando le strinse i fianchi per farle il solletico. Si sentiva più pimpante del solito e aveva voglia di giocare. «Beato te che sei così entusiasta di prima mattina. La prof. di matematica ci ha fatto fare il compito e sono distrutta» affermò lei, stiracchiandosi appena. Aveva i capelli scompigliati e una smorfia degna di un film comico, ma Adam si trattenne dal riderle in faccia perché sapeva che non l'avrebbe passata liscia.

«Avevi il compito di matematica?» domandò sorpreso. Di solito, se erano in vista di verifiche importanti ne discutevano a tavola.

La sorella alzò un sopracciglio e divenne ancora più buffa. «Sei sordo, Adam? L'ho detto ieri sera a cena!»

La guardò stupito. Era un dettaglio che doveva essergli sfuggito, anche se gli capitava di rado.

«Ultimamente sei strano» indagò lei.

Gettò un'occhiata alle merendine tenute al fresco nel distributore, valutando se prendere qualche snack salato. «Strano?» ripeté sovrappensiero. Non si sentiva affatto strano. Allegro, sì, ma generalmente aveva continuato a vivere come sempre.

«Sì, un po' distratto. Come se fossi assorbito da altro. Sta succedendo qualcosa con Cassie?» s'informò Mya.

Adam tornò a concentrarsi su di lei e scosse la testa. In quei giorni aveva avuto poco tempo per pensare a Cassandra con tutto ciò che era successo. Ammetteva di averla sorpresa a fissarlo in più di un'occasione, ma considerando che non avevano praticamente conversato non si poteva dire che ci fosse stato un miglioramento.

Proprio come se solo parlare di lei avesse evocato la sua persona, la ragazza in questione passò vicino a loro con fare disinteressato e li superò dirigendosi verso il cortile. Non li aveva visti.

«Va' da lei» lo incoraggiò Mya a bassa voce, aprendo gli occhi più di quanto fosse necessario per indicarla con lo sguardo.

Adam era titubante. Non voleva presentarsi davanti a lei e fare la figura dell'idiota. E se l'avesse ignorato?

«Muovi il culo, Adam. Quella non aspetta altro.»

«Mya!» la sgridò lui per essere stata così volgare, ma dentro di sé sperò che le sue parole fossero vere.

Si fece convincere e compié il primo passo, le mani già sudate. Se c'era una cosa in grado di fargli perdere la sua solita calma, quella era Cassie.

*

Alec decise di non disturbare Iris per quel giorno a ricreazione. Sapeva che avrebbe dovuto sostenere un'interrogazione per stabilire il suo livello di conoscenza generale, voluta da uno dei professori che Alec non aveva, fortunatamente. Se il metodo di quell'uomo era un tale supplizio già da subito, allora doveva solo ringraziare di non essere stato messo sotto esame in quel modo. Ma forse tutto ciò era solo legato al fatto che sua sorella era un anno più avanti rispetto agli altri, e aveva bisogno di meritarsi quel privilegio.

Davanti al distributore automatico incrociò la figura di Mya, che stava aprendo un pacchetto di merendine. Mosse rapido le ruote per raggiungerla, mentre un gruppo di studenti lo squadrava. La curiosità degli altri nei suoi confronti non era scemata, ma probabilmente stavolta era dovuta al fatto che si era diffusa la voce della sua vittoria contro il gigante.

Sbuffò sonoramente e affiancò la ragazza, che era così concentrata su qualcosa di non identificato da non aver ancora addentato il dolce poco invitante che teneva in mano.

«Ehi» la salutò.

Lei si voltò e per un istante parve cadere dalle nuvole, poi lo focalizzò e lo accolse con un sorriso. Quasi lo destabilizzò vedere come le cose tra loro due erano cambiate in così poco tempo. Non che gli desse fastidio, anzi, gli faceva inaspettatamente piacere.

«Tutto ok?» le chiese, seguendo il suo sguardo nella direzione che tanto la distraeva.

In mezzo alla folla faticò a individuare il suo punto di interesse, e ci mise qualche secondo ad accorgersi di Adam. Stava conversando con una ragazza inverosimilmente bassa, che nascondeva dietro un'espressione furba la soddisfazione che pareva provare. La questione lo sorprese, e osservò meglio la tizia che, per qualche motivo, lo innervosì. Un caschetto castano, di un colore un po' spento, le sfiorava quasi le spalle. Era magrissima e non aveva un filo di forme, poteva essere scambiata per una bambina più di quanto succedesse a Iris, probabilmente. Gli spropositati occhi verdastri erano contornati da appena un po' di trucco, in modo che, anziché sembrare una dodicenne, apparisse perlomeno quindicenne, anche se in realtà doveva essere più grande.

«Non sono bellissimi?» cantilenò Mya al suo fianco. Si era quasi scordato di lei.

«Bellissimi?» domandò retoricamente mentre si rendeva conto che quella poteva essere la ragazza di cui Adam gli aveva parlato in macchina. I movimenti di entrambi lasciavano intendere che erano un po' agitati, lui specialmente. «Lei è troppo bassa per lui» si sentì in dovere di farle notare.

Mya lo guardò come se provenisse da un altro mondo. «Stai scherzando? L'altezza non conta niente!» affermò.

«In ogni caso è bruttina» proseguì, trovando i suoi tratti troppo infantili, il viso troppo tondo, il corpo troppo piatto. Insomma, non gli piaceva nulla di lei.

«Hai mangiato yogurt per colazione, Alec? Quanto sei acido oggi!» constatò lei. In effetti, forse stava esagerando. I gusti erano gusti, non c'era bisogno di criticare così quelli di Adam, seppur dovesse essere cieco per sbavare dietro a quella tipa in quel modo. «Sono anni che Adam è cotto di lei, dalla prima volta che l'ha vista. Però, mamma mia, convincerlo a parlarle è una tragedia: a volte "non è il momento giusto", altre "lei potrebbe essere impegnata", altre ancora "lui non se la sente"...» Mya continuò con tono cantilenante elencando una serie di motivazioni quotate da virgolette invisibili che mimava con le dita.

Quando Alec stava per risponderle, vide Adam raggiungere con la mano quella della sconosciuta e stringerla. Percepì le proprie nocche scricchiolare e si rese conto di aver stretto i pugni. Forse aveva ragione Mya e per lui quella era una giornata nera.

«Torno in classe» proferì, intenzionato a non rimanere un secondo di più. Era lì già da qualche minuto e Adam non se ne era nemmeno accorto. Adesso non lo salutava più?

«La pausa è appena iniziata» esclamò Mya, ma non l'ascoltò. Fece per girarsi, tuttavia in quel momento Adam lo chiamò.

Alzò lo sguardo, scontroso, e per un istante le iridi blu oltremare riuscirono a farlo rilassare.

«Alec, Mya; Cassie ci ha invitati per un picnic nella sua tenuta di campagna, sabato!»

Per qualche attimo calò il silenzio e Alec cercò di osservare di nuovo la ragazza. Stava voltando l'angolo per uscire in cortile, quindi non scorse altro che un sorriso soddisfatto.

«È fantastico, Adam!» esultò Mya. Alec alzò gli occhi al cielo. Cosa c'era di tanto entusiasmante?

«Ovviamente può venire anche Iris» aggiunse il più giovane dei due Brass.

«Fantastico» ripeté Alec con evidente sarcasmo, di cui Adam si accorse. Quasi lo fece sentire in colpa per essere stato così rude. Ma gli girava male, non poteva farci nulla. E la felicità di Mya non faceva che infastidirlo di più. Sbuffò.

Tentò di calmarsi pensando che era giusto che lei fosse esuberante per un'apparente conquista del fratello; anche lui lo sarebbe stato per Iris, se questa avesse raggiunto un obiettivo che inseguiva da mesi.

«Perfetto, io devo andare!» se ne uscì Mya all'improvviso. Alec notò che davanti a loro stava passando il fantomatico Grisam-ragazzo-fantasma, come lo aveva soprannominato lui. Il fatto era che pareva così amorfo che non riusciva ad apprezzarlo, sebbene gli facesse piacere vedere Mya con quell'espressione trasognata.

«All'uscita ci mettiamo bene d'accordo per quando andare, speriamo che mamma non faccia storie» fu l'ultima cosa che la maggiore dei Brass disse loro.

«Se ci sono anche loro due, non le farà, vedrai» la rassicurò Adam quando lei già stava iniziando ad andarsene.

«Qual è la tua prossima lezione?» gli chiese dopo essersi incamminati, una volta rimasti soli. I corridoi cominciarono a svuotarsi man mano che si allontanavano dal cortile.

«Non sono fatti tuoi» ringhiò Alec, scatenando sorpresa sul volto di Adam. Si sentì di nuovo colpevole, ma non poté reprimere in alcun modo il fastidio che provava.

Adam si fermò e si abbassò alla sua altezza, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle. «Qualcosa riguardo il picnic ti infastidisce?» volle sapere, premuroso come al solito. Ovvio che se ne fosse accorto, era così evidente.

Doveva darsi un contegno, non poteva trattare male le persone soltanto perché gli girava così. Eppure qualcosa lo spingeva a infuriarsi con Adam in particolare, come se lo meritasse.

Mi infastidisce l'organizzatrice, avrebbe avuto voglia di replicare, ma si morse la lingua e scosse la testa per risposta sia a sé stesso che all'altro. Non poteva di certo dire una cosa del genere.

*

«Non tentare di scappare dopo quello che hai detto! Questa volta non la passerai liscia rifugiandoti in camera tua!»

Spingeva forte con le mani sulle ruote, Alec, faticando per non lasciarsi trascinare alla deriva dalla tempesta che l'aveva assalito senza che nemmeno se lo aspettasse. Era successo dopo il suo ritorno da scuola, quando sua madre gli aveva semplicemente intimato di non tornare più da solo, con quel suo viso gelido e imperatore. Tutto perché aveva iniziato a piovere e i suoi capelli bagnati le avevano ricordato che stava facendo qualcosa contro le sue stupide regole, e per quello aveva deciso di tartassarlo.

A dispetto della nottata fantastica – aveva dormito senza incubi e abbastanza a lungo, sebbene il freddo – non aveva avuto per niente una buona giornata. Dalla ricreazione in poi il senso di fastidio che aveva provato aveva continuato ad accumularsi, finché non si era ingigantito ed era esploso su Louise.

«Col cavolo che vai in campagna» gli aveva detto dopo averlo visto particolarmente adirato con lei, rinunciando addirittura al suo linguaggio pulito per l'occasione. Alec non l'aveva mai sentita parlare in quel modo poco formale, e la cosa non aveva fatto che indispettirlo ancora di più. Le aveva urlato contro tutto ciò che pensava di lei: che aspirava solo a rovinargli la vita, che quando gli si prospettava la possibilità di star bene per una volta lei gliela negava, e che era sempre lì a escogitare metodi per farlo star male.

In realtà Alec non aveva per nulla voglia di presenziare al picnic, solo che avvertiva il bisogno di non mancare. Sarebbero stati tutti presenti, persino Iris, quindi doveva partecipare anche lui.

«Lasciami in pace!» urlò a gran voce, udendo la supplica rimbombare nel corridoio di casa Brass. Nel tentativo di seminare la donna, aveva percorso una strada più lunga per arrivare alla propria stanza, ma si era rivelato tutto inutile. Con quella sedia non aveva la facoltà di correre come invece avrebbe fatto, a perdifiato, se avesse potuto muovere le gambe. Era la sua punizione; valida, crudele e meritata punizione.

Louise gli strillò ancora dietro, e lui non fu più in grado di sopportarla. Come aveva fatto Iris ad affermare che gli voleva bene? Non vedeva quanto lo soffocava? Quanto straziava ogni doloroso attimo della sua vita? Ci riusciva anche solo con la sua presenza opprimente, che pur senza interagire con lui aveva il potere di farlo sentire inopportuno, inadeguato, sbagliato.

Solo.

Il cuore gli si strinse in una morsa per il nervosismo, tanto che dovette piegarsi su sé stesso proprio prima di svoltare l'angolo, costretto a fermarsi in preda al fiato corto. Il petto era assalito da un dolore freddo, che tuttavia gli fece provare per un istante la paura che potesse esplodere. Gli occhi gli bruciarono, ma si morse il labbro così forte che ricacciò indietro le lacrime.

Tra un respiro spezzato e l'altro, sentì la madre raggiungerlo e afferrargli una spalla. Aveva perso contro di lei.

«Non toccarmi!» gridò, alzando lo sguardo, mentre la donna gli rivolgeva ancora con voce stridula parole non identificate.

Davanti a lui c'era una porta chiusa munita di chiave nella serratura. Allungò una mano tremante verso la maniglia, rivelando l'interno di uno sgabuzzino. Un'idea fantasiosa quanto rischiosa iniziò a prendere forma nella mente disperata del ragazzo, che in quel momento era troppo bisognoso di tranquillità per escluderla.

«Sei mio figlio, ho tutti i diritti su di te» si impuntò Louise, non facendo altro che consolidare la sua idea. «Vorrei solo che mi ascoltassi, per una volta!»

«Ok» disse Alec con una sfumatura di sadismo che non era riuscito a trattenere.

Vide la sorpresa sul volto della madre prima di frenare le ruote per rimanere saldo in quella posizione e tirarla a sé. Una volta che l'ebbe abbastanza vicina, la spinse con tutte le proprie forze dentro lo stanzino, poi richiuse a chiave approfittando della piccola caduta a cui Louise era andata incontro.

La sentì urlare, ma ormai era tardi. Le sue grida giungevano ovattate dall'altra parte della porta, e per quanto la donna provasse ad abbassare la maniglia non poteva nulla contro il chiavistello.

«Alec, dimmi che stai scherzando! Tirami fuori di qui, subito! Guarda che...»

Si tappò un orecchio con il palmo e l'altro con la spalla, avvertendo così il rimbombare ritmico e rapido del proprio cuore. Con la destra continuò a muovere impacciato le ruote per allontanarsi, ma la voce riuscì comunque a raggiungerlo quando dovette usare anche l'altra mano per forza di cose.

«Sei il disonore della famiglia!»

Infierì sulle proprie labbra finché il sangue non inondò la bocca, ma non lo percepì perché era troppo distratto dalla sofferenza che si espandeva dal petto. La realtà intorno a lui sembrava deformata dalle urla della madre, che lo raggiungevano in ogni dove, non importava quanto scappasse.

Nessuno lo capiva, specialmente le persone che l'avevano messo al mondo. Perché farlo nascere se prospettavano per lui una vita simile? Quanto avrebbe voluto mandarli a quel paese e andarsene. Ma era troppo piccolo e insignificante per vivere lì fuori, non sapeva da dove cominciare. Era a solo e sperduto, non aveva nessuno.

Non era nessuno.

Intruppò contro qualcuno e se ne accorse solo all'impatto per via delle lacrime che gli avevano ormai appannato la vista. Batté le palpebre per liberarsene e incrociò gli occhi castani di Irina, alternati tra lui e lo stanzino dal quale provenivano le urla.

«Che cosa succede qui?»

Alec la guardò e l'asfissiante sensazione di fastidio nel petto si appesantì, risucchiandogli l'aria dai polmoni. La governante avrebbe aperto la porta e lui sarebbe stato assalito dalla madre più infuriata di prima. Non lo avrebbe risparmiato dopo quello che aveva fatto.

«T-ti prego, Irina» balbettò. La vide addolcire i lineamenti e provò a prendere un respiro per ripetere quelle parole mozzate. «Ti prego, non tirarla fuori» si azzardò a chiedere con un tono molto basso, sia per non farsi udire che per il semplice fatto che ormai gli mancava la voce. Si sentiva tremare e iniziava a vedere il mondo che vorticava, un po' come quando era in preda all'alcol.

La donna lo scrutò attentamente, soffermandosi a lungo sul suo viso. «Non posso lasciarla lì, Alec.» Gli poggiò una mano sulla guancia e lui la lasciò fare, troppo distrutto per impedire a chiunque di infierire su di sé. «Però, magari, posso passare in questo corridoio tra, vediamo... cinque minuti?» Un sorriso furbo le si dipinse sul volto, e Alec non poté fare a meno di fissarla sbalordito.

«Cinque minuti?»

«Dovrebbero essere necessari per scappare da qui» gli disse con aria complice, facendogli l'occhiolino.

Alec scosse la testa, trovando improvvisamente le forze per spingere le ruote. «Grazie, Irina! Non so come ringraziarti!»

La donna sorrise materna e gli diede una pacca sulla spalla. Sapeva che non era così male come gli era sembrata all'inizio. «Va', e mi raccomando: io non sono mai stata qui.»

Alec annuì come un soldatino. «Certo!» esclamò solo, sorpassandola per fuggire il più lontano possibile.

Il suo intero corpo tremava e la visione era offuscata per via della troppa pressione, ma avrebbe avanzato a ogni costo. Aveva bisogno di scaricarsi, e anche di nascondersi, e c'era solo un posto in cui poteva andare in quella situazione.

*

Al primo pugno era stato come se una parte della pressione si fosse riversata fuori con esso. Una bella sensazione, liberatoria, per quanto un solo movimento potesse essere in grado di farlo sfogare. Quelli che erano seguiti non avevano fatto altro che portare via con sé ulteriori piccoli frammenti di quel macigno che lo opprimeva, lasciandolo sempre più vuoto, sempre più solo.

L'ira cieca che lo controllava gli aveva impedito di sentire dolore, l'aveva spinto a continuare ancora e ancora. Percepiva a malapena il freddo nella stanza con la finestra aperta, dalla quale entravano il vento e la pioggia di quella giornata buia; così come il suo animo.

Si era rifugiato nella palestra, sicuro che lì non sarebbe stato trovato. Ricordava solo vagamente il tragitto dallo stanzino a quella sala, tanto la furia aveva posseduto i suoi pensieri. Non aveva nemmeno idea di quanto tempo avesse passato a prendere a pugni quel muro, sapeva solo che ormai le sue nocche scorticate l'avevano imbrattato di sangue, ma non gli importava. Il sacco da boxe era sommerso da cianfrusaglie in un angolo, e lui non aveva le competenze per tirarlo fuori e riattaccarlo al gancio sul soffitto. Gli andava benissimo così, sfogarsi contro quella parete lo soddisfaceva come invece altro non avrebbe potuto fare.

Si fermò solo quando le contusioni gli impedirono di proseguire. Il dorso delle mani era gonfio come non l'aveva mai visto, completamente macchiato di fluido cremisi. La visione lo fece adirare ancora di più, per qualche motivo, ma contenne l'urlo di rabbia che avvertiva nascere direttamente dallo stomaco per non attirare attenzione: sua madre lo stava di sicuro cercando, ormai.

Quando non ebbe più la forza di rimanere seduto a colpire le macchie rossastre, si lasciò cadere a terra e incastrò la testa tra le ginocchia per far fronte a quel senso di vuoto che gli aveva riempito il petto. Serrò i denti così forte che li sentì stridere, ma quel gesto non fu sufficiente a colmare il buco nel cuore, che faceva tanto male da rasentare la sofferenza fisica. Un conato lo raggiunse, ma nulla fuoriuscì dal suo stomaco già vuoto.

Nemmeno le pulsazioni delle ferite riuscirono a distrarlo da quell'oblio in cui era precipitato. Era solo, solo nel suo dolore.

*Revisionato*

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